Nonostante i tanti anni trascorsi in Giappone, ci sono ancora piccoli gesti quotidiani che catturano la mia attenzione, invitandomi a riflettere come fossero silenziosi enigmi. Tra tutti, il più costante si manifesta sulla soglia di ogni casa, tempio, santuario e in ogni parcheggio: le scarpe, sfilate nel genkan, sono sempre allineate con una precisione quasi rituale, le punte rivolte verso l’uscita; le automobili, con coerenza sorprendente, sono parcheggiate quasi sempre in retromarcia, il muso già proiettato verso la strada.
Per lungo tempo mi sono interrogato sul perché di un’usanza così radicata. Ne ho parlato con tanti giapponesi, da mia moglie ai miei colleghi, ricevendo risposte che, sebbene corrette, sembravano sempre parziali, frammenti di un quadro più grande. “È per essere più rapidi quando si esce”, mi spiegavano. “È semplicemente, shitsuke, buona educazione e disciplina personale, omoiyari, ovvero una forma di considerazione per gli altri, aggiungevano altri”. Spiegazioni valide, certo, ma sentivo che non riuscivano a cogliere l’anima di un gesto tanto universale quanto istintivo.
Poi, qualche giorno fa, la memoria si è riaccesa. È bastato leggere un post di un mio stimato amico, Francesco Baldessari, per far riaffiorare una riflessione che avevo scritto anni fa. Le sue parole mi hanno riportato alla conclusione a cui ero giunto dopo le mie ricerche, una sintesi che finalmente dava un senso a tutto: dietro la pratica e l’etichetta si nasconde un’eredità ben più antica e complessa.
In questo gesto sopravvive l’eco dei samurai, per cui la prontezza mentale e fisica (il kokorogamae) era una questione di vita o di morte: avere le calzature già orientate per la fuga poteva fare la differenza. La stessa mentalità di prontezza si riflette oggi nella necessità di poter lasciare un parcheggio all’istante in caso di allarme o pericolo. A questo si intreccia l’influenza dello shintoismo, che vede la casa come uno spazio sacro e puro (hare) e il genkan come la soglia sacra che lo protegge dal mondo esterno considerato carico di impurità (kegare); ordinare le scarpe diventa così una atto di profondo rispetto per questo confine. Infine vi è la disciplina silenziosa del buddismo zen, che insegna a compiere ogni azione, anche la più umile, con totale consapevolezza, trasformando il gesto banale in una forma di meditazione attiva.
Alla fine, credo di aver compreso come tutte queste correnti – la sicurezza, il rispetto, la storia e la spiritualità – convergessero in un unico, potentissimo concetto, una filosofia racchiusa nelle seguenti parole giapponesi:
次の行動への準備
Tsugi no kōdō e no junbi
La preparazione per l’azione successiva
Ecco quella che secondo me può essere considerata come la vera chiave di volta. Non si tratta quindi di ottimizzare una via di uscita. Si tratta di una mentalità. L’atto di prepararsi non viene rimandato al momento del bisogno, ma viene anticipato, compiuto in un momento di calma. La manovra più complessa, il pensiero, lo sforzo, si concentrano all’arrivo, affinché la partenza sia fluida, sicura e priva di esitazioni. Quasi a voler plasmare il futuro agendo sul presente.
È un atto di previdenza per se stessi, ma anche un profondo gesto di considerazione per gli altri, perché un’uscita di scena ordinata non crea né intralcio e disturbo. È un piccolo gesto che insegna come la preparazione del presente sia il più grande atto di rispetto verso il futuro. Il proprio e quello degli altri.