Oggi, qui in Giappone, si celebra lo yama no ho, il “giorno della montagna”. Questa ricorrenza istituita ufficialmente solo nel 2016, e in realtà l’eco di un legame millenario, un dialogo silenzioso e costante tra un popolo e le vette che ne definiscono l’orizzonte. Non è una semplice festa sul calendario, ma il riconoscimento di una presenza che è al contempo fisica e spirituale, un pilastro dell’identità giapponese.
In Giappone, le montagne non sono mai state semplici ammassi di roccia e terra. Da sempre, sono state percepite come una soglia verticale, una scala verso il cielo dove il mondo umano sfiora quello divino. Nello shintoismo, le cime più imponenti sono considerate shintai, il corpo stesso delle divinità, o kannabi, luoghi sacri dove dimorano i kami. L’ascesa alla vetta non è mai stata un mero atto sportivo, quanto un pellegrinaggio, un percorso di purificazione. Ogni passo verso l’alto e un passo verso il sacro, un modo per lasciare alle spalle l’impurità del mondo terreno e avvicinarsi all’essenza divina. Il Fuji-san, con la sua perfezione conica, non è solo un vulcano: è un’icona sacra, un mandala naturale che ha ispirato innumerevoli artisti, poeti e mistici.
Questo senso del sacro si è poi fuso con il buddismo, che ha trovato sulle montagne il luogo ideale per la meditazione e l’ascetismo. I templi si annidano tra le foreste di cedri secolari, i sentieri si snodano verso pagode nascoste, disegnando un paesaggio dove natura e spiritualità sono inseparabili. Le montagne sono diventate il terreno di prova per gli yamabushi, i monaci asceti che, attraverso pratiche rigorose, cercano l’illuminazione attingendo forza e saggezza direttamente dalla potenza della natura selvaggia.
Tuttavia, l’importanza delle montagne non si esaurisce nella loro dimensione spirituale. È una presenza che plasma la vita quotidiana. Per secoli, sono state fonte di ogni risorse: legname per costruire case, templi e santuari, carbone per i focolari, acqua pura che sgorga per irrigare le risaie a valle. Interi paesaggi, i satoyama, sono sorti in simbiosi con le pendici dei monti, in un delicato equilibrio di utilizzo e rispetto. La montagna è madre e custode, una risorsa vitale che insegna i valori della gratitudine e della parsimonia.
Ancora oggi, questo legame profondo pulsa nella vita dei giapponesi. Fuggire dall’afa delle città per cercare il fresco delle alture, immergersi in un onsen vulcanico, ammirare il mutare delle foglie in autunno: sono tutte esperienze che riconnettono l’uomo moderno a questo ritmo ancestrale. Lo yama no hi è quindi soltanto un’occasione per un’escursione, ma un invito a fermarsi e ad ascoltare. A sentire il respiro della foresta, a percepire la stabilità della roccia sotto i piedi e a riconoscere, in quella maestosa immobilità, una parte fondamentale della propria anima. È un giorno per ricorda che, in un mondo che corre veloce, le montagne restano. Silenziose, potenti, eterne custodi di ciò che è veramente essenziale.