
Il cuore del Giappone che si oscura
22 Aprile, 1939
Caro diario,
Sono trascorsi quindici lunghi anni dal mio arrivo in Giappone, e devo ammettere che il paese oggi è quasi irriconoscibile. La serenità che un tempo pervadeva ogni angolo, l’arte e le tradizioni che tanto ammiravo, sembrano essere soffocate da una cappa di fervore quasi ossessivo. Ricordo un Giappone che si apriva al mondo con curiosità, ma quello che vedo ora è un paese che si stringe su se stesso, spinto da una forza che non riesco a comprendere appieno. E oggi, in particolare, ho avuto un incontro con le Aikoku Fujinkai, l’associazione patriottica delle donne, o qualcosa di simile, che ha accentuato questa mia preoccupazione. Minomori-san ci teneva particolarmente che le incontrassi.
Le avevo sentite nominare anche prima, ma il loro ruolo e la loro presenza sono ora amplificati a dismisura. Mi hanno spiegato che furono fondate all’inizio del secolo, nel 1901, da una donna di nome Okumura Ioko, con il sostegno diretto del governo e dell’esercito. All’epoca, il loro scopo primario era nobile, o almeno così appariva: fornire conforto ai soldati feriti e alle loro famiglie, rafforzando lo spirito nazionale. Hanno iniziato reclutando donne dell’alta società, ma ora, mio caro diario, sono ovunque! Mi dicono che si contano milioni di membri, e non solo nelle grandi città, ma anche nei villaggi più sperduti, dove le donne si uniscono con un fervore quasi religioso, una dedizione che rasenta il fanatismo.
Ciò che mi ha colpito di più è la loro organizzazione capillare e impeccabile e il loro simbolo distintivo. Indossano una fascia rossa, quella che i giapponesi chiamano tasuki, una sorta di fascia che incrocia la schiena, che normalmente viene indossata per tenere su le larghe maniche degli abiti tradizionali o dei kimono. La loro leader della sezione di Sasebo mi ha spiegato che il modo in cui indossano questo tasuki è intenzionale: in una direzione specifica per distinguersi da un altra grande organizzazione femminile, la Dai Nihon Kokubō Fujinkai. Questo piccolo dettaglio, mi dicono, serve a ribadire la loro identità e il loro ruolo unico nel tessuto sociale. E una sottile distinzione che, tuttavia, rivela un’attenzione quasi militare alla disciplina e all’ordine. Le vedi muoversi con una precisione quasi militare, coordinate, un fiume rosso che attraversa le strade.
Il legame tra queste donne e l’esercito è palpabile, quasi viscerale. Sembrano essere il braccio femminile di un militarismo crescente, la loro azione infonde un profondo senso di devozione allo stato e all’Imperatore. Non è più solo il vecchio shintoismo, la via degli dei della natura, ma uno “Shintō di stato” che ha quasi preso il sopravvento, dove l’Imperatore è al centro di tutto, venerato quasi come una divinità. Le Aikoku fujinkai sono una dei tanti veicoli per questa nuova fede, diffondendo il patriottismo, la disciplina, l’idea del sacrificio personale per la nazione. Le vedi raccogliere fondi incessantemente, preparare pacchi per i soldati al fronte in Cina, cucire uniformi, anche in zone rurali dove la vita è già dura di per sé. Sembrano instancabili, animate da una convinzione incrollabile che il loro lavoro sia fondamentale per la vittoria e la grandezza del Giappone.
Eppure, sotto questa superficie di dedizione e organizzazione, percepisco qualcosa di profondamente inquietante. Ho sentito sussurri, storie che mi turbano. Le loro azioni, sebbene presentate come patriottiche, a volte sfociano in un fanatismo che mi fa quasi rabbrividire. Mi chiedo fino a che punto questo spirito di sacrificio possa spingersi, specialmente ora che il paese ha invaso la Cina. Mi hanno raccontato come la loro influenza si sia spesso estesa ben oltre il supporto morale, arrivando a promuovere una cultura di “sottomissione” femminile al volere dello Stato. La loro promozione di un nazionalismo estremo, e il loro silenzio, o forse anche la loro adesione, a pratiche sempre più disumane, mi fa riflettere. Non posso fare a mano di pensare alle voci che circolano sulle donne dei territori invasi che, in nome dello sforzo bellico, sono costrette a subire trattamenti orribili. Queste associazioni, pur non essendo coinvolte, con la loro enfasi sul sacrificio femminile per la nazione, hanno creato un terreno fertile per l’accettazione di tali abusi. E come se quella fascia rossa, simbolo di devozione, nascondesse anche un’ombra oscura, un lato di questo “nuovo” Giappone che mi riempie di un profondo senso di disagio.
Questo paese, caro diario, è un enigma. È moderno, potente, eppure sta imboccando una strada che mi sembra pericolosa, allontanandosi dalle serenità che una volta conoscevo. Le donne delle Aikoku Fujinkai consapevoli o meno, ne sono un simbolo potente, un riflesso del Giappone che e del Giappone che temo diventerà.
Contesto storico
Con questo brano ho cercato di cristallizzare uno dei tanti frangenti cruciali disseminati nella storia giapponese del periodo pre-bellico: gli anni ‘30, un decennio contraddistinto da un’escalation del militarismo e del nazionalismo, che avrebbe condotto il paese all’espansione in Asia e, infine, al secondo conflitto mondiale.
Sulla scia della Restaurazione Meiji del 1868, il Giappone aveva intrapreso una rapida modernizzazione e industrializzazione, affermandosi come potenza regionale. Tuttavia, l’impatto devastante della grande depressione del 1929 esacerbo le tensioni sociali e l’instabilità politica interna. Fu in questo clima che le gerarchie militari consolidarono progressivamente la propria influenza sul governo, propugnando un’ideologia imperniata su l’espansionismo territoriale, volta ad assicurare risorse, e sulla presunta superiorità culturale nipponica.
Lo “shintoismo di stato”, di cui faccio cenno nel diario, costituiva un pilastro di tale architettura ideologica. Trascendendo la sua natura di semplice “fede religiosa”, esso si configurava come un sistema di credenza che deificava la figura imperiale, esigendo lealtà incondizionata alla nazione e alla sua vocazione espansionistica. Questa forma di nazionalismo radicale veniva instillata capillarmente nella popolazione tramite il sistema educativo, la propaganda martellante e organizzazioni di massa quali l’Aikoku Fujinkai (愛国婦人会), “associazione patriottica delle donne”, e la Dai Nippon Kokubō Fujinkai (大日本国防婦人会), “grande associazione femminile per la difesa nazionale del Giappone”.
Queste due associazioni, nel 1942, confluirono assiema alla Dai Nippon Rengō Fujinkai (大日本連合婦人会), nella Dai Nippon Fujinkai (大日本婦人会). I motivi principali di questa unificazione erano strettamente legati alla mobilitazione totale del Giappone e alla necessità del governo giapponese di centralizzare il controllo e massimizzare l’efficienza della gestione delle risorse e del consenso popolare in questo delicato periodo.
Tali associazioni femminili, nate con finalità caritatevoli, subirono una progressiva “militarizzazione”, venendo strumentalizzate dal governo per mobilitare il sostegno femminile allo sforzo bellico. Il loro contributo divenne cruciale nel sostenere il morale interno, nella raccolta fondi, nella preparazione di materiali per i combattenti e nella capillare promozione dei valori di sacrificio e obbedienza. L’immagine del “cuore del Giappone che si oscura” è voluta per evocare la cupa trasformazione di una società che, sospinta dal cieco fervore militarista, si avviava inesorabilmente verso la guerra totale, un baratro che avrebbe inghiottito il paese e causato sofferenze indicibili a milioni di individui in tutta l’Asia.
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