Nonostante l’enorme volume di lavoro di quest’ultimo periodo, tra nuovi contratti, nuovi progetti e lo studio continuo per non rimanere avvinto dalle pieghe del tempo, ho scelto di concedere a me e alla mia famiglia la quiete di questi giorni a casa. Pur continuando a compulsare documenti da quella che era nata come una gaming room ma si è ormai trasformata nel mio ufficio casalingo, l’atmosfera che si respira è quella di una festività, una pausa nel ritmo sincopato della quotidianità. La ragione di questa tregua risiede in una celebrazione profondamente radicata nell’anima di questa nazione: l’umi no hi, la giornata del mare.
Questa ricorrenza, che cade il terzo lunedì di luglio, non è un mero pretesto per un fine settimana allungato, bensì un momento di sentita gratitudine verso l’oceano per i suoi doni e un auspicio di prosperità per il Giappone. Per comprendere appieno la portata di tale celebrazione, è necessario spogliarsi della nostra concezione mediterranea del mare, spesso legata alla villeggiatura, al divertimento estivo, a un orizzonte di svago. Qui il mare è vita, nutrimento, via di comunicazione, ma anche forza temibile e indomita. È un’entità con cui il popolo giapponese ha stretto un patto millenario, un legame viscerale che ne ha plasmato la cultura, l’economia e la stessa identità. Essendo il Giappone una nazione insulare, la cui esistenza stessa è intrinsecamente legata alle acque che la cingono, il mare è il fulcro di un retaggio storico e spirituale che pervade ogni aspetto della vita. Io stesso, proveniente da una zona più prossima alle alte vette dolomitiche che alle rive del mare, non ho mai coltivato un simile legame, e forse proprio per questa distanza riesco a cogliere con maggior stupore la profondità della riverenza nipponica.
Le origini di questa festività ci riportano indietro nel tempo, al 1876. Fu in quell’anno che l’imperatore Meiji, figura cardine della modernizzazione del paese, fece ritorno al porto di Yokohama il 20 Luglio, al termine di un lungo viaggio che lo aveva impegnato nella visita delle regioni settentrionali del Tōhoku e dell’Hokkaidō. L’imbarcazione che lo ricondusse a casa non era una nave qualsiasi, ma la Meiji Maru, un piroscafo di costruzione scozzese che incarnava il progresso tecnologico e la nuova apertura del Giappone al mondo. Quel ritorno divenne il simbolo di un viaggio non solo fisico, ma anche metaforico, verso un futuro prospero guidato dall’innovazione.
Per commemorare un evento di tale portata simbolica, nel 1941 venne istituita la “Giornata commemorativa del mare”, umi no kinenbi, fissata proprio il 20 luglio. Tuttavia, fu necessario attendere fino al 1996 perché questa giornata assumesse lo status di festa nazionale, specchio di una società in cambiamento, dal 2003 la festività è stata spostata al terzo lunedì del mese di luglio, in accordo con la politica governativa conosciuta come “Happy Monday System”, volta a creare più fine settimana di tre giorni per favorire il riposo e il turismo interno.
Ed è così, che dalla mia stanza, tra una pila di documenti e l’altra, osservo questa giornata dipanarsi. Il mare poco distante riflette i raggi del sole e credo che sia un’occasione perfetta per riflettere non solo sulla dipendenza di un’intera nazione dall’oceano, ma anche sull’urgenza di preservare l’equilibrio. È un momento in cui il fragore delle onde sembra riecheggiare la storia, la cultura e le speranze di un popolo che, nel mare, ha sempre trovato il proprio destino.