Dov’e finita la nostra giovinezza

C’è una domanda che ha aleggiato come un fantasma tra le macerie del Giappone post-bellico. Un sussurro diventato un grido sordo, carico di rabbia e smarrimento, che appartiene a un’intera generazione:

「うちの青春どこにいった!」

“Dov’e finita la nostra giovinezza?”

Immagina di avere quindici anni. I tuoi sogni non sono fatti di amori, musica o feste con gli amici. I tuoi sogni sono stati cancellati. Per i ragazzi e le ragazze cresciuti nel Giappone degli anni ‘30 e ‘40, l’adolescenza fu un furto. I banchi di scuola vennero sostituiti con i torni delle fabbriche di munizioni, i campi vennero arati da mani adolescenti al posto di quelle di padri e dei fratelli, inghiottiti dal fronte. Alle ragazze, a cui si insegnava l’ideale ryōsai kenbo, ovvero della “buona moglie, madre saggia”, fu chiesto di diventare operaie o, nel peggiore dei casi, con l’inganno di sacrificare il proprio corpo come “donne di conforto”. La gioventù divenne semplicemente un’altra risorsa da consumare per la guerra.

L’ideale per cui tutti si stavano sacrificando – un Giappone divino, invincibile e guidato da un Imperatore-dio – si frantumò nel modo più crudele e assordante. La colonna sonora delle loro notti non era musica, ma la nenia metallica dei bombardieri B-29. Le loro città non erano luoghi di incontro, ma inferni di fuoco. Poi, le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki scavarono un solco incancellabile nella loro anima, mostrando la vulnerabilità terrificante di tutto ciò in cui erano stati costretti a credere. La resa del 15 agosto 1945 non portò la pace. Porto un silenzio assordante, e un vuoto.

Il disorientamento fu totale. Le loro guide, i loro valori, i loro idoli: tutto era crollato, rivelandosi un castello di menzogne. Scrittori come Dazai Osamu diventarono lo specchio di un’anima collettiva in frantumi, dando voce a una gioventù che si sentiva profondamente tradita. Il ritorno dei soldati, spesso mutilati nel corpo e nello spirito, non fece che confermare la catastrofe. Chi erano adesso? Orfani non solo dei genitori, ma di un’intera nazione. Molti si ritrovarono a vagare per le strade di un paese in rovina, lottando per una ciotola di riso al mercato nero, con l’unica certezza di aver perso tutto.

La loro domanda, “Dov’e finita la nostra giovinezza?”, non era semplice nostalgia. Era un’accusa gridata con la gola secca contro il mondo degli adulti che li aveva ingannati. Al posto dei ricordi del primo amore, c’erano le immagini delle città in fiamme. Al posto delle gite scolastiche, il ricordo della fame. Al posto delle fotografie felici, il volto dei morti.

Eppure, cosa fai quando hai toccato il fondo? O ti lasci affogare, o usi quel fondo per darti la spinta per risalire. Da quell’abisso di disperazione nacque una rabbiosa, disperata voglia di rivalsa. Non una vendetta militare, ma una spinta incontenibile a creare. Se la guerra aveva distrutto la loro giovinezza, loro avrebbero usato la loro vita adulta per costruire un futuro dalle ceneri.

Questa determinazione divenne il motore del miracolo economico giapponese. La stessa disciplina ferrea e lo stesso spirito di sacrificio, prima incanalati verso la distruzione, furono riconvertiti in una forza costruttiva senza precedenti. Quella generazione lavorò fino allo sfinimento, riversando nelle fabbriche, negli uffici e nelle università tutta l’energia che non aveva potuto esprimere. Ricostruirono le città, ma soprattutto l’orgoglio di una nazione.

La loro rivalsa fu anche culturale. Rigettando con forza il militarismo che li aveva traditi, si aggrapparono ai nuovi ideali di pace e democrazia. Registi come Kurosawa iniziarono a esplorare le cicatrici delle guerra, cercando un barlume di umanità tra le rovine. La letteratura si fece più intima, mettendo al centro l’individuo e il suo smarrimento.

La giovinezza rubata non venne mai restituita. Rimase un’ombra lunga, un dolore sordo che li accompagnò per tutta la vita. Ma nella fatica della ricostruzione, nel successo di un’economia che sbalordì il mondo e nella creazione di una società pacifica, quella generazione trovo il proprio riscatto.

Dov’è finita la loro giovinezza? Non è mai più tornata. Ma al suo posto, mattone dopo mattone, hanno costruito il Giappone moderno. E questa fu la loro, silenziosa e grandiosa, risposta.

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