Ombrelli Rotti

  • Otoshi-dama – お年玉

    Otoshi-dama – お年玉

    Continuano la nostra rassegna delle tradizioni giapponesi legate ai festeggiamenti dell’anno nuovo parlando delle otoshi-dama (お年玉), che sono un dono in denaro che viene dato ai bambini durante i primi giorni dell’anno.

    Questi regali oggigiorno sono per lo più in denaro, ma in origine si usava regalare dei mochi, considerati un simbolo dell’anima (tamashii, 魂) che, nella cultura giapponese è l’espressione del potere di vivere e rappresenta l’energia che permette a tutte le creature di vivere. Come ho spiegato in un mio precedente articolo, la tradizione vuole che lo spirito del nuovo anno fosse condiviso dal toshigami-sama (年神様, divinità dell’anno nuovo), con tutte le creature viventi, donando loro la forza per vivere l’intero anno. In Giappone, si tengono una serie di eventi per accogliere, intrattenere e salutare il kami del nuovo anno che condividerà con noi il suo spirito, insieme alla felicità e alle benedizioni per il nuovo anno.

    Ai bambini giapponesi piace molto il periodo di Capodanno perché ricevono le otoshi-dama dai genitori o dai parenti più stretti. Il dono viene consegnato mettendo il denaro all’interno di una piccola busta detta otoshi-dama bukuro (お年玉袋) o pochi-bukuro (ポチ袋). Esistono diversi tipi di buste in commercio, da quelle classice a quelle raffiguranti i personaggi di anime e manga.

    Si dice che il termine otoshi-dama sia legato al concetto di “anima del nuovo anno”. “L’anima del nuovo anno” é detta anche “Toshi-gami-sama no tamashii” (年神様の魂, anima del kami del nuovo anno). Le festività legate al Capodanno sono eventi che danno il benvenuto alla divinità del nuovo anno e sono strettamente legati alla tradizione shintoista. Si dice che toshigami-sama dimori nel kagami-mochi durante questo periodo. Aprendo e  mangiando questo dolce, le persone ricevono una parte dell’anima della divinità che gli conferisce l’energia vitale necessaria per il nuovo anno. Un tempo era molto diffuso un rituale shintoista, conosciuto con il nome di kamgami-biraki (鏡開き, Lett apertura dello specchio), durante il quale si aprivano i kagami-mochi. L’apertura di questo dolce rappresenta simbolicamente il rilascio dell’anima del toshigami-sama e, una volta terminato, i partecipanti ne ricevevano una parte. Quando tornavano a casa, schiacciavano e dividevano ulteriormente la parte ricevuta, avvolgevano le parti in carta e le condividevano con la famiglia e la servitù: questa usanza è considerata la nascita dell’ otoshi-dama. Si racconta che questa tradizione sia diventata di uso comune tra la popolazione durante il periodo Edo (1603-1868), quando le famiglie ricche e i commercianti erano soliti distribuire sacchetti di mochi e mikan (un’arancia mandarino giapponese) alle famiglie per diffondere la felicità all’inizio di ogni anno. Si diffuse anche l’usanza di portare don, chiamati onenshi (御年始), quando ci si recava in visita a parenti o amici durante la notte di Capodanno. È quando si cominciò a regalarli ai bambini che nacque l’attuale tradizione dell’ otoshi-dama. Inizialmente venivano regalati ai bambini i kagami-mochi, ma poi, con il passare del tempo furono sostituiti da altri beni fino a giungere ai soldi. Questa usanza è stata tramandata durante le epoche Meiji, Taisho e Showa, ma fu a partire dal periodo di rapida crescita economica alla fine degli anni Cinquanta, che il denaro divenne la norma, soprattutto nelle aree urbane, e si dice che i destinatari fossero esclusivamente i bambini.

    Ma che cifra viene donata normalmente?

    Non esiste una regola precisa sulla quantità di denaro da dare, ma c’è una linea guida approssimativa che molte persone seguono. Ad esempio, 2.000 yen per i bambini in età prescolare, 3.000 yen per gli studenti delle scuole elementari, 5.000 yen per gli studenti delle scuole medie e superiori e così via. L’importo varia anche in base al rapporto con il bambino: il proprio, quello dei parenti stretti, quello dei figli degli amici, ecc. Per i bambini troppo piccoli per capire il valore del denaro, al posto dei contanti si regalano giocattoli. Nella mia famiglia si usa regalare una moneta da 500 yen accompagnata da un gioco ai neonati.

    Ogni anno con i miei figli si pone sempre il problema di come spendere questi soldi. Generalmente, in caso di somme ingenti, i genitori chiedono ai bambini di metterne da parte almeno una parte per i loro risparmi futuri. A volte i bambini possono usarla per un oggetto speciale e costoso che desiderano da tempo. Tutto dipende dalla famiglia. Indipendentemente da come viene speso il denaro, una cosa su cui la maggior parte dei bambini giapponesi è d’accordo è che ricevere l’otoshi-dama è uno dei momenti più emozionanti del nuovo anno!

  • Ozōni (お雑煮) e Mochi (餅)

    Ozōni (お雑煮) e Mochi (餅)

    Ogni Capodanno in Giappone, le famiglie che si riuniscono per i festeggiamenti sono solite mangiare l’ o-zōni (お雑煮) una zuppa piena di teneri mochi e tanti altri buonissimi ingredienti. Come molti ormai sapranno i mochi (餅) sono dei morbidi dolci giapponesi a base di riso. Ci sono diverse tipologie di mochi ognuno con un suo proprio simbolismo. Fortuna e longevità sono solo due delle tante qualità associate ai mochi.

    Il sakura mochi (桜餅) solitamente disponibile durante la stagione primaverile. È considerato come una sorta di wagashi (和菓子, dolci tradizionali giapponesi che di solito si accompagnano al tè) ed è famoso per il suo aspetto e colore graziosi. La dolcezza del mochi si sposa bene con il sapore del tè. Di colore rosa ha un ripieno di anko (餡, pasta di fagioli rossi) e viene servito avvolto in foglie di ciliegio salate e commestibili. I giapponesi sono soliti mangiare wagashi diversi a seconda della stagione e poiché il colore di questo mochi ricorda quello dei fiori di ciliegio è stato rapidamente associato alla primavera. Assieme all’ hishi mochi (菱餅), un mochi a tre strati verde, bianco, rosa é diventato il simbolo dell’ hina matsuri (雛祭り, Giornata delle ragazze) rappresentando la fertilità e la salute.

    I mochi un tempo erano un’offerta per le feste e i rituali legati principalmente alla religione buddista. Ma a partire dal periodo Edo (1603-1868), divennero disponibili per la gente comune. A quanto pare, è in questo periodo che si iniziò la tradizione di mangiarli per accogliere il nuovo anno.

    I mochi sono anche mangiati, durante le festività per il nuovo anno, accompagnati o immersi in una zuppa chiamata ozōni, che si traduce approssimativamente in “vari tipi di cottura a fuoco lento”. Come suggerisce il nome, c’è molta flessibilità nel modo in cui viene preparata. Ogni regione e famiglia ha il proprio modo di prepararla, con ingredienti diversi.

    Sembra che l’ozōni fosse originariamente servita all’inizio dei pasti rituali chiamati honzen-ryōri (本膳料理) che erano popolari tra la classe dei samurai durante il periodo Muromachi (1333-1336). Essendo l’ozōni uno dei primi piatti ad essere servito si pensa che sia passato a essere il primo pasto servito nel nuovo anno dopo la sua diffusione in Giappone, circa 500 anni fa.

    Oggigiorno gli ingredienti principali per preparare l’ozōni possono essere distinti in quattro gruppi: la base di dashi, il condimento del dashi, i mochi e gli ingredienti aggiuntivi.

    Un macro divisione può essere fatta tra l’ozōni servito nella zona del kansai (関西風), caratterizzata dal bordo bianco e cremoso dovuti all’utilizzo del famoso e buonissimo saikyo miso (西京みそ) di Kyōto. Mentre quella servita nella zona del kantō (関東風) è più salata e presenta un colore più scuro dovuto all’aggiunta della salsa di soia.

    Gli eventi e il cibo del Capodanno giapponese, così come  l’ozōni, hanno origine dalla tradizione shintoista e varie usanze sono nate dall’idea del shinjin kyōshoku (神人共食) che significa mangiare cibo offerto agli dei per ricevere il potere degli dei ed essere più energici. L’ozōni viene solitamente preparata il primo Gennaio perché la tradizione vuole che venga utilizzata la prima acqua dell’anno. Conosciuta come wakamizu (若水, Lett acqua giovane), in passato si prendeva direttamente dal pozzo oggigiorno direttamente dal rubinetto di casa.

    La preparazione di questa pietanza varia da regione a regione e con essa anche gli ingredienti utilizzati. Ci sono solo due componenti principali comuni in tutte le regioni del Giappone. I mochi e il dashi.

    Per quanto riguarda i mochi si possono trovare in due forme: rotonda e quadrata.In genere, i mochi rotondi sono utilizzati nel Giappone occidentale, mentre quelli quadrati sono utilizzati nel Giappone orientale. È interessante notare come il confine tra l’uso di un tipo e l’altro di mochi coincida con la zona di Sekigahara (関ヶ原), dove si svolse la battaglia che vide la vittoria Tokugawa e segnò la fine del sengoku jidai (戦国時代) il periodo degli stati combattenti. La regione da nord a sud, ovvero la parete di territorio che da Aomori scende fino a Sekigahara, è la zona dove i mochi hanno forma quadrata, noti anche come kaku-mochi (角餅), ottenuti appiattendo e tagliando il riso precedentemente pestato. Alcuni sostengono che durante il periodo Edo, quando i mochi divennero popolari tra la gente comune, erano di forma quadrata perché nella città di Edo (l’attuale Tōkyō) la richiesta di mochi era così elevata che si decise di prepararli di forma quadrata perché più pratico e veloce. La regione a ovest di Sekigahara è la zona in cui i mochi sono hanno sempre avuto una forma rotonda. A Kyōto, dove si trovava la capitale, i mochi rotondi erano i principali portafortuna ed erano simbolo di amicizia.

    Fonte: Maff

    Il dashi e il condimento dell’ozōni variano da regione a regione. Nel Giappone orientale è comune aggiungere katsuobushi, sardine e alga kobu nella preparazione del brodo della zuppa, aggiungendo salsa di soia per aggiustare il sapore. Nella regione del Kansai, il miso bianco è molto diffuso. Il miso bianco era un ingrediente molto costoso una volta e aveva un forte sapore dolce, preparato con molta crusca di riso, per cui l’ozōni di miso bianco divenne popolare tra la corte e i nobili di Kyōto nel tardo periodo Edo. Nel Tohoku, nord del Giappone, si preferisce una zuppa con brodo più chiaro, aromatizzata con salsa di soia e con aggiunta di carne di pollo.

    Qui nel Kyūshū, molte zone utilizzano un brodo chiaro a base di ago (pesce volante essiccato). Oltre al brodo e al mochi, il tocco di unicità dell’ozōni sta negli ingredienti aggiuntivi. Carote, daikon, kamaboko una pasta di pesce dai colori bianco e rosso. Bianco e rosso, come spiegato in un articolo precedente sono considerati o colori portafortuna per l’anno nuovo legati alla dottrina shintoista. Il bianco richiama la purezza mentre il rosso, dalla sua sfumatura vermiglia, si pensa allontani gli spiriti maligni. Vengono aggiunte poi delle verdure a foglia come gli spinaci e carne di pollo generalmente.

    Oltre allo stile regionale dell’ozōni, ogni famiglia ha la sua storia e il suo sapore. In molti casi, quando uomini e donne di regioni diverse si sposano, gli stili di preparazione delle rispettive famiglie si fondono insieme per creare uno stile unico. Nel Kyūshū, dove vivo, ci sono tre modi differenti di preparare l’ozōni rispettivamente nelle zone di Fukuoka, Nagasaki e Kagoshima.

    L’ hakata zōni è una zuppa tipica di Fukuoka con brodo a base di sardine grigliate, con l’aggiunta di una verdura tradizionale detta katsuna (カツオ菜) e di un pesce, il buri, (la ricciola) che porta fortuna per il successo nella vita. I mochi vengono aggiunti bolliti o grigliati.

    Nella zona di Nagasaki si usa aggiungere i funghi shiitake e la carne di pollo.

    L’ozoni della prefettura di Kagoshima, conosciuto come Satsuma Ebi Zoni (薩摩えび雑煮. Satsuma è l’antico nome di questa zona) è caratterizzato da gamberi così grandi da sporgere dalla ciotola.

    La maggior parte dei giapponesi festeggia il Capodanno con la famiglia e i parenti e raramente consuma l’ozōni a casa di altri, anche se si tratta di amici stretti. Come scritto in un precedente articolo al giorno d’oggi, è diventato usuale ordinare molte delle pietanze tipiche di questo periodo presso negozi specializzati. Solamente l’ozōni continua ad essere preparata tramandata in casa in tutte le sue varianti.

  • Il confucianesimo giapponese

    Per cominciare, bisogna considerare che il confucianesimo giapponese non solo deriva da una sola corrente del confucianesimo, il neo confucianesimo, ma è stato profondamente alterato anche su questioni essenziali dopo il suo arrivo in Giappone. In tutta la sua storia qui, storia che comincia con l’arrivo del buddhismo dal continente in una data convenzionalmente fissata sul 533 d.C., il confucianesimo è stato principalmente uno strumento di controllo sociale, particolarmente durante il periodo Edo in cui, dopo appunto profonde modifiche, divenne la base filosofica su cui poggiava il governo dei Tokugawa. Subì quindi influenze dal culto degli antenati, dal buddhismo giapponese e dalla filosofia di governo dei Tokugawa.

    Personalmente, trovo triste come TUTTE le filosofie e visioni del mondo portate dalla Cina siano TUTTE finite col diventare strumenti di controllo sociale. In ogni caso, le differenze fra il confucianesimo cinese e quello giapponese sono le seguenti.

    Prima di tutto, come ho detto, ma vale la pena ripeterlo, in Giappone il Confucianesimo è stato integrato con le credenze e le pratiche shintoiste e buddiste. Questo ha portato a una forma unica di Confucianesimo che enfatizza sia i principi morali confuciani sia i valori spirituali del buddhismo e dello shintoismo, natura e il culto degli antenati, ben più radicati che in Cina.

    In consonanza con la natura rigidissima della società giapponese in tutte le sue fasi di sviluppo, il Confucianesimo giapponese pone un’enfasi particolare sull’ordine sociale, la gerarchia e la lealtà, in particolare nei confronti del signore o dello shogun. Questo è stato particolarmente evidente durante il periodo Edo, quando il Confucianesimo è diventato la filosofia ufficiale dello shogunato Tokugawa.

    Il Bushidō, o la Via del guerriero, il modo di concepire il cittadino nato durante il periodo Edo dopo un riesame dell’esperienza dei tre secoli di guerra civili (occorse fra la caduta del primo shogunato a Kamakura nel 1333 e la morte in battaglia di Toyotomi Hideyori nel 1615), ha guidato la classe dei samurai in Giappone ed era fortemente influenzato dai principi confuciani di onore, lealtà, virtù e dovere, ma interpretati attraverso un contesto giapponese specifico. tali principi erano infatti molto più rigidi e profondi, con più gravi punizioni per la disobbedienza.

    Il Confucianesimo giapponese ha posto grande enfasi sull’educazione e sull’apprendimento come mezzi per realizzare il miglioramento morale e sociale. La mentalità giapponese tuttavia, pragmatica come è, ha sempre visto l’educazione principalmente come un coadiuvante della produzione, con una forte enfasi sull’apprendimento pratico. Il confucianesimo giapponese fu poi la base delle zaibatsu, le grandi aziende tipiche dei primi decenni dopo l’introduzione della tecnologia occidentali

    Pur se anche il Confucianesimo in entrambi i paesi enfatizzava il rispetto per gli anziani e l’armonia familiare, la variante giapponese, più punitiva e drastica, ha portato allo sviluppo di un sistema familiare unico, con un forte accento sul patriarcato e la continuità della famiglia per via maschile.

    Sto parlando dello ie seido, una forma di matrimonio imposta dai Tokugawa le cui caratteristiche principali erano:

    Concentrazione del potere amministrativo e economico nel primogenito della famiglia. È l’unico infatti ad avere i pieni diritti civili, mentre i suoi fratelli non hanno cognome e hanno un numerativo al posto del nome. Tali numerati sono ancora in uso. Jirō (secondo), Saburō (terzo) e così via.

    le donne non hanno esistenza legale e sono in pratica proprietà del capo famiglia.

    Sono anche previsti diritti di proprietà per gli antenati e esistono leggi specifiche per proteggerli.

    il nucleo familiare consiste di tre generazioni e non due perché il capo di famiglia ha il dovere di mantenere i suoi genitori.

    Questa nuova concezione della famiglia serve per stabilizzare il governo. Era stato proprio il diritto di famiglia a causare le guerre civili del passato con legislazioni di trasmissione dell’eredità troppo permissive.

    Questa famiglia imposta dai Tokugawa sulla base del confucianesimo giapponese viene poi trasformata con facilità nella moderna azienda giapponese di inizio del secolo scorso (zaibatsu). Al capo famiglia viene sostituito il capo ufficio, il capo reparto o chi altro, e il gioco è fatto.

    Il confucianesimo del periodo Edo è anche la base del comportamento in pubblico tipico dei giapponesi e per cui essi sono famosi.

    la disciplina è il valore principale dell’intero sistema sociale, la morale si basa soprattutto sul rifiuto ad essere il centro dell’attenzione, ad esprimere opinioni, a prendere iniziative. L’obbedienza e la collaborazione, necessarie per l’armonia di gruppo, sono considerate più importante del destino individuale.


    Credo quindi sia necessario tenere il confucianesimo giapponese, in particolare quello dell’epoca Edo, ben separato dal suo lontano parente cinese, che ha caratteristiche molto diverse.

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  • O-toso – お屠蘇

    O-toso – お屠蘇

    Scopriamo assieme le origine di questa tradizione giapponese di inizio anno.

    di Christian Savini

    Durante le celebrazioni di inizio anno non poteva mancare il sake, collante per ogni tipo di rito purificatore e celebrazione. Lo o-toso (お屠蘇) è una bevanda alcolica a base di erbe medicinali ed é considerato puro al pari dell’ o-miki (お神酒), il sake utilizzato nei rituali shintoisti. Diversamente da quest’ ultimo però l‘o-toso è considerato una bevanda medicamentosa (yakuyō-shu, 薬用酒) ed è il simbolo di augurio di buona salute della famiglia. Preso in prestito dalla tradizione cinese, si crede curi dolori del corpo e della mente allontanando i peccati e gli spiriti maligni. Quando ci si reca in casa di amici o parenti per fare gli auguri per il nuovo anno, o quando si ricevono ospiti durante questo periodo, è usanza bere o office questa bevanda.

    È parte integrante della storia e della cultura che circonda le celebrazioni tradizionali del nuovo anno in Giappone. Anche se alcune tradizioni si sono affievolite negli anni, il significato spirituale della condivisione del sake, medicinale o meno, continua nella maggior parte delle famiglie nipponiche.

    L‘O-toso non è, come si potrebbe pensare, solo una bevanda distillata dal riso, speziata e medicinale. Porta con sé un significato più profondo che si lega ai kanji usati nel suo nome. I caratteri usati per scrivere toso, 屠蘇, significano rispettivamente massacrare e rinvigorire. Si crede che bevendolo, si possa sia respingere la malattia e la cattiva sorte, sia rivitalizzare lo spirito. C’è anche un antico adagio popolare riferito all’ o-tosu che recita:

    一人これ飲めば一家苦しみなく、一家これ飲めば一里病なし。

    “Se una persona lo beve, la sua famiglia non si ammalerà; se tutta la famiglia lo beve, nessuno nel villaggio si ammalerà”.

    Questo per rafforzare la visione collettivista della società giapponese. Gi effetti duraturi dell’o-toso non giovano solo all’individuo, ma all’intera comunità.

    Le prime tracce dell’esistenza di questa bevanda risalgono a migliaia di anni fa, durante la dinastia Han. Questa miscela di erbe immerse nel liquore distillato dal riso arrivò in Giappone, come tante altre usanze continentali durante il periodo Heian, sotto il governo dell’imperatore Saga ed era un rituale diffuso solo all’interno della corte imperiale. Tuttavia, con il passare del tempo, la pratica si è lentamente diffusa anche tra le persone e la tradizione dell’o-toso ha iniziato a prendere forma. Il suo consumo si diffuse tra la popolazione anche attraverso la medicina. Veniva infatti spesso consumato per combattere l’insorgere di un raffreddore o di un mal di stomaco.

    Come si prepara e come si beve lo o-toso?

    Ancora oggi, gli elementi per preparare l’o-toso detti tososan (屠蘇散) o toso enmeisan (屠蘇延命散) sono venduti nelle farmacie. Fino agli anni duemila venivano dati anche in dono ai clienti con l’avvicinarsi delle festività. Di solito sono venduti in bustine da tè, quindi si possono preparare la sera di Capodanno, immergendo le bustine nel sakè se lo si preferisce liscio, o nel mirin se lo si preferisce più dolce. Il primo giorno dell’anno vanno tolte le bustine e l’ o-toso è pronto.

    Il primo giorno dell’anno si preparano, i recipienti per bere, detti tosoki (屠蘇器), che vengono disposti su una piattaforma in ordine di grandezza: piccolo, medio e grande. Al posto del classico tokkuri (徳利), usato normalmente per versare il sake, l’ usanza dell’o-toso prevede l’uso di un piccolo recipiente simile a una teiera per servirlo. I membri della famiglia bevono l’o-toso in ordine, dalla tazza più piccola a quella più grande. Ogni tazza verrà riempita tre volte e sarà bevuta in tre sorsi separati.

    Anche l’ordine di chi beve è diverso dalla convenzione standard. Invece di procedere dal più vecchio al più giovane, il membro più giovane della famiglia beve per primo. In questo modo, la gioia e la vitalità della gioventù passano agli anziani della famiglia. La persona più anziana versa prima l’ o-toso alla persona più giovane, che lo beve, e poi la persona più giovane lo versa alla seconda persona più giovane, e così via, finché la persona che ha finito di bere lo versa alla persona successiva. Anche se si tratta di un evento celebrativo, essendo l’alcol coinvolto, i bambini e coloro che guidano possono solo imitare i sorsi bagnandosi solamente le labbra.

    Sebbene questa usanza possa non essere più comune nell’era moderna continua a rappresentare un tassello fondamentale della storia e delle tradizioni del paese. Si crede che bere l’ o-toso il primo giorno dell’anno non porti solo fortuna e prosperità alla propria famiglia ma a tutta la popolazione e alla cultura giapponese. Gli sforzi per mantenere viva questa tradizione vanno a vantaggio delle famiglie, della comunità e della ricchezza della cultura giapponese legata al mondo del sake da sempre considerato ponte di contatto con le tradizioni di questo fantastico paese.

  • O-sechi ryōri – お節料理

    O-sechi ryōri – お節料理

    Continua il nostro viaggio nelle usanze culinarie giapponesi che si possono gustare nei primi giorni dell’anno parlando dell’ osechi ryōri (お節料理).

    di Christian Savini

    Sono molte le tradizioni e i detti associati all’osechi ryōri e tutti auspicano la felicità della famiglia. Mettere in questi piatti tutto l’amore e gustarli insieme a tutta la famiglia riunita é uno dei momenti più importanti dei festeggiamenti per il nuovo anno.

    L’ osechi ryōri è un’usanza profondamente radicata nella cultura giapponese. Si dice che le sue origini risalgono al periodo Yayoi (300 a.C. – 300 d.C.), quando le persone erano solite offrire cibo alle divinità durante la festa del raccolto per ringraziarli delle loro benedizioni. Si trattava di un’usanza conosciuta come sekku (節句), da cui si ritiene provenga direttamente la parola osechi (お節). La lettera “o” che precede il tendine sechi è un onorifico.

    Durante il periodo Nara (710-794), il sekku (節句) era diventato, sotto l’influenza della tradizione cinese, un evento che celebrava il cambio di stagione. Le offerte di cibo alle divinità erano chiamate osechiku (御節供) e venivano preparate in speciali banchetti cerimoniali che si svolgevano nei giorni che segnavano il cambio di stagione, chiamati sechinichi (節日), e uno di questi giorni era proprio il 1° Gennaio, giorno di Capodanno.

    Con il passaggio al periodo Heian, questi banchetti erano perlopiù prerogativa della nobiltà del tempo. Tuttavia, nel periodo Edo, anche la gente comune iniziò a praticare questa tradizione e, cercando un modo per rendere la preparazione molto più semplice ed economica, diede vita all’ osechi ryori che tutti conosciamo oggi, servito in scatole impilate chiamate jūbako (重箱), poste al centro della tavola il primo giorno dell’anno e dove vi rimarranno per i tre giorni successivi. I cibi contenuti al suo interno vengono condivisi con tutta la famiglia e gli amici, ed ognuno rappresenta un particolare desiderio per l’anno successivo. Siccome i primi tre giorni del nuovo anno erano i più importanti del periodo dei festeggiamenti. Per evitare di cucinare in quel periodo, le persone preparavano gli osechi ryori in anticipo e li conservavano in queste scatole speciali impilate una sull’altra e li mettevano al centro della tavola la sera di Capodanno. Il primo gennaio, tutti si riunivano e condividevano i pasti nel corso dei tre giorni successivi.

    Nel corso dei secoli, questa tradizione si è diffusa nel resto della società e dal periodo Edo (1603-1868) viene servita comunemente in tutto il Giappone. Essa si combinava con altre credenze, in particolare con il fatto che nei primi giorni del nuovo anno si deve evitare qualsiasi tipo di lavoro, compreso quello di cucinare. Ci sono due teorie contrastanti sul perché di questa scelta. Una era legata alla credenza secondo la quale il kami del nuovo anno non dovesse essere disturbato dal rumore della cucina e delle faccende domestiche. Si cercava anche di usare meno possibile il kamado per permettere alla divinità di riposare.

    La seconda teoria è semplicemente che l’inizio dell’anno doveva essere un momento di riposo, in cui tutti, e in particolare le donne di casa, che all’epoca svolgevano la maggior parte dei lavori domestici, potevano godersi una meritata pausa.

    Le jūbako sono simili alle scatole per il bentō e hanno da tre a nove livelli (la dimensione media è di 2-5 livelli, la dimensione più diffusa in commercio è quella a tre livelli). A differenza delle normali scatole bentō, le jūbako sono laccate e sono molto appariscenti. Queste scatole hanno inoltre un significato simbolico e, secondo la tradizione si dovrebbe mangiare il cibo al loro interno con un paio di bacchette speciali. Il termine jūbako potremmo tradurlo in italiano come “scatole impilate “. Impilare le scatole una sull’altra rappresenta il desiderio della famiglia di “accumulare le proprie benedizioni”. Anche l’ordine in cui si impilano le scatole e  si mangia il cibo contenuto al loro interno è molto importante. Si dovrebbero mangiare per primi i piatti della fila superiore, che contiene piatti leggeri come antipasti e spuntini. Man mano che si scende, si trovano i piatti principali negli. Tradizionalmente, si dovrebbe lasciare vuoto lo strato inferiore, dove si riceverebbe simbolicamente la benedizione del cibo.

    Poiché la nascita di questa tradizione è precedente alla nascita della refrigerazione moderna, i cibi contenuti all’interno delle jūbako dovevano essere alimenti che si potevano conservare o lasciare a temperatura ambiente per diversi giorni. Tra i piatti base, presenti ancora oggi, ci sono i nimono (煮物, verdure cotte a fuoco lento) e gli tsukemono (漬け物,cibi in salamoia). Ogni piatto rappresenta anche una benedizione specifica o un desiderio per l’anno successivo. Sono considerati di buon auspicio in base ad aspetti come il colore, il nome o persino la forma.

    In vari cibi vengono disposti all’interno dei ripiani delle jūbako secondo un ordine ben preciso. La descrizione che segue dei cibi non é divisa per ripiano, vi basti sapere che i cibi nei cinque ripiani sono divisi per categorie come segue.

    Ichi no jū – 一の重

    Il primo ripiano contiene gli antipasti

    Ni no jū – 二の重

    Il secondo ripiano contiene gli yakimono (焼き物,cibi cotti/grigliati). Specialmente pesce che è di buon auspicio.

    San no jū – 三の重

    Contiene i nimono (煮物, cibi stufati). Il cibo proviene principalmente dalle montagne e viene bollito in modo che la famiglia possa essere vicina e unita.

    Yo no jū – 与の重

    Il quarto ripiano contiene i sunomono (酢の物, cibi conditi con l’aceto). Perlopiù verdure condite con l’aceto.

    Go no jū – 五の重

    Il quinto ripiano detto anche hikae no jū (控えの重) va lasciato vuoto perché va riempito con la buona sorte elargita dalle divinità del nuovo anno, oppure si può riempire  con i piatti preferiti della famiglia.

    Come scritto in precedenza l’osechi ryōri è nata semplice, composta solo da verdure bollite e riso (si usavano perlopiù solo riso e verdure per chiedere la protezione dei kami per l’anno e i raccolti futuri). Oggi questa tradizione è composta da vari piatti che hanno diversi significati simbolici.

    Ogni famiglia prepara, o ordina a negozi specializzati, l’osechi ryōri in modo diverso. Le preferenze personali, il budget e il tempo necessario per preparare i piatti sono presi in considerazione per decidere cosa mettere nelle jūbako. Tuttavia, ci sono piatti comuni che non mancano mai.

    Kuromame –  黒豆

    I kuromame sono fagioli neri bolliti, caratterizzati da una consistenza morbida e dolce. Il colore nero è associato alla protezione dagli spiriti maligni, mentre la parola che indica il fagiolo, “mame”, viene usata per descrivere una persona diligente e gran lavoratore. Per questo motivo i kuromame sono considerati simbolo di buona salute e duro lavoro per il resto dell’anno.

    Kazunoko – 数の子

    Kazunoko, significa letteralmente “molti figli”. Questo piatto simboleggia la fertilità e una famiglia numerosa e prospera. Sono uova di aringa salate e marinate in dashi stagionato.

    Tazukuri – 田作り

    Chiamati anche gomame (五万米) sono piccole sardine essiccate. La traduzione letterale del loro nome è “creatore di risaie”. Questo perché in passato venivano utilizzate come fertilizzanti per le risaie. Simboleggiano così la speranza di abbondanza per l’anno successivo.

    Kurikinton – 栗きんとん

    Molto amato dai bambini, il kurikinton è un tipo di dolce giapponese a base di castagne e purè di patate. Kuri, ê il termine giapponese utilizzato per indicare la castagna, mentre kinton, significa gnocco dorato o futon dorato. Questo piatto è associato alla ricchezza e al successo. Inoltre, il suo colore dorato e la sua forma rotonda ricordano le monete dorate di forma ovale detta koban (小判) utilizzate durante il periodo Edo.

    Datemaki – 伊達巻

    Simili ai tamagoyaki, sono omelette dolci arrotolate. L’unica differenza è che i datemaki sono mescolati con pasta di pesce o di gamberi. Sono inoltre conditi con lo stesso aceto utilizzato per il riso utilizzato nella preparazione del sushi. La sua forma arrotolata ricorda la pergamena di uno studioso, motivo per cui è associata alla conoscenza e alla saggezza. Simboleggia anche il successo accademico e il progresso culturale.

    Kobumaki – 昆布巻き

    Il kobumaki, o alga arrotolata giapponese, è uno dei piatti dell’ osechi ryōri più tradizionali. È associato alla felicità perché kobu (alga) fa parte della parola giapponese che significa felicità, yorokobu (養老昆布). Questo piatto simboleggia l’augurio di un felice anno nuovo. Il ripieno classico di questi maki e il salmone e vengono poi chiusi con una obi di zucca secca detta kanpyō. Questi fagottini vengono poi cotti con salsa di soia, zucchero e mirin.

    Kōhaku Namasu – 紅白なます

    È un piatto a base di carote e ravanelli sottaceto tagliati a strisce. I colori rosso e bianco sono tradizionali per le celebrazioni Shintō: il rosso è associato alle benedizioni e il bianco ai nuovi inizi. Le verdure utilizzate, carote e ravanelli, simboleggiano i forti legami familiari.

    Ebi – 海老

    Gamberi bolliti che per la loro forma ricurva e le lunghe antenne, i gamberi sono associati alle persone anziane e simboleggiano quindi l’augurio di una lunga vita. Il riferimento alle persone anziane è anche veicolato da uno dei due kanji che compongono la parola. I kanji usati sono quello di mare e quello di anziano che potremmo rendere come “vecchio uomo di mare”.

    Renkon – れんこん

    Le radici di loto, conosciuta anche con il nome di hasu, è la parte sotterranea della pianta che conserva tutti gli alimenti nutritivi necessari a quest’ ultima per rigenerarsi. Se avete mai visto o mangiato questa radice molto croccante, avrete notato che sono  piene di piccoli fori. Questi simboleggiano la speranza di poter vedere il futuro ed evitare le disgrazie.

    Kohaku kamaboko – 紅白かまぼこ

    Il kamaboko è un noto alimento giapponese ottenuto tramite una particolare lavorazione del pesce. Composto principalmente da pesce azzurro e surimi frullati e spesso colorati sino ad ottenere una purea che poi viene compattata formando dei lunghi panetti che vengono cotti fino a quando raggiungono una data solidità che ne permette il taglio. Kohaku, in giapponese, significa rosso e bianco. I colori rappresentano il Giappone e sono generalmente considerati di buon auspicio. Il colore rosso, caratteristico dello shintoismo serve a prevenire gli spiriti maligni, mentre il bianco rappresenta la purezza.

    Kōhaku Uta Gassen è anche uno speciale televisivo annuale prodotto dalla NHK più seguito a Capodanno: si tratta di una gara di canto tra due squadre, quella bianca e quella rossa.

    Tai – 鯛

    L’orata. Il nome di questo pesce ha un significato simbolico che si basa su un gioco di parole. La parola tai è contenuta in un altra parola giapponese medatai (目出度い) che significa felice, gioioso. In Giappone l’orata viene spesso seguita in occasioni speciali ed è anche uno dei piatti che viene servito durante l’ okuizome (お食い初め), la cerimonia del primo pasto che viene dato ai bambini passati i 100 giorni dalla sua nascita. Nella cucina o-sechi, ha lo scopo di portare gioia e felicità nel nuovo anno.

    Satoimo – 里芋

    Conosciuto anche come radice di taro, questo piatto viene consumato nella speranza che la famiglia sia benedetta da molti figli, proprio come molti piccoli tuberi che crescono dal tubero principale.

    Kuwai – くわい

    Il kuwai, conosciuto anche come Fukuyama no kuwai,dal nome della zona del Giappone dove viene coltivato, è un tubero acquatico di colore azzurro e con una consistenza molto tenera. La sua forma allungata ha fatto sì che venisse associata a una carriera lunga e stabile.

    Gobō – ごぼう

    La radice di bardana è un ortaggio comunemente consumato in Giappone. Viene usato per creare diversi piatti come il kimpira, i nimono, insalate ed è usato anche nelle fritture. E una pianta difficile da tagliare e che rimane saldamente ancorata al terreno. Vista questa sua caratteristica si crede che conferisca forza e stabilità.

    Zōni – 雑煮

    Non poteva mancare una zuppa. Lo zōni è una zuppa molto semplice aromatizzata con dashi nel Giappone orientale e con miso nella zona del Kansai, servita con dei mochi al suo interno. Pubblicherò nei prossimi giorni un articolo dedicato a questo piatto in particolare.

    Iwai-bashi – 祝い箸

    Le iwai-bashi” bacchette speciali per le feste) sono prodotto con legno di salice o di altro legno bianco, sottili su entrambe le estremità, e utilizzate per i pasti celebrativi come il Capodanno e le cerimonie nuziali. Di solito sono confezionate in un sacchetto di carta ornamentale. Sono realizzate in legno di salice, difficile da rompere, e sono più spesse al centro e più sottili alle due estremità. Si dice che il motivo per cui entrambe le estremità sono sottili è che un’estremità è utilizzata dai kami e si pensava che ricevere le stesse bacchette delle divinità portasse la loro benedizione. La lunghezza è di circa 24 cm e vengono presentati all’interno di un sacchetto che spesso riporta la scritta kotobuki (壽, longevità”) e colori festivi come il vermiglio o l’oro. I sacchetti di bacchette sono disponibili in una varietà di design, per cui è possibile scegliere quello più adatto ai propri gusti.

    Nella famiglia di mia moglie, mio suocero scrive i nomi dei membri della famiglia su ogni sacchetto di bacchette la sera di Capodanno, inserisce le bacchette e poi li appoggia tutti sull’altare per pregare per la felicità di ogni membro della famiglia. La tradizione vorrebbe che si continui ad usare le iwai-bashi fino al sette Gennaio in quando non sono usa e getta e possono essere tranquillamente lavate e riutilizzate. Questo dipende sempre da famiglia a famiglia.

    Poiché queste bacchette sono considerate come un oggetto portafortuna, è usanza tradizionale portarle in un santuario e bruciarle insieme alle decorazioni di Capodanno durante il dondon-yaki, un rituale per raccogliere e bruciare le decorazioni di Capodanno in un santuario il 15 Gennaio.

    Le iwai-bashi vengono sono conosciute anche con altri come come ad esempio:

    Ryōkuchi-bashi – 両口箸

    Come scritto in precedenza entrambe le bacchette hanno le estremità affusolate, una per le divinità e l’altra per le persone, a significare il shinjin-kyōshoku (神人共食, la condivisione del cibo con le divinità). L’ osechi ha lo scopo di celebrare il nuovo anno e portare felicità condividendo le offerte con le divinità del nuovo anno, quindi le persone condividono il pasto con le divinità utilizzando queste bacchette che possono essere utilizzate su entrambi lati.

    Yanagi-bashi – 柳箸

    Il salice (yanagi, significa salice bella lingua giapponese) viene utilizzato per la sua robustezza e resistenza alla rottura, in quanto secondo la tradizione porterebbe sfortuna la rottura di una bacchetta durante le celebrazioni.

    Tawara-bashi – 俵箸

    La parte centrale più spessa è fatta in modo da assomigliare ad un mochi nella speranza di un buon raccolto.

    Spero che questo articolo ti sia piaciuto e ti abbia aiutato a comprendere un po’ di più questa tradizione giapponese. Se ti trovi in vacanza in Giappone in questo periodo non perdere l’occasione di provare questa squisita cucina

  • Toshi Koshi Soba – 年越しそば

    Toshi Koshi Soba – 年越しそば

    La celebrazione del nuovo anno porta con sé un momento di festa. Molti Paesi e culture hanno le loro tradizioni per festeggiare, e il Giappone non fa eccezione. Uno dei modi in cui si festeggia il Capodanno è attraverso il cibo. Tradizionalmente ci sono alcuni cibi che vengono consumati durante i festeggiamenti e molti dei piatti o degli ingredienti utilizzati sono in realtà simbolici di qualcosa. Anche se, a seconda della zona del Giappone, esistono delle varianti, in generale ci sono dei piatti principali che vengono sempre preparati in questo periodo dell’anno.

    Durante questo periodo i giapponesi sono soliti riunirsi in famiglia e consumare dell’ottimo cibo. Per mia esperienza si tratta di un escalation di abbuffate incredibile

    Toshi koshi soba – 年越しそば

    I toshi koshi soba sono un piatto che si usa tipicamente mangiare la notte di Capodanno per salutare e lasciarsi alle spalle l’anno passato. Questo giorno in giapponese è conosciuto con il nome di ōmisoka (大晦日). Nella lingua giapponese con il termine misoka (晦日) ci si riferisce normalmente all’ultimo giorno del mese.

    I soba sono una pasta di grano saraceno dalla forma simile agli spaghetti che possono essere consumati sia caldi che freddi. Assieme ad udon (fatti con il grano) e al ramen sono tra i cibi più amati e consumati dai giapponesi.

    Scopriamo assieme le origini di questa tradizione.

    Si dice che i soba siano stati riconosciuti come “cibo” prima del periodo Nara (710-794). Per molto tempo, la soba è stata consumata sotto forma di porridge ottenuto dalla bollitura dei chicchi di grano saraceno o come torte, preparate cuocendo il grano saraceno e impastandolo con acqua o altri ingredienti. Solo durante il periodo Edo (1603-1867) la soba fu tagliata in lunghi “spaghetti” come la conosciamo oggi. Durante questo periodo le famiglie di commercianti avevano l’abitudine di mangiare i soba alla fine di ogni mese. Questi pietanza era chiamata misoka soba (晦日そば) e la lunghezza e sottigliezza di questi lunghi “spaghetti” era considerata di buon auspicio per la longevità della famiglia e dei propri affari. A quei tempi, i soba erano anche un cibo veloce, una sorta di street food di periodo Edo, che poteva essere consumato rapidamente nei negozi o nelle bancarelle che si trovavano lungo le strade, perfetto per gli impegnativi giorni di fine mese. Con il passare del tempo, l’usanza di mangiare i soba alla fine di ogni mese cadde in disuso, ma rimase la tradizione di mangiarli a Capodanno, quando divenne nota come toshi koshi soba o “Soba di Capodanno”.

    Perché si mangiano i soba a Capodanno.

    L’usanza di mangiare i soba a Capodanno è conosciuta con diversi nomi: il già citato e più usato toshi koshi soba (年越しそば), ootsugomori / oomisoka soba (大晦日そば, il kanji 大晦日 si può leggere sia oomisoka che ootsugomori) e infine toshi tori Soba (年取そば). In Giappone, il benvenuto al nuovo anno è chiamato anche toshitori.

    Poiché i soba sono lunghi e sottili, le persone li mangiavano e pregavano di vivere a lungo. Erano anche considerati un alimento salutare durante il periodo Edo (1603-1868), quando il beriberi era molto diffuso tra la popolazione e si credeva che mangiare soba avrebbe prevenuto l’insorgere di questa patologia. Durante il periodo Edo, il beriberi era diffuso a causa di carenze nutrizionali. Era accompagnata da stanchezza e intorpidimento e, se grave, era fatale. Le persone più soggette alla malattia erano quelle di alto rango, come gli shōgun, i guerrieri e gli aristocratici. Si diceva che il consumo di soba prevenisse l’insorgere del beriberi e si mangiava soba per iniziare il nuovo anno in buona salute. Il beriberi è una malnutrizione causata dalla mancanza di vitamina B1. Oggi si crede che durante il periodo Edo le persone appartenenti all’aristocrazia di quel periodo abbiano smesso di mangiare il riso integrale e abbiano iniziato  a mangiare principalmente riso bianco con pochi contorni, il che ha creato un forte squilibrio nella loro alimentazione. Il grano saraceno è ricco di vitamina B1 e anche se all’epoca si trattava solo di dicerie, in realtà, con le informazioni di cui siamo in possesso oggi, si trattava di un alimento che poteva essere veramente efficace nella prevenzione del beriberi.

    In quel periodo si usava il termine chōju kigan (長寿祈願), preghiera per la longevità e ci si riferiva spesso ai soba usando nomi come chōju soba (長寿そば) o jumyō soba (寿命そば). Entrambi i termini chōju e jumyō sono sinonimi di longevità, di lunga vita che veniva associata con la lunghezza caratteristica dei soba. Sono chiamati anche in altri modi come ad esempio:

    Enkiri soba – 縁切りそば

    L’usanza di mangiare i soba a Capodanno era vista come un modo per tagliare i legami con i problemi o disastri accaduti durante l’anno che stava per concludersi. I soba, molto più sottili degli udon o di altri alimenti giapponesi, sono molto più facili da tagliare e quindi ben si adattavano al desiderio delle persone di lasciarsi alle spalle le fatiche dell’anno.

    Fuku soba – 福そば

    Si racconta che gli orafi usavano gnocchi di farina di grano saraceno per raccogliere l’oro sparso durante il loro lavoro, quindi il grano saraceno era considerato un portafortuna per la raccolta dell’oro, quindi mangiare soba era un modo per augurare prosperità economica.

    Infine anche la pianta stessa del grano saraceno è molto resistente alla pioggia e al vento e ricresce bene quando viene esposta al sole. Per questo motivo, di è sempre creduto che le persone mangiavano i soba per pregare di avere buona salute nell’anno successivo.

    Non esistono regole precise sugli ingredienti o su come mangiare i soba a Capodanno. Possono essere serviti freddi o caldi, accompagnati da tempura o altri ingredienti. Un ingrediente non manca mai ad accompagnare questa pietanza, il cipollotto, negi (ねぎ) in giapponese. Esiste un detto, forse caduto in disuso, che mi spiegò mio suocero durante il mio primo Capodanno in Giappone e che recita:

    一年間の頑張りをねぎらい新年の幸せを祈るネギ。

    Ichinen no ganbari wo negirai shinnen no shiawase wo inoru negi.

    Negi per apprezzare un anno di duro lavoro e per un felice anno nuovo

    La parola “negi” è usata più volte all’interno di questa frase. Una volta all’interno della parola “negirai” che ho tradotto come “apprezzare” l’anno passato di duro lavoro. Alla fine della frase si nasconde sia all’interno del termine “inoru“, che vuol dire pregare. I sacerdoti shintoisti anziani sono chiamati negi (禰宜) da qui l’omofonia con il termine negi che indica il cipollotto.

    Data la loro nauta di cibo portafortuna c’è l’usanza di accompagnarli anche con altri ingredienti considerati porta fortuna oltre alla negi.

    Ebi – 海老

    Gamberi: come spiegato in un altro mio post la forma del corpo del gambero ricorda le persone anziane quindi questo alimento viene mangiato come augurio di longevità.

    Shungi – 春菊

    Le foglie di crisantemo, simbolo delle famiglia imperiale e del Giappone stesso. È una pianta invernale ed essendo considerato un alimento stagionale da aggiungere specialmente nelle zuppe. È considerato un augurio di prosperità.

    Kamboko – かまぼこ

    Un pasta di pesce dal colore bianco e rosso simboleggiante la felicità.

    Omelette di uova – 卵焼き

    Per il loro colore dorato come augurio di fortuna e la prosperità.

    Abura-age – 油揚げ

    Tōfu fritto per pregare per un buon raccolto, per un’attività commerciale prospera e per la sicurezza della famiglia.

    I soba di Capodanno possono essere mangiata in qualsiasi momento durante il 31 Dicembre. Non è obbligatorio mangiarli al mattino o alla sera in quanto non c’è fortuna o sfortuna legata al momento della consumazione.

    In genere, in molte famiglie si mangiano durante la cena quando si è tutti riuniti insieme e si aspetta l’anno nuovo. Per esempio nella famiglia di mia moglie si mangiano sempre prima della fine dell’anno perché si vuole mantenere il significato originale di questa usanza che come ho spiegato in precedenza serve a tagliare i legami con l’anno vecchio lasciandosi alle spalle stanchezza e negatività guardano ad un anno nuovo ricco di fortuna e felicità. La sera dell’ultimo dell’anno ci si ritrova tutti assieme a casa dei genitori di mia moglie (di solito si usa andare nella casa dei genitori del marito o spesso si usa fare ad anni alterni) e mangiando e bevendo ai attende il nuovo anno guardando la televisione.

    I toshi koshi soba sono una tradizione molto importante in Giappone. Anche se siete turisti e vi trovate in Giappone a Capodanno non dimenticate di mangiare un buon piatto di soba salutando l’anno passato e guardando con speranza ad un felice e prospero anno nuovo.

    N.B: ai bambini piccoli fino ai due o tre anni non vengono fatti mangiare perché si teme che possano insorgere reazioni allergiche. Una reazione allergica causata dai soba è molto fastidiosa anche per gli adulti quindi si consiglia di non darli ai bambini perché non ci potrebbe accorgere dei sintomi.

  • Kagami mochi – 鏡餅

    Kagami mochi – 鏡餅

    Oggi parliamo del kagamimochi

    I kagamimochi, nome composto dalla parola kagami “specchio” e mochi, le i famosi dolci fatti con il riso, rappresentano un’offerta al kami del nuovo anno e sono considerati uno yorishiro (依り代), termine di derivazione shintoista che viene usato per indicare un oggetto capace di attirare lo spirito dei kami, dando così loro uno spazio fisico da occupare durante le cerimonie religiose. Una volta che uno yorishiro ospita effettivamente un kami, diventa uno shintai (神体).

    Il termine kagamimochi trova le sue origini in un’antica tradizione di corte conosciuta come hagatame (歯固め, lett. rinforzare i denti) che consisteva nel mangiare dei dolci di riso duri durante le festività di Capodanno. Secondo la tradizione, le persone con denti forti possono mangiare di tutto e vivere a lungo, per cui la gente mangiava i kagamimochi nella speranza di vivere a lungo e godere di buona salute. Il nome kagamimochi deriva dallo specchio circolare utilizzato nei rituali come luogo di dimora delle divinità, mentre i due mochi rappresentano l’anima. Hanno due dimensioni diverse perché si dice che siano la rappresentazione del sole e della luna, dello yang e dello yin, e vogliono anche simboleggiare il perfetto invecchiamento dell’anno. Sin dall’antichità si crede che il kami del nuovo anno divida la sua anima tra noi, insieme alla felicità e alle benedizioni del nuovo anno. Il simbolo di questo spirito è proprio il kagami-mochi.

    La parola tamashii (魂, anima) é molto importante perché in Giappone é sempre stata considerata come l’energia, il potere che permette la vita. Anticamente si pensava che all’inizio dell’anno la tamashi del kami venisse condivisa con tutti gli esseri viventi. In altre parole, la divinità donava una parte della propria anima per conferire a tutte le creature il potere necessario per vivere un anno interno. Da qui deriva anche il kazoedoshi (数え年) ovvero il sistema di calcolare l’età di una persona. Secondo questo sistema ogni bambino compie il primo anno di vita al momento della nascita. I neonati giapponesi partono quindi da un anno di età e ne acquistano uno in più al trascorrere di ogni nuovo anno lunare, piuttosto che al momento del loro compleanno. Questo sistema è stato abolito per legge ma viene ancora ampiamente usato.

    Il kagamimochi ospita quindi il mitama (御魂), l’anima della divinità. I dolci di riso rappresentano l’anima del kami del nuovo anno, che è l’anima dell’anno a venire. I capofamiglia condividevano le torte di riso, che rappresentavano lo spirito dell’anno, con le loro famiglie come “spirito del nuovo anno” o “palline di riso del nuovo anno”.

    Il significato di kagamimochi é legato al significato della parola kagami, specchio in giapponese. Gli specchi antichi, di bronzo e di forma rotonda, sono stati utilizzati fin dal periodo Yayoi. Data la loro proprietà di riflettere la luce del sole e il loro potere di brillare come esso, furono paragonati ad Amaterasu, la divinità del sole nella mitologia giapponese, e vennero considerati come oggetti in cui dimoravano i kami.

    Questi dolci vengono normalmente esposti sopra un supporto di legno detto sanpō (三宝). Il dolce viene appoggiato sopra ad un foglio di carta detto shihōbeni (四方紅). La funzione di questo foglio di carta non è puramente ornamentale ma serve come augurio e protezione verso l’abitazione contro eventuali incendi. Sono spesso ornati con una striscia di alga kobu e con una piccola striscia di cachi essiccati.

    Questi dolci vengono spesso decorati con la daidai (橙), una varietà di arancia giapponese. Il nome viene anche scritto nel seguente modo 代々, dove il kanji 代 ha il significato di “generazione” (il seguente simbolo 々, detto noma, viene utilizzato in giapponese per ripetere il kanji). Quindi così come i frutti della pianta di daidai non cadono facilmente dopo la maturazione invernali e quindi superano l’anno così si crede che anche la famiglia continuerà a prosperare per le generazioni a venire.

    Un’altra decorazione tipica è il kushigaki (串柿) ovvero dei cachi essiccati infilati con uno spiedino. Il caco è un frutto legato alla buona sorte. Mentre il caco essiccato rappresenta un’alta spiritualità.

    Perché il caco è un frutto legato alla buona sorte?

    La lingua giapponese arriva in nostro soccorso. La parola kaki (Lett. caco in italiano) normalmente è scritta con il seguente kanji 柿. In giapponese esistono gli ateji (当て字) che sono dei kanji che vengono usati per scrivere le parole solamente per il loro valore fonetico e a volte anche per il loro significato. (Il kanji utilizzato per la parola sushi per esempio è un ateji. I due kanji che compongono la parola sushi sono stati scelti per la loro pronuncia e non per il loro significato. Il significato della parola sushi non ha niente a che vedere con il pesce crudo o il riso ma deriva dall’aggettivo sushi (酸し) che in giapponese significa acido, aspro e riflette la natura di tutti i piatti della cucina giapponese a base di riso e di aceto di riso).

    Kaki può essere scritto anche nel seguente modo 嘉来 che può essere tradotto come “felicità in arrivo” e in giapponese si usa l’espressione:

    幸せを“かき”集める。

    Shiawase wo kaki atsumeru.

    Raccogliere la felicità.

    Il caco infilzato rappresenta la spada facente parte dei sanshu no jingi (三種の神器), le tre insegne Imperiali giapponesi. Mentre il kagamimochi rappresenta lo specchio e l’arancio la gemma.

    Yuzuriha – ゆずり葉

    Foglie di yuzuri

    Le foglie vecchie di questa pianta cadono dopo la comparsa di quelle nuove, indicando il passaggio della famiglia ai discendenti e la continuazione della linea familiare.

    Kobu – 昆布

    Si usa decorare i kagami-mochi anche con l’alga kobu per attirare la felicità.

    Shide – 紙垂

    Spesso vengono decorati anche con delle strisce di carta dette shide provenienti dalla tradizione shintoista con la loro caratteristica forma a zig-zag.

    Urajiro – 裏白

    Tre le decorazioni si possono trovare delle foglie di felce, conosciute come urajiro, che presentano una superficie verde, ma con la parte inferiore bianca, a significare un cuore puro e innocente, senza macchie. Le foglie crescono in coppia, quindi si usano anche per augurare un felice e longevo matrimonio.

    Normalmente in famiglia esponiamo i kagamimochi una volta terminate le pulizie per l’arrivo del nuovo anno badando bene di evitare il 29 Dicembre perché considerato giorno nefasto. Questi dolci vengono solitamente aperti e mangiati durante un rituale ispirato alla tradizione shintoista chiamato kagami biraki (鏡開き, apertura dello specchio), che si tiene il secondo sabato di Gennaio (in alcune zone del Giappone fino al 20 Gennaio), pregando per la salute e il benessere della famiglia. In passato, questo rituale si svolgeva il 20 di Gennaio, giorno conosciuto anche come hatsuka shōgatsu (二十日正月) ma, poiché Tokugawa Iemitsu, il terzo Shogun Tokugawa, morì proprio il 20 aprile, la data fu spostata all’11 Gennaio evitando il 20 del mese, che era l’anniversario della sua morte. Il cambio di data fu probabilmente una misura dovuta al fatto che questo evento si svolgeva originariamente all’interno della casta dei samurai.

    Il primo Capodanno che ho trascorso in Giappone ho chiesto a mia moglie se era possibile tenere esposto il kagamimochi tutto l’anno senza mangiarlo oppure riporlo da qualche parte. Lei mi spiegò che queste non sono delle semplici offerte come tante altre che è consuetudine fare durante l’anno in Giappone. Essendo considerato uno shintai si crede che al suo interno dimori la divinità del nuovo anno e aprendolo si permette a quest’ultima di uscire, compiere la sua benedizione sulla famiglia per poi fare ritorno al suo luogo di origine. Si dice che il kagami biraki abbia avuto origine da un’usanza dei guerrieri durante il periodo degli Stati Combattenti chiamata gusoku iwai (具足祝い). Si trattava di un evento di Capodanno in cui si offriva i kagamimochi davanti a spade, armature, elmi e altri oggetti di uso comune tra i samurai.

    La cerimonia del kagami biraki segnava la fine del nuovo anno e l’inizio dei lavori dell’anno nuovo. Si dice che i samurai aprivano i loro forzieri, i mercanti aprivano i loro magazzini e i contadini iniziassero l’anno con la semina del riso. Poiché questo rituale ebbe origine all’interno della classe dei samurai, era proibito tagliare questi dolci usando coltelli o altre lame, in quanto il gesto veniva associato al seppuku. La gente iniziò a romperli a mano o con un martello. Fu inoltre deciso di utilizzare la parola biraki (che sarebbe hiraki), ovvero aprire piuttosto che la parola waru (割る, rompere) perché portava sfortuna.

  • Perché gli esseri umani hanno sviluppato una conoscenza scientifica solo in questi ultimi secoli?

    Il desiderio di capire e il piacere di conoscere sono vecchi quanto il mondo. I metodi di analisi e soprattutto gli assunti taciti alla base del sapere sono però cambiati molto. Questi cambiamenti a loro volta sono all’origine della rivoluzione scientifica, una rivoluzione che ha permesso un aumento senza precedenti della conoscenza e della potenza dell’essere umano. In altri termini, prima di essere quantitativa, l’evoluzione della scienza è stata qualitativa. Ai tempi di Aristotele la personificazione e l’antropomorfizzazione della natura erano procedura normale. Ora l’eliminazione dell’osservatore è uno degli aspetti centrali della sperimentazione.

    Mi sono convinto che questa rivoluzione scientifica non sia stata né ovvia né necessaria, ma che al contrario sia una caratteristica della nostra particolare evoluzione di europei. Vivo in estremo oriente da decenni, ma solo da qualche anno mi sono accorto di alcune differenze molto profonde nei modi di pensare asiatici e europei. Dopo molte ore di conversazione con Robby Shima, ti ringrazio, mi sono accorto della grande somiglianza fra il pensiero classico greco e romano e certi aspetti del pensiero moderno asiatico.

    Prima di procedere però credo sia bene chiarire quali tipi di conoscenza esistono.

    Esistono le scienze sociali, che studiano l’essere umano e hanno metodologie proprie.

    Esistono poi le scienze naturali, che sono puramente descrittive e quantitative e mirano a spiegare sulla base di leggi il reale e quindi prevederlo. Personalmente non vedo ragioni di principio per cui alcune, ma non tutte, le prime non possano venire assorbite futuro almeno in parte nelle seconde.

    Poi poi ci sono l’ingegneria e la tecnologia. Passo l’onore e l’onere di definirle a Vito LaVecchia

    che afferma che: 

    1. L’ingegneria è la mente e lo sforzo per creare qualcosa; la tecnologia è il risultato dell’applicazione di questa mente e di questo sforzo.
    2. L’ingegneria è più specifica della tecnologia.
    3. L’ingegneria è un problema mentre la tecnologia è la soluzione.
    4. La stessa tecnologia può essere utilizzata più e più volte.
    5. La tecnologia disponibile viene utilizzata per progettare una tecnologia più avanzata.
    6. La tecnologia è più affidabile dell’ingegnerizzazione di qualcosa di nuovo.

    Molta della conoscenza accumulata in passato era in realtà ingegneria e tecnologia, ma non scienza. Non era rivolta a conoscere ma a fare. Una distinzione sottile, ma significativa. Eratostene, che pagò qualcuno perché contasse i passi fino a Siene perché aveva udito che a mezzogiorno un obelisco non vi proiettava ombra, mentre uno dove abitava lui sì, si servì poi di tale dato per calcolare il diametro della terra. Agì da ingegnere, ma anche da scienziato, perché nella circonferenza terrestre cercava conoscenza fine a se stessa. Si servì delle tecnologie di cui disponeva in modo sagace. Ma perfino lui non era un uomo moderno. Come tutti i suoi contemporanei, anche lui credeva che le cose si muovono perché esse stesse in qualche modo si vogliono muovere. Questo stato di cose e continuato fino a tempi recentissimi.

    Robert Boyle, Roger Bacon, Isaac Newton e mille altri scienziati erano anche alchimisti, e non vedevano una contraddizione fra le due attività.

    Eppure l’alchimia è incompatibile con la scienza moderna. SI serviva di metodi usati anche dalla scienza, in particolare dalla chimica, ma era più affine alle scienze umane perché vedeva lo sperimentatore come parte dell’esperimento. In altri termini, un esperimento poteva riuscire a Paracelso e non a un suo discepolo per ragioni del tutto spirituali. In questo senso, tali scienziati non fanno ancora parte della scienza moderna, ma di una sua fase tradizionale. La scienza moderna è europea nel senso che è il prodotto di fattori non presenti altrove. Non è una conseguenza necessaria del progresso. Che questo sia il caso strato dimostrato in modo che personalmente trovo convincente da un’analisi delle culture dell’estremo oriente. 

    Quasi la metà della produzione industriale proviene da solo tre nazioni, quattro includendo Taiwan. Nessuna delle quattro ha un passato simile al nostro, tutte sono animiste e politeiste. Vorrei dimostrare che questo non può non avere conseguenze negative analoghe a quelle che hanno ritardato l’evoluzione della scienza in Europa.

    Animismo e politeismo dipendono l’uno dall’altro in un modo complesso, ma sono due facce della stessa cosa.

    L’animismo attribuisce caratteristiche umane a oggetti inanimati. attribuisce anche caratteristiche esclusive degli organismi a enti che non hanno la struttura che definisce un organismo. Una roccia non ha organi.

    Il politeismo separa le forze della natura dal loro contesto, vedendole come indipendenti e non assolute, nel senso di non necessariamente sempre valide. Essendo il prodotto della volontà di una entità dentro di sé in modo simile a un essere umano, esistono nella misura in cui questi lo decide. Un corollario di questo fatto è che ogni fenomeno, ogni evento è il risultato di una volontà precisa e non di un meccanismo naturale risultato dell’interazione di enti non necessariamente coscienti di sé.

    Un altro il fatto che le creature che sono la personificazione di queste forze fanno una sola cosa. Perfino il creatore sa solo creare un universo, poi scompare.

    Il politeismo ritiene inoltre che l’esistenza sia fatta di cicli, ciascuno legato ad un luogo o evento.

    Il cristianesimo ha portato il tempo lineare. Il Dio cristiano è un Dio radicalmente diverso dai precedenti. Non è un Dio esclusivamente creatore, non appartiene a un luogo o evento preciso ma e in grado di muoversi linearmente nel tempo.

    Il monoteismo anche portato l’abitudine al pensiero astratto. L’animismo e politeismo invece è al tempo stesso estremamente concreto ed estremamente astratto. È estremamente concreto perché ritiene che solo l’esperienza individuale conti qualcosa. Crede quindi solo a ciò che si vede e si tocca. L’astratto non esiste. Perfino l’anima mangia, dorme, si ammala. Al tempo stesso, la sua stessa metodologia lo costringe a trovare soluzioni assurde, come la credenza diffusa in tutto il mondo che chi annega lo fa perché chi è annegato prima di lui gli tira le gambe. Questo fra l’altro è un esempio di come l’animismo generi spontaneamente la paura. Se non esistono eventi che non siano voluti, è evidente che qualsiasi cosa negativa appaia è opera di un nemico..

    Il cristianesimo infine ha diviso il mondo dei morti da quello dei vivi, rendendo impossibili il culto degli antenati e quindi le lotte tribali. La sua fiducia nell’esistenza di un’origine unica della realtà ha facilitato il nascere della fiducia nell’esistenza di regole universali cui la materia deve obbedire.

    Le caratteristiche del pensiero moderno sono:
    1 Abbandono dell’intuizione a favore del pensiero astratto e logico. Il politeismo cinese e l’animismo giapponese non ho mai

    2 Enfasi sul pensiero quantitativo.

    3 Il concetto di natura come una macchina, una macchina di cui l’osservatore umano è parte.

    4 Il dubbio metodico di Descartes, a mio parere il concetto più importante fra questi.

    L’illuminismo fu una delle conseguenze della rivoluzione scientifica. La scienza, che piaccia o meno, è divenuta l’argomento risolutivo, anche arbitra di morale quando possibile. Il suo valore viene ritenuto (giustamente) assoluto. Una teoria scientifica non è mai stata provata falsa, ma sempre vera come caso speciale della teoria che viene a sostituire.

    Citiamo la Britannica (si, lo so che è un’enciclopedia)

    L’improvvisa comparsa di nuove informazioni durante la rivoluzione scientifica ha messo in discussione le credenze religiose, i principi morali e lo schema tradizionale della natura. Ha anche messo a dura prova le vecchie istituzioni e pratiche, rendendo necessari nuovi modi di comunicare e diffondere le informazioni. Innovazioni di spicco includevano società scientifiche (che sono state create per discutere e convalidare nuove scoperte) e articoli scientifici (che sono stati sviluppati come strumenti per comunicare nuove informazioni in modo comprensibile e testare le scoperte e le ipotesi fatte dai loro autori).

    Io vivo in una società (quella giapponese) ed in un continente (l’Asia e, più esattamente, in Estremo Oriente) molto particolari. Il Giappone e la Cina costituiscono il 36.7% dell’output industriale mondiale, il che vuol dire che, aggiungendovi la Corea del Sud e Taiwan, quest’area quasi certamente produce il 45% almeno di tutta la tecnologia del mondo.

    La rivoluzione scientifica qui non è avvenuta. Ne ho parlato più volte, ma riassumo brevemente le caratteristiche mi sembra il pensiero abbia in Giappone.
    1) Una forte ostilità nei confronti del pensiero astratto e fine a sé stesso. Il pensiero giapponese acquista coerenza e profondità se è finalizzato.

    2 Una forte tendenza all’animismo, che si esprime nell’umanizzazione della natura e nell’uso dell’intuizione, non la logica, nel conoscere la realtà, e nella diffusa credenza che gli oggetti sono vivi. Per sincerarsi che questo effettivamente accade, leggere i libri di Marie Kondo, stampati anche in Italia.

    3 Una visione politeistica del mondo, visto come composto di forze che possono agire al di fuori di un contesto. Le leggi della natura possono avere eccezioni quando un individuo possiede le caratteristiche spirituali necessarie.

    4 Il fine di un gruppo non è la giustizia/verità, ma l’armonia.

    5 Nella natura esistono altre forze, oltre quelle a noi conosciute. La sorte è una di queste. La magia è un’altra. vedi il punto 3.

    6. Siccome l’agire delle forze della natura è affidato ad un ente antropomorfico, che le scatena con una decisione sua conscia, nessun evento è casuale, ma al contrario deciso da qualcuno e diretto a qualcun altro. La mia risposta a questa domanda sarebbe:

    La scienza moderna è un evento unico e non necessario risultato di una serie di eventi particolari della storia europea. La produzione di sapere si è moltiplicata e accelerata come conseguenza di tali eventi. L’Asia ha avuto una storia diversa. Mi aspetto quindi l’insorgere di differenze future fra Europa ed Asia nel settore scientifico in termini di metodologia e risultati. Ammetto di stare parlando di cose complesse che conosco e capisco solo in parte. Caveat emptor.

    Note a piè di pagina

  • I nomi, le bambole, gli specchi

    Una cultura differente quanto quella giapponese non può essere conosciuta se non poco a poco. Una delle cose che sto scoprendo in questi giorni, ma che ho in testa da molto tempo, è il rapporto che c’è in Giappone fra un’immagine e quello che rappresenta, un rapporto che non capisco ancora bene. In Europa le due cose sono ben distinte, salvo in alcuni casi particolari. In Giappone non è così. Un’immagine ha qualcosa dell’originale, e questo vale soprattutto per gli esseri umani. L’immagine di un essere umano ha qualcosa di sacro. Anzi, molti la trattano come se fosse parte integrante dell’originale. Vale la pena di ricordare che in certe culture è l’ombra di un essere umano ad avere qualcosa dell’originale. È proibito calpestarla. Esaminando tutti i casi di cui ho conoscenza, alla fine mi sono reso conto che che l’adorazione della figura umana viene fatta prevalentemente in tre forme.

    Gli specchi

    Perché gli specchi? Per saperlo basta ricordarsi di quello che diceva Jorge Luis Borges. Siano maledetti gli specchi e il sesso, perché moltiplicano gli esseri umani.

    Gli specchi riflettono la nostra immagine, che a sua volta è ritenuta parte integrante di chi siamo. Chi possiede una nostra immagine possiede parte di noi e può colpirci e controllarci attraverso di essa. Gli specchi sono quindi oggetti maledetti.

    Lo specchio è un oggetto affascinante che in estremo oriente era tradizionalmente tenuto di solito rivolto in giù, per proteggerne la superficie ma anche perché non ne uscissero mostri e altre abominazioni. Queste caratteristiche rendono gli specchi stessi tanto sacri che uno dei tre oggetti di potere necessari perché l’imperatore possa esercitare la sua autorità religiosa è uno specchio, lo Yata no Kagami.

    Specchio che è anche uno degli oggetti più comuni tra quelli usati per ospitare un kami in un santuario. Mi spiego. Uno spirito non ha corpo, quindi è impossibile dedicargli devozioni perché non si sa dove trovarlo. Per questo gli viene dato qualcosa in cui localizzarsi. Se qualcosa effettivamente custodisce uno spirito, questo qualcosa si chiama shintai, “il corpo di un kami”. Un oggetto che di sua natura attrae gli spiriti, e quindi adatto ad essere uno shintai, sì chiama yorishiro, o “sostituto di uno spirito”. Parole da non dimenticare, perché sono tra le più importanti per capire questo paese. Gli specchi sono yorishiro tradizionali e comunissimi nei santuari Shintō. Lavenerazione degli specchi è retaggio di tutti i paesi dell’orbita culturale cinese.

    I nomi

    I nomi delle cose hanno importanza? C’è chi dice di sì. Ormai in Europa nessuno ci fa caso, ma un tempo anche da noi c’era una lunga tradizione che legava il nome all’essenza di una persona. Sappiamo per esempio che un’antica città aveva un “nome vero” segreto ed un altro, quello di uso comune: Roma è il nome comune. Il nome vero e segreto della nostra capitale è andato perduto.

    Per tutta la storia scritta del Giappone, cioè dal 553 d.C. circa fino al 1868, una persona (Inizialmente solo nobili, più tardi il diritto al cognome fu esteso a tutti.)ha avuto un minimo di due nomi. Uno era il cosiddetto nome vero, o imina (諱), che non andava mai pronunciato per alcun motivo. la grafia originale non era questa ma 忌み名. Solitamente il primo carattere sta per contaminazione, per cui la parola si risolve“ parola contaminata, ma in questo caso il termine significa piuttosto “nascosto“, per cui la frase vuol dire nome nascosto,.Appunto.

    Per chiamare una persona se ne usava un altro la cui composizione dipendeva dall’era, dalla classe sociale e da altri elementi, ma la cui funzione era sempre di nascondere il vero nome. Nell’era Heian i guerrieri avevano un rapporto di quasi schiavitù con chi li assumeva e quindi davano una lista dei veri nomi di tutti i componenti di un gruppo di soldati al loro padrone, a riprova della loro fedeltà.

    Era di capitale importanza tenerli nascosti il più possibile per evitare appunto che malintenzionati li venissero a conoscere. Per questo ad esempio Ashikaga Takauji si faceva chiamare Gosho, Onorevole Luogo. Tokugawa Ieyasu, volendo essere qualcosa di più, si faceva chiamare Ogosho, Onorevole Onorevole luogo. La lingua parlata della famiglia imperiale in passato si chiama Goshokotoba, la lingua dell’onorevole luogo. Chiamare l’imperatore per nome in Giappone è ancora evitato. Murasaki Shikibu e Sei Shonagon, le scrittrici che ci hanno dato il Genji Monogatari e il Libro da Cuscino, essendo donne e non avendo doveri formali da espletare, riuscirono a tenere nascosto il loro a. Quelli con cui sono conosciute sono titoli nobiliari. Questo costume durò per tutta la storia scritta del paese, quindi quasi 1500 anni, finché ne venne ufficialmente abolito l’uso nel 1868. In quell’epoca esso aveva infatti un’esistenza legale riconosciuta e norme di uso sancite per legge.

    Questa importanza dei nomi affiora anche nella splendida animazione di Miyazaki Hayao, la città incantata.

    Chihiro è la bambina protagonista del film. Il suo nome si scrive con due caratteri, 千尋. Il primo vuol dire mille e si legge chi oppure (quando non fa parte di composti) sen. Il secondo, hiro, è una vecchia unità di misura equivalente a un palmo. All’inizio del film, Chihiro incontra Yubaba, proprietaria dello stabilimento balneare. Chihiro cerca lavoro, ma la vecchia strega non ha alcuna intenzione di assumere una ragazzina, men che meno una vivente in una città di spiriti. Alla fine si lascia convincere, ma le toglie il secondo carattere dal nome, che si stacca dal contratto e le vola in mano. Yubaba lo mette in tasca. Il chi di Chihiro, ora da solo sul contratto, si legge di conseguenza Sen. E infatti Yubaba annuncia alla ragazzina che ora il suo nome è Sen.

    Appropriandosi di parte del nome di Chihiro, Yubaba si impadronisce anche della sua anima, cosa che ha fatto del resto con il protagonista maschile del film, Haku. Haku le dice di non dimenticare mai la seconda parte del suo nome, perché in tal caso la sua anima sarà prigioniera di Yubaba. Lui stesso ha dimenticato il proprio e non può fuggire. Ci riuscirà alla fine del film, quando Chihiro glie lo ricorderà.

    La figura umana

    Questa è la rappresentazione più diretta dell’essere umano, quella che ha più significati ed è più usata e protetta. Basti pensare alle bambole, le fotografie, i dipinti.

    Alle bambole si fanno i funerali, altrimenti si coprono loro gli occhi prima di buttarle via. CI sono cerimonie funebri anche per fotografie, radiografie, MRI, ecc. Si fanno i funerali ai pennelli con cui si disegnano esseri umani, fumetti per esempio. A Kamakura, dove vivo, tutte queste forme di funerale per oggetti sono eseguite tutto l’anno, spesso con gran fanfara, come nel caso del funerale delle bambole a Hongakuji.

    Si usa la figura umana anche per riti di purificazione. Si fa uso per questo di una figuretta in carta detta hitogata, ma c’è anche quella di un’automobile (kurumagata). ci scrivi sopra il tuo nome (nota bene: il tuo nome), ci aliti sopra, te la passi sul collo, la bruci e i tuoi peccati sono storia.

    Le bambole vengono usate in un grande numero di cerimonie e festival. C’è persino il festival delle bambole, hina matsuri, molto importante perché le bambole rappresentano l’imperatore.

    Per concludere questo breve post, fatto per schiarirmi le idee, una menzione di Inari, senza dubbio il più popolare fra i kami antropomorfi. Ma è poi antropomorfo? Le sue rappresentazioni sono molto rare.

  • Chi è o cos’è Rin in “la città incantata” di Miyazaki Hayao

    Vorrei tentare di dare un’idea a chi non parla lingue straniere di quali siano i problemi, le ambiguità e le decisioni, arbitrarie ma inevitabili, che sono il pane quotidiano di tutti i traduttori.

    Al livello più basso stanno gli oggetti che esistono in una cultura, ma non nell’altra.

    Cos’è questo aggeggio? Potrei dirvene il nome, ma non vi direbbe nulla. A cosa serve? Serve per montare la schiuma del tè verde, una tecnica che da noi non si usa, ma che in Giappone è frequente. Supponi che in un giallo la colpevolezza di un personaggio dipenda dalla presenza o meno di questo oggetto? Faccio bene a sostituirlo con qualcos’altro di noto al lettore europeo, ad esempio uno schiaccianoci? Io direi di no, perché si tratta di eliminare informazioni significative, ma non vedo alternative. Non posso spiegare cos’è un chasen, perché è così che si chiama, mentre traduco un thriller.

    Rin

    Un altro esempio, questa volta da “La città incantata” di Miyazaki Hayao. All’inizio del film Chihiro incontra Lin, una ragazza molto carina e femminile. In giapponese però appena apre bocca diviene evidente che qualcosa non quadra. Lin parla come un uomo in una maniera ed una misura che è impossibile trasmettere in altre lingue, ma che è vitale per definire il personaggio. La vedete sulla sinistra nell’illustrazione qui sopra.

    In una scena poco dopo il loro primo incontro, Lin dà un manju (qualcosa da mangiare; come tradurre manju? Lasciarlo com’è? ) a Chihiro, aggiungendo:

    “Ore ga daidokoro de kapparatta ze”.

    Se traducessi la frase come “L’ho rubato io in cucina.” di errori non ce ne sarebbero. Mancherebbero però parecchi fatti su Lin che occorre assolutamente sapere.

    Lin, nonostante le apparenze, è un uomo o si considera un uomo. Usa infatti un termine per “io”, ore appunto, che è non solo tipicamente maschile, ma che viene usato da uomini in presenza di altri uomini, è in altri termini cameratesco. Lin poi usa un verbo, kapparau, traducibile con “sgraffignare”, che indica in modo certo che ha rubato e che non si sente per nulla in colpa di averlo fatto. Infine, Lin termina la frase con un clamoroso ze! Cos’è quel ze?

    In Giapponese le interiezioni come il ne di certi lombardi, il ve’ dei veneti sono comuni al punto che è raro che una frase termini senza che ve ne sia una alla sua fine. Yo! è affermativa, kanà dubitativa, nee esortativa.

    Il ze di Lin è usato molto poco perché è molto forte. Non solo è maschile, non solo è ruvido, ma è quasi da malavitosi. Chi lo usa ci tiene a far sapere che è un duro.

    Appena Lin apre bocca quindi uno comincia subito e chiedersi chi lei sia veramente. Probabilmente un maschio adolescente sui diciassette anni che vuole fare il duro usando linguaggio da duri. Forse una donna che vorrebbe essere un uomo. In ogni caso, quello che è certo è che c’è qualcosa di molto insolito in Rin, che questo viene messo in chiaro senza alcuno sforzo da Miyazaki in una sola frase e che quella frase NON è in grado di trasmettere le stesse informazioni in una lingua diversa dal giapponese.

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