Quella notte appesa alla Via Lattea

Oggi è il sette luglio. Guardo fuori dalla finestra del mio ufficio, qui a Sasebo, e il cielo è carico di quella classica umidità estiva che conosco fin troppo bene. È una giornata che per molti scorre via come tante, ma non per me. Non oggi. Oggi e il settimo giorno del settimo mese del settimo anno dell’era Reiwa (令和七年七月七日) qui in giappone. Un triplo sette, il lucky seven. E io sono una persona che di carattere non ho mai creduto troppo alle coincidenze.

La mente torna indietro, a un altro tanabata, non molto tempo fa. Ricordo il fruscio leggero dei rami di bambù carichi di desideri. Io e quella che oggi e mia moglie, in mezzo alla folla festosa, con in mano le nostre striscioline di carta colorata, i tanzaku li chiamano qui in Giappone. C’era un’energia nell’aria, una speranza palpabile che saliva verso il cielo notturno.Tutti scrivevano i loro sogni più intimi, affidandoli a un’antica promessa.

La promessa di Orihime e Hikoboshi. La principessa tessitrice e il mandriano, separati dalla Via Lattea, a cui era concesso di incontrarsi solo in questa notte. Ho sempre pensato che fosse una storia romantica quanto crudele, ma quella sera ho capito. La loro attesa carica queste notte di una magia speciale, la convinzione che se due stelle possono attraversare un fiume celeste per amore, forse anche i nostri desideri possono trovare una strada per diventare realtà.

Abbiamo scelto con cura la nostra striscia di carta. Non ricordo bene il colore, ma credo fosse gialla. Ricordo solo le nostre mani unite mentre scrivevano poche, semplici parole. Un desiderio che sembrava, quasi impossibile, ma che in quel momento, appeso a quel ramo di bambù, sembrava un po più vicino, un po più vero.

In Giappone dicono che il numero sette è un numero fortunato. Non è solo un modo di dire. Lo vedi ovunque. Pensi alle Sette Divinità della fortuna, gli Shichifukujin, che solcano i mari sulla loro nave del tesoro portando prosperità. Pensi alle sette erbe di gennaio o ai riti di passaggio dei bambini. È un numero che porta con sé un’eco di benevolenza, di cose buone che devono accadere. E quel giorno era il sette di luglio. Un doppio sette. Chissà, forse quelle divinità sorridenti stavano passando proprio da quelle parti, sbirciando tra i rami di bambù.

Il tempo è passato. La vita è andata avanti, con i suoi alti e suoi bassi, e quel desiderio scritto sul tanzaku era diventato un ricordo dolce e un po ‘sbiadito di una calda notte di luglio.

E poi è successo. È successo davvero.

Il nostro desiderio si è avverato. Non con fuochi d’artificio o annunci celestiali, ma con la quiete e la meravigliosa concretezza della realtà. È entrato nelle nostre vite in punta di piedi, e un giorno ci siamo guardati e abbiamo capito. Quel sogno, affidato a una stella lontana in una notte d’estate, era lì con noi.

Oggi, in questo giorno speciale, un sette che si ripete tre volte, non posso fare a meno di sorridere. Sento un senso di gratitudine così profondo da togliere il fiato. Non so se sia stata la magia di Orihime e HIkoboshi, la benevolenza delle Sette Divinità della Fortuna o semplicemente l’aver creduto in qualcosa con tutto il cuore, assieme alla persona che amo. Forse è stato un po ‘di tutto questo.

Quello che so è che una semplice tradizione, un pezzo di carta colorato legato a un ramo, è diventato per noi il simbolo tangibile che i sogni, a volte, trovano davvero la loro strada. E che il numero sette, per me (sono nato il sette marzo), non sarà mai più solo un numero. Sarà sempre il suono di un desiderio che si avvera.

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