20 Luglio, 1939
Caro Diario,
Sono trascorsi un paio di mesi, volati via come il fumo di un braciere, da quella serata e da quello shōchū condiviso con Minomori-san. Recentemente, ho ricevuto una sua breve missiva, la calligrafia elegante e precisa come sempre. Mi annunciava la sua promozione a capo ingegnere e il conseguente trasferimento alla ben più grande base navale di Yokosuka. Sono sinceramente felice per questo meritato riconoscimento, sebbene una punta di rammarico per la sua assenza qui a Sasebo si faccia sentire. La sua acuta perspicacia e il suo amato umorismo mi mancano, specialmente in questo ambiente che, pur professionalmente stimolante, è ogni giorno più intriso di una crescente, quasi palpabile, tensione. Anche le sue poche righe da Yokosuka, pur formali, lasciavano trasparire una certa gravità, un accenno alla “ferrea determinazione” che pervade la capitale, che mi ha lasciato più pensieroso che rincuorato.
Qui a Sasebo, l’aria stessa sembra vibrare di un’attività febbrile. Da quando sono giunto in questa sezione, la mia posizione di supervisore – un ruolo peculiare, affidatomi, credo, oltre alle mie conoscenze tecniche, per la mia conoscenza del paese, della lingua e della sua complessa cultura – mi ha concesso un punto di osservazione privilegiato sugli ingranaggi di questa vasta e oliata macchina bellica. Il mio compito, come sai, è supervisionare alcuni aspetti tecnici legati al varo delle nuove unità per la Marina Imperiale, un’attività che subito un’accelerazione impressionante proprio in queste ultime settimane. Si vocifera di standard produttivi quasi raddoppiati, di scadenze anticipate.
Ogni giorno, il porto brulica. È un viavai di navi che entrano ed escono dalla baia: incrociatori leggeri dal profilo affilato, cacciatorpedinieri agili e veloci, scuri sottomarini appena usciti dai cantieri o rientrati da missioni di pattugliamento i cui dettagli rimangono, ovviamente, non detti. Attraccano per manutenzioni lampo o per essere equipaggiati con le ultime tecnologie. Le banchine sono un formicaio instancabile di operai, di marinai dai volti abbronzati, di tecnici chini su progetti e motori. Si lavora a ritmi che definirei disumani, e le luci degli arsenali rimangono accese, quasi a sfidare l’oscurità, fino a tarda notte. Non è solo la costruzione, è l’intero apparato che si muove all’unisono. L’addestramento delle nuove reclute è incessante; vedo questi giovani, alcuni appena adolescenti, muoversi con una determinazione quasi fanatica, gli occhi che brillano di un fuoco strano sotto lo sguardo inflessibile degli ufficiali. L’espansione della flotta non è più un progetto, è una realtà tangibile, il segno inequivocabile di una nazione che si sta armando fino ai denti. Ma per quale scopo ultimo? Contro chi, precisamente?
Dai notiziari radiofonici, che ascolto con un misto di curiosità professionale e crescente scetticismo, continuano a giungere dispacci frammentari e trionfalistici sulla “Battaglia di Nomonhan” al confine con la Mongolia. Le voci si rincorrono, spesso palesemente contraddittorie, filtrate dalla censura. Si esaltano atti di eroismo individuale, si magnificano presunte avanzate del kantōgun verso le zone della Siberia e dell’Unione Sovietica. Ma non posso fare a meno di chiedermi quanto di vero vi sia in questi resoconti ufficiali, e quanto invece sia frutto della macchina della propaganda, oliata per alimentare uno spirito bellico ed espansionistico che sembra ormai insaziabile. Paradossalmente, quest’ombra del conflitto con i sovietici ad est, un impegno che sospetto sia ben più oneroso di quanto si ammetta, sembra quasi acuire, per una sorta di rivalità interna tra Esercito e Marina, la spinta verso sud. Sento gli ufficiali della Marina, nei rari momenti di convivialità, parlare sempre più apertamente di “risorse vitali” nel sud-est asiatico, di quello che in giapponese viene definito come kyōeiken (共栄圏), ovvero uno “spazio di prosperità” che il Giappone avrebbe il diritto, anzi, il “sacro dovere” di creare e guidare, liberando l’Asia del giogo occidentale.
Questo 1939, caro Diario, si sta rivelando un anno di svolta, lo sento fin nelle ossa. C’è un energia quasi primordiale, inarrestabile, che pervade questo paese; una forza collettiva che, devo ammetterlo, in parte mi affascina per la sua dedizione, ma che al contempo mi atterrisce per la sua cecità. La determinazione è senza dubbio ammirevole, la capacità di sacrificio quasi commovente, ma temo che questa ossessiva smania di crescita, questa retorica nazionalista che demonizza ogni ostacolo esterno e interno, stia conducendo il Giappone su un sentiero da cui vi sara rirtorno indolore. Ogni nuova nave da guerra che scivole superba sulla acque della baia di Sasebo, ogni collaudo di nuovi armamenti, ogni giovane volto di recluta che sfila, non fa che alimentare la mia profonda, lancinante preoccupazione per il futuro di questa nazione che, con tutti i suoi contrasti, ho imparato a conoscere e, a modo mio, amare. L’anima del Giappone, in questi giorni d’estate, mi appare più inquieta e febbricitante che mai, sull’orlo di un abisso che ancora si ostina a non vedere.
Contesto storico
Questa pagina di diario del 20 Luglio 1939, intitolata “Sasebo: febbre d’acciaio”, si inserisce in un momento cruciale per l’Impero Giapponese, un periodo di crescente militarizzazione e di ambizioni espansionistiche che avrebbero presto trascinato la nazione nel vortice della Seconda Guerra Mondiale. La Base Navale di Sasebo, dove l’autore del diario si trova (e dove io vivo e lavoro oggi), era uno dei cardini di questa imponente macchina bellica, e la sua importanza strategica non può essere sottovalutata.
Genesi e ascesa di Sasebo
La scelta di Sasebo come sede di un importante, chinjufu (鎮守府), “distretto navale” alla fine del XIX secolo non fu casuale. Le sue particolarità geografiche la rendevano ideale:
- Porto naturale protetto: la baia di Sasebo è profonda, ampia e ben riparata dalle intemperie e da possibili attacchi, grazie alla sue molte insenature e isole circostanti.
- Posizione strategica: situata sulla costa nord-occidentale del Kyūshū, Sasebo offriva un accesso privilegiato al Mar Cinese Orientale, ponendosi in una posizione ideale per le operazioni verso la Corea, la Cina, e più in generale, il continente asiatico. Questa sua vicinanza era fondamentale per le ambizioni espansionistiche del Giappone.
- Risorse e sviluppo: la vicinanza a bacini carboniferi (come quello di Miike), essenziali per la navi a vapore dell’epoca, e la determinazione del governo Meiji a modernizzare il paese, portarono a rapidi investimenti industriali.
Fina dalla sua designazione ufficiale come distretto navale nel 1889 e l’apertura dell’arsenale nel 1903, Sasebo divenne un fulcro per la Marina Imperiale Giapponese. Svolse un ruolo chiave durante la Guerra Russo-Giapponese (1904-1905), fungendo da base di partenza e riparazione per la flotta dell’Ammiraglio Tōgō (lo stesso che aveva scoperto e scelto Sasebo).
Gli anni ‘30: verso la guerra totale
Il periodo che ho cercato di descrivere nel diario, 1939, vede un’accelerazione esponenziale delle attività. Il Giappone era impegnato dal 1937 nella Seconda Guerra Sino-Giapponese, un conflitto logorante che continuava a prosciugare risorse. La “febbre d’acciaio” e una metafora che ho usato:
Costruzione e riparazione navale
L’arsenale navale di Sasebo era uno dei principali centri per la costruzione di nuove unità navali (cacciatorpedinieri, incrociatori leggeri, sottomarini) e per la riparazione e modernizzazione di quelle esistenti. La Marina Imperiale stava vivendo una fase di massiccia espansione, in parte svincolata dai trattati navali internazionali che il Giappone decise di abbandonare (come il Trattato Navale di Washington e i successivi accordi di Londra). La necessità di una flotta potente per sostenere l’espansione nel Pacifico e nel Sud-Est Asiatico era considerata vitale.
Base operativa e logistica
Sasebo era un’importante base di smistamento per truppe e materiali da e verso il continente. Le sue banchine e i suoi cantieri lavoravano a ritmi forsennati per mantenere la flotta efficiente e pronta al combattimento. L’addestramento incessante delle reclute rifletteva la militarizzazione della società e la preparazione a un conflitto su vasta scala.
Tensioni geopolitiche
Il riferimento alla “Battaglia di Khalkhin Gol” (o incidente di Nomonhan), un duro scontro di confine non dichiarato con l’Unione Sovietica che si stava combattendo proprio nell’estate nel 1939, e significativo. Sebbene principalmente uno scontro terrestre, esso influenzava la strategia bellica generale. La sconfitta giapponese a Khalkhin avrebbe, paradossalmente, rafforzato le argomentazioni della Marina (in special modo la fazione sostenitrice del nanshin-ron – 南進論, ovvero la “dottrina dell’espansione a Sud”) che premeva per concentrare le risorse sulla conquista delle ricche colonie del Sud-Est Asiatico (Indocina Francese, Indie Orientali Olandesi, Malesia Britannica) per assicurarsi materie prime vitali come petrolio, gomma e minerali. Questo contrastava con la fazione dell’Esercito del hokushin-ron (北進論), la “dottrina dell’espansione a nord” focalizzata sull’espansione in Manciuria e la Siberia.
Sfera di co-prosperita della Grande Asia Orientale
L’accenno che ho fatto al kyōeiken (共栄圏), per esteso “Dai Tōa Kyōeiken” (大東亜共栄圏), è centrale. Questa era la dottrina tramite la quale il Giappone giustificava le sue mire espansionistiche, presentandosi come il liberatore dell’Asia dal colonialismo occidentale, con l’obiettivo, almeno dichiarato, di creare un blocco di nazioni asiatiche autosufficienti sotto la guida giapponese.
In questo contesto, Sasebo non era solo un citta cantiere o una base navale, ma il cuore pulsante delle ambizioni navali dell’Impero. La frenetica attivita, l’aumento della produzione, la tensione palpabile e la retorica nazionalista descritta nel diario sono il riflesso diretto della posizione fondamentale di Sasebo nello scacchiere militare giapponese, mentre la nazione di preparava a una guerra che avrebbe ridefinito il suo destino e quello del mondo intero. La “febbre d’acciaio” era la manifestazione fisica della volontà del Giappone di diventare la potenza egemone in Asia, e Sasebo era una delle fucine dove venivano forgiati gli strumenti di tale ambizione.
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