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  • La consegna delle cartoline di capodanno in Giappone

    La consegna delle cartoline di capodanno in Giappone

    In Giappone, il nuovo anno è un momento speciale, celebrato con l’invio e la ricezione di cartoline chiamate nengajō (年賀状). Queste cartoline rappresentano un modo per salutare amici e familiari, esprimere gratitudine per l’anno trascorso e augurare buona fortuna per quello nuovo. Un aspetto unico di questa tradizione è la consegna coordinata di queste cartoline proprio il primo giorno dell’anno.

    Nengajō

    Le poste giapponesi svolgono un ruolo cruciale in questo evento annuale. Raccolgono e smistano enormi quantità di nengajō nei giorni precedenti il Capodanno, conservandole per garantire che la maggior parte venga consegnata il primo giorno dell’anno. Questa pratica è un’impresa logistica considerevole, che coinvolge molto personale e una pianificazione meticolosa.

    Storicamente, le nengajō venivano consegnate a mano, ma con la modernizzazione del sistema postale, la pratica si è spostata sulla consegna organizzata da parte dei postini. Sebbene il volume di nengajō sia diminuito negli ultimi anni a causa dell’aumento della comunicazione digitale, rimane un evento culturale significativo e un’operazione su larga scala per le poste giapponesi.

    Foto: ANN News

    Raccolta e smistamento

    Da metà dicembre, vengono allestite cassette postali speciali appositamente per le nengajō. Gli uffici postali lavorano instancabilmente per smistare le cartoline per area di consegna.

    Evidenziata bianco la buca delle lettera riservata per le nengajō. (Può essere diversa a seconda dell’ufficio postale)

    Preparativi per la consegna

    Postini e dipendenti delle poste spesso lavorano durante la notte del 31 dicembre per finalizzare lo smistamento e prepararsi per le consegne del giorno successivo.

    Consegna il primo dell’anno

    Il 1° gennaio, i postini iniziano i loro giri di consegna di buon mattino per recapitare le nengajō. È comune vedere postini su motociclette o biciclette, carichi di pile di cartoline, effettuare le consegne durante tutta la giornata.

    L’importanza simbolica delle nengajō

    La consegna delle nengajō il primo giorno dell’anno ha un peso simbolico. Rappresenta un nuovo inizio, connessioni rinnovate e la continuazione di una cara tradizione culturale.

    La mattina del 1° gennaio, presso molti uffici postali in tutto il Giappone, si tiene una cerimonia formale prima della partenza dei postini per la consegna delle nengajō. Questa cerimonia, chiamata shuppatsu-shiki (出発式), ha diversi scopi:

    Motivazione e incoraggiamento

    La cerimonia punta a dare una carica positiva ai postini che affronteranno una giornata di lavoro intensa.

    Sicurezza stradale

    I discorsi dei dirigenti durante la cerimonia servono anche ad enfatizzare la sicurezza stradale e la guida prudente.

    Riconoscimento del servizio

    La cerimonia mira a sottolineare il valore culturale e sociale della consegna delle nengajō.

    Immagine pubblica delle poste

    L’azienda punta anche al rafforzamento di un’immagine positiva delle poste giapponesi.

    Gli elementi tipici della cerimonia includono discorsi dei dirigenti, una dichiarazione di intenti da parte di un rappresentante dei postini, un controllo dei mezzi di trasporto e la partenza in gruppo dei postini. L’atmosfera è formale ma anche festosa, con un senso di orgoglio e appartenenza.

    Il numero di nengajō inviate ogni anno è in calo a causa del maggiore utilizzo di e-mail e social media per gli auguri di Capodanno. Tuttavia, molti giapponesi apprezzano ancora la natura tangibile della ricezione di una cartolina fisica e la tradizione continua ad avere un posto speciale nella cultura giapponese. Le poste giapponesi si sono adattate a questi cambiamenti offrendo vari servizi, come la creazione e la stampa di nengajō online.






  • Iwai-bashi: le bacchette per le celebrazioni di Capodanno

    Iwai-bashi: le bacchette per le celebrazioni di Capodanno

    Nella cultura giapponese, le occasioni speciali come il Capodanno (shōgatsu) e altre celebrazioni richiedono utensili da tavola unici, tra cui spiccano le iwai-bashi (祝い箸). Queste bacchette speciali, spesso associate all’osechi ryori (おせち料理, il sontuoso banchetto di Capodanno) e all’ozoni (お雑煮), incarnano un profondo simbolismo culturale e religioso.

    Le iwai-bashi si distinguono per la loro lunghezza, di circa otto sun (寸, un’antica unità di misura giapponese che corrisponde a circa 24 cm). Il kanji per otto (八) si allarga verso il basso, simboleggiando prosperità e buon auspicio. Questo articolo esplora le origini, il simbolismo e le usanze legate a queste sacre posate, offrendo una guida completa per comprendere il loro ruolo nella tradizione giapponese.

    Il termine iwai-bashi (祝い箸) è composto da due kanji:

    祝い (iwai)

    significa “celebrazione”, “congratulazioni” o “festa”, indicando l’uso di queste bacchette durante occasioni gioiose.

    箸 (hashi)

    he significa semplicemente “bacchette”

    La combinazione di questi caratteri definisce chiaramente le iwai-bashi come bacchette specificamente destinate ai pasti celebrativi.

    Queste bacchette sono conosciute anche con altri nomi, ognuno con una propria sfumatura di significato:

    Ryōkuchi-bashi (両口箸)

    Tradotto letteralmente come “bacchette a doppia bocca”, questo nome si riferisce alla caratteristica forma affusolata di entrambe le estremità. Questo design unico simboleggia la condivisione del pasto tra gli umani e i kami (le divinità shintoiste), un concetto noto come shinjin kyōshoku (神人共食), ovvero “pasto condiviso tra i kami e l’uomo”.

    Yanagi-bashi (柳箸)

    Questo termine indica che le bacchette sono tradizionalmente realizzate in legno di salice (柳, yanagi). Il salice, nella cultura giapponese, è simbolo di buon auspicio per la sua vitalità e la sua associazione con l’allontanamento degli spiriti maligni. Rappresenta inoltre la longevità, essendo considerato un albero medicinale. Il termine yanagi può essere anche scritto con i seguenti kanji “家内喜”, che significa “gioia familiare”.

    Tawara-bashi (俵箸)

    Questo nome si riferisce alla forma delle bacchette, più spesse al centro, che ricordano proprio una tawara (俵), un sacco di paglia di riso intrecciata, tradizionalmente utilizzato in Giappone per conservare e trasportare il riso, ma anche altri cereali, semi e persino sale. Questa forma simboleggia la preghiera per un raccolto abbondante ed è anche chiamata futobashi (太箸, bacchette spesse) o haramibashi (はらみ箸, bacchette della gravidanza), simboli di fertilità e prosperità della discendenza.

    Tawara

    Simbolismo e legame con i kami

    La caratteristica più significativa delle iwai-bashi sono le loro estremità affusolate. A differenza delle bacchette di tutti i giorni, che sono affusolate solo su un’estremità, le iwai-bashi sono progettate in modo che entrambe le estremità possano essere utilizzate per mangiare. Questo design unico si collega alla credenza shintoista dello shinjin kyōshoku (神人共食) che si traduce come “condivisione del cibo tra kami (divinità) e persone”.

    Shinjin kyōshoku

    Questo termine si riferisce a un’antica pratica rituale giapponese in cui si credeva che le persone condividessero un pasto con i kami, spesso attraverso offerte di cibo durante festival o cerimonie. Questo atto simboleggiava una connessione spirituale e una comunione tra il mondo umano e quello divino.

    Un’estremità è simbolicamente usata dai kami, mentre l’altra è usata dalla persona, a significare un’esperienza condivisa e una connessione con il divino. Questa pratica esprime gratitudine ai kami per le benedizioni ricevute, specialmente durante le celebrazioni di Capodanno quando l’osechi ryori è offerto come pasto sacro.

    Sakasa-bashi

    Usare le bacchette al contrario, una pratica nota come sakasa-bashi (逆さ箸) o kaeshi-bashi (返し箸), è considerata una grave violazione dell’etichetta delle bacchette in Giappone. Sakasa significa “inverso” o “sottosopra”, e kaeshi significa “ritorno” o “rovesciare”, quindi questi termini descrivono direttamente l’azione di prelevare il cibo da piatti condivisi usando l’altra estremità delle bacchette. Questo è considerato maleducato perché l’altra estremità è tenuta con le mani, che non sono considerate pulite.

    Anche con le iwai-bashi, usare l’estremità opposta è strettamente proibito. Questo perché, come detto precedentemente, un’estremità delle iwai-bashi è simbolicamente riservata ai kami. Pertanto, quando si serve cibo da un piatto comune, è essenziale usare bacchette da portata separate (toribashi) in aggiunta alle iwai-bashi, mantenendo il rispetto sia per la corretta etichetta sia per la natura sacra delle bacchette celebrative.

    Preparare le iwai-bashi

    Un’usanza prevede di scrivere i nomi di famiglia sugli involucri di carta delle iwai-bashi. Il capofamiglia scrive il proprio nome come “主 (shujin)” (capofamiglia) e i nomi degli altri membri della famiglia. Le bacchette avvolte vengono poi offerte al kamidana (神棚, altare domestico) o vicino al kagami mochi (鏡餅) durante l’Ōmisoka (大みそか), la vigilia di Capodanno. Per gli ospiti, il carattere “上 (ue)” (sopra/superiore) è scritto sull’involucro.

    Rituali post-utilizzo

    Le iwai-bashi sono tradizionalmente considerate usa e getta per motivi igienici. Tuttavia, alcune famiglie possono lavarle accuratamente e riutilizzarle alcune volte. Anche lo smaltimento corretto delle iwai-bashi usate è importante. Tradizionalmente, vengono portate a un festival sagichō (左義長), noto anche come dondo-yaki (どんど焼き) o tondo (とんど) a seconda della regione. Questo festival del falò, che si tiene intorno al 15 gennaio (Piccolo Capodanno), prevede il bruciare le decorazioni di Capodanno, comprese le iwai-bashi, a simboleggiare il ritorno dei kami in cielo attraverso il fumo dei falò.

    Dondo-yaki

    Bruciando questi oggetti, le persone esprimono gratitudine e inviano le benedizioni ricevute durante il periodo di Capodanno. In tempi moderni, se non si può partecipare a un festival sagichō, avvolgere le iwai-bashi usate in carta bianca con un pizzico di sale e smaltirle separatamente dagli altri rifiuti è una rispettosa alternativa.

    Le iwai-bashi sono quindi molto più di semplici utensili da cucina: rappresentano un legame tangibile con le tradizioni culturali e religiose del Giappone, incarnando il rispetto per i kami, l’unità familiare e le speranze di buona fortuna per il nuovo anno.




  • Kazunoko: le uova portafortuna del Capodanno giapponese

    Kazunoko: le uova portafortuna del Capodanno giapponese

    Il kazunoko (数の子), con la sua vibrante tonalità gialla e la consistenza piacevolmente croccante, è un elemento essenziale delle celebrazioni del Capodanno giapponese. Questa prelibatezza salata, spesso gustata con il sakè, è un alimento base dell’osechi ryori, la tradizionale cucina di Capodanno. Ma cos’è esattamente il kazunoko e perché occupa un posto così speciale nella cultura giapponese? Immergiamoci nell’affascinante storia di queste uova dorate.

    Il kazunoko sono uova di aringa, specificamente l’ovario dell’aringa. La sua caratteristica consistenza scoppiettante e il colore giallo lo rendono immediatamente riconoscibile. Le uova vengono tipicamente conservate sotto sale, il che conferisce loro un sapore leggermente salato che si sposa perfettamente con l’atmosfera festosa del Nuovo Anno.

    Foto dell’autore: kazunoko durante pranzo del primo giorno dell’anno

    In giapponese, l’aringa è chiamata “nishin” (鯡). Fatto interessante, questa parola può essere scritta anche con i caratteri 二親 (ni-shin), che letteralmente significano “due genitori”. Questa duplice rappresentazione grafica conferisce al kazunoko un valore simbolico legato alla fertilità e alla prosperità familiare, in particolare all’augurio di una discendenza numerosa. Tale simbolismo riveste un ruolo centrale nelle celebrazioni del Capodanno giapponese.

    Sebbene il Giappone un tempo vantasse abbondanti catture di aringhe, la pesca interna è diminuita notevolmente negli ultimi anni. Oggi, la maggior parte provengono sia dall’Oceano Pacifico che dall’Atlantico. Il kazunoko del Pacifico, in particolare quello proveniente dal Canada, è apprezzato per la sua consistenza soda, mentre il kazunoko atlantico, noto per la sua consistenza più umida, viene spesso utilizzato nei prodotti alimentari trasformati. In Giappone, Hokkaido e Tohoku erano un tempo importanti aree di produzione, sebbene le catture siano ora considerevolmente inferiori, il che rende il kazunoko proveniente da queste zone una prelibatezza.

    La presenza del kazunoko nell’osechi ryori è profondamente radicata nel simbolismo e nella tradizione. Non è solo un piatto gustoso; porta con sé anche profondi auguri per l’anno nuovo.

    La ragione principale per cui kazunoko è incluso nell’osechi è la sua associazione con la fertilità e la prosperità dei discendenti. La pura abbondanza di uova all’interno delle ovaie simboleggia il desiderio di avere molti figli e la continuazione della linea familiare. Questo simbolismo è ulteriormente rafforzato, come spiegato in precedenza, dalla connotazione di “due genitori” della parola “nishin“.

    Oltre alla fertilità, si ritiene anche che il kazunoko scacci gli spiriti maligni all’inizio del Nuovo Anno, assicurando un nuovo inizio e un anno pieno di buona fortuna. Durante le celebrazioni del Capodanno giapponese, è consuetudine includere gli iwai-zakana (祝い肴) come parte dell’osechi ryori. Tre piatti sono designati come iwai-zakana, e il kazunoko è uno di questi. Questi piatti vengono tradizionalmente consumati insieme al toso (お屠蘇), un sakè speziato, con l’intento di scacciare gli spiriti maligni e assicurare buona salute e longevità.

    La più antica testimonianza storica della comparsa del kazunoko in Giappone risale a più di 450 anni fa. Esistono documenti che attestano che il kazunoko fu offerto in dono a Ashikaga Yoshiteru, il tredicesimo shogun dello shogunato Muromachi.

    Verso la fine del periodo Muromachi, si svilupparono i trasporti marittimi nell’ura-nihon, il mare del Giappone, e si dice che il kazunoko entrò a Kyōto attraverso Tsuruga, diventando noto ai cuochi della corte imperiale e dello shogunato. Si ritiene che il kazunoko sia stato introdotto dall’ Hokkaido a Kyōto, inizialmente assieme all’alga konbu, che era il principale prodotto di esportazione dell’ Hokkaido in quel periodo. Assieme all’alga fu introdotto anche il komochi konbu (子持ち昆布), che suscitò interesse per le uova stesse.

    Komochi-konbu


    Poiché le numerose uova all’interno del kazunoko evocano immagini di prosperità familiare e di molti discendenti, iniziò a essere usato come “engimono” (縁起物), ovvero un oggetto di buon auspicio ritenuto portatore di fortuna.

    Successivamente, Tokugawa Yoshimune (noto come “abarenbo shōgun“, lo “shōgun selvaggio”), l’ottavo shōgun del periodo Edo, che promosse la frugalità durante le riforme kyōhō, sostenne l’inclusione del kazunoko nell’osechi ryori, dicendo: “Voglio che sia i ricchi che i poveri mangino lo stesso cibo e festeggino durante il Nuovo Anno”. Questo si crede portò al consumo diffuso del kazunoko.

    Oggi, il kazunoko rimane parte integrante delle celebrazioni del Capodanno giapponese. La sua consistenza unica, il sapore salato e il significato simbolico lo rendono un piatto amato, che incarna gli auguri per un anno prospero e fertile. Quindi, la prossima volta che incontrerete queste uova dorate, ricordate la loro ricca storia e le speranze che rappresentano e godetevi un assaggio veramente autentico della tradizione del Capodanno giapponese.




  • Kagami mochi: lo specchio del nuovo anno e il rituale del kagami biraki

    Kagami mochi: lo specchio del nuovo anno e il rituale del kagami biraki

    Immagina un Capodanno dove al posto di luci sfavillanti, troneggiano semplici tortine di riso, intrise di secoli di tradizione e spiritualità. In Giappone, queste non sono semplici tortine: sono kagami mochi (鏡餅), letteralmente “tortine di riso a specchio”, e rivestono un ruolo speciale nei cuori e nelle case dei giapponesi durante le festività di Capodanno (oshōgatsu お正月).

    Prima di addentrarci nel mondo del kagami mochi, scopriamo cosa sono i mochi (餅). Queste tortine di riso gommose e glutinose sono fatte a partire dal mochigome (糯米), una varietà di riso a chicco corto, bianco opaco e dal contenuto di amido molto elevato. Il riso viene cotto al vapore e poi pestato fino a ottenere un impasto liscio ed estremamente elastico. Il risultato è una delizia appiccicosa e delicatamente dolce, base di molti dolci e piatti giapponesi.

    Il termine kagami mochi (鏡餅) deriva da kagami (鏡), che significa “specchio”. Nell’antichità, gli specchi di bronzo erano considerati oggetti sacri, simboli del divino e della verità. L’aggiunta di mochi (餅), che indica la tortina di riso, crea un’immagine potente: una tortina che riflette la divinità. Questa connessione con lo specchio, che riflette la realtà e l’anima, conferisce al kagami mochi un significato spirituale profondo.

    La tradizione del kagami mochi affonda le radici nel periodo Heian (794-1185 d.C.) e si è evoluta da antichi rituali in onore di divinità e antenati. Era un’offerta votiva al toshigami (年神), il kami del nuovo anno, considerato portatore di buona fortuna, salute e abbondanti raccolti.

    Nello shintoismo, la religione autoctona giapponese, gli yorishiro (依り代) sono oggetti o luoghi che si ritiene attraggano i kami. Sono quindi delle dimore temporanee per gli spiriti. Durante il Capodanno, il toshigami viene accolto nelle case e il kagami mochi funge proprio da yorishiro, un recipiente temporaneo per lo spirito del kami. Ma non solo, il kagami mochi è anche considerato il ricettacolo del mitama (御霊) del toshigami.

    Il termine mitama (御霊) si riferisce all’aspetto spirituale o all’anima di una divinità. È la forza vitale, l’essenza divina che risiede all’interno di un kami. Nel contesto del kagami mochi, si crede che il mitama del toshigami discenda e risieda temporaneamente all’interno del mochi, conferendogli un potere sacro e benedicente. Questo concetto è strettamente legato alla nozione di tamashii (魂, anima), che nella cultura giapponese è considerata l’energia vitale, la forza che anima ogni essere vivente. Anticamente si credeva che, all’inizio dell’anno, la tamashii del kami (神, divinità) venisse condivisa con tutti gli esseri viventi, donando una parte della propria anima per conferire a tutte le creature la forza necessaria per affrontare il nuovo anno.

    Il kagami mochi, quindi, non è solo un contenitore del mitama, ma anche un veicolo attraverso il quale questa energia vitale viene distribuita e condivisa. Offrendo una dimora confortevole al mitama del toshigami, le famiglie sperano di ricevere benedizioni di salute, prosperità e felicità per l’anno nuovo.

    Normalmente, nelle famiglie giapponesi, l’esposizione del kagami mochi avviene una volta terminate le pulizie di fine anno, preparandosi all’arrivo del nuovo anno. È consuetudine evitare di esporlo il 29 dicembre, giorno considerato nefasto. A differenza di altre offerte che si fanno durante l’anno, il kagami mochi non è un semplice ornamento. Essendo considerato uno shintai (神体), un oggetto che incarna una divinità, si crede che al suo interno dimori il toshigami, la divinità del nuovo anno. Per questo motivo, non è consuetudine conservarlo per tutto l’anno o riporlo dopo le feste. Aprendolo durante il kagami biraki, si permette al toshigami di uscire, compiere la sua benedizione sulla famiglia e poi fare ritorno al suo luogo di origine.

    Il kagami mochi non viene semplicemente appoggiato su una superficie qualsiasi; tradizionalmente, viene esposto su un supporto di legno chiamato sanpō (三宝), che letteralmente significa “tre tesori”. Sopra il sanpō viene posto un foglio di carta speciale chiamato shihōbeni (四方紅), letteralmente “rosso quattro lati”. La funzione di questo foglio non è puramente ornamentale, ma ha un significato apotropaico, ovvero serve come augurio e protezione verso l’abitazione contro eventuali incendi. Oltre a questi elementi, il kagami mochi viene spesso ornato con una striscia di alga konbu (昆布) e con una piccola striscia di cachi essiccati.

    Il kagami mochi è composto due mochi rotondi sovrapposti, con quello più piccolo posto sopra quello più grande. Questa struttura apparentemente semplice è ricca di simbolismo:

     I due mochi rappresentano diverse dualità:

    • In e yō (陰陽, Inyō): le forze fondamentali di equilibrio nell’universo, l’equivalente giapponese di yin e yang.
    • Tsuki e taiyō (月と太陽): la Luna e il sole, corpi celesti che rappresentano diversi aspetti della natura e del tempo.
    • Kyonen e kotoshi (去年と今年): l’anno passato e l’anno che verrà, una riflessione sul passato e uno sguardo al futuro.

    Come per alte decorazioni di Capodanno sulla cima del mochi più piccolo si trova una daidai (橙), una tipica arancia giapponese dal gusto amarognolo. Il nome daidai (代々) suona simile alla parola giapponese per “generazioni”, che simboleggia la continuazione della stirpe familiare attraverso le generazioni. Questo frutto infatti raramente cade anche quando maturo, così frutti vecchi e nuovi possono essere visti sullo stesso albero, simboleggiando la continuazione delle generazioni.

    Dopo la visita del toshigami (di solito intorno all’11 gennaio), il kagami mochi viene rimosso e rotto in un rituale chiamato kagami biraki (鏡開き), letteralmente “aprire lo specchio”. È fondamentale notare che il mochi non viene tagliato con un coltello, poiché rappresenterebbe sia il taglio dei legami o la rottura della buona fortuna e un riferimento diretto alla pratica del seppuku. Invece, viene rotto a mano o con un martello di legno (kizuchi 木槌). Questo atto di rottura non è distruttivo, ma piuttosto un’ “apertura” simbolica per condividere il potere e le benedizioni del kami del nuovo anno. Si crede che in questo modo l’anima del toshigami contenuta nel mochi venga liberata e distribuita tra i partecipanti, portando fortuna e prosperità.

    Essendo considerato uno shintai si crede che al suo interno dimori la divinità del nuovo anno e aprendolo si permette a quest’ultima di uscire, compiere la sua benedizione sulla famiglia per poi fare ritorno al suo luogo di origine.

    Nella società dei samurai dei periodi Sengoku ed Edo (circa XV-XIX secolo), esisteva un rituale chiamato gusoku-iwai (具足祝い) o gusoku-biraki (具足開き) in cui il mochi veniva offerto di fronte al kacchū (甲冑), l’armatura e le spade, considerate l’anima del samurai, e poi mangiato dopo il Capodanno. Questo rituale sottolinea ulteriormente il legame del mochi con la forza, la protezione e la buona fortuna.

    La cerimonia del kagami biraki segnava la fine del nuovo anno e l’inizio dei lavori dell’anno nuovo. Si dice che i samurai aprissero i loro forzieri, i mercanti i loro magazzini e i contadini iniziassero l’anno con la semina del riso. Poiché questo rituale ebbe origine all’interno della classe dei samurai, era proibito tagliare questi dolci usando coltelli o altre lame, in quanto il gesto veniva associato al seppuku. La gente iniziò a romperli a mano o con un martello. Fu inoltre deciso di utilizzare la parola biraki (dal verbo hiraku), ovvero aprire piuttosto che la parola waru (割る, rompere) perché si credeva portasse sfortuna.

    Il kagami mochi e il kagami biraki sono più di semplici usanze; sono una finestra sulla ricca cultura e spiritualità giapponese. Ci ricordano l’importanza della famiglia, della tradizione e del legame con il divino. La prossima volta che vedrai queste semplici ma profonde tortine di riso, ricorda la storia che raccontano: una storia di accoglienza, benedizioni e il potere duraturo della tradizione.











  • Kōhaku uta gassen: una tradizione di Capodanno

    Kōhaku uta gassen: una tradizione di Capodanno

    Mentre le ultime ore dell’anno scorrono in Giappone, le famiglie si riuniscono davanti alla televisione, non per il conto alla rovescia di una sfera che scende, ma per un vibrante spettacolo musicale: il kōhaku uta gassen (紅白歌合戦), letteralmente “battaglia di canto rossa e bianca”. Questa tradizione annuale di Capodanno, trasmessa dalla NHK, è stata un punto fermo della cultura giapponese per oltre sette decenni, segnando il passaggio da un anno all’altro con musica, competizione amichevole e un tocco di unità nazionale.

    Il kōhaku è più di un semplice concerto televisivo; è un fenomeno culturale. Il programma mette a confronto due squadre di artisti musicali popolari: la squadra rossa (akagumi, 紅組), tradizionalmente composta da artiste donne, e la squadra bianca (shirogumi, 白組), tradizionalmente composta da artisti uomini. Queste squadre eseguono una selezione delle loro canzoni più popolari dell’anno passato e gli spettatori votano per determinare la squadra vincitrice. Sebbene l’aspetto competitivo aggiunga eccitazione, il kōhaku è in definitiva una celebrazione della musica giapponese e un’esperienza condivisa per le famiglie di tutta la nazione.

    Le radici del kōhaku possono essere fatte risalire a un programma radiofonico, kōhaku ongaku jiai (紅白音楽試合) “competizione musicale rossa e bianca”, trasmesso la notte di Capodanno nel 1945, poco dopo la fine della seconda guerra mondiale. La trasmissione televisiva iniziò nel 1951, diventando rapidamente un’amata tradizione di fine anno. Il nome del programma, “kōhaku“, ha un significativo peso culturale. L’abbinamento di rosso e bianco ha radici profonde nella cultura giapponese, che vanno oltre le semplici combinazioni di colori.

    Il termine “kōhaku” (紅白) è usato in vari contesti, che significano sia divisione che celebrazione. Negli eventi sportivi, “kōhaku-sen” (紅白戦) o “kōhaku-jiai” (紅白試合) si riferisce a partite tra squadre rosse e bianche, proprio come il kōhaku uta gassen stesso. Questa divisione riecheggia la storica Guerra Genpei (1180-1185), dove il clan Taira combatté sotto bandiere rosse e il clan Minamoto sotto bandiere bianche, consolidando l’associazione di questi colori con forze opposte.

    Tuttavia, il termine “kōhaku” porta anche connotazioni di buon auspicio. Il rosso e il bianco sono frequentemente usati insieme in contesti celebrativi, come “kōhaku-maku” (紅白幕) (tende rosse e bianche usate in festival e cerimonie), “kōhaku-manjū” (紅白まんじゅう) (panini al vapore rossi e bianchi serviti durante le celebrazioni) e “mizuhiki no kōhaku-musubi” (水引の紅白結び) (nodi decorativi rossi e bianchi sulla confezione regalo). Nella tradizione shintoista, il rosso è spesso associato all’allontanamento degli spiriti maligni e il bianco alla purezza, rendendo la loro combinazione un simbolo di buona fortuna e purificazione, adatto al passaggio a un nuovo anno.

    Il kōhaku uta gassen si è evoluto nel corso degli anni, adattandosi ai cambiamenti nell’industria musicale e alle tendenze sociali. Sebbene le tradizionali divisioni di squadra basate sul genere siano state un elemento centrale, gli anni recenti hanno visto una maggiore flessibilità, con gruppi misti e performance speciali che trascendono le linee di squadra. Questa evoluzione assicura che il kōhaku rimanga rilevante e continui a risuonare con il pubblico di tutte le età.

    Mentre le famiglie di tutto il Giappone si riuniscono per guardare il kōhaku, partecipano a un’esperienza culturale condivisa, riflettendo sull’anno passato e guardando al futuro, il tutto accompagnato dalla colonna sonora della musica più amata del Giappone. È una testimonianza del potere della musica e della tradizione di unire le persone, rendendo il kōhaku uta gassen un modo davvero speciale per dare il benvenuto al nuovo anno.






  • Toshigami: il kami del nuovo anno in Giappone

    Toshigami: il kami del nuovo anno in Giappone

    Mentre l’anno volge al termine, molte culture in tutto il mondo si impegnano in tradizioni uniche per accogliere il nuovo anno. In Giappone, una figura centrale in queste celebrazioni è toshigami (年神), il kami, o spirito del nuovo anno. Più che una semplice figura simbolica, toshigami incarna le speranze di prosperità, salute e felicità per l’anno a venire, profondamente intrecciate con la venerazione degli antenati e il mondo naturale. Questo articolo approfondisce le ricche tradizioni legate al toshigami, esplorandone le origini, il significato e la rilevanza nel Giappone moderno.

    Si crede che toshigami, noto anche come shōgatsu-sama (正月様) o toshitokujin (歳徳神), discenda dalle montagne il giorno di Capodanno, portando benedizioni a ogni famiglia. Questa discesa collega toshigami agli spiriti degli antenati che, secondo antiche credenze, divennero divinità dei campi e delle montagne dopo la morte. Durante il nuovo anno, questi spiriti ancestrali ritornano sotto forma di toshigami per vegliare sui loro discendenti e donare buona fortuna.

    Il nome stesso offre una comprensione del suo significato. Il termine “toshi” in toshigami è collegato al termine “minori” (稔り), che fa riferimento ai frutti del raccolto. Si narra che accogliere toshigami protegga il raccolto dell’anno e porti prosperità in generale. Un tempo, “Minori” evocava l’immagine di ricchi raccolti di cereali, ma oggi il suo significato si estende anche alla fortuna di un reddito sicuro, che garantisce il sostentamento della famiglia durante l’anno.

    Kami” (神) significa semplicemente dio o spirito. Pertanto, toshigami può essere inteso come il “Dio dell’Anno del Raccolto” o lo “Spirito dell’Anno Abbondante”. Questa etimologia sottolinea il ruolo della divinità nel garantire prosperità e sostentamento.

    Questo profondo legame con gli antenati spiega il rispetto e la riverenza tributati a toshigami. Le famiglie si preparano all’arrivo di questa importante divinità attraverso varie usanze e tradizioni, trasformando le loro case in spazi accoglienti. Questa tradizione è radicata nella credenza shintoista della venerazione degli antenati, dove si ritiene che gli spiriti dei familiari defunti continuino a influenzare la vita dei vivi. Accogliendo toshigami, le famiglie non solo celebrano l’inizio di un nuovo anno, ma onorano anche il loro lignaggio e cercano la loro continua protezione e guida.

    Diversi elementi chiave caratterizzano i preparativi per l’accoglienza di Toshigami durante lo shōgatsu:

    Queste elaborate decorazioni, composte da pino, bambù e talvolta rami di prugno, vengono collocate all’ingresso delle case. Il pino (matsu) rappresenta la longevità, il bambù (take) simboleggia la resilienza e il prugno (ume) significa perseveranza. Insieme, sono un faro di benvenuto per toshigami, fungendo da dimora temporanea per la divinità.

    Kadomatsu

    Queste decorazioni tradizionali, veri e propri portali simbolici, sono composte principalmente da bambù tagliato diagonalmente e rami di pino, a cui spesso si aggiungono rami di prugno o felci, arricchendo ulteriormente il loro significato.

    Come due guardiani all’ingresso, i kadomatsu si ergono in coppia, uno su ciascun lato della porta principale, invitando il toshigami, la divinità dell’anno nuovo, a entrare e portare le sue benedizioni tra le mura domestiche.

    La tradizione vuole che i kadomatsu esposti siano almeno della stessa grandezza di quelli dell’anno precedente, se non addirittura maggiori. Si pensa infatti che utilizzare decorazioni più piccole presagisca un declino della fortuna, un’ombra che nessuno desidera proiettare sul nuovo inizio.

    Ma qual è il significato di quel taglio obliquo che caratterizza il bambù?

    La storia narra che questa usanza risalga all’epoca di Tokugawa Ieyasu. Una teoria, avvolta da un alone di leggenda, suggerisce che il taglio diagonale fosse un monito, un perenne ricordo della sconfitta subita contro Takeda Shingen nella famosa battaglia di Mitakagahara, un invito costante alla cautela e alla vigilanza. Tuttavia, oggi, questa interpretazione è quasi del tutto scomparsa.

    Il taglio angolato, invece, è visto come un sorriso beneaugurante, un simbolo di gioia che attrae buona fortuna, felicità e prosperità per l’anno che comincia. Così, i kadomatsu, con il loro sorriso di bambù e il profumo di pino, diventano non solo decorazioni, ma veri e propri custodi della buona sorte, pronti ad accogliere il nuovo anno con ottimismo e speranza.

    Corde di paglia sacre, spesso adornate con strisce di carta bianca dette shide, vengono appese sopra le porte. Queste corde, chiamate shimekazari, hanno un duplice scopo: allontanare gli spiriti maligni e creare uno spazio purificato in cui toshigami possa entrare. Segnano il confine tra il sacro e il profano, garantendo un ambiente pulito e di buon auspicio per l’arrivo della divinità.

    Shimekazari sulla porta di ingresso

    Queste torte di riso rotonde e piatte, spesso impilate su due livelli, vengono offerte a toshigami. La forma rotonda simboleggia lo specchio (kagami), che rappresenta l’anima della divinità. I due livelli possono rappresentare l’anno passato e quello che arriva o il sole e la luna. Dopo un determinato periodo, il kagami-mochi viene rotto e mangiato in un rituale chiamato kagami biraki (鏡開き), che simboleggia la condivisione del potere e delle benedizioni della divinità tra i componenti della famiglia.

    Questa tipica cucina di Capodanno consiste in piatti splendidamente disposti e simbolicamente significativi. Ogni piatto porta con sé un significato specifico, come buona salute, prosperità o felicità. Questi piatti vengono condivisi con la famiglia e offerti al toshigami. La presentazione intricata e gli ingredienti simbolici dell’osechi ryori riflettono l’importanza di questa tradizione nell’accogliere il nuovo anno e onorare Toshigami.

    Osechi ryori

    Toshigami rappresenta più di una singola divinità; incarna le speranze e i desideri collettivi per il futuro. Le tradizioni che circondano toshigami servono a rafforzare i legami familiari, rafforzare i valori culturali e connettere le persone alle loro radici ancestrali e al mondo naturale. Accogliendolo, le famiglie esprimono la loro gratitudine per l’anno passato e le loro speranze per un nuovo anno prospero e appagante.

    Toshigami è anche strettamente legato al concetto di ehō (恵方), la direzione fortunata dell’anno. Il toshitokujin (歳徳神), spesso identificato con toshigami, risiede in questa direzione e si ritiene che compiere azioni rivolti in questa direzione porti fortuna. Questa connessione sottolinea ulteriormente l’importanza del toshigami nel portare benessere e prosperità generale. Per il 2025, l’ehō è ovest-sud-ovest leggermente ovest (in giapponese sei-nan-sei 西南西, yaya-seihō やや西方), una direzione da tenere a mente durante le celebrazioni.

    Nel mondo odierno in rapida evoluzione, le tradizioni che circondano il toshigami offrono un prezioso legame con il passato, ricordandoci l’importanza della famiglia, della comunità e del rispetto per il mondo naturale. Mentre alcuni dei preparativi più elaborati potrebbero essere semplificati o adattati nelle case moderne, i valori fondamentali di accogliere la buona fortuna e onorare gli antenati rimangono.

    Per le giovani generazioni, queste tradizioni possono offrire un senso di identità culturale e di connessione con il loro patrimonio. Anche se il Giappone abbraccia la modernità, lo spirito del toshigami continua a ispirare speranza e rinnovamento, ricordandoci il potere duraturo della tradizione e l’importanza di guardare al futuro con ottimismo.

  • Shimekazari: una decorazione giapponese per un felice anno nuovo

    Shimekazari: una decorazione giapponese per un felice anno nuovo

    Mentre l’aria frizzante dell’inverno annuncia l’arrivo di un nuovo anno, il Giappone si prepara per un periodo di rinnovamento e speranza. Come abbiamo discusso nel nostro recente articolo del blog, il Capodanno in Giappone, o shōgatsu (正月), è un momento in cui le famiglie si riuniscono, gustano cibi speciali come l’osechi-ryori (お節料理) e visitano santuari e templi per l’hatsumōde (初詣), la prima visita al santuario dell’anno. Tra queste tradizioni, un simbolo onnipresente spicca: le shimekazari (しめ飾り), una decorazione di corda sacra appesa sopra gli ingressi per allontanare il male e invitare la buona fortuna.

    Shimekazari tradizionale appeso all’ingresso di una casa giapponese durante il Capodanno

    Essenza delle shimekazari: significato e origini

    Un simbolo di sacralità

    Il termine shimekazari racchiude un profondo significato simbolico. “Shime” (しめ) si riferisce a una corda o un cordone che delimita uno spazio sacro, separandolo dal profano. Questo concetto è strettamente legato alle shimenawa (注連縄), le spesse corde di paglia di riso utilizzate nei rituali shintoisti per delimitare aree sacre come santuari e oggetti di culto. “Kazari” (飾り) significa semplicemente decorazione. Pertanto, shimekazari si traduce letteralmente in “decorazione di corda sacra”, evidenziando il suo ruolo di confine purificato per l’anno nuovo. A differenza delle shimenawa, utilizzate in contesti più ampi, le shimekazari sono specificamente legate alle celebrazioni del Capodanno, assumendo forme più elaborate e simboliche

    Foto dell’ autore: shimenawa presso un santuario locale

    Radici mitologiche e tradizioni shintoiste

    Le origini delle shimekazari affondano nelle antiche credenze shintoiste. Le corde, soprattutto quelle di paglia di riso, erano utilizzate per tracciare confini sacri, proteggendo gli spazi rituali dalle impurità nota come kegare (穢れ). Il kegare rappresentava uno stato di contaminazione rituale associato a eventi come la morte e la malattia, considerati perturbatori dell’ordine naturale e portatori di sfortuna. Le shimekazari fungono quindi da barriera protettiva contro il kegare, purificando lo spazio domestico. Questa pratica trae ispirazione dal mito di Amaterasu, la dea del sole, che si ritirò in una grotta, avvolgendo il mondo nell’oscurità. Al suo ritorno, gli altri dei sigillarono l’ingresso della grotta con una corda sacra, impedendole di tornare indietro. Questo mito consacrò la corda come simbolo di purificazione e protezione. Durante il periodo Heian (794-1185), l’uso delle shimekazari per accogliere il Toshigami (年神), la divinità del Capodanno, e garantire prosperità divenne una consuetudine diffusa.

    Il significato simbolico delle shimekazari

    Duplice ruolo: purificazione e buon auspicio

    Le shimekazari svolgono una duplice funzione: purificano la casa e invocano la buona fortuna. Appendendole all’ingresso, le famiglie creano uno spazio sacro, accogliendo il toshigami e allontanando gli spiriti maligni e la sfortuna. Le decorazioni sono arricchite da simboli di buon auspicio, tra cui:

    • Daidai (橙): un tipo di arancia dal gusto amarognolo che simboleggia la continuità familiare e la prosperità per le generazioni future.
    • Urajiro (裏白): una felce con la parte inferiore bianca rappresenta la purezza e un cuore sincero.
    • Yuzuriha (譲葉): un albero sempreverde le cui vecchie foglie non cadono finché non ne crescono di nuove, simboleggia la continuità delle generazioni.

    Quando e come esporre le shimekazari

    Periodo propizio per esporre la decorazione

    Tradizionalmente, il 13 dicembre, giorno conosciuto anche con il nome di “shōgatsu koto hajime” (正月事始め) o susuharai (煤払い), segna l’inizio dei preparativi per il nuovo anno e il momento in cui si può iniziare ad appendere le shimekazari. Molti giapponesi scelgono di decorare dopo il 25 dicembre, per godere appieno delle decorazioni natalizie. Il 28 dicembre è considerato particolarmente fortunato, poiché il numero “otto” (八) è associato al concetto di suehirogari (末広がり), la prosperità crescente.

    Date da evitare

    Tuttavia, sebbene si dica che sia possibile iniziare a decorare in qualsiasi momento dopo il 13 dicembre, ci sono alcune date che vengono spesso evitate perché considerate sfortunate. Queste sono il 29 e il 31 dicembre.

    È consuetudine evitare il 29 dicembre, poiché la lettura del numero “29” (nijūku, 二十九) ricorda l’omofono nijūku, (二重苦) che letteralmente significa “doppia sofferenza”, e il 31 dicembre, poiché decorare all’ultimo momento è chiamato “ichiya-kazari” (一夜飾り, decorazione di una notte), che è associato alle preparazioni dei riti funebri che normalmente avvengono la sera precedente.

    Shimekazari oggi: tra tradizione e modernità

    Sebbene le credenze tradizionali, inclusa la forte enfasi sul kegare, possano essere diminuite un po’ tra le giovani generazioni, le shimekazari rimangono una visione comune durante il periodo del Capodanno. Nel Giappone contemporaneo, il concetto di kegare è meno rigorosamente osservato, soprattutto negli ambienti urbani. Le giovani generazioni spesso considerano le shimekazari più come una tradizione culturale e un simbolo di buona fortuna piuttosto che una diretta protezione contro l’impurità rituale. Molte famiglie, anche nelle aree urbane, le appendono ancora sopra le loro porte come tradizione culturale, un modo per connettersi con la loro eredità ed esprimere speranza per un buon anno.

    Oggi, troverete una varietà di shimekazari, dai design semplici e tradizionali a creazioni più moderne ed elaborate. Alcuni incorporano persino elementi contemporanei pur mantenendo il simbolismo di base. Questa adattabilità assicura che le shimekazari continuino a svolgere un ruolo nelle celebrazioni del Capodanno giapponese, collegando il passato e il presente.

    Le shimekazari sono più che semplici decorazioni; sono legami tangibili con la ricca storia e le credenze spirituali del Giappone. Come simbolo di purificazione, protezione e buona fortuna, incarnano le speranze e le aspirazioni del popolo giapponese mentre accoglie ogni nuovo anno.





  • Shōgatsu

    Shōgatsu

    Il Capodanno giapponese

    Il Giappone è un paese dove il passaggio al nuovo anno non è solo una notte di festeggiamenti, ma un periodo sacro di rinnovamento spirituale e familiare, ricamato nel tessuto stesso della sua cultura. Questo è lo shōgatsu (正月), il Capodanno giapponese, la festività più importante dell’anno. A differenza dell’enfasi occidentale sulle feste di Capodanno, in Giappone l’attenzione si concentra sui primi giorni del nuovo anno, ricchi di usanze tradizionali e visite a templi e santuari. Questo periodo è profondamente radicato nella cultura giapponese, fondendo credenze shintoiste e buddiste con antiche usanze.

    Etimologia

    Il termine giapponese per Capodanno, shōgatsu, offre uno sguardo al significato centrale della festività. È composto da due kanji:

    正 (shō): Questo carattere significa “corretto”, “giusto”, “principale”. Implica l’idea di rettificare o mettere le cose a posto, segnando un nuovo inizio.

    月 (gatsu): Questo carattere significa semplicemente “mese” o “luna”. Pertanto, shōgatsu si traduce letteralmente in “mese principale”, che significa l’inizio dell’anno e il mese più importante. Questa etimologia evidenzia il significato del Capodanno come momento di rinnovamento e di definizione del tono per l’anno a venire.

    Origini Storiche

    La celebrazione del Capodanno in Giappone ha una lunga storia, influenzata dai cicli agricoli e da antiche credenze. Sebbene sia difficile stabilire con precisione le sue origini, le prime testimonianze di rituali legati al Capodanno risalgono a molti secoli fa, con chiare influenze dalle tradizioni cinesi.

    Le origini del Capodanno in Giappone

    Prima dell’era Meiji (1868-1912), il Giappone utilizzava un calendario lunisolare basato sul calendario cinese. Di conseguenza, il Capodanno giapponese era celebrato in concomitanza con il Capodanno cinese, coreano e vietnamita, generalmente tra fine gennaio e inizio febbraio, a seconda delle fasi lunari. Questo periodo era profondamente legato all’agricoltura, segnando un momento cruciale per le comunità rurali: un momento per pregare per un raccolto abbondante e prosperità nell’anno a venire.

    I rituali di purificazione e di buon auspicio erano quindi strettamente connessi al ciclo delle stagioni e alla vita agricola. Questo periodo di festività non si limitava a un singolo giorno, ma si estendeva per diverse settimane, con una serie di cerimonie e pratiche che culminavano con il koshōgatsu (小正月), letteralmente “Piccolo Capodanno”, celebrato intorno al 15 gennaio del calendario lunare.

    Il koshōgatsu segnava la fine delle celebrazioni principali e aveva un’enfasi particolare sulla preghiera per un buon raccolto e sulla preparazione dei campi per la nuova stagione agricola.

    La riforma Meiji e il calendario gregoriano

    Una svolta significativa avvenne durante la Restaurazione Meiji, un periodo di rapida modernizzazione e occidentalizzazione del Giappone. Nel 1873, il governo decise di adottare il calendario gregoriano, il calendario solare utilizzato in Occidente. Questa decisione ebbe un impatto diretto sulla data del Capodanno, che fu ufficialmente spostata al 1° gennaio. Le motivazioni dietro questo cambiamento furono principalmente di natura pratica ed economica.

    L’adozione del calendario gregoriano era vista come un passo necessario per allineare il Giappone con le potenze occidentali, facilitando il commercio, le relazioni internazionali e l’amministrazione pubblica. Mantenere un calendario diverso avrebbe creato difficoltà nelle transazioni commerciali e nella comunicazione con il resto del mondo.

    Conseguenze e persistenza delle tradizioni

    Nonostante il cambio di data, molte tradizioni e usanze legate al Capodanno pre-Meiji sono state conservate e continuano a essere praticate ancora oggi. Questo dimostra la profonda radicazione culturale di questa festività nella società giapponese. Sebbene la data sia stata uniformata al calendario occidentale, lo spirito e il significato dello shōgatsu come momento di rinnovamento, di unione familiare e di buon auspicio per il futuro sono rimasti intatti.

    Oggi, il Giappone celebra il Capodanno il 1° gennaio, ma le tracce del suo passato lunisolare sono ancora visibili in alcune pratiche e festività regionali, specialmente nelle zone rurali e nelle isole di Okinawa, dove in alcune comunità si continua a celebrare il Capodanno secondo il calendario lunare tradizionale.

    Shintoismo e buddismo

    Shōgatsu è profondamente intrecciato con le credenze sia shintoiste che buddiste, conferendogli una forte connotazione religiosa in Giappone. Lo Shintoismo, la religione indigena del Giappone, enfatizza la connessione con la natura e gli spiriti ancestrali (kami). Durante lo shōgatsu, le persone visitano i santuari shintoisti (jinja) per rendere omaggio ai kami, pregare per buona fortuna (hatsumōde) e ricevere benedizioni. Possono anche acquistare omamori (amuleti) per protezione e buona sorte. Il concetto di purificazione è centrale nello Shintoismo e il Capodanno è visto come un momento per purificarsi dal kegare, ovvero dalle impurità dell’anno precedente.

    Anche i templi buddisti svolgono un ruolo nelle celebrazioni del Capodanno. Alla vigilia di Capodanno, molti templi suonano le loro campane 108 volte (joya no kane) per simboleggiare i 108 desideri terreni nella credenza buddista. Questo rituale ha lo scopo di purificare le menti delle persone e prepararle per il nuovo anno. La fusione di queste due religioni ha creato un paesaggio culturale unico in Giappone, dove molte persone partecipano sia alle pratiche shintoiste che a quelle buddiste, specialmente durante eventi importanti come shōgatsu.

    Preparativi e Celebrazioni dello Shōgatsu

    I preparativi per lo shōgatsu iniziano con largo anticipo, con le famiglie che puliscono le loro case (susuharai) per spazzare via simbolicamente le sfortune dell’anno vecchio. Altri preparativi comuni includono:

    Kadomatsu (門松): decorazioni di pino e bambù poste all’ingresso delle case per accogliere il toshigami, divinità del nuovo anno.

    Shimekazari (注連飾り): corde di paglia sacre usate per allontanare gli spiriti maligni e segnare spazi sacri.

    Mochi (餅) e kagami-mochi (鏡餅): torte di riso, spesso pestate e preparate in vari modi, sono una parte essenziale delle celebrazioni di Capodanno. Il kagami-mochi, in particolare, è una decorazione composta da due dischi di mochi sovrapposti, con un’arancia daidai in cima.

    Osechi ryōri (おせち料理): un elemento imprescindibile del Capodanno giapponese, consiste in una serie di piatti speciali, ognuno con un preciso significato simbolico, disposti con cura in eleganti scatole laccate chiamate jūbako. Questi piatti non sono solo deliziosi, ma rappresentano anche un augurio di salute, prosperità e felicità per il nuovo anno. Ad esempio, il kuromame (黒豆), fagioli neri dolciastri, simboleggiano la buona salute, mentre il kazunoko (数の子), uova di aringa, auspicano fertilità e abbondanza di figli. Il tazukuri (田作り), piccole sardine essiccate e candite, erano tradizionalmente usate per fertilizzare i campi di riso e quindi simboleggiano un buon raccolto.

    Il periodo del Capodanno stesso viene tipicamente trascorso con la famiglia. Le attività comuni includono: hatsumōde, la prima visita a un santuario o tempio dell’anno; otoshidama, dare denaro in buste decorate ai bambini; giocare a giochi tradizionali, come karuta (giochi di carte) e hanetsuki (volano giapponese); guardare la prima alba dell’anno (hatsuhinode), che simboleggia nuovi inizi e speranza.

    Le famose cartoline di Capodanno, nengajō, vengono inviate ad amici e familiari, in modo simile ai biglietti di auguri occidentali. Queste cartoline spesso presentano immagini dell’animale zodiacale dell’anno successivo.

    Tradizionalmente, si crede che il contenuto del primo sogno del nuovo anno, hatsuyume, predica la propria fortuna per l’anno a venire. Un sogno particolarmente di buon auspicio si dice che includa il Monte Fuji, un falco o una melanzana. Lo zodiaco giapponese, basato sullo zodiaco cinese, assegna un animale a ogni anno in un ciclo di 12 anni. Questi animali sono spesso presenti su nengajō e altre decorazioni di Capodanno. Conoscere l’animale dell’anno corrente è una parte importante dell’alfabetizzazione culturale giapponese.

    Un aspetto significativo dello shōgatsu è il ritorno alla propria città natale per visitare i parenti, in giapponese si usa il termine kitaku (帰宅). Questa usanza rafforza i legami familiari e consente alle giovani generazioni di connettersi con le proprie radici.

    Shōgatsu è più di un semplice cambio di calendario; è un momento di profondo significato culturale e spirituale in Giappone. È un periodo di riflessione, rinnovamento e speranza per il futuro, profondamente radicato nella storia e nelle tradizioni religiose del paese. Offre una visione unica dei valori e delle usanze giapponesi, rendendola un’esperienza culturale affascinante.

  • Setsubun

    Setsubun

    Il termine setsubun [節分], letteralmente “divisione stagionale”, indica il giorno che precede l’inizio della primavera secondo il vecchio calendario lunare giapponese. Durante questa celebrazione, vengono eseguiti rituali per allontanare gli spiriti maligni e accogliere la buona fortuna.

    I riti variano da regione a regione, ma uno dei rituali più conosciuto è il mamemaki [豆撒き, “lanciare i fagioli”). Durante questo rituale, le persone lanciano fagioli di soia arrostiti, conosciuti anche come fukumame [福豆, “fagioli della fortuna”], all’interno delle loro case o dei santuari mentre gridano “Oni wa soto! Fuku wa uchi!” [鬼は外!福は内!, “Fuori i demoni! Dentro la fortuna!”]. Un membro della famiglia indosserà una maschera da oni (鬼, “demone o orco”) mentre il resto della famiglia gli lancia contro i fagioli. Successivamente, ogni individuo mangerà il numero di fagioli corrispondente alla propria età.

    Che cos’è il setsubun?


    Il setsubun [節分] indica la divisione di due stagioni: inverno e primavera. Secondo il calendario luni-solare che un tempo era ufficialmente usato in Giappone, con setsubun ci si riferisce alla fine dell’inverno, che celebra anche l’arrivo della primavera, giorno che in giapponese é conosciuto come risshun [立春].

    Fonte: Wikipedia

    Considerando i nijūshi-sekki [二十四節気, “i ventiquattro termini solari”] del tradizionale calendario luni-solare giapponese, il giorno del risshun segna l’inizio del nuovo anno, mentre setsubun è simile alla vigilia di Capodanno [大晦日, Ōmisoka]. Poiché le date del vecchio calendario lunare erano prossime e talvolta si sovrapponevano, fino al periodo Edo, entrambe erano considerate come il giorno conclusivo dell’anno.

    Può sembrare strano poiché Febbraio fa ancora freddo e generalmente é considerato parte della stagione invernale. Ma in Giappone si dice che passato il risshun, il tempo diventerà più mite.

    Tecnicamente al giorno d’oggi, l’inizio della primavera è determinato dall’istante in cui la longitudine eclittica del sole raggiunge i 315 gradi, secondo le osservazioni del Kokuritsu-tenmon-dai [国立天文台,”l’ Osservatorio Astronomico Nazionale”]. Se l’inizio della primavera cambia, anche il giorno del setsubun cambia si conseguenza.


    Si crede che, come altre tradizioni giapponesi, anche il setsubun sia stato introdotto dalla Cina durante il Periodo Heian [794-1185] ma, come riportato su documenti storici, solamente durante il Periodo Muromachi [1336-1573] si iniziarono a lanciare fagioli per scacciare i demoni che rappresentano gli spiriti portatori di catastrofi ed eventi tragici.

    Il lancio dei fagioli rimane una delle parti più importanti dell’evento ancora oggi. Essendo uno dei gokoku [五穀, “cinque grani”], i mame erano considerati un alimento base essenziale per la sopravvivenza e, si credeva avessero il potere sacro, come il riso, di cacciare gli spiriti maligni.

    L’ oni-yarai [鬼やらい] e il setsubun [節分] erano originariamente due rituali diversi.

    Si ritiene che il tsuinai [追儺], considerato il precursore dello oni-yarai, sia stato introdotto dalla Cina basandosi sull’usanza conosciuta come daina [大儺]. Come riportato nello Shoku nihongi [続日本紀, opera che raccoglie tutte le decisioni prese dalla corte imperiale nel periodo temporale che va dal 697 d.c. al 701 d.c] il tsuina è stato celebrato in Giappone fin dal periodo Asuka [飛鳥時代, 706 d.C.].

    In origine questo evento si svolgeva la notte di capodanno (secondo il calendario lunare) per scacciare le malattie e le epidemie. Originariamente, un sacerdote chiamato hōsōshi (方相氏), vestito da divinità, scacciava gli spiriti maligni invisibili. Ma alla fine del periodo Heian, l’hōsōshi, che fino ad allora aveva cacciato gli spiriti, fu invece raffigurato come un demone e cacciato a sua volta dai cortigiani.

    Questo rituale diventò un evento di corte durante il quale i nobili di alto rango, chiamati tenjōbito [殿上人], armati di momo no yumi [桃の弓, archi fatti con legno di ciliegio] e frecce di canna, inseguivano e cacciavano i servitori travestiti da demoni urlando e suonando tamburi.

    L’oni-yarai, nelle corti imperiali, è gradualmente caduto in disuso, ma è stato tramandato e adattato dalle varie strutture religiose locali in tutto il paese, diffondendosi anche tra la popolazione comune.

    Per quanto riguarda il setsubun si trovano riferimenti a questo rituale all’interno dei diari dei nobili di periodo Heian. Durante il setsubun in quel periodo, si svolgevano delle cerimonie buddiste con l’obiettivo di proteggere dalle catastrofi e ottenere longevità anziché respingere i demoni o il male.

    Come detto in precedenza, solamente dal periodo Muromachi in poi si trovano riscontri del lancio di fagioli per scacciare i demoni ma non è stato possibile datare precisamente il momento di inizio di questa tradizione. Le fonti riportano invece che tale usanza non era più solo relegata agli ambienti di corte o dei samurai, ma si diffuse velocemente anche tra la popolazione.

    Sebbene tsuinai e setsubun fossero originariamente eventi separati, durante il periodo Edo sono diventati strettamente collegati. Originariamente in Giappone si praticava anche un rituale chiamato sangū [散供], che consisteva nel spargere granaglie per purificare e benedire il terreno. Ancora oggi si può assistere scene a questo genere di rituale, chiamato sanmai [散米], all’interno dei santuari dove viene spesso sparsi il riso come atto purificativo.

    Anche il mame-maki, [豆まき], il lancio dei fagioli che vedremo in seguito, ha due significati: scacciare i demoni e donare grazia, tranquillità mangando i fagioli. In passato si credeva che i cereali avessero poteri spirituali e che il luogo seminato fosse purificato e sacro. Questo è il motivo per cui dicendo “Fuku wa uchi“, si lanciano fagioli anche all’interno delle case.


    人間の心にある煩悩の象徴

    Ningen no kokoro ni aru bonnō noshōchō

    Il simbolo dei desideri rinchiusi nel cuore degli esseri umani


    La pratica di lanciare i fagioli contro gli oni trova le sue radici nei principi del Buddismo.

    Gli oni sono considerati come “il simbolo dei desideri rinchiusi nel cuore degli esseri umani”. Esistono cinque tipi di oni, ognuno rappresentante un tipo di desiderio, identificati dai colori:

    Oni rosso: desideri, brama.
    Oni blu: odio, risentimento, rabbia, malizia.
    Oni verde: scarsa salute, sonnolenza, mancanza di motivazione e pigrizia.
    Oni nero: lamentele, comportamenti contraddittori.
    Oni giallo (bianco): rimpianti, dipendenza, egoismo, frivolezza.

    Fonte: X

    In passato, la popolazione attribuiva le calamità naturali e i fenomeni inspiegabili agli oni e, essendo questi più vicini alla vita quotidiana rispetto a quanto lo siano oggi, sembrava che i desideri umani fossero associati agli oni stessi.

    Il lancio dei mame contro gli oni, era un modo per scacciare i desideri umani negativi e iniziare il nuovo anno con uno spirito fresco e puro.

    In passato, il setsubun veniva spessp celebrato offrendo fagioli di soia arrostiti sull’altare domestico, chiamato kamidana [神棚], la notte prima del risshun. Tuttavia, ai giorni nostri, si è trasformato in un’occasione più gioiosa per le famiglie e le comunità. Durante il setsubun si cacciano gli spiriti maligni e si accoglie la buona sorte sia per sé che per la propria famiglia.

    Secondo il folclore giapponese, si crede che gli spiriti maligni siano particolarmente attivi durante i cambi di stagione, pertanto è importante allontanarli prima dell’arrivo della primavera.

    豆まき – Mame-maki – Lancio dei fagioli


    I daizu [大豆, “fagioli di soia”], non sono solamente molto diffuso in Giappone ma sono anche usati per celebrare rituali e tradizioni centenarie.

    Il mamemaki (豆まき), il lancio di fagioli di soia arrostiti, è un rituale che viene esclusivamente eseguito durante il setsubun. La tradizione vuole che si inizi dalla stanza che si trova più lontana dall’ingresso e che porte e finestre siano tenute aperte durante il lancio dei fagioli in modo che gli spiriti maligni possano uscire.

    Come scritto in precedenza, per coinvolgere anche i bambini in questa tradizione, si usa anche lanciare fagioli contro un membro della famiglia che per l’occasione si traveste da demone.

    鬼は外、福は内!

    Oni wa soto! Fuku wa uchi!

    Fuori i demoni! dentro la fortuna!

    La sfortuna è rappresentata da un volontario vestito da oni (鬼), spesso impersonato dal padre. Gli altri membri della famiglia lanciano fagioli di soia arrostiti contro di lui e lo scacciano fuori casa, al grido di “Oni wa soto! Fuku wa uchi!” (鬼は外、福は内), che significa “Fuori i demoni, dentro la fortuna!”.

    Nella tradizione folkloristica giapponese, gli oni sono visti come portatori di malattie, carestie e catastrofi naturali, per questo motivo la gente desidera tenerli lontani dalle proprie abitazioni. Quando i demoni vengono scacciati, si crede che con loro se ne vada anche la sfortuna accumulata durante l’anno, liberando la casa da influenze negative.

    Perché si usano i mame?


    Il processo di tostatura dei fagioli in giapponese è chiamato “mame wo iru” (豆を炒る). Questo termine ha un significato più profondo, poiché sfrutta le diverse letture dei kanji per indicare anche “sparare negli occhi ai demoni”, con “mame ni iru” (魔目に射る).

    La parola “mame” può essere scritta anche con il kanji per “demone” (魔), letto come “ma”, seguito dal kanji per “occhi” (目), letto come “me”. Anche se la forma del verbo “sparare” in giapponese è diversa, ha la stessa pronuncia di “tostare”.

    I fagioli di soia sono stati scelti per questo rituale poiché la pianta è considerata di buon auspicio e si ritiene che ospiti la divinità dei cereali. E, come detto in precedenza fatto parte dei gokoku, i cinque grani essenziali per la sopravvivenza.

    Il modo corretto per lanciare i mame


    Anche se esistono varie tradizioni a livello locale e familiare, di seguito descriverò come lo facciamo nella mia famiglia

    Preparare i fuku-mame

    Poiché i fuku-mame [福豆], “fagioli della fortuna”, sono considerati portatori di poteri spirituali, nei giorni che precedono il setsubun, li mettiamo come offerta sul kamidana. Normalmente il contenitore con i mame, detto masu [升], andrebbe posto sopra un apposito piedistallo detto sanpō [三方]. Nell’altare di casa mia (vedi foto) mia moglie non lo usa mai. Se non disponete di un altare, mettere la scatola in un luogo elevato va comunque bene.

    Se non si comprano in un negozio i mame vanno cotti perché il loro germogliare è considerato presagio di cattiva sorte. La maggior parte dei fagioli in commercio sono tostati, quindi non c’è motivo di preoccuparsi.

    夜 – Yoru – La notte

    Il mame-maki si svolge la notte perché si crede che questo sia il periodo di maggiore attività dei demoni. La tradizione racconta che i demoni fanno la loro apparizione durante l’ushi-tora no koku [丑寅の刻, “l’ora della bue e della tigre”], ovvero la mezzanotte. Normalmente con la mia famiglia lo facciamo sempre dopo cena. Anche i rituali pubblici presso i santuari ai svolgono prevalentemente durante l’ora di cena per permettere ai bambini si parteciparvi.

    Chi lancia i mame

    La tradizione vuole che spargere i mame sia un compito del capo famiglia. Tuttavia, poiché è considerato un evento familiare, normalmente si coinvolge tutta la famiglia.

    Volendo seguire la traduzione il capofamiglia può essere sostituito o coadiuvato solo dal toshi-otoko [年男] e dalla toshi-onna [年女]. Ovvero un componente della famiglia, uomo o donna, nato in un anno con lo stesso segno zodiacale cinese dell’anno corrente.

    Può spargere i mame anche un componente della famiglia che si trova in un’età considerata sfortunata. In giapponese esistono i cosiddetti yakudoshi [厄年, “anni sfavorevoli”], che sono età tradizionalmente ritenute sfortunate.

    Le età considerate più sfortunate sono 25, 42 e 61 anni per gli uomini, e 19, 33 e 37 anni per le donne.

    Oggigiorno durante il mame-maki, i padri normalmente assumono il ruolo di demoni, mentre moglie e figli gli lanciano contro i fagioli.

    Tuttavia, il vero significato del demone del setsubun è quello di rappresentare energie negative invisibili che possono causare malattie o disastri, quindi in realtà il ruolo del demone non è propriamente necessario.

    Poiché il rito del mame-maki ha subito cambiamenti nel tempo a cui vanno aggiunte le varianti regionali, non esistono regole assolute, ma ogni famiglia ha suo modo di festeggiare il setsubun.

    Da dove si inizia il mame-maki?

    Normalmente iniziamo dalla stanza più distante dal genkan [玄関], l’ingresso principale e procedendo verso di questo, apriamo tutte le porte e le finestre di ogni stanza lanciando i fuku-mame, e urlando “fuori i demoni”, “oni ha soto!” [鬼は外].

    Dopo aver sparso i mame all’interno della stanza chiudiamo subito le finestre per evitare che i demoni rientrino e poi volgendosi verso la porta diciamo “la fortuna è dentro” “fuku ha chi!” [福は内]. Ripetiamo questo procedimento per tutte le stanze della casa.

    Kazoe-doshi e toshi-tori mame: mangiare un numero di fuku-mame pari alla propria età, più uno

    Terminato il lancio dei fagioli, si prega per la salute e la protezione dell’anno a venire e si mangia un fagiolo per ogni anno vissuto, detto kazoedoshi [数え年), e poi uno in più per garantire fortuna per l’intero anno, in riferimento alla “fortuna dentro” del detto. Il mangiare in fagiolo in più come auspicio per il nuovo anno é conosciuto in Giappone come toshi-tori mame [年取り豆].

    Questa tradizione risalente al periodo Muromachi [室町時代, 1336-1573] si svolge ancora sia nelle case dei giapponesi sia presso santuari e templi di tutto il paese.

    恵方巻 – Ehō-maki – Maki della fortuna


    Ci sono altre tradizioni, che fanno parte della celebrazione e dell’osservanza del setsubun. Alcune di queste usanze sono locali, come la tradizione del Kansai di mangiare makizushi senza tagliarli noti come ehō-maki (“rotolo della direzione fortunata” 恵方巻) in silenzio, rivolti verso la direzione fortunata dell’anno, determinata dal simbolo dello zodiaco di quell’anno. Nonostante sia una tradizione nata e legata alla città di Ōsaka, si è recentemente diffusa in tutto il paese, in parte grazie alle iniziative di marketing dei supermercati e dei konbini.

    Ehō-maki è un tipo unico di maki che viene consumato solamente durante il setsubun. Si presenta relativamente più lungo e grande rispetto ai normali maki che si possono trovare normalmente nei ristoranti. In generale, è considerato auspicabile utilizzare sette ingredienti nella preparazione l’ehō-maki poiché il numero sette è associato alla fortuna e alle sette divinità della fortuna chiamati Shichifukujin (七福神).

    Quando si mangia l’ehō-maki, è necessario voltarsi verso la direzione che si ritiene porti fortuna durante l’anno. La direzione per il 2024 é “est-nord-un po’ ad est” [東北東やや東]. È anche importante espirme un desiderio con gli occhi chiusi mentre si mangia l’intero maki in una volta sola senza fermarsi.

    Ingredienti e il loro significato

    In commercio oggi si trovano ehō-maki per soddisfare tutti i gusti ma secondo la tradizione solo i seguenti sette ingredienti dovrebbe essere usati per preparare questo particolare maki.

    Kanpyō: sono lunghe striscie si zucca giapponese essiccate marinate nel dashi e nel mirin (una varietà di sake dolciastro). La forma lunga e sottile del kanpyō, è associata alla longevità [chōju-kigan, 長寿祈願] e alla felicità coniugale [en-musubi, 縁結び].

    Shiitake-ni: funghi shiitake cotti. La forma della cappella del fungo che ricorda gli jingasa [陣笠], i copricapo indossato in passato sai soldati, simboleggia la protezione del corpo.

    Tamagoyaki [卵焼き] / Datemaki [伊達巻]: il colore dorato del tamagoyaki simboleggia l’aumento della fortuna finanziaria, mentre la forma simile a un rotolo di pergamena del datemaki rappresenta l’aumento della cultura e conoscenza personale.

    Unagi: l’ anguilla simboleggia l’ascesa e il successo personale. Questo é ispirato dall’ unagi-nobori [うなぎ登り], ovvero la caratteristica di questi animali di nuotare vigorosamente verso monte, indipendentemente dalla forza della corrente.

    Sakura-denbu [桜田麩]: è un condimento di merluzzo stagionato di colore rosa. Sakura (桜) significa ciliegio in fiore, mentre denbu (田麩) si riferisce a scaglie di pesce bianco che vengono bollite, disidratate, condite e colorate di rosa grazie a coloranti alimentari.

    Il colore rosa ciliegia simbolico della primavera, rappresenta la felicità e la buona fortuna.

    Kyūri: il cetriolo. Dal nome giapponese “kyū no ri wo eru” [九の利を得る, ottenere i nove benefici] si ritiene porti fortuna.

    Renkon: i numerosi fori presenti sulla radice del fiore di loto sono considerati simbolo di grande capacità di percepire gli eventi futuri e viene utilizzato per auspicare un futuro luminoso.

    Fonte: foodie.co.jp

    柊鰯 – Hiiragi-iwashi


    Un’altra insolita usanza è appendere piccoli ornamenti fatti con teste di sardine e foglie di agrifoglio detti hiiragi- iwashi [柊鰯] sull’ingresso della propria casa per scacciare gli spiriti maligni.

    Questa tradizione si pensa sia iniziata durante il periodo Heian.

    L’agrifoglio [hiiragi] è considerato in grado di respingere gli spiriti maligni e spesso viene piantato sul limitare dei giardini delle case giapponesi. Si dice che le sue foglie spinose pungano gli occhi dei demoni.

    Per quanto riguarda le sardine [iwashi], si dice che il loro odore quando vengono arrostite allontani i demoni, oppure che li attiri per poi essere pungolati con l’agrifoglio. Nella parte occidnetale del Giappone, sono chiamate anche yaikagashi [焼嗅がし,letteralmente “odore di bruciato”].

    落花生 – Rakkasei – Le arachidi


    Un mio collega mi ha raccontato che nel Kyūshū, dove vivo, più precisamente nelle prefetture di Miyazaki e Kagoshima c’è l’usanza di usare le arachidi al posto dei mame.

    Controllando on-line ho scoperto che, secondo l’Associazione Nazionale delle Arachidi, questa pratica si diffuse intorno agli anni ’30 e ’40 del periodo Showa [昭和時代, 1926-1989]. Le ragioni sembrano essere legate alla praticità di raccoglierle e mangiarle in modo igienico (vista la presenza della buccia) oltre alla loro facilità di raccolta e alla loro grandezza.

    おかめ – Okame


    Quando si comprano i mame presso i negozi sono spesso accompagnati da un set di maschere. Una raffigurante un oni un altra raffigurante il volto di una donna, conosciuta con il nome di Okame.

    Okame è una maschera tradizionale giapponese caratterizzata da un viso tondo, un naso basso e arrotondato, e guance piene e prominenti.

    Okame [お亀/阿亀], che in giapponese significa “tartaruga”, animale simbolo di longevità questa maschera, é conosciuta anche con il nome, otafuku [お多福/阿多福] che letteralmente significa “molta buona fortuna”.

    Si ritiene che l’origine di questa maschera sia Ame no uzume no mikoto [天宇受売命], la divinità shintoista dell’alba, maestra di festeggiamenti, umorismo e della danza. Rappresenta un kami estremamente positivo e fu la sua ingegnosità che riportò Amaterasu, la dea del sole, nel mondo, salvando la terra dalla notte eterna. Una divinità popolare riconosciuta come protrettice delle arti performative.

    Okame e i demoni

    La relazione tra Okame e i demoni ha origine nelle storie del teatro tradizionale giapponese kyōgen [狂言]. Mentre la gente cerca di respingere i demoni con fagioli durante setsubun, i demoni diventano incontrollabili. A questo punto entra in scena l’Okame, che con sorriso e gentilezza convince i demoni a pentirsi. Questo dimostra quanto sia importante la presenza dell’Okame durante setsubun.

    Il Giappone è patria di molte tradizioni tramandate nei secoli che riflettono l’ottimismo di questo Paese riguardo alle celebrazioni del nuovo anno, le sue opportunità e le sue sfide.

  • 小正月 Koshōgatsu

    小正月 Koshōgatsu

    Koshōgatsu: definizione ed origini


    Il Capodanno in Giappone é considerato il periodo dell’anno più importante e tutti i riti ad esso connessi sono distribuiti nell’arco temporale di quattro settimane.

    In un post precedente abbiamo già parlato dello Oshōgatsu (大正月) descrivendone i riti distintivi. In questo parleremo invece delle sue origini, parlando del koshōgatsu (小正月), il “piccolo Capodanno”.

    Shōgatsu e koshōgatsu

    Il termine shōgatsu, è composto dal kanji, 正, che significa “corretto”, “originale”, e dal kanji per luna, 月. Il termine significa letteralmente “il mese principale”. Il temine koshōgatsu invece, è composto da il kanji 小, che significa “piccolo”. Per opposizione, il nuovo anno può essere anche chiamato “grande” con il kanji per grande, 大, e sarà letto come “Oshōgatsu“.

    Mentre durante lo Oshōgatsu le persone pregano per la fortuna e la felicità personale e delle loro famiglie, le celebrazioni del koshōgatsu sono sempre state più legate al mondo agricolo.

    Durante il koshōgatsu, in un modo che ricorda l’ hatsumōde (初詣, la prima visita al tempio/santuario), le persone visitano i santuari locali, fanno offerte agli antenati e conducono anche riti riconducibili alla fertilità.

    Tradizioni e calendario

    I riti del Capodanno giapponese sono legati a tradizioni antiche che nel corso del tempo sono mutate adattandosi all’introduzione di nuovi calendari. A partire da quello luni-solare di provenienza cinese e in seguito quello gregoriano.

    Il Giappone ha formalmente adottato il calendario gregoriano durante la Restaurazione Meiji, e dal 1873, il Capodanno si festeggia il 1° Gennaio. Secondo il kyūreki (旧暦), il precendente calendario luni-solare e condivideva il giorno del Capodanno si festeggiava nel mese di Febbraio come accade ancora in altri paese dell’Asia orientale come Cina, Corea e Vietnam.

    Koshōgatsu e matsu no uchi

    Secondo la tradizione i preparativi dello Oshōgatsu cominciavano il 13 Dicembre per concludersi il 15 Gennaio, giorno in cui si festeggia il koshōgatsu che, fino al periodo Edo (1603-1868), era conosciuto con il nome di matsu no uchi (松の内) letteralmente “periodo del pino”. Questo nome è legato alla tradizione giapponese di esporre i kadomatsu agli ingressi di abitazioni ed imprese commerciali. Oggi con questo termine si va rifermento soltanto ai primi 7 giorni dell’anno nuovo.
    Con l’adozione del calendario gregoriano, il Capodanno si celebra ufficialmente il 1 Gennaio con il nome di Oshōgatsu (大正月). Sono considerati festivi anche i giorni precedenti 29-30-31 Dicembre e i primi 3 giorni di Gennaio, conosciuti come shōgatsu sanganichi (正月三が日). Qui in Giappone si fa riferimento a questo periodo chiamandolo normalmente nenmatsu nenshi (年末年始), letteralmente “fine anno, inizio anno”.

    Otoko-shōgatsu ed onna-shōgatsu

    Mentre il 1° Gennaio viene chiamato anche otoko-shōgatsu (男正月, Capodanno degli uomini), il 15 Gennaio è conosciuto anche come il Capodanno delle donne, onna-shōgatsu (女正月). In passato, in questo giorno, le le donne potevano finalmente rilassarsi, dopo essere state impegnate nei preparativi e nell’intrattenimento dei parenti durante il periodo di Capodanno, vivendo appieno lo spirito del nuovo anno.

    In alcune regioni, è consuetudine che gli uomini svolgano tutte le faccende domestiche durante il Piccolo Capodanno, in modo che le donne possano riposare. Mia moglie per esempio organizza ogni anno con le sue amiche il shinnenkai (新年会) proprio in questo giorno. Durante gli shinnenkai i giapponesi si ritrovano assieme, normalmente in un izakaya, per festeggiare e condividere le loro aspirazioni per il nuovo anno.

    Toshigami, la divinità dell’anno

    Fulcro delle celebrazioni del koshōgatsu é il Toshigami-sama. Comunemente associato al ta no kami (田の神) la divinità della montagna che scende nelle risaie durante la primavera.

    I preparativi e le decorazioni per accogliere questa divinità vanno ultimati entro il 28 Dicembre, giorno conosciuto come goyō-osame (御用納め), ovvero l’ultimo giorno lavorativo dell’anno. Molte famiglie si preparano ad accogliere il toshigami pulendo e decorando i kamidana (神棚, gli altari dedicati ai kami) ed esponendo i kadomatsu, le shimenawa (しめ縄), le shimekazari (しめ飾り), i kagami-mochi (鏡餅), i mochi-bana (餅花) o mayudama (繭玉).

    L’azuki-gayu

    La mattina del koshōgatsu, in molte famiglie giapponesi si consuma un porridge di riso al quale vengono aggiunti i fagioli rossi azuki conosciuto come azuki-gayu (小豆粥) o jūgonichi-gayu (十五日粥), “porridge del quindicesimo giorno”.

    Perché si mangia l’azuki-gayu?

    Questa usanza trova le sue origini nell’antica Cina quando si credeva che il cibo di colore rosso, come i fagioli azuki, aiutasse a purificare il corpo dagli spiriti maligni. L’azuki-gayu viene consumato come augurio di buona salute.

    Kayuura

    Il kayu-ura (粥占), conosciuto anche come mi-kayu-ura (神粥占) o toshi-ura (年占) è un rituale di divinazione scintoista per il nuovo anno che prevede appunto l’utilizzo del kayu (porridge di riso) o degli azuki.

    Fonte: Mainichi-shinbun

    Tradizionalmente eseguito il 15° giorno del primo mese lunare, in seguito all’ adozione del calendario gregoriano è convenzionalmente eseguito il 15 Gennaio.
    Lo scopo del kayu-ura è predire il tempo atmosferico, il raccolto ed altri aspetti dell’anno nuovo. Una pratica diffusa in quasi tutto il Giappone consiste nel mescolare il kayu con il kayu-bashi (粥箸), un bastoncino di salice o bambù dotato di una fessura su un’estremità. La divinazione viene fatta in base al numero di chicchi di riso che rimangono attaccati nella fessura del bastoncino.

    Un altro metodo, consiste nel mettere dodici sottili cilindri di bambù detti take-tsutsu (竹筒), assieme al riso o ai fagioli azuki in una pentola e rimuoverli a fine cottura. Dopo aver tagliato in due ogni cilindro, il raccolto di quell’anno sarà determinato dal numero di chicchi di riso o di fagioli rimasti all’interno dei cilindri. I dodici cilindri di bambù rappresentano i mesi dell’anno.

    Fonte: Mainichi-shinbun

    Si crede che l’utilizzo del kayu derivi dalla credenza leagta al suo potere di esorcizzare gli spiriti maligni. Fino al periodo Meiji, questa forma di divinazione era diffusa in tutto il Giappone e si ritiene che fosse un rituale condotto nelle comunità rurali dai capifamiglia dei vari clan. Oggi è molto raro parteciparvi perché viene spesso condotto in modo privato e solamente i risultati vengono affissi nelle bacheche dei santuari e a volte riportati sulla stampa locale.

    Mochi-bana

    I mochi-bana (餅花) sono decorazione invernali composte da rami di salice e pino, decorati con tanti piccoli mochi. Si dice che i giapponesi abbiano iniziato ad esporre questa composizione nelle loro case e nelle strade per dare colore al grigio paesaggio invernale.

    Sono sempre stati considerati come un augurio per un abbondante raccolto del grano, quello che in giapponese é conosciuto come gokoku-hōjō (五穀豊穣). Il termine gokoku (五穀) indica i cinque cereali, mentre il temine hōjō (豊穣) indicare la produttività e l’abbondanza del raccolto.
    Nonostante al giorno d’oggi siano sempre meno le persone che continuano a creare ed usare queste decorazioni, comunità locali o istituzioni com l’asilo frequentato dai miei figli cercano di trasmettere ai bambini l’importanza di mantenere le tradizioni insegnando il processo di creazione di queste decorazioni.

    Preparazione dei mochi-bana

    I mochi di colore rosso e bianco, binomio di colori conosciuto in giapponese come kōhaku (紅白, rosso e bianco sono colori legati alla tradizione shintoista del paese in quanto il rosso sembra tenere lontani gli spiriti maligni e il bianco come simbolo di purezza), vengono appiattiti e poi divisi in piccoli pezzetti per essere poi infilati sui rami di salice. Il tutto viene poi decorato con rami di pino.

    Inizialmente, i mochi-bana erano utilizzati solo come decorazioni durante il periodo del koshōgatsu visto il loro legame con il raccolto ma, in seguito, sono diventati una decorazione tipicamente invernale che si può vedere esposta anche nei negozi. In alcune zone del Giappone, dove è molto praticata la sericoltura, sono anche chiamati anche mayudama (繭玉) dove al posto dei mochi vengono usati dei piccoli bozzoli di cotone.

    Fonte: tbs-tv (Mayudama)

    Sagichō

    Il sagichō (左義長), conosciuto anche come dondoyaki (どんど焼き) o con altri nomi, è un evento locale che si svolge dal 7 al 15 Gennaio (le date variano a seconda delle regione) in molte città giapponesi per bruciare le decorazioni usate durante lo shōgatsu e per pregare per la buona sorte del nuovo anno. Il sagichō è spesso legato a rituali celebrati nei santuari shintoisti.

    Si tratta di un evento che riunisce le comunità locali per augurarsi la felicità del nuovo anno. Viene costruita specie di torre, fatta di bambù verde, con un’apertura centrale all’intero della quale sono riposte tutte le decorazioni usate durante le celebrazioni per il nuovo anno assieme ad omamori, fuda, kakizome, daruma etc.

    Una volta incendiata, le fiamme salgono costantemente fino alla cima della torre tra lo scoppiettare del bambù. Nel mentre vengono serviti ai visitatori mochi e bevande. A seconda della zona il tutto può essere accompagnata anche da esibizioni di arti tradizionali o da fuochi d’artificio.
    Si crede che il sagichō purifichi e liberi il toshigami (年神), che ha dimorato nel kadomatsu e nelle altre decorazioni, permettendogli così di fare ritorno alla sua dimora risalendo in cielo con il fumo prodotto dai falò.

    Si dice che mangiando mochi o in generale altri cibi cotti su questo fuoco, si rimane in buona salute, e poiché si bruciano anche i kaki-zome (i fogli della prima calligrafia dell’anno) più in alto si innalzano le fiamme migliore sarà la propria calligrafia nel corso del nuovo anno.

    Con questi falò rituali si concludono le celebrazioni per il nuovo anno. Il 15 Gennaio è infatti anche conosciuto con il nome di shōgatsu-koto-jimai (正月事終い) che segnava la fine del periodo tradizionale del matsu no uchi e quindi il termine del periodo di festa per il nuovo anno.


    Anche se il legame tra l’agricoltura e la vita quotidiana delle persone sta venendo meno, il koshōgatsu rimane un momento importante soprattutto nelle zone rurali che fanno affidamento sull’agricoltura per il loro sostentamento. Molti templi, santuari e comunità in tutto il Giappone celebrano il Piccolo Capodanno seguendo antiche usanze e tradizioni che sperano di poter tramandare alle nuove generazioni sperando di conservare la cultura del proprio paese.

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