Lingua e cultura giapponese

La storia di Hirado e l’incontro tra Giappone ed Europa

Ieri, approfittando dello Shōwa no Hi – festività nazionale dedicata sia alla riflessione sul complesso periodo del regno dell’Imperatore Hirohito (1912-1989) sia al futuro del paese – ho deciso di trascorrere la giornata con la mia famiglia in un luogo carico di storia.

Un viaggio nella storia: perché Hirado?

Abbiamo scelto Hirado, un’isola-città nella prefettura di Nagasaki, a breve distanza dalla nostra abitazione: circa mezz’ora di macchina.

Hirado: la prima finestra del Giappone sull’occidente

Sebbene il nome Hirado possa risultare sconosciuto a molti, questo fu un luogo di cruciale importanza secoli addietro, rappresentando la prima, seppur cauta, apertura del Giappone verso il mondo occidentale. Oggi, camminare in questi luoghi non è una banale gita, ma un’opportunità straordinaria per percepire da vicino le origini di un incontro commerciale e culturale che ha plasmato in modo irrevocabile il destino del Giappone.

L’avamposto commerciale olandese

L’imponente edificio che ammiriamo (nella foto in basso) e una meticolosa e storicamente fedele ricostruzione dell’avamposto commerciale olandese di Hirado (Hirado-oranda shōkan, 平戸オランダ商館, in giapponese), oggi adibito a museo. Questa struttura è ben più di un semplice museo: è una vera e propria finestra spalancata sul vibrante passato di questa zona. Un passato che si lega indissolubilmente al primo periodo Edo (1603-1867), un’era definita non solo dal consolidamento del potere dello shogunato Tokugawa, ma anche da una iniziale e marcata curiosità verso le novità provenienti dall’occidente.

Foto dell’autore dell’avamposto commerciale olandese di Hirado

La compagnia olandese delle Indie Orientali sbarca in Giappone

Tutto ebbe inizio nel 1609 quando la potentissima Compagnia Olandese delle Indie Orientali, uno dei più grandi conglomerati commerciali del tempo, desiderosa di espandere le sue rotte e di assicurare rifornimenti continui delle preziose merci asiatiche – spezie, seta e porcellane – chiese e ottenne un permesso speciale dallo shogunato che gli consenti di stabilire una base operativa stabile in Giappone. Hirado, grazie alla sua posizione strategica di crocevia sulle rotte marittime dell’Asia orientale, divenne naturalmente il fulcro di queste prime ma intense interazioni.

Hirado: un dinamico crocevia di commerci e idee

Tra il 1609 e il 1641, l’avamposto commerciale olandese di Hirado rappresento un dinamico crocevia, cruciale non solo per gli scambi commerciali olandesi, ma anche, e forse in misura maggiore, per la circolazione di idee, conoscenze scientifiche e tecnologiche. Questo fervore mercantile vedeva la pregiata seta e le porcellane giapponesi scambiate con zucchero, spezie e tessuti dalle indie, portando al contempo nella “terra di Yamato” innovative armi da fuoco, orologi meccanici e manufatti mai visti prima.

I nanban-jin

Fu in questo contesto che fecero la loro comparsa i nanban-jin (南蛮人), letteralmente “i barbari del sud”. Con questo termine si identificavano i mercanti che giungevano in Giappone dalle regioni meridionali come le Filippine o Macao. Inizialmente usato per indicare i portoghesi e spagnoli, il vocabolo fu ben presto esteso anche a olandesi e inglesi, i quali divennero presenze familiare a Hirado.

Questi europei, riconoscibili per i loro strani abiti, portarono con sé non solo beni materiali, ma anche nuove usanze, avanzate tecniche di cartografia e navigazione, e importanti conoscenze in campo medico e astronomico. Introdussero inoltre la religione cristiana, un elemento di grande impatto che in futuro sarebbe stato causa di notevoli controversie e sofferenze.

Questo intenso scambio culturale e scientifico gettò le basi per la nascita del rangaku (蘭学) – letteralmente “studi olandesi” – un termine che venne a definire le scienze occidentali. Questa apertura al sapere straniero sarebbe sopravvissuta e avrebbe continuato a svilupparsi anche durante il successivo periodo di completo isolamento del Giappone.

Curiosità e D\diffidenza: la complessità dell’incontro

L’incontro culturale tra il Giappone del primo periodo Edo e l’Europa del tardo rinascimento e del Barocco fu un fenomeno complesso ma profondamente affascinante. Fu un’interazione intrisa di reciproca curiosità quanto di una crescente e latente diffidenza.

Da un lato, l’élite giapponese, composta da samurai e mercanti, nutriva un vivo interesse per le nuove tecnologie occidentali. Le armi da fuoco (teppō), in particolare, impiegate da figura come Oda Nobunaga e Tokugawa Ieyasu nella battaglia di Nagashino, contro Takeda Katsuyori, rivoluzionarono non solo il modo di combattere, ma probabilmente influenzarono in modo determinante il corso storico del paese. I mercanti, dal canto loro, mostravano interesse per la cartografia, gli strumenti scientifici e le tecniche artistiche europee.

Tuttavia, parallelamente a questa apertura, cresceva una netta diffidenza verso gli usi e costumi dei “nanban-jin”, esacerbata in particolare dalla rapida conversione di parte della popolazione giapponese al cristianesimo. Già oggetto di severa repressione sotto il governo Tokugawa, la fede cristiana era vista dallo shogunato come un potenziale sovvertimento dell’ordine gerarchico e un rischio per la stabilità politica. Vi era il forte sospetto che essa potesse prefigurare un tentativo di colonizzazione del Giappone, sulla falsariga di quanto già avvenuto nelle Filippine.

Anche gli inglesi tentarono di inserirsi nel florido commercio con il Giappone, riuscendo a stabilire una base a Hirado nel 1613. Tale successo fu in larga parte dovuto all’intercessione di Williams Adama, noto in Giappone come Miura Anjin, che aveva guadagnato la fiducia di Tokugawa Ieyasu come suo consigliere.

Tuttavia, l’avventura commerciale britannica in terra nipponica si rivelò di brevissima durata. Furono sopraffatti dalla spietata concorrenza olandese, che dimostrava un approccio decisamente più pragmatico: concentrati esclusivamente sul profitto commerciale, gli olandesi non si facevano scrupoli a impedire ai propri religiosi qualsiasi attività di proselitismo.

A questo svantaggio competitivo si sommo una minore sensibilità da parte inglese nel comprendere e gestire le complesse dinamiche sociali giapponesi. Di conseguenza, decisero di chiudere la propria stazione commerciale e ritirarsi dal paese nel 1623.

Verso il sakoku: l’editto del 1639 e la chiusura del paese

La crescente cautela dello shogunato Tokugawa verso qualsiasi forma di influenza straniera non controllata, intensificata dalla rivolta di Shimabara (1637-1638), condusse a una drastica accelerazione delle politiche isolazioniste. Queste culminarono nell’editto del 1639, che decretò non solo l’espulsione di tutti i portoghesi, ma anche la distruzione degli edifici in pietra dell’avamposto commerciale olandese di Hirado. Tali strutture erano infatti percepite come un simbolo eccessivo e permanente della presenza straniera. Fu un segnale inequivocabile della ferrea politica nota come sakoku (鎖国), letteralmente “paese incatenato”, che il Giappone stava per abbracciare completamente, chiudendo ogni contatto con l’esterno.

Da Hirado a Dejima: l’unica finestra sull’occidente

Successivamente, nel 1641, agli olandesi fu ordinato di trasferire tutte le loro attività commerciali nella minuscola isola artificiale di Dejima (出島), costruita all’interno della baia di Nagasaki. Questo trasferimento segnò la fine dell’epoca di Hirado come principale porta di accesso del Giappone al mondo occidentale e l’inizio di oltre due secoli durante i quali Dejima sarebbe rimasta l’unica, strettissima e controllatissima finestra socchiusa sull’occidente.

Foto dell’autore. Targa votiva che ricorda la storia degli olandesi presso Hirado e Dejima esposta all’esterno dell’avamposto commericale.

L’eredità di Hirado

Nonostante la sua chiusura forzata e il successivo declino, l’avamposto commerciale olandese di Hirado non ha mai perso la sua importanza storica. Già nel 1922 fu inserito nella lista dei siti storici nazionali, a eterna testimonianza del suo ruolo cruciale nella storia del paese. L’edificio che oggi i visitatori hanno il privilegio di esplorare è una scrupolosa ricostruzione, inaugurata nel 2011 e basata su attenti studi storici e archeologici. Esso ospita ora un museo che offre un ponte di contatto tangibile con quel tempo lontano. Attraverso i suoi spazi e gli oggetti esposti, è possibile ripercorrere l’avvincente storia di questo intenso periodo e comprendere la complessità dell’incontro tra le culture giapponese e olandese.

Si percepisce così l’eco potente di un capitolo fondamentale non solo per la storia del Giappone, ma anche per le relazioni globali tra oriente e occidente.

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