Lingua e cultura giapponese

Hakkō ichiu: da mito fondatore a slogan di guerra

Immagina una frase antica, quasi dimenticata, che affonda le sue radici nel mito stesso della creazione del Giappone. Una frase che, nelle sua origine leggendaria, sembrava sussurrare un sogno di unità universale, di un mondo raccolto sotto un unico grande tetto. Questo rappresentava inizialmente hakkō ichiu (八紘一宇). Eppure, questa espressione, evocativa e quasi poetica, nel giro di pochi decenni si trasformò in qualcosa di molto più oscuro: divenne lo slogan principale che accompagnò l’espansione militare del Giappone imperiale, un grido di battaglia usato per giustificare la conquista e la guerra. Come è potuto accadere? Come può un concetto apparentemente volto all’unificazione trasformarsi in giustificazione per il dominio? Ripercorriamo insieme l’affascinante e terribile percorso di hakkō ichiu, da eco mitologico a strumento di propaganda bellica. 

Significato

Prima di addentrarci nella sua storia controversa, è utile scomporre questa espressione per capirne il significato letterale, che già ci da un indizio della sua portata ambiziosa. La prima parte, hakkō (八紘), combina il kanji di “hachi” (八), il numero otto – un numero che nella cosmologia dell’asia orientale spesso simboleggia la totalità o l’infinito – con “” (紘), che si riferisce a corde o fili, ma in senso figurato rappresenta le direzioni cardinali e intermedie (Nord, Sud, Est, Ovest, Nord-est e così via). Il termine “hakkō” diventa così una metafora per indicare “le otto direzioni” o “gli otto angoli del mondo”, rappresentando in pratica il mondo intero o l’ecumene conosciuto. 

La seconda parte “ichi-u (一宇), unisce “ichi” (一), che significa semplicemente “uno”, con “u” (宇), che significa “tetto” o, per estensione, “casa”, “edificio” e persino “universo” in alcuni contesti. “Ichi-u” evoca quindi l’immagine suggestiva di “un solo tetto” o “una sola casa” implicando un ordine unificato e armonioso.

Unendo questi elementi, hakkō ichiu si traduce letteralmente come “gli otto angoli del mondo sotto un unico tetto”. L’idea intrinseca è quella di unificare tutti i popoli del mondo come un’unica, grande famiglia, portando pace e ordine sotto un’unica struttura. Tuttavia, come la storia ci insegna, la questione cruciale ad un certo punto divenne: sotto quale tetto? E chi avrebbe definito le regole di questa “casa”? La risposta data dell’interpretazione successiva fu inequivocabilmente: quello giapponese, sotto la guida dell’Imperatore.

Un’eco del mito

Hakkō ichiu non è un’invenzione del XX secolo. Le sue origini ci portano indietro fino all’alba della storia giapponese, o almeno alla sua narrazione mitologica ufficiale. Si ritiene che derivi da una frase attribuita al leggendario primo Imperatore del Giappone, Jinmu – figura mitica considerata discendente diretta della dea del sole Amaterasu Ōmikami, la principale divinità dello shintoismo – riportata nel Nihon-shoki (日本書紀, “Annali de Giappone”), un’antica cronaca compilata nel VIII secolo d.C, compilata per legittimare la linea imperiale e consolidare un’identità nazionale. Secondo quanto riportato nel testo, dopo aver consolidato il suo potere nella regione di Yamato (considerata la culla della nazione giapponese), durante la sua ascensione al trono, l’Imperatore Jinmu pronunciò la seguente frase:

掩八紘而爲宇

Ame no shita wo ooute ie to nasan

“Che io possa coprire le otto direzioni e farne la mia dimora”

Fonte: Wikipedia

Per secoli, questa frase rimase confinata negli annali storici, un riferimento noto agli studiosi ma privo di rilevanza politica nell’immediato. Fu solo all’inizio del XX secolo, nel 1903, che un influente pensatore della scuola buddista di Nichiren e fervente nazionalista, Tanaka Chigaku (田中智學), la riporto alla luce, coniandola nella forma moderna e coincisa hakkō ichiu. Tanaka, fondatore della Kokuchū-kai (国柱会), un’organizzazione che promuoveva un nazionalismo basato su un’ambigua interpretazione degli insegnamenti di Nichiren, vide in questa antica dichiarazione l’espressione della missione divina del Giappone (国体, l’essenza nazionale incentrata sull’Imperatore): guidare il mondo verso l’armonia e la pace universale, unificando sotto l’egida benevola dell’Imperatore, discendente degli dei e incarnazione vivente della nazione. Forse nelle intenzioni iniziali di Tanaka, c’era un barlume di idealismo, un sogno di una fratellanza universale – seppur dannatamente gerarchico, nippo-centrico – e basato sulla presunta superiorità spirituale e morale del Giappone imperiale. La sua visione, seppur presentata come pacifica, conteneva già i semi di una supremazia giapponese destinata a realizzarsi, se necessario, anche con la forza.

Quando un ideale diventa slogan di guerra

Ma come accade spesso con concetti tanto potenti quanto ambigui, anche hakkō ichiu venne presto strappata dal suo contesto filosofico-religioso e gettata nell’arena politica infuocata degli anni ‘30, un decennio segnato dalla grande depressione, dall’instabilità politica interna (il tentato colpo di stato passato alla storia come “l’incidente del 26 Febbraio 1936”), e soprattutto dall’ascesa del militarismo e di un nazionalismo aggressivo ed espansionista. L’economia giapponese necessitava disperatamente di risorse naturali (gas, gomma e metalli) e di mercati sicuri per sostenere la sua industrializzazione e la sua crescente popolazione, e l’ideologia dominante esaltava la presunta superiorità razziale e spirituale del popolo giapponese (la cosiddetta “razza Yamato”).

In questo clima surriscaldato, i leader militari (in particolare le fazioni più radicali dell’esercito e della marina) e i politici ultranazionalisti videro in questo slogan uno strumento perfetto per diverse ragioni tra loro interconnesse. Innanzitutto, il suo legame con il passato mitico e divino dell’Imperatore Jinmu conferiva alle ambizioni espansionistiche moderne un’aura sacra, fornendo loro una sorta di legittimità storica e spirituale quasi inattaccabile nel quadro ideologico definito del kokka shintō (国家神道), ovvero “lo shintoismo di stato”. 

In secondo luogo, forniva una giustificazione, a loro detta “nobilitante” e persino “altruistica”: trasformava la brutale realtà della conquista territoriale, dello sfruttamento economico e dell’imposizione politica in una presunta “missione civilizzatrice” per “liberare” il continente asiatico dal colonialismo occidentale e unificarla sotto la guida paterna dell’Imperatore Shōwa, mascherando così l’imperialismo giapponese come un atto volto a portare “ordine”, “armonia” e “prosperità” condivisa. 

Infine, hakkō ichiu, fungeva come un potente collante interno, uno slogan capace di mobilitare la popolazione, compattare le diverse fazioni nazionaliste e giustificare gli immani sacrifici richiesti dalla guerra totale, sia sul fronte militare che su quello interno. 

Il punto di non ritorno fu raggiunto nel luglio del 1940. L’allora Primo Ministro, il principe Fumimaro Konoe, in un famoso discorso radiofonico che delineava la “Politica Nazionale Fondamentale” (Kihon Kokusaku Yōkō, 基本国策要綱), dichiaro che la politica nazionale mirava a stabilire un “Nuovo Ordine in Asia Orientale” – che si sarebbe in seguito evoluto nel concetto di “Sfera di Co-prosperità della Grande Asia Orientale” –  basandosi proprio su hakkō ichiu. Da concetto filosofico-religioso riportato in auge da un pensatore nazionalista, era diventato ufficialmente politica di stato e la principale giustificazione ideologica per l’imminente espansione verso il sud-est e asitico e l’area del Pacifico.

Un esempio tangibile dell’adozione di questo slogan fu la costruzione nel 1940 di una torre dedicata – poi ribattezzata “la torre della pace” – presso la città di Miyazaki, luogo legato al mito della discesa di Niniji no Mikoto (il nonno di Jinmu). La torre, alta 37 metri e dedicata a Jinmu e allo spirito di hakkō ichiu, fu costruita utilizzando pietre provenienti da tutti i territori occupati dai giapponesi, simboleggiano l’unificazione del mondo sotto il Giappone.

Fonte: Wikipedia. Cerimonia di inaugurazion della torre presso Miyazaki

La realtà brutale dietro lo slogan

Dietro la retorica di “unire il mondo sotto un unico tetto” per portare pace e prosperità, la realtà pratica di hakkō ichiu durante la Seconda Guerra Mondiale fu devastante per milioni di persone nei territori occupati. In primo luogo, funzionò come copertura ideologica per l’aggressione militare: l’invasione della Manciuria prima e delle altre zone del Pacifico in seguito, venivano presentate all’opinione pubblica giapponese e internazionale come passi necessari per realizzare questa ipotetica grande unificazione e liberare i popoli asiatici dal giogo occidentale. Il Giappone si auto proclamava “liberatore” dal colonialismo europeo e statunitense, imponendo però a sua volta un dominio altrettanto, se non più, spietato e predatorio.

Il progetto della “Sfera di Co-prosperità della Grande Asia Orientale”, che sulla carta prometteva collaborazione economica e politica tra le nazioni asiatiche indipendente sotto la guida illuminata del Giappone, si tradusse ovunque in una realtà ben diversa, caratterizzata da: un’occupazione militare brutale, sfruttamento sistematico delle risorse, imposizione culturale e linguistica, repressione di ogni forma di dissenso o resistenza senza dimenticare gli atroci crimini di guerra. 

Fonte: Wikipedia

Parallelamente, una propaganda martellante faceva risuonare lo slogan hakkō ichiu in tutto il Giappone – nelle scuole (dove era entrato a far parte dell’educazione morale), sui giornali, alla radio, nei film, nei discorsi pubblici e sui manifesti affissi nelle città. L’obiettivo era chiaramente infiammare il nazionalismo, innalzare lo spirito di sacrificio, convincere il popolo giapponese della correttezza divina della propria causa spingendolo a sopportare privazioni e sacrifici immani in nome dell’Imperatore e della presunta “missione” nazionale di unificare il mondo. Questa propaganda funzionò efficacemente, almeno sul fronte interno per gran parte delle durata del conflitto, perché faceva proprio leva su sentimenti profondi e radicati come l’orgoglio nazionale, una venerazione quasi religiosa della figura dell’Imperatore considerato divino (riprendendo il termine “arahito-gami” , 現人神, usato nel Nihon-shoki), il senso di un destino unico e superiore per il Giappone, e la convinzione, alimentata ad arte, di agire per un bene superiore universale, mascherando in questo modo le più terrene e brutali motivazioni di potere, controllo e espansione territoriale. La percezione al di fuori del Giappone, specialmente nei territori occupati e tra le potenze alleate, era invece nettamente diversa: lo slogan hakkō ichiu era visto come il velo ideologico che copriva la brama imperialista giapponese.

Fonte: Wikipedia. Moneta da 10 sen con impressa la torre di hakkō ichiu

Un’eredità scomoda

Con la resa incondizionata del Giappone nell’agosto del 1945, le forze di occupazione guidate dal Generale MacArthur, identificarono subito lo slogan hakkō ichiu come una dei pilastri ideologici chiave che avevano sostenuto e alimentato il militarismo e l’ultranazionalismo. Di conseguenza, attraverso direttive specifiche volte a smantellare lo shintoismo di stato, promuovere la libertà di pensiero e religione eliminando l’ideologia militarista dall’educazione e dalla vita pubblica, l’uso di hakkō ichiu e di altri slogan fu fortemente scoraggiato e di fatto eliminato dalla sfera pubblica. Non fu tecnicamente bandito con una legge specifica, ma la sua intrinseca tossicità divenne tale che cadde in disuso rapidamente.

Oggi rimane uno slogan principalmente legato al contesto storico del periodo bellico. Un chiaro esempio di come un’ideologia nazionalista ed espansionista possa essere costruita, manipolata attraverso la propaganda e utilizzata per giustificare qualsiasi voglia aggressione. Ogni sua evocazione, al di fuori di un contesto puramente storico, è rara e controversa, vista la pesante eredità che porta con sé. La stessa torre costruita a Miyazaki ha visto rimosse le iscrizioni originali facenti diretto riferimento allo slogan, nel tentativo di dissociare il monumento dal passato militarista. 

L’evoluzione di hakkō ichiu rimane secondo me un monito potente, rilevante non solo per il Giappone ma per il mondo intero. Dimostra come un concetto dalle radici antiche, possa essere distorto e trasformato in un’arma ideologica a giustificazione dell’imperialismo più feroce e delle indicibili sofferenze inflitte a milioni di persone. Comprendere il viaggio di hakkō ichiu – da mito fondatore legato all’idea di un ordine cosmico a slogan di guerra usato per mascherare la brutalità della conquista – non solo ci aiuta a capire meglio le tragiche e complesse dinamiche del Giappone del periodo bellico, ma ci ricorda anche una necessità universale di rimanere vigili a qualsiasi ideologia che promette unità e liberazione attraverso la dominazione. 

La seduzione di molti slogan può essere potente, ma la storia ci insegna a esaminare sempre le implicazioni reali e le possibili conseguenze umane.

Commenta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *