Mi è stato chiesto come fosse vivere a Edo. La prima cosa da fare quindi è spiegare che Edo èilnome originale della città di Tokyo, un nome che vuol dire estuario. La città si erge infatti sull’estuario di due fiumi, il Sumida e l’Ara, ed è per questa ragione che il grande condottiero Tokugawa Ieyasu l’aveva scelta come propria capitale. Nel 1603 entrò in quello che allora era un piccolo paese di qualche migliaio di abitanti.in quello che allora era un piccolo paese di qualche migliaio di abitanti.nel giro di tre anni sarebbe stato una città di 1 milione di abitanti. Nel giro di qualche anno sarebbe stato una città di 1 milione di abitanti.
Ieyasu mobilitò quindi tutte le risorse del paese per costruire questa città artificiale, consumando così tanto legname da causare un disboscamento grave in tutto il paese.
Era una città unica nel suo genere, perché specificamente per un compito: aiutare il suo creatore a tenere sotto controllo un popolo che aveva vissuto in quasi continua guerra civile per oltre di tre secoli. Era la prima vera capitale del paese e lo Shogun obbligava con la forza tutti i feudatari più piccoli a passare l’anno a Edo. Ciascuno era costretto a venire a piedi insieme a soldati, attendenti, cuochi, tutto quello che gli serviva insomma e formando quelle che allora venivano chiamate processioni, a volte lunghe centinaia di metri.
La sua popolazione era altrettanto variae si parlavano lingue mutuamente incomprensibili. Dal loro mescolarsi nacque per la prima volta una lingua nazionale, comprensibile e studiata in tutto il paese.
Fu qui che sorse il Giappone moderno, compresa la sua cultura. Kabuki, Noh, Haiòku … quasi tutto nacque nacque o si sviluppò qui.
Era una città dove, sempre per prevenire rivolte,le classi vivevano separate da numerosissime e severissime leggi: avevano ciascuna un modo di vestire, di abitare, di mangiare, di seppellire tutto loro. Per ciascuna, la pettinatura, il divieto della barba, l’abbigliamento, i mezzi di trasporto e i cibi erano definiti perlegge. E nessuna libertà di scelta.
Al centro di tutto questo c’era il colossale castello dello shogun. Venne distrutto completamente dall’incendio di Meireki nel 1657, ma abbiamo disegni sulla base del quale si è potuto ricostruire un modello.
Di seguito potete vedere anche la zona che circondava il castello stesso, la fortezza dalla quale lo shogun proiettava il suo potere.
La principale divisione sociale era quella fra samurai da una parte e popolani e mercanti dall’altra.I samurai erano la classe dominante, e si potrebbe pensare che questo volesse dire che erano la classe più ricca, ma non è così. La classe dei guerrieri infatti di solito era povera a causa della pace che i Tokugawa lavoravano così duro per mantenere.
E un guerriero di professione durante un periodo di pace non solo non serve alla sua funzione originale, ma è sempre alla ricerca di prestiti per far quadrare il bilancio. I ricchi erano i mercanti, e di conseguenza tutta la vita culturale si trovava nella parte della città sul mare, per esempio Nihonbashi, dove circolava denaro a fiumi.
Gli incendi erano il flagello dell’epoca, frequenti e spesso molto gravi. Era per questo che le strade erano così larghe. Si sperava che il fuoco avessi difficoltà a superarle e andare da un isolato dall’altro. Questo di fatto non accadde, ma in compenso impedì lo svilupparsi delle piazze, che sono tuttora del tutto assenti.
Un’altra peculiarità del paesaggio era numerosissimi ponti fatti ad arco. In Europa, dove si costruisce in pietra, l’arco può essere anche sotto il livello del suolo o nell’acqua. In Giappone, dove i terremoti sono sempre una preoccupazione, si costruiva in legno, il che forzava a costruire il ponte completamente al di fuori dell’acqua, rendendo spesso inevitabile l’arrampicarsi almeno nella sua prima parte. La curvatura era determinata da vari fattori, incluse le navi che ci dovevano passare sotto, il traffico che ci doveva passare sopra, la distanza fra le rive.
Qui sopra vedete il ponte di Nihonbashi. La curvatura è leggera e non è un grosso ostacolo alla circolazione, ma che dire di questo?
La cosa aveva altre ripercussioni, quale la rarità dei carretti e della trazione animale.
Dal profilo igienico e profilattico era una Città senza dubbio avanzata, e per vari motivi. Non solo (al contrario delle grandi città europee) aveva servizi di nettezza urbana che mantenevano le città immacolate, ma gli escrementi umani venivano trattenuti in serbatoi appositi e quindi venduti a mercanti che li compravano con contanti o in cambio di qualcos’altro. Le toilette erano all’aperto e uomini e donne le usavano insieme.
Da questo nacque un modo di dire ancora usato qualche volta. ”Si incontrano nella puzza.” (臭いとこで会ってる) vuol dire “sono amanti、” e perfino le stampe erotiche shunga 春画 ne trattano. C’erano anche i guardoni, disprezzati ma non puniti.
Parlando di punizione, la giustizia di allora era severissima e tre centri sono partiti passati alla storia per la sofferenza inflittavi agli Edokko (questo il nome di un abitante di Edo. I centri di esecuzione di Kozukappara (vicino alla stazione di Minami Senjū), di Kodenmachō (nell’immagine, vicino a Nihonbashi) e di Suzugamori (vicino a Shinagawa sono detti essere stato il luogo di morte di oltre 300.000 persone nell’arco di due secoli e mezzo. Una cifra sicuramente inattendibile, ma che in qualche modo da una misura del rigore della giustizia a Edo.
Parlando di kami si sente spesso usare l’espressione yaoyorozu no kami (八百万の神, lett. otto milioni di divinità). Questo termine è legato alla tradizione shintoista giapponese e sebbene letteralmente significhi “otto milioni di divinità”, non sta ad indicare una cifra esatta ma viene semplicemente utilizzato per esprimere l’idea dell’esistenza di “innumerevoli” divinità, siano queste di indole mite o malvagia e tutte dotate di una propria personalità. I giapponesi credono che esista un numero infinito di kami, alcuni in grado di controllare i fenomeni atmosferici e altri più strettamente legati alla vita delle persone.
Ma come si contano in kami in giapponese.
Nella lingua giapponese non esiste una distinzione tra maschile e femminile come non esiste nemmeno tra singolare e plurale. In italiano per indicare la quantità desiderata ci si limita ad usare il numerale corrispondente. In giapponese invece si ricorre ai josūshi (助数詞) conosciuti come classificatori o contatori. Sono delle particelle che, associate ad un sostantivo, ne indicano il numero, cioè “quante” cose ci sono e, a seconda della natura del sostantivo che lo precede, il parlante dovrà scegliere quello adatto. La scelta del classificatore corretto é legata il più delle volte alla caratteristiche fisiche dell’oggetto che desideriamo contare. Per esempio se stiamo parlando di persone useremo il classificatore “人” mentre per contare un elettrodomestico o le macchine useremo il classificatore “台” e così via. I classificatori più comuni vanno imparati a memoria; mentre per padroneggiare l’uso di quelli più particolari ci vorrà più tempo ed esperienze. A seconda dei casi i classificatori possono anche subire delle modifiche fonetiche.
La lingua giapponese ha un modo specifico anche per contare sia le divinità appartenenti alla tradizione shintoista che quelle appartenenti alla dottrina buddista (che vi racconterò in un altro articolo).
Per contare i kami della tradizione shintoista si usa il contatore hashira (柱) nella sua lettura kun-yomi, la lettura semantica giapponese del kanji.
Si leggerà quindi:
Hito-hashira (一柱), un kami
Futa-hashira (二柱), due kami
Mi-hashira (三柱), tre kami
E così via…
Origini del josūshi hashira.
La nascita di questo contatore deriva dal concetto shintoista dello shintai (神体, lett. Corpo del kami) che rappresenterebbe la manifestazione materiale di un kami, ovvero l’oggetto in cui quest’ultimo vi alberga. Possono essere oggetto come spade, specchi oppure manifestazioni della natura come le montagne (il monte Fuji è considerato un shintai-zan (神体山, montagna sacra) le cascate e nel nostro caso si tratta di un albero.
Fin dall’antichità, i giapponesi hanno sentito la presenza dei kami nella natura. In Giappone, la natura ha da sempre portato abbondanti benedizioni al popolo, che ne era grato e percepiva queste benedizioni come opera dei kami. In origine, il santuario o la divinità principale di un santuario shintoista era la natura stessa. Per il Giappone, paese circondato su tutti i lati dal mare e frastagliato da numerose catene montuose, le foreste sono sempre state percepite come il luogo in cui dimoravano le divinità.
Ancora oggi, la maggior parte dei santuari ha nelle sue immediate vicinanze le cosiddette chinju mori (鎮守森) o foreste sacre, verdi e profonde, che vengono gestite e protette con cura. Gli alberi hanno una propria vita e una propria anima e lo shintoismo ha una cultura religiosa che valorizza gli alberi. Quindi gli alberi, come le pietre e le montagne, sono stati a lungo oggetto di profonda devozione in Giappone. In origine non esistevano santuari o templi, ma un albero, una foresta, un grande masso o una montagna erano il fulcro del culto. Ancora oggi capita spesso di vedere in Giappone alberi, rocce ed altri oggetti circondati da una shimenawa (注連縄, letteralmente “corda di chiusura”), una corda di paglia o canapa intrecciate utilizzate per riti di purificazione shintoisti o usate per delimitare lo spazio appartenente a quello che in giapponese sono conosciuti come yorishiro (依り代, 依代) che per l’animismo giapponese sono degli oggetti che possiedono la capacità di attirare i kami fornendo loro uno spazio fisico da occupare durante i vari matsuri che si svolgono in tutto il paese.
Come detto in precedenza quando un kami dimora in un oggetto questo viene definito uno shintai. Le shimenawa decorate con gli shide (紙垂, 四手) spesso circondano uno yorishiro per manifestare la sua sacralità. Gli shide sono festoni di carta a forma di zig zag che si possono trovare anche come ornamenti sulle porte dei santuari o sui kamidana all’interno delle case giapponesi. Anche una persona può svolgere lo stesso ruolo di uno yorishiro, e in tal caso sono chiamate yorimashi (憑坐, letteralmente “persona posseduta”) o kamigakari (神懸りletteralmente “possessione del kami”).
Nel Giappone antico si credeva che esistesse una sorta di forza misteriosa della natura detta ke (気) che riempiva lo spazio e gli oggetti, che normalmente in giapponese vengono indicati con il termine generico mono (物). Questa forza misteriosa dava vita al mononoke (物の気) che scorreva all’interno anche di alberi e pietre. Alcune tipologie di alberi, come ad esempio il sakaki (榊), sono considerati sacri per questo motivo. Quando uno di questi alberi veniva abbattuto e trasformato in legno utilizzato per la costruzione di un santuario, si credeva che la sacralità dell’albero venisse trasferita all’edificio stesso. La forza spirituale dell’albero rimaneva sotto forma di pilastro attorno al quale veniva costruito il santuario.
Il daikoku-bashira (大黒柱, pilastro centrale) di un santuario o di una semplice casa era spesso ricavato da uno di questi grandi alberi. Da qui è quindi nata la credenza che i kami risiedessero nei pilastri e l’uso di hashira (柱) come contatore. Non c’è da stupirsi che, a causa di questa cultura che valorizza ciò che la circonda, la gente credesse che la divinità risiedesse nel pilastro principale, ricavato da un albero molto grande, e considerasse la divinità stessa come un pilastro. Nel Giappone antico, la preparazione di un pilastro era una cosa molto importante. Tradizionalmente, l’abbattimento del legname era una cerimonia estremamente importante e solenne, eseguita di notte. La preparazione e il posizionamento del legname erano un rito sacro e potevano essere eseguiti solo dai sacerdoti shintoisti.
La data di posizionamento del pilastro centrale era determinata da un decreto imperiale e coincideva con le cerimonie di apertura del terreno per la costruzione di un santuario. Dall’inizio del periodo Edo, il decreto imperiale per questa cerimonia è stato interrotto. Oggi le cerimonie di posa del pilastro e di rottura del terreno si svolgono in giorni diversi. L’erezione di un pilastro sulla terra è visto come un mezzo di collegamento tra il cielo e la terra e funge da richiamo per lo spirito divino che dimora nel cielo. I pilastri si crede conferiscono stabilità alla struttura e alla terra stessa in quanto abitato dai kami.
I giapponesi sono davvero cosi gentili come dicono?
di FB
Io abito in Giappone e, ogni tanto, invito qualche amico a cena. Va detto prima di tutto che questa non è una cosa che i giapponesi facciano. Non si invitano di solito le persone a cenare a casa propria ma in un ristorante.
E quindi ancora più significativo è il fatto che ogni volta, automaticamente, verso le 11 uno dica: “Andiamo a casa?”
Tutti quanti si dichiarano d’accordo e uno si mette a lavare i piatti, un’altra a spazzare per terra, una terza a separare lattine in acciaio da quelle in alluminio, come richiesto dalla regolamentazione in vigore, ecc.
In un quarto d’ora la casa è pulita più di quanto non lo fosse quando sono arrivati.
Questo fatto illustra secondo me uno dei lati più straordinari di un popolo ammirevole. Nei quasi quarant’anni che ho passato in questo paese non mi è mai successo che qualcuno se ne andasse da casa mia senza pulire. Mai.
L’abitudine di cui vorrei parlare è quella della considerazione per gli altri che si manifesta in mille altri modi.
Supponi per esempio che tu manifesti un interesse per i pipistrelli.
Presto cominceranno ad arrivarti ritagli di giornale sui pipistrelli, mail con link ad articoli, fotografie, ricordini e quant’altro riescono a trovare. Chiedere non è necessario.
Esempio fresco di oggi. La settimana scorsa avevo parlato di sinestesia (una sensazione che ne causa un’altra in un senso diverso, ad esempio una nota che causa la percezione di un odore particolare) con un’amica. Stamattina è arrivato via posta un ritaglio di giornale riguardante la sinestesia del poeta francese Arthur Rimbaud e mandato da lei.
Questi sono i giapponesi. Si fanno regali come questo l’uno con l’altro molto spesso. Si tratta di regali piccolissimi e inaspettati, che quindi fanno ancora più piacere. Un dolce, di solito. Deve essere piccolo e di poco valore per non scatenare catene di controregali di valore crescente.
È per questo che sul mercato c’è una quantità di dolci di prezzo compreso fra uno e tre euro.
L’aspetto fisico è sempre curatissimo. Parte del regalo consiste proprio nel trovare un oggetto particolarmente bello, particolarmente interessante ma non particolarmente costoso e, soprattutto, adatto a chi lo riceve.
Tutto questo crea un’atmosfera del tutto particolare, soffice e diffusa, di calore umano che non ho mai provato con non-giapponesi.
Insegno italiano e uno dei rituali che si è venuto a creare spontaneamente è quello appunto dello scambiarsi regali. Questa attività occupa i primi cinque minuti di ogni lezione e ogni volta mi stupisco di quello che riescono a portare spendendo qualche modesto spicciolo.
Va da sé che io mi dimentico spesso, ma nessuno sembra farsene un problema. I regalini arrivano comunque.
Non si tratta tanto del fatto che, siccome sono straniero, vengo considerato un bifolco da scusare, ma quanto che sanno che si tratta di disattenzione, nulla di più.
In altri termini, la mia individualità viene presa in considerazione, cosa che non collima con uno dei tanti pregiudizi che circolano su di loro.
Una delle tre mi ha esplicitamente confermato che le piace moltissimo fare regali perché parlano per lei. Da buona giapponese, si sente un incapace con le parole. I piccoli Regali dicono quello che lei non riesce dire.
Lo scatola di dolci che vedete nella foto costa più o meno dieci euro e contiene dieci ottimi dolci. Una basta per vari incontri nel corso di una settimana o due. Notare come dicevo il design curatissimo in un prodotto di basso prezzo.
You, O King, live beyond the confines of many seas, nevertheless, impelled by your humble desire to partake of the benefits of our civilisation, you have dispatched a mission respectfully bearing your memorial. Your Envoy has crossed the seas and paid his respects at my Court on the anniversary of my birthday. To show your devotion, you have also sent offerings of your country’s produce.
I have perused your memorial: the earnest terms in which it is couched reveal a respectful humility on your part, which is highly praiseworthy. In consideration of the fact that your Ambassador and his deputy have come a long way with your memorial and tribute, I have shown them high favour and have allowed them to be introduced into my presence. To manifest my indulgence, I have entertained them at a banquet and made them numerous gifts. I have also caused presents to be forwarded to the Naval Commander and six hundred of his officers and men, although they did not come to Peking, so that they too may share in my allembracing kindness.
As to your entreaty to send one of your nationals to be accredited to my Celestial Court and to be in control of your country’s trade with China, this request is contrary to all usage of my dynasty and cannot possibly be entertained. It is true that Europeans, in the service of the dynasty, have been permitted to live at Peking, but they are compelled to adopt Chinese dress, they are strictly confined to their own precincts and are never permitted to return home. You are presumably familiar with our dynastic regulations. Your proposed Envoy to my Court could not be placed in a position similar to that of European officials in Peking who are forbidden to leave China, nor could he, on the other hand, be allowed liberty of movement and the privilege of corresponding with his own country; so that you would gain nothing by his residence in our midst.
Moreover, our Celestial dynasty possesses vast territories, and tribute missions from the dependencies are provided for by the Department for Tributary States, which ministers to their wants and exercises strict control over their movements. It would be quite impossible to leave them to their own devices. Supposing that your Envoy should come to our Court, his language and national dress differ from that of our people, and there would be no place in which to bestow him. It may be suggested that he might imitate the Europeans permanently resident in Peking and adopt the dress and customs of China, but, it has never been our dynasty’s wish to force people to do things unseemly and inconvenient. Besides, supposing I sent an Ambassador to reside in your country, how could you possibly make for him the requisite arrangements? Europe consists of many other nations besides your own: if each and all demanded to be represented at our Court, how could we possibly consent? The thing is utterly impracticable. How can our dynasty alter its whole procedure and system of etiquette, established for more than a century, in order to meet your individual views? If it be said that your object is to exercise control over your country’s trade, your nationals have had full liberty to trade at Canton for many a year, and have received the greatest consideration at our hands. Missions have been sent by Portugal and Italy, preferring similar requests. The Throne appreciated their sincerity and loaded them with favours, besides authorising measures to facilitate their trade with China. You are no doubt aware that, when my Canton merchant, Wu Chaoping, was in debt to the foreign ships, I made the Viceroy advance the monies due, out of the provincial treasury, and ordered him to punish the culprit severely. Why then should foreign nations advance this utterly unreasonable request to be represented at my Court? Peking is nearly two thousand miles from Canton, and at such a distance what possible control could any British representative exercise?
If you assert that your reverence for Our Celestial dynasty fills you with a desire to acquire our civilisation, our ceremonies and code of laws differ so completely from your own that, even if your Envoy were able to acquire the rudiments of our civilisation, you could not possibly transplant our manners and customs to your alien soil. Therefore, however adept the Envoy might become, nothing would be gained thereby.
Swaying the wide world, I have but one aim in view, namely, to maintain a perfect governance and to fulfil the duties of the State: strange and costly objects do not interest me. If I have commanded that the tribute offerings sent by you, O King, are to be accepted, this was solely in consideration for the spirit which prompted you to dispatch them from afar. Our dynasty’s majestic virtue has penetrated unto every country under Heaven, and Kings of all nations have offered their costly tribute by land and sea. As your Ambassador can see for himself, we possess all things. I set no value on objects strange or ingenious, and have no use for your country’s manufactures. This then is my answer to your request to appoint a representative at my Court, a request contrary to our dynastic usage, which would only result in inconvenience to yourself. I have expounded my wishes in detail and have commanded your tribute Envoys to leave in peace on their homeward journey. It behoves you, O King, to respect my sentiments and to display even greater devotion and loyalty in future, so that, by perpetual submission to our Throne, you may secure peace and prosperity for your country hereafter. Besides making gifts (of which I enclose an inventory) to each member of your Mission, I confer upon you, O King, valuable presents in excess of the number usually bestowed on such occasions, including silks and curios-a list of which is likewise enclosed. Do you reverently receive them and take note of my tender goodwill towards you! A special mandate.
In the same letter, a further mandate to King George III dealt in detail with the British ambassador’s proposals and the Emperor’s reasons for declining them.
You, O King, from afar have yearned after the blessings of our civilisation, and in your eagerness to come into touch with our converting influence have sent an Embassy across the sea bearing a memorial. I have already taken note of your respectful spirit of submission, have treated your mission with extreme favour and loaded it with gifts, besides issuing a mandate to you, O King, and honouring you with the bestowal of valuable presents. Thus has my indulgence been manifested.
Yesterday your Ambassador petitioned my Ministers to memorialise me regarding your trade with China, but his proposal is not consistent with our dynastic usage and cannot be entertained. Hitherto, all European nations, including your own country’s barbarian merchants, have carried on their trade with our Celestial Empire at Canton. Such has been the procedure for many years, although our Celestial Empire possesses all things in prolific abundance and lacks no product within its own borders. There was therefore no need to import the manufactures of outside barbarians in exchange for our own produce. But as the tea, silk and porcelain which the Celestial Empire produces, are absolute necessities to European nations and to yourselves, we have permitted, as a signal mark of favour, that foreign hongs [merchant firms] should be established at Canton, so that your wants might be supplied and your country thus participate in our beneficence. But your Ambassador has now put forward new requests which completely fail to recognise the Throne’s principle to “treat strangers from afar with indulgence,” and to exercise a pacifying control over barbarian tribes, the world over. Moreover, our dynasty, swaying the myriad races of the globe, extends the same benevolence towards all. Your England is not the only nation trading at Canton. If other nations, following your bad example, wrongfully importune my ear with further impossible requests, how will it be possible for me to treat them with easy indulgence? Nevertheless, I do not forget the lonely remoteness of your island, cut off from the world by intervening wastes of sea, nor do I overlook your excusable ignorance of the usages of our Celestial Empire. I have consequently commanded my Ministers to enlighten your Ambassador on the subject, and have ordered the departure of the mission. But I have doubts that, after your Envoy’s return he may fail to acquaint you with my view in detail or that he may be lacking in lucidity, so that I shall now proceed . . . to issue my mandate on each question separately. In this way you will, I trust, comprehend my meaning….
(3) Your request for a small island near Chusan, where your merchants may reside and goods be warehoused, arises from your desire to develop trade. As there are neither foreign hongs nor interpreters in or near Chusan, where none of your ships have ever called, such an island would be utterly useless for your purposes. Every inch of the territory of our Empire is marked on the map and the strictest vigilance is exercised over it all: even tiny islets and farlying sandbanks are clearly defined as part of the provinces to which they belong. Consider, moreover, that England is not the only barbarian land which wishes to establish . . . trade with our Empire: supposing that other nations were all to imitate your evil example and beseech me to present them each and all with a site for trading purposes, how could I possibly comply? This also is a flagrant infringement of the usage of my Empire and cannot possibly be entertained.
(4) The next request, for a small site in the vicinity of Canton city, where your barbarian merchants may lodge or, alternatively, that there be no longer any restrictions over their movements at Aomen, has arisen from the following causes. Hitherto, the barbarian merchants of Europe have had a definite locality assigned to them at Aomen for residence and trade, and have been forbidden to encroach an inch beyond the limits assigned to that locality…. If these restrictions were withdrawn, friction would inevitably occur between the Chinese and your barbarian subjects, and the results would militate against the benevolent regard that I feel towards you. From every point of view, therefore, it is best that the regulations now in force should continue unchanged….
(7) Regarding your nation’s worship of the Lord of Heaven, it is the same religion as that of other European nations. Ever since the beginning of history, sage Emperors and wise rulers have bestowed on China a moral system and inculcated a code, which from time immemorial has been religiously observed by the myriads of my subjects. There has been no hankering after heterodox doctrines. Even the European (missionary) officials in my capital are forbidden to hold intercourse with Chinese subjects; they are restricted within the limits of their appointed residences, and may not go about propagating their religion. The distinction between Chinese and barbarian is most strict, and your Ambassador’s request that barbarians shall be given full liberty to disseminate their religion is utterly unreasonable.
It may be, O King, that the above proposals have been wantonly made by your Ambassador on his own responsibility, or peradventure you yourself are ignorant of our dynastic regulations and had no intention of transgressing them when you expressed these wild ideas and hopes…. If, after the receipt of this explicit decree, you lightly give ear to the representations of your subordinates and allow your barbarian merchants to proceed to Chêkiang and Tientsin, with the object of landing and trading there, the ordinances of my Celestial Empire are strict in the extreme, and the local officials, both civil and military, are bound reverently to obey the law of the land. Should your vessels touch the shore, your merchants will assuredly never be permitted to land or to reside there, but will be subject to instant expulsion. In that event your barbarian merchants will have had a long journey for nothing. Do not say that you were not warned in due time! Tremblingly obey and show no negligence! . . .
From E. Backhouse and J. O. P. Bland, Annals and Memoirs of the Court of Peking (Boston: Houghton Mifflin, 1914), pp. 322-331, via the Internet Modern History Sourcebook.
 La tua domanda tocca uno degli argomenti più difficili e intrattabili della storia dell’umanità.
L’arte come forma di espressione personale estetica è sempre esistita e ha presumibilmente sempre avuto un valore di mercato. Non mi sembrerebbe strano se un un Neanderthal csi fosse impegnato a dare un pesce a un compagno se questo gli faceva le stesse decorazioni sull’Elsa della sua clava.
Allora come ora, se le tue decorazioni sui manici delle clave sono più popolari di quelle di un altro artigiano( notare il prefisso arti-, che in questo caso sta per tecnica, non per arte), avranno un valore di mercato superiore. Ma allora si parlava di bello, non di arte, che parla di valori assoluti, ci sono questi valori assoluti del problema.
Il concetto di arte come lo intendiamo oggi, come forma di espressione individuale e creativa, è emerso in modo più distintivo durante il Rinascimento europeo nel XIV secolo. In questo periodo, gli artisti come Leonardo da Vinci, Michelangelo e Raffaello furono riconosciuti come figure di grande talento e iniziarono a essere considerati come creatori di opere d’arte uniche e originali.
Da allora, il concetto di arte si è sviluppato ulteriormente attraverso i movimenti artistici successivi, come il Barocco, il Romanticismo, l’Impressionismo, il Cubismo, il Surrealismo e così via. Ogni movimento artistico ha portato con sé nuove prospettive e approcci all’arte, contribuendo alla sua evoluzione e alla definizione di ciò che può essere considerato come tale.
Ricordo un tizio che avevo incontrato sul treno. Era appena andato a Firenze a vedere una mostra con il suo figlioletto di sei o sette anni. Il bambino gli aveva fatto una domanda molto intelligente. Davanti a un quadro di Raffaello, aveva detto: “papà, posso di’ che è brutto?
E lui rispose: “se pensi che è brutto, lo DEVI dire. Sagge parole. Per me, i quadri di Raffaello sono croste.
Ma il succo è che si tenta sempre di dare un valore assoluto all’arte, cosa che non è possibile. E questa idea che causa tutte le contraddizioni.
L’arte deve essere assoluta, quindi godibile nella stessa misura da tutti. Tutti devono per forza trovare sublime Raffaello. Ma chiaramente non è così. Ci sono fattori di conoscenza, sensibilità ed educazione da tenere presenti. Ci sono anche fattori di interesse. Io per esempio sono sensibile alle arti musicali e ho una conoscenza molto profonda e molto estesa delle musiche di tutto il mondo ma l’arte figurativa non mi interessa. Credo che il fatto che in generale io trovi assolutamente priva di interesse di bellezza il 90% dell’arte figurativa sia un mio problema di sensibilità.
ma non abbiamo ancora risposto alla domanda. Chi definisce l’arte?. Di solito la risposta accettata nel mondo del mercato dell’arte è “Gli esperti.” Gli esperti quindi letteralmente creano l’arte dichiarandola tale.
È quello che fa notare il falsario d’arte Eric Hebborn, che si difende sostenendo di non aver mai detto che un quadro fosse stato fatto da tale o talaltro. Lui si limitava a produrre un disegno che assomigliava a quelli di Piranesi, con carta del periodo di Piranesi, portando poi il tutto ad un esperto. Era poi questo esperto che creava l’arte, identificando il disegno come un’opera in edita di Piranesi.
Il seijin no hi (成人の日, lett. Giorno della maggiore età) è una festività pubblica giapponese che si svolge ogni anno il secondo lunedì di Gennaio e che celebra i giovani che hanno raggiunto l’età adulta tra il 2 Aprile dell’anno precedente e il 1°Aprile dell’anno in corso. Se tradizionalmente questa cerimonia era riservata a chi compiva 20 anni (二十歳, hatachi in giapponese), a partire dal 1º Aprile 2022, con l’entrata in vigore della legge che ha spostato il compimento della maggiore età a 18 anni, il seijin no hi, dal 2023, per la prima volta è stato celebrato dai diciottenni. Sebbene l’età adulta sia stata abbassata per legge a 18 anni, ciò non significa che anche le altre leggi siano state modificate di conseguenza. I diciottenni giapponesi non potranno bere, fumare o giocare d’azzardo fino al compimento effettivo dei 20 anni di età. Potranno però godere di alcuni vantaggi, come firmare contratti di affitto e sposarsi senza il permesso di un genitore.
Nonostante si abbiano tracce di cerimonie simili anche nel Giappone antico il seijin-shiki come lo conosciamo oggi è iniziato nel 1946, quando il governo della prefettura di Saitama cercò di risollevare lo spirito dei giovani che avevano perso ogni speranza per il futuro all’indomani della fine della Seconda Guerra Mondiale. Nel 1949, questa ricorrenza ricevette il riconoscimento di festa nazionale da tenersi il 15 Gennaio, noto come seijin no hi. Il motivo per cui inizialmente è stata fissata al 15 Gennaio è che le cerimonie del genpuku, nel Giappone antico, si svolgevano sempre con la luna piena, che nel vecchio calendario lunare giapponese cadeva il 15° giorno del mese. Dagli anni 2000, tuttavia, è stata spostata al secondo lunedì di Gennaio. Questo giorno è conosciuto in Giappone anche come “Happy Monday” perché il governo emanando la legge che istituiva formalmente il seijin no hi, ha aumentato anche il numero di giorni festivi consecutivi collegando questa festività alle celebrazioni per il nuovo anno con l’obbiettivo di stimolare l’industria del turismo e dei trasporti.
Genpuku e mogi
Le origini del seijin no hi.
Le celebrazioni per il raggiungimento della maggiore età sono state parte integrante della cultura giapponese per gran parte della sua storia. Storicamente, ragazzi e ragazze, soprattutto quelli di classe sociale più elevata, festeggiavano la loro maggiore età tra i 12 e i 16 anni. Per i ragazzi, il raggiungimento dell’età adulta era celebrato durante la cerimonia conosciuta come genpuku-shiki (元服式) che prevedeva principalmente il cambio di acconciatura e di abbigliamento per diventare uomini maturi. Per i ragazzi appartenenti ad estrazioni sociali più basse il genpuku-shiki consisteva di solito nel solo cambio di acconciatura fino a quando non erano in grado di permettersi o di adattarsi agli abiti degli adulti.
Nella foto di sinistra (disegno di mia moglie), è rappresentato il tipico abbigliamento per il genpuku-shiki di periodo Nara. In questo periodo era un rito di passaggio per i ragazzi tra i 12 e i 16 anni di età che abbandonando gli abiti da bambini entravano nel mondo degli adulti, si lasciavano la frangia e raccoglievano i cappelli nel classico mage (髷) e indossavano il kan-muri (冠).
Per quanto riguarda la celebrazione della maggiore età per le ragazze non era molto importante in passato e di solito coincideva con il momento in cui erano pronte per il matrimonio. Come segno della maggiore età, le ragazze ricevevano un tipo di indumento da indossare intorno alla vita chiamato mo (裳) e da qui il nome della cerimonia detta mogi (裳着). Le ragazze cambiavano anche l’acconciatura quando diventavano maggiorenni. I capelli, invece di essere sciolti, venivano raccolti secondo lo stile che si riconosce nei dipinti tradizionali giapponesi.
Che abiti vengono idossati nel giorno del seijin no hi?
I kimono indossati dalle giovani donne si chiamano furisode (振り袖) e sono normalmente ordinati e confezionati su misura con determinate misure tipicamente di moda dal primo periodo Edo. Questo tipo di kimono, come vedremo in seguito, era indossato in passato solo da donne adulte non sposate. Sono spesso molto costosi tanto che le famiglie risparmiano per anni per poter comprarne uno alla propria figlia. Spesso questo kimono viene passato dalla sorella maggiore a quella minore.
Foto: studio Garmet
Il taglio del furisode ha preso ispirazione dal kosode (小袖), il kimono indossato dai bambini che veniva realizzato con delle ampie aperture ai lati che permettevano al calore corporeo di uscire più facilmente. Si ritiene che l’origine dell’attuale furisode sia da ricercare nell’apparizione delle maniche lunghe all’inizio del periodo Edo, concepite per rendere più graziosi i gesti, che divennero molto popolari tra le giovani donne. Dal periodo Meiji in poi, era considerato un abbigliamento formale per le donne non sposate e veniva indossato in occasioni formali come cerimonie di fidanzamento e matrimoni. La caratteristica principale del furisode sono le maniche (“sode” 袖, in giapponese) lunghe che arrivano fino ai piedi. Si crede che il motivo per cui le giovani donne iniziarono a preferire l’uso di questo tipo di kimono può essere attribuito alle natura delle relazioni amorose del passato. Alle donne, non era permesso parlare liberamente dei propri sentimenti e si riteneva inaccettabile che una donna non sposata confessasse i propri sentimenti a un uomo.
Le donne quindi iniziarono ad usare le lunghe maniche del kimono per esprimere i propri sentimenti verso gli uomini. L’agitare le lunghe maniche divenne un diffuso segno d’amore. Per le donne non sposate, le maniche abbastanza lunghe da poter oscillare erano considerate come una necessità per trovare un buon marito. Una volta sposate, il furisode terminava il suo ruolo e le donne sposate generalmente indossavano il tomesode (留袖), nel classico colore nero e dalla manica più corte. Da qui deriva la tradizione che vuole il furisode come un indumento esclusivamente per le donne non sposate. Come in passato ancora oggi si crede che le lunghe maniche del furisode contengano un augurio per allontanare la sfortuna. Si crede che il gesto di sventolare (furu, (降る) in giapponese) qualcosa, abbia il potere di invocare i kami e allontanare il male. In passato i genitori facevano indossare ai propri figli il furisode perché si credeva che, oltre a regolare la temperatura corporea, il semplice gesto di sventolare le maniche allontanasse la sfortuna. Si vedeva inoltre che poiché l’età di 19 anni era il primo anno sfortunato per le donne, si è diffusa la credenza che le donne abbiano iniziato a indossare il furisode durante il seijin no hi, nella speranza di allontanare la sfortuna ed essere felici in futuro. Il 19 anno di età di una ragazza è considerato uno yakudoshi (厄年), un anno sfortunato. La spiegazione è la seguente: 19 in giapponese si dice jū-kyū (十九). A sua volta il kanji di nove può essere letto anche come ku che coincide con la lettura del kanji che si usa per “pena”, “sofferenza” (苦). La lettura del kanji usato per il numero dieci jū, rimanda alla lettura del kanji 重 che in giapponese significa “doppio / multiplo”. Unendo questi due kanji 重 e 苦 si forma la parola giapponese jūku (重苦) che si può tradurre come “sofferenza intensa”. A causa di questo gioco di parole si crede che il 19 anno di età di una donna sia un’anno nefasto.
Per gli uomini, la scelta ricade spesso tra un abito o un haori-hakama – una giacca haori tradizionale giapponese abbinata a pantaloni hakama a gamba larga e sandali geta. I colori sono spesso più tenui, con disegni più semplici rispetto al kimono. Tuttavia, ci sono molti giovani che cercano di distinguersi con modelli più vivaci, e anche quelli che riflettono gli stili della sottocultura di moda come gli yankii, che prende molta influenza sugli stili delle bande di motociclisti giapponesi bousouzoku degli anni Ottanta.
Fonte: Haruyama Web Site
Come si sta adattando questa cerimonia con i cambiamenti della società.
Ci sono molti tipi di cerimonie, molte si basano sulla tradizione, altre osano prendendo nuove direzioni, cercando di dare un’immagine del Giappone più diversificata, fornendo spazi in cui le persone possono esprimersi senza la paura di sentirsi giudicati
Per molti giovani appartenenti alla comunità LGBT, le cerimonie con codici d’abbigliamento classici basati sul gender possono essere difficili da affrontare. Per questo motivo, sono aumentate negli ultimi anni cerimonie che tengono conto delle persone appartenenti a questa comunità, come la Kansai LGBT Seijin-shiki. La prima edizione risale al 2014, dando modo alle persone appartenenti alla comunità LGBT giapponese la possibilità di godersi questo importante evento della vita in uno spazio di accettazione, senza pressioni legate ai codici di abbigliamento basati sul genere. L’evento, che si svolge nella città di Ōsaka, coinvolge ogni anno relatori e cerca di fungere da punto di partenza per consentire ai giovani di comprendere meglio la propria sessualità e la possibilità di poter esprimere loro stessi come sono non come la società li obbliga ad essere.
Foto: Kansai LGBT Seijinshiki web-site
Come scritto nella descrizione dell’evento: “Una cerimonia per il raggiungimento dell’età in cui persone di diversa provenienza, comprese le minoranze sessuali (=LGBT), possono partecipare a modo loro. Partecipando alla cerimonia manifestando il loro modo di essere, le persone possono acquisire fiducia in se stesse e provare la bellezza di “vivere la vita così come sono” (自分らしく生き, Jibun rashiku ikiru), oltre a diffondere conoscenze e informazioni accurate alla società. L’ingresso è gratuito ed è stato aperto al pubblico, ma ci sono regole severe sulla fotografia per mantenere un ambiente confortevole in cui i giovani LGBT giapponesi possano esprimersi.
Il Giappone è un paese molto più omogeneo dal punto di vista etnico rispetto a moltri altri paesi. Ospita infatti, molte persone appartenenti a minoranze etniche, che nel 2022 erano circa 3 milioni. Tra queste, l’etnia coreana rappresenta uno dei gruppi demograficamente più numeroso e dal 2020, nella città di Nagoya, si celebra un seijin-shiki che permette ai giovani coreani di partecipare a questa festa nazionale. I partecipanti alla cerimonia indossano spesso anche abiti tipici della tradizionale coreana. Questo evento è considerato particolarmente importante da molte persone che credono in un Giappone in grado di liberarsi di quel sentimento anti coreano che per troppo tempo si è fatto strada nella società giapponese.
Fonte: NHK
Dove si festeggia il seijin no hi.
Per il seijin no hi c’è l’usanza di ritornare nella propria città di origine per festeggiare questa giornata con familiari ed amici. Molti giovani decidono di partecipare solo alla tradizionale cerimonia e alle dōsōkai (同窓会) riunioni delle persone della stessa classe. Anche se in declino ai giorni nostri, la tradizione giapponese prevede che le persone si rechino in visita ad un santuario prima di un grande evento della loro vita. Questa ricorrenza non fa eccezione e per questo durante la giornata del seijin no hi i santuari di ogni città sono affollati da giovani in abiti tradizionali con le famiglie al seguito per le foto di rito che rimarranno un ricordo indelebile.
I dōsōkai, sono delle riunioni di classe che i giovani organizzano quando ritornano nella loro città natale per i festeggiamenti del seijin no hi. Ex compagni delle scuole medie e superiori si riuniscono per celebrare l’età adulta. Questa è considerata da molti un’importante occasione per riallacciare i rapporti con gli ex amici, mantenendo così vivi i legami. La maggior parte delle feste si svolge subito dopo il seijin no hi, ma alcuni scelgono di riunirsi più tardi nel corso dell’anno, ad esempio durante la Golden week.
Anche per i genitori è un giorno molto importante perchè i figli vengono riconosciuti come adulti dalla società. Molti si recano in studi fotografici o ingaggiano fotografi professionisti per scattare ritratti di famiglia in questa occasione speciale. La cerimonia si tiene in varie sale del governo o del consiglio locale e le persone partecipano nell’ambito della loro zona. Non è una cerimonia molto emozionante: ci sono discorsi di varie persone importanti della zona, seguiti da una sorta di intrattenimento speciale.
Il seijin-shiki rimane quindi una pietra miliare importante per molti e, pur mantenendo la tradizione, tende a riflettere sempre più un Giappone moderno e diversificato. Specialmente in questo periodo durante il quale il Paese è alle prese con i tassi di natalità molto bassi, queste cerimonie sembrano aver accresciuto la loro importanza simbolica, guardando ai giovani come veri fautori del futuro del paese.
In Europa insegnare il comportamento in pubblico è il compito di un po’ tutti. La stessa cosa vale in Giappone, con la differenza che la maggior parte dell’etichetta viene insegnata a scuola o dalle aziende che assumono e quindi educano le loro maestranze. Mi si è domanda spesso se la cortesia di giapponesi è reale e sentita. Ho intenzione di rispondere, ma prima di farlo però vorrei dare un’idea di che cos’è la cortesia in questo paese, un compito che possiamo tranquillamente affidare a Kōtarō, il chatGPT custom creato solo per me , perché non ho bisogno di input esterno per vedere cosa è corretto e cosa no. Ecco cosa dice Kōtarō.
I giapponesi attribuiscono grande importanza ai doveri di cortesia e al rispetto delle regole sociali. Ecco alcuni esempi di quanto siano gravi questi doveri:
Saluto: Il modo in cui ci si inchina è fondamentale nella cultura giapponese. L’angolo dell’inclinazione della testa può variare a seconda del grado di rispetto o formalità. Non inchinarsi adeguatamente può essere considerato maleducato.
Regole sulla calzatura: È comune togliersi le scarpe quando si entra in una casa, un tempio, una scuola o in molti ristoranti giapponesi. Non farlo è considerato scortese.
Regole di puntualità: Essere in ritardo è visto come una mancanza di rispetto nei confronti degli altri. È importante essere puntuali sia per gli incontri personali che per gli impegni di lavoro.
Scambio di biglietti da visita: Durante incontri aziendali o sociali, lo scambio di biglietti da visita (chiamati “meishi”) è una pratica comune. È importante farlo con entrambe le mani e mostrare rispetto per il biglietto dell’altra persona.
Gestire il rumore: Il silenzio è apprezzato in molte situazioni. Parlare ad alta voce o fare rumore in luoghi pubblici può essere considerato maleducato.
Non mostrare emozioni negative in pubblico: Esprimere rabbia o frustrazione in pubblico è spesso evitato. La cultura giapponese promuove il controllo delle emozioni in situazioni sociali.
Non mettere gli altri in imbarazzo: Evitare di mettere gli altri in situazioni imbarazzanti o scomode è una regola importante di cortesia. Questo può includere evitare di fare domande troppo personali o di criticare gli altri apertamente.
Rispetto per gli anziani: I giapponesi mostrano grande rispetto per gli anziani. Deve essere evitato qualsiasi comportamento che potrebbe sembrare mancare di rispetto verso gli anziani.
Ordine e pulizia: Mantenere la pulizia e l’ordine negli spazi condivisi è considerato fondamentale. Lasciare sporco o disordine può essere visto come mancanza di rispetto verso gli altri.
Uso del linguaggio onorifico: Il giapponese ha un sistema complesso di linguaggio onorifico che viene utilizzato per indicare rispetto e cortesia verso gli altri. Usare il linguaggio sbagliato in una situazione formale può essere considerato maleducato.Questi sono solo alcuni esempi dei doveri di cortesia giapponesi. È importante notare che la cultura giapponese è ricca di sfumature e le aspettative di comportamento possono variare in base al contesto e alle relazioni personali. Tuttavia, il rispetto per gli altri e il mantenimento dell’armonia sociale sono valori fondamentali nella società giapponese.
Questa ferrea disciplina si manifesta in tutti gli aspetti della vita sociale. Il conducente giapponese per esempio è il meno aggressivo del mondo. La comparsa di una umile bicicletta, spesso la mia, è sufficiente per per far fermare un autobus, che mi cede il passo che io abbia la precedenza o no o che io lo voglia o no. Mi costringe ad agire. che io abbia la precedenza o no.
L’uso principale del clacson è fare brevi suoni in una specie di codice Morse. Due brevi colpetti vogliono dire grazie.
Ma questo ancora credo non dia un’idea di quanto radicata sia la cortesia nei giapponesi, e quanto siano importanti le formalità in questa cortesia. Allora vi racconterò cosa è successo a casa mia di recente. Dopo anni di incertezze, un mio amico finalmente si è deciso a venire a trovarmi.
Ho detto la cosa a mia moglie e, in tutta onestà, non solo non ci ho ho pensato più, ma ho fatto il madornale errore di pensare che lei avesse fatto lo stesso. Nei tre mesi successivi riparò tutto quello che era rotto, sostituì quello che era vecchio e via avanti di questo passo fino al giorno prima di quello fatidico. Il giorno dopo, prima che finalmente arrivassero gli ospiti, comprò dei fiori da mettere nella loro stanza, in ingresso e in salotto.
Se si è invitati al matrimonio di un amico, bisogna dare un regalo in bigliettoni da 10.000 ¥ adeguato alla circostanza. Chi riceve il favore deve inviare un o-kaeshi, un regalo di ringraziamento che deve valere credo la metà del denaro ricevuto. Questo va fatto per tutti gli invitati.
Potrei andare avanti per ore di questo passo, ma ormai credo abbiate capito che aria tira.
Inutile nascondersi che un galateo così costoso, labirintico, oppressivo e impegnativo è una seccatura, e infatti moglie protesta ogni volta che porto a casa un ospite senza avvertire tre giorni prima. E io le dico che è esattamente questa la ragione per cui non le dico nulla. ribatte che non è neppure il tempo di andare a comprare i fiori per questo ospite.
Allora le domando se pensa che i miei amici si accorgano dei dei fiori che lei compra. La risposta ovviamente è no, salvo nel caso di Akira che è gay, ma lei dice che non c’entra. Quello che importa è il suo orgoglio di padrona di casa giapponese. ”Ma fregatene, le dico. lasciaci fare. Siamo stranieri, a casa nostra si fa così, senza pretese.” Niente da fare.
Ed è per questo che la risposta alla domanda è “in”.
Una buona parte della cortesia giapponese è vera, una parte è sentita ma è anche fatta per dovere, infine c’è una parte che viene fatta, ma pensando che è una seccatura e basta.
Ma perché accade tutto questo? È una storia lunga che avrò il piacere di raccontarvi che avrò il piacere di raccontarvi domani.
L’insegnamento del giapponese viene di solito fatto senza spiegare il perché di certe regole. Questo vale anche e prima di tutto per i pronomi personali, ritenuti troppo complessi e diversi dai nostri per poter essere insegnati ad un principiante nel loro insieme.
Sono arrivato alla conclusione che, al contrario, una vera comprensione del giapponese è impossibile senza una conoscenza dei concetti che seguono, che andrebbero quindi affrontati immediatamente, prima di iniziare a studiare. L’alternativa è lo sperare che l’individuo sia in grado in un indeterminato momento futuro di arrivarci da solo.
I pronomi personali in giapponese si basano su due parametri imparati spontaneamente e mai esplicitati.
1 Il primo è la posizione dell’interlocutore rispetto a se stessi, che può essere superiore o inferiore. Si usa un titolo con i superiori, il nome con gli inferiori. Notare che in italiano si fa la stessa cosa. Si usano mamma, zia, avvocato, dottore come vocativo nel parlare direttamente con gli interessati, il nome proprio con gli altri. Mi sembra ci siano ragioni per pensare questa abitudine si stia indebolendo. Molti ragazzi chiamano loro padre col suo nome proprio (io ne conosco diversi).
In ambedue le culture, usare pronomi personali o nomi propri per chiamare persone a sé superiori è irrispettoso. Per esse si usa un titolo o ruolo sociale. Si dice quindi nonna, zia, direttore, avvocato, dottore, capo, ingegnere ai propri superiori, e Gianni a proprio cugino o ad un collega dei pari grado.
2 L’appartenenza o meno al proprio gruppo, una distinzione che in italiano (mi sembra) non venga fatta.
La differenza pratica fra il giapponese e l’italiano consiste nell’intensità dello stigma posto sui pronomi personali, quasi mai usati in giapponese. Questo possiede termini per la seconda e terza persona singolare, ma sono tutti da evitare. La ragione è l’idea che gli altri ci sono superiori per definizione, se non altro finché il nostro rapporto con loro si chiarisce. Anche in seguito, quando necessario per chiamare qualcuno si usano preferibilmente altri mezzi.
SOSTITUTI DEI PRONOMI DI SECONDA PERSONA
Questa, ritengo, è la sezione che il principiante dovrebbe studiare con diligenza.
Questi termini sono i più difficili da usare perché sono quelli che entrano in gioco direttamente quando si incontra una persona per la prima volta. I pronomi vanno evitati, ma farlo in una lingua senza singolare e plurale, senza maschile e femminile e praticamente priva di coniugazioni dei verbi non è facile.
Con chi conosciamo il problema è presto risolto (si fa per dire…).
Membri della famiglia:
Al posto del pronome personale, tecnicamente anata, si usa il rapporto di parentela. Otōsan (il trattino sopra una vocale, chiamato macron, la allunga), parola formale per padre, o okaasan, madre.
I fratelli maggiori sono oniisan, e non Taro o Akira. Notare il -san onorifico.
Membri di status inferiore:
Il nome proprio.
Tenere presente che io chiamo mia suocera okaasan, mamma, quando la chiamo, come è normale e mio dovere fare.
Per spiegare l’uso dei pronomi personali fra intimi per esempio fra me (Fū) e mia moglie (Junko), sarà meglio un esempio che una spiegazione.
“A che ora torna Junko?” dico io.
純子は何時に帰る?
Mi risponde: “Verso mezzogiorno. Francesco ci sarà, vero?”
12時位。フーちゃんはおるやろ?
Per membri della famiglia altrui si deve usare il cognome con -san per i superiori, il nome proprio come qui sopra per gli altri.
E con gli sconosciuti? Qui le cose si complicano.
Un modo è usare i verbi direzionali, verbi che non solo esprimono una azione, ma anche la direzione in cui avviene. Partiamo da un esempio per poi spiegarlo. Se chiedi a un poliziotto dov’è l’ambasciata italiana, ti risponderà per esempio:
真っ直ぐ行ってもらって。。。 Massugu itte moratte …
Moratte deriva da morau, un verbo che non vuole dire semplicemente ricevere, ma che chi riceve è chi parla. In altri termini, il poliziotto sta dicendo:
“Mi dia l’andare diritto …”
Questo rende superfluo il pronome personale.
La stessa cosa può venir fatta con i prefissi di cortesia go- e o-. Dicendo お車 o-kuruma, che sarebbe “onorevole automobile”, metto subito in chiaro che si tratta della TUA automobile, rendendo inutile l’uso del pronome possessivo, in giapponese costruito da quello personale (anata no, letteralmente “di tu”).
A volte però è inevitabile usare un qualche tipo di identificazione personale.
Un impiegato o cameriere ti chiamerà お客様 okyakusama, onorevole cliente. Altrimenti medico, avvocato, poliziotto (seempre usando il suffisso –san).
In tutti questi casi, chi parla mette l’interlocutore al di fuori del proprio gruppo, soluzione preferibile perché consente di usare il massimo grado di cortesia.
E se la funzione o carica non sono chiare? Allora si parla come se ci si stesse rivolgendo ad un membro più anziano della propria famiglia, quindi fratello maggiore (anche se sei più anziano della persona cui ti rivolgi), padre, madre. Utilizzabile, ma ti costringe ad essere meno formale e rischiare di offendere.
Anni fa in un supermercato vidi una monetina da 50 yen per terra e chiesi alla cassiera se era sua. Mi ha risposto:
お父さんのですよ。Otōsan no desu yo
La frase letteralmente vuole dire “È di mio padre.” Cioè io. Mi stava chiamando suo padre. La ragione per cui mi ricordo l’incidente è che in quel momento ho pensato con stizza che non mi aveva chiamato suo fratello maggiore, come avrebbe fatto se avessi avuto i suoi anni o meno. Ed aveva almeno quarant’anni.
I dettagli dell’uso del nome proprio richiederebbero un post a sé stante. Meglio lasciar correre, per ora.
I PRONOMI PERSONALI
Questi i metodi consigliati per sostituire i pronomi di seconda persona.
Di pronomi in senso stretto in giapponese non ce ne sono. Quelli detti pronomi sono in realtà sostantivi, ma quello è un ennesimo ginepraio che per ora è meglio evitare. In ogni caso, eccoli.
ANATA
Anata ha quattro forme:
あなた in hiragana, uno dei due sillabari in uso in giapponese. È la forma più neutra e comune.
貴方 scritta con due caratteri che vogliono dire “preziosa persona”. Nessuna indicazione di genere.
貴女 differisce dal secondo termine visto perché usa il carattere per “donna” al posto di quello per persona. Visto lo status di inferiorità della donna nella società giapponese (perdonatemi ragazze, mi dispiace davvero, ma così stanno le cose), è molto raro.
貴男 finisce invece con il carattere per “uomo.” È usato soprattutto dalle donne al posto del nome proprio (Anata, “vieni un attimo”) per chiamare il marito, un’abitudine che riflette il loro stato di soggezione.
Ed ora una serie di termini che hanno in comune una curiosa caratteristica. I caratteri con cui sono scritti testimoniano il fatto che una volta manifestavano un forte o addirittura estremo rispetto, ed oggi invece fanno il contrario.
Kimi 君
Deriva da una parola che voleva dire “signore feudale”. Amichevole ma informale, fa buona coppia con boku, che vuol dire io.
Omae お前
Letteralmente “onorevole davanti”. Indica inferiorità o parità fra maschi. Inaccettabile se non fra soli uomini. Mia moglie mi chiama scherzosamente omae, ma questo è un nostro vizietto privato e cosa inaudita fra giapponesi, perché lei è una donna ed io sono un uomo. A volte si sbaglia e lo fa in presenza di altri e la cosa suscita sempre una certa sorpresa.
Temae o temee 手前
Letteralmente “davanti alle mani.” Il suo solo uso, specialmente quando pronunciato temee, è di per sé causa di litigio.
Kisama 貴様
Letteralmente “prezioso” col suffisso di estrema cortesia -sama.
È una sfida all’aggressione fisica. “Fatti avanti, se l’osi.”
Probabilmente ci saranno modifiche nei prossimi giorni, man mano che mi vengono in mente dettagli.
Nota finale.
Chiedo scusa dei numerosi errori, ma con un post di questa complessità sono per me difficili da evitare.Come si dice “tu” in giapponese?
L’insegnamento del giapponese viene di solito fatto senza spiegare il perché di certe regole. Questo vale anche e prima di tutto per i pronomi personali, ritenuti troppo complessi e diversi dai nostri per poter essere insegnati ad un principiante nel loro insieme.
Sono arrivato alla conclusione che, al contrario, una vera comprensione del giapponese è impossibile senza una conoscenza dei concetti che seguono, che andrebbero quindi affrontati immediatamente, prima di iniziare a studiare. L’alternativa è lo sperare che l’individuo sia in grado in un indeterminato momento futuro di arrivarci da solo.
I pronomi personali in giapponese si basano su due parametri imparati spontaneamente e mai esplicitati.
1 Il primo è la posizione dell’interlocutore rispetto a se stessi, che può essere superiore o inferiore. Si usa un titolo con i superiori, il nome con gli inferiori. Notare che in italiano si fa la stessa cosa. Si usano mamma, zia, avvocato, dottore come vocativo nel parlare direttamente con gli interessati, il nome proprio con gli altri. Mi sembra ci siano ragioni per pensare questa abitudine si stia indebolendo. Molti ragazzi chiamano loro padre col suo nome proprio (io ne conosco diversi).
In ambedue le culture, usare pronomi personali o nomi propri per chiamare persone a sé superiori è irrispettoso. Per esse si usa un titolo o ruolo sociale. Si dice quindi nonna, zia, direttore, avvocato, dottore, capo, ingegnere ai propri superiori, e Gianni a proprio cugino o ad un collega dei pari grado.
2 L’appartenenza o meno al proprio gruppo, una distinzione che in italiano (mi sembra) non venga fatta.
La differenza pratica fra il giapponese e l’italiano consiste nell’intensità dello stigma posto sui pronomi personali, quasi mai usati in giapponese. Questo possiede termini per la seconda e terza persona singolare, ma sono tutti da evitare. La ragione è l’idea che gli altri ci sono superiori per definizione, se non altro finché il nostro rapporto con loro si chiarisce. Anche in seguito, quando necessario per chiamare qualcuno si usano preferibilmente altri mezzi.
SOSTITUTI DEI PRONOMI DI SECONDA PERSONA
Questa, ritengo, è la sezione che il principiante dovrebbe studiare con diligenza.
Questi termini sono i più difficili da usare perché sono quelli che entrano in gioco direttamente quando si incontra una persona per la prima volta. I pronomi vanno evitati, ma farlo in una lingua senza singolare e plurale, senza maschile e femminile e praticamente priva di coniugazioni dei verbi non è facile.
Con chi conosciamo il problema è presto risolto (si fa per dire…).
Membri della famiglia:
Al posto del pronome personale, tecnicamente anata, si usa il rapporto di parentela. Otōsan (il trattino sopra una vocale, chiamato macron, la allunga), parola formale per padre, o okaasan, madre.
I fratelli maggiori sono oniisan, e non Taro o Akira. Notare il -san onorifico.
Membri di status inferiore:
Il nome proprio.
Tenere presente che io chiamo mia suocera okaasan, mamma, quando la chiamo, come è normale e mio dovere fare.
Per spiegare l’uso dei pronomi personali fra intimi per esempio fra me (Fū) e mia moglie (Junko), sarà meglio un esempio che una spiegazione.
“A che ora torna Junko?” dico io.
純子は何時に帰る?
Mi risponde: “Verso mezzogiorno. Francesco ci sarà, vero?”
12時位。フーちゃんはおるやろ?
Per membri della famiglia altrui si deve usare il cognome con -san per i superiori, il nome proprio come qui sopra per gli altri.
E con gli sconosciuti? Qui le cose si complicano.
Un modo è usare i verbi direzionali, verbi che non solo esprimono una azione, ma anche la direzione in cui avviene. Partiamo da un esempio per poi spiegarlo. Se chiedi a un poliziotto dov’è l’ambasciata italiana, ti risponderà per esempio:
真っ直ぐ行ってもらって。。。 Massugu itte moratte …
Moratte deriva da morau, un verbo che non vuole dire semplicemente ricevere, ma che chi riceve è chi parla. In altri termini, il poliziotto sta dicendo:
“Mi dia l’andare diritto …”
Questo rende superfluo il pronome personale.
La stessa cosa può venir fatta con i prefissi di cortesia go- e o-. Dicendo お車 o-kuruma, che sarebbe “onorevole automobile”, metto subito in chiaro che si tratta della TUA automobile, rendendo inutile l’uso del pronome possessivo, in giapponese costruito da quello personale (anata no, letteralmente “di tu”).
A volte però è inevitabile usare un qualche tipo di identificazione personale.
Un impiegato o cameriere ti chiamerà お客様 okyakusama, onorevole cliente. Altrimenti medico, avvocato, poliziotto (seempre usando il suffisso –san).
In tutti questi casi, chi parla mette l’interlocutore al di fuori del proprio gruppo, soluzione preferibile perché consente di usare il massimo grado di cortesia.
E se la funzione o carica non sono chiare? Allora si parla come se ci si stesse rivolgendo ad un membro più anziano della propria famiglia, quindi fratello maggiore (anche se sei più anziano della persona cui ti rivolgi), padre, madre. Utilizzabile, ma ti costringe ad essere meno formale e rischiare di offendere.
Anni fa in un supermercato vidi una monetina da 50 yen per terra e chiesi alla cassiera se era sua. Mi ha risposto:
お父さんのですよ。Otōsan no desu yo
La frase letteralmente vuole dire “È di mio padre.” Cioè io. Mi stava chiamando suo padre. La ragione per cui mi ricordo l’incidente è che in quel momento ho pensato con stizza che non mi aveva chiamato suo fratello maggiore, come avrebbe fatto se avessi avuto i suoi anni o meno. Ed aveva almeno quarant’anni.
I dettagli dell’uso del nome proprio richiederebbero un post a sé stante. Meglio lasciar correre, per ora.
L’insegnamento del giapponese viene di solito fatto senza spiegare il perché di certe regole. Questo vale anche e prima di tutto per i pronomi personali, ritenuti troppo complessi e diversi dai nostri per poter essere insegnati ad un principiante nel loro insieme.
Sono arrivato alla conclusione che, al contrario, una vera comprensione del giapponese è impossibile senza una conoscenza dei concetti che seguono, che andrebbero quindi affrontati immediatamente, prima di iniziare a studiare. L’alternativa è lo sperare che l’individuo sia in grado in un indeterminato momento futuro di arrivarci da solo.
I pronomi personali in giapponese si basano su due parametri imparati spontaneamente e mai esplicitati.
1 Il primo è la posizione dell’interlocutore rispetto a se stessi, che può essere superiore o inferiore. Si usa un titolo con i superiori, il nome con gli inferiori. Notare che in italiano si fa la stessa cosa. Si usano mamma, zia, avvocato, dottore come vocativo nel parlare direttamente con gli interessati, il nome proprio con gli altri. Mi sembra ci siano ragioni per pensare questa abitudine si stia indebolendo. Molti ragazzi chiamano loro padre col suo nome proprio (io ne conosco diversi).
In ambedue le culture, usare pronomi personali o nomi propri per chiamare persone a sé superiori è irrispettoso. Per esse si usa un titolo o ruolo sociale. Si dice quindi nonna, zia, direttore, avvocato, dottore, capo, ingegnere ai propri superiori, e Gianni a proprio cugino o ad un collega dei pari grado.
2 L’appartenenza o meno al proprio gruppo, una distinzione che in italiano (mi sembra) non venga fatta.
La differenza pratica fra il giapponese e l’italiano consiste nell’intensità dello stigma posto sui pronomi personali, quasi mai usati in giapponese. Questo possiede termini per la seconda e terza persona singolare, ma sono tutti da evitare. La ragione è l’idea che gli altri ci sono superiori per definizione, se non altro finché il nostro rapporto con loro si chiarisce. Anche in seguito, quando necessario per chiamare qualcuno si usano preferibilmente altri mezzi.
SOSTITUTI DEI PRONOMI DI SECONDA PERSONA
Questa, ritengo, è la sezione che il principiante dovrebbe studiare con diligenza.
Questi termini sono i più difficili da usare perché sono quelli che entrano in gioco direttamente quando si incontra una persona per la prima volta. I pronomi vanno evitati, ma farlo in una lingua senza singolare e plurale, senza maschile e femminile e praticamente priva di coniugazioni dei verbi non è facile.
Con chi conosciamo il problema è presto risolto (si fa per dire…).
Membri della famiglia:
Al posto del pronome personale, tecnicamente anata, si usa il rapporto di parentela. Otōsan (il trattino sopra una vocale, chiamato macron, la allunga), parola formale per padre, o okaasan, madre.
I fratelli maggiori sono oniisan, e non Taro o Akira. Notare il -san onorifico.
Membri di status inferiore:
Il nome proprio.
Tenere presente che io chiamo mia suocera okaasan, mamma, quando la chiamo, come è normale e mio dovere fare.
Per spiegare l’uso dei pronomi personali fra intimi per esempio fra me (Fū) e mia moglie (Junko), sarà meglio un esempio che una spiegazione.
“A che ora torna Junko?” dico io.
純子は何時に帰る?
Mi risponde: “Verso mezzogiorno. Francesco ci sarà, vero?”
12時位。フーちゃんはおるやろ?
Per membri della famiglia altrui si deve usare il cognome con -san per i superiori, il nome proprio come qui sopra per gli altri.
E con gli sconosciuti? Qui le cose si complicano.
Un modo è usare i verbi direzionali, verbi che non solo esprimono una azione, ma anche la direzione in cui avviene. Partiamo da un esempio per poi spiegarlo. Se chiedi a un poliziotto dov’è l’ambasciata italiana, ti risponderà per esempio:
真っ直ぐ行ってもらって。。。 Massugu itte moratte …
Moratte deriva da morau, un verbo che non vuole dire semplicemente ricevere, ma che chi riceve è chi parla. In altri termini, il poliziotto sta dicendo:
“Mi dia l’andare diritto …”
Questo rende superfluo il pronome personale.
La stessa cosa può venir fatta con i prefissi di cortesia go- e o-. Dicendo お車 o-kuruma, che sarebbe “onorevole automobile”, metto subito in chiaro che si tratta della TUA automobile, rendendo inutile l’uso del pronome possessivo, in giapponese costruito da quello personale (anata no, letteralmente “di tu”).
A volte però è inevitabile usare un qualche tipo di identificazione personale.
Un impiegato o cameriere ti chiamerà お客様 okyakusama, onorevole cliente. Altrimenti medico, avvocato, poliziotto (seempre usando il suffisso –san).
In tutti questi casi, chi parla mette l’interlocutore al di fuori del proprio gruppo, soluzione preferibile perché consente di usare il massimo grado di cortesia.
E se la funzione o carica non sono chiare? Allora si parla come se ci si stesse rivolgendo ad un membro più anziano della propria famiglia, quindi fratello maggiore (anche se sei più anziano della persona cui ti rivolgi), padre, madre. Utilizzabile, ma ti costringe ad essere meno formale e rischiare di offendere.
Anni fa in un supermercato vidi una monetina da 50 yen per terra e chiesi alla cassiera se era sua. Mi ha risposto:
お父さんのですよ。Otōsan no desu yo
La frase letteralmente vuole dire “È di mio padre.” Cioè io. Mi stava chiamando suo padre. La ragione per cui mi ricordo l’incidente è che in quel momento ho pensato con stizza che non mi aveva chiamato suo fratello maggiore, come avrebbe fatto se avessi avuto i suoi anni o meno. Ed aveva almeno quarant’anni.
I dettagli dell’uso del nome proprio richiederebbero un post a sé stante. Meglio lasciar correre, per ora.
I PRONOMI PERSONALI
Questi i metodi consigliati per sostituire i pronomi di seconda persona.
Di pronomi in senso stretto in giapponese non ce ne sono. Quelli detti pronomi sono in realtà sostantivi, ma quello è un ennesimo ginepraio che per ora è meglio evitare. In ogni caso, eccoli.
ANATA
Anata ha quattro forme:
あなた in hiragana, uno dei due sillabari in uso in giapponese. È la forma più neutra e comune.
貴方 scritta con due caratteri che vogliono dire “preziosa persona”. Nessuna indicazione di genere.
貴女 differisce dal secondo termine visto perché usa il carattere per “donna” al posto di quello per persona. Visto lo status di inferiorità della donna nella società giapponese (perdonatemi ragazze, mi dispiace davvero, ma così stanno le cose), è molto raro.
貴男 finisce invece con il carattere per “uomo.” È usato soprattutto dalle donne al posto del nome proprio (Anata, “vieni un attimo”) per chiamare il marito, un’abitudine che riflette il loro stato di soggezione.
Ed ora una serie di termini che hanno in comune una curiosa caratteristica. I caratteri con cui sono scritti testimoniano il fatto che una volta manifestavano un forte o addirittura estremo rispetto, ed oggi invece fanno il contrario.
Kimi 君
Deriva da una parola che voleva dire “signore feudale”. Amichevole ma informale, fa buona coppia con boku, che vuol dire io.
Omae お前
Letteralmente “onorevole davanti”. Indica inferiorità o parità fra maschi. Inaccettabile se non fra soli uomini. Mia moglie mi chiama scherzosamente omae, ma questo è un nostro vizietto privato e cosa inaudita fra giapponesi, perché lei è una donna ed io sono un uomo. A volte si sbaglia e lo fa in presenza di altri e la cosa suscita sempre una certa sorpresa.
Temae o temee 手前
Letteralmente “davanti alle mani.” Il suo solo uso, specialmente quando pronunciato temee, è di per sé causa di litigio.
Kisama 貴様
Letteralmente “prezioso” col suffisso di estrema cortesia -sama.
È una sfida all’aggressione fisica. “Fatti avanti, se l’osi.”
Probabilmente ci saranno modifiche nei prossimi giorni, man mano che mi vengono in mente dettagli.
Nota finale.
Chiedo scusa dei numerosi errori, ma con un post di questa complessità sono per me difficili da evitare.Come si dice “tu” in giapponese?
L’insegnamento del giapponese viene di solito fatto senza spiegare il perché di certe regole. Questo vale anche e prima di tutto per i pronomi personali, ritenuti troppo complessi e diversi dai nostri per poter essere insegnati ad un principiante nel loro insieme.
Sono arrivato alla conclusione che, al contrario, una vera comprensione del giapponese è impossibile senza una conoscenza dei concetti che seguono, che andrebbero quindi affrontati immediatamente, prima di iniziare a studiare. L’alternativa è lo sperare che l’individuo sia in grado in un indeterminato momento futuro di arrivarci da solo.
I pronomi personali in giapponese si basano su due parametri imparati spontaneamente e mai esplicitati.
1 Il primo è la posizione dell’interlocutore rispetto a se stessi, che può essere superiore o inferiore. Si usa un titolo con i superiori, il nome con gli inferiori. Notare che in italiano si fa la stessa cosa. Si usano mamma, zia, avvocato, dottore come vocativo nel parlare direttamente con gli interessati, il nome proprio con gli altri. Mi sembra ci siano ragioni per pensare questa abitudine si stia indebolendo. Molti ragazzi chiamano loro padre col suo nome proprio (io ne conosco diversi).
In ambedue le culture, usare pronomi personali o nomi propri per chiamare persone a sé superiori è irrispettoso. Per esse si usa un titolo o ruolo sociale. Si dice quindi nonna, zia, direttore, avvocato, dottore, capo, ingegnere ai propri superiori, e Gianni a proprio cugino o ad un collega dei pari grado.
2 L’appartenenza o meno al proprio gruppo, una distinzione che in italiano (mi sembra) non venga fatta.
La differenza pratica fra il giapponese e l’italiano consiste nell’intensità dello stigma posto sui pronomi personali, quasi mai usati in giapponese. Questo possiede termini per la seconda e terza persona singolare, ma sono tutti da evitare. La ragione è l’idea che gli altri ci sono superiori per definizione, se non altro finché il nostro rapporto con loro si chiarisce. Anche in seguito, quando necessario per chiamare qualcuno si usano preferibilmente altri mezzi.
SOSTITUTI DEI PRONOMI DI SECONDA PERSONA
Questa, ritengo, è la sezione che il principiante dovrebbe studiare con diligenza.
Questi termini sono i più difficili da usare perché sono quelli che entrano in gioco direttamente quando si incontra una persona per la prima volta. I pronomi vanno evitati, ma farlo in una lingua senza singolare e plurale, senza maschile e femminile e praticamente priva di coniugazioni dei verbi non è facile.
Con chi conosciamo il problema è presto risolto (si fa per dire…).
Membri della famiglia:
Al posto del pronome personale, tecnicamente anata, si usa il rapporto di parentela. Otōsan (il trattino sopra una vocale, chiamato macron, la allunga), parola formale per padre, o okaasan, madre.
I fratelli maggiori sono oniisan, e non Taro o Akira. Notare il -san onorifico.
Membri di status inferiore:
Il nome proprio.
Tenere presente che io chiamo mia suocera okaasan, mamma, quando la chiamo, come è normale e mio dovere fare.
Per spiegare l’uso dei pronomi personali fra intimi per esempio fra me (Fū) e mia moglie (Junko), sarà meglio un esempio che una spiegazione.
“A che ora torna Junko?” dico io.
純子は何時に帰る?
Mi risponde: “Verso mezzogiorno. Francesco ci sarà, vero?”
12時位。フーちゃんはおるやろ?
Per membri della famiglia altrui si deve usare il cognome con -san per i superiori, il nome proprio come qui sopra per gli altri.
E con gli sconosciuti? Qui le cose si complicano.
Un modo è usare i verbi direzionali, verbi che non solo esprimono una azione, ma anche la direzione in cui avviene. Partiamo da un esempio per poi spiegarlo. Se chiedi a un poliziotto dov’è l’ambasciata italiana, ti risponderà per esempio:
真っ直ぐ行ってもらって。。。 Massugu itte moratte …
Moratte deriva da morau, un verbo che non vuole dire semplicemente ricevere, ma che chi riceve è chi parla. In altri termini, il poliziotto sta dicendo:
“Mi dia l’andare diritto …”
Questo rende superfluo il pronome personale.
La stessa cosa può venir fatta con i prefissi di cortesia go- e o-. Dicendo お車 o-kuruma, che sarebbe “onorevole automobile”, metto subito in chiaro che si tratta della TUA automobile, rendendo inutile l’uso del pronome possessivo, in giapponese costruito da quello personale (anata no, letteralmente “di tu”).
A volte però è inevitabile usare un qualche tipo di identificazione personale.
Un impiegato o cameriere ti chiamerà お客様 okyakusama, onorevole cliente. Altrimenti medico, avvocato, poliziotto (seempre usando il suffisso –san).
In tutti questi casi, chi parla mette l’interlocutore al di fuori del proprio gruppo, soluzione preferibile perché consente di usare il massimo grado di cortesia.
E se la funzione o carica non sono chiare? Allora si parla come se ci si stesse rivolgendo ad un membro più anziano della propria famiglia, quindi fratello maggiore (anche se sei più anziano della persona cui ti rivolgi), padre, madre. Utilizzabile, ma ti costringe ad essere meno formale e rischiare di offendere.
Anni fa in un supermercato vidi una monetina da 50 yen per terra e chiesi alla cassiera se era sua. Mi ha risposto:
お父さんのですよ。Otōsan no desu yo
La frase letteralmente vuole dire “È di mio padre.” Cioè io. Mi stava chiamando suo padre. La ragione per cui mi ricordo l’incidente è che in quel momento ho pensato con stizza che non mi aveva chiamato suo fratello maggiore, come avrebbe fatto se avessi avuto i suoi anni o meno. Ed aveva almeno quarant’anni.
I dettagli dell’uso del nome proprio richiederebbero un post a sé stante. Meglio lasciar correre, per ora.
Qualche giorno fa Christian Savini ha postato un articolo sullo higan (equinozio d’autunno) in Giappone. Non avevo mai sentito il termine ma, guarda caso, il giorno dopo sono andato a visitare un tempio vicino a casa mia il cui portone principale è sempre chiuso. Questa volta era aperto. Ho domandato perché e la ragione era proprio lo higan.
Ora so che in giapponese la parola “higan” (彼岸) si riferisce a un concetto associato al Buddhismo giapponese. È spesso utilizzata per riferirsi al periodo di sette giorni intorno all’equinozio d’autunno, che di solito cade a metà settembre. Questo periodo è noto come “Higan no chūgen” (彼岸の中元) o semplicemente “Higan.”
Higan è un periodo in cui molte persone in Giappone visitano i cimiteri per onorare i propri antenati e pregare per il riposo delle loro anime. Per qualche ragione che sarebbe molto interessante sapere, si ritiene che l’abbia qualche rapporto con gli antenati. È una pratica buddista che riflette l’idea di passare dallo “Shigan” (o mondo terreno) allo Higan” (o altro mondo) e rappresenta un momento di riflessione, gratitudine e rispetto per gli antenati. Durante li higan, è comune offrire fiori e pulire le tombe dei defunti.
Questa non è che è una delle tantissime feste giapponesi basate su un evento siderale.
Setsubun: Questa festa si celebra il 3 febbraio ed è associata all’equinozio di primavera. Durante il Setsubun, le persone lanciano fagioli per scacciare i demoni e portare la buona fortuna per l’anno a venire
Hina Matsuri (Festa delle bambole): Si celebra il 3 marzo ed è una festa tradizionale dedicata alle bambine. Le famiglie espongono una serie di bambole chiamate “hina ningyo” per auspicare prosperità e felicità per le loro figlie.
Hanami (ammirare i fiori di ciliegio): Questa festa non ha una data specifica, ma di solito avviene tra marzo e aprile, quando i ciliegi sono in fiore. Le persone si riuniscono nei parchi per ammirare i ciliegi in fiore, fare picnic e festeggiare la bellezza della primavera.
Tanabata (Festa delle stelle): Si celebra il 7 luglio (o il 7 agosto secondo il calendario lunare). La festa di Tanabata coinvolge la scrittura di desideri su pezzi di carta colorato e appenderli a rami di bambù per celebrare l’incontro annuale di due stelle, Orihime e Hikoboshi.
Obon: Questa festività dura tre giorni e cade generalmente in agosto, ma le date variano da regione a regione. Obon è una festa in cui le persone commemorano i propri antenati. Si crede che le anime dei defunti ritornino in questo mondo, quindi si praticano danze tradizionali come il Bon Odori.
Tsukimi (Festa della luna piena): Si celebra durante la luna piena di settembre o ottobre. Durante Tsukimi, le persone ammirano la luna e spesso consumano cibi tradizionali come il mochi (dolce di riso glutinoso) per celebrare l’autunno.
Queste festività sono solo alcune delle celebrazioni basate su eventi siderali e stagionali in Giappone.
Sorge spontanea la domanda: perché? C’è una risposta ovvia. I ritmi della natura sono importanti nelle società preindustriali.
Ma ci sono altre ragioni. Da sempre, il cielo è associato con gli dei e il divino. Tutte le società celebrano in qualche modo le stelle e tentano di predire il futuro sulla base del loro comportamento. Le stelle ed il loro movimento sono visti come un modo per penetrare il mistero delle intenzioni degli dei, appunto nel cielo
È anche comune l’associazione di antenati e stelle.
Infine, si crede che le stelle in qualche modo controllino il nostro destino. Quanti modi di dire si basano appunto sull’idea che le stelle controllano il nostro futuro?
Un elemento sicuramente è la costanza della loro presenza, che ci induce a pensarle eterne. Un altro è il fatto che non cambiano mai, e sono quindi incorruttibili, salvo alcune, che invece cambiano spesso, i pianeti. Ce ne sono alcuni, per esempio Giove, che addirittura cambiano direzione improvvisamente in certe date.
Ma ecco un’altra parola che sta per destino. I pianeti.
L’associazione tra antenati, stelle e fortuna può variare da cultura a cultura, ma è presente ovunque.
Mi viene in mente ora che le montagne sono oggetto di culto praticamente ovunque per vari motivi, ma uno che è sempre presente è il fatto che toccano il cielo. Basta questo per renderle sacre. Il culto delle montagne poi ha multiple conseguenze, una delle quali sono i giardini zen, dai quali possono sparire del tutto le piante, ma dove le pietre sono indispensabili. Le pietre nella cultura giapponese rappresentano infatti le montagne quelle montagne la cui forza dipende in parte dal fatto che raggiungono gli astri, astri in cui riposano i nostri antenati.
Nei prossimi giorni cercherò di imparare di più su questo bellissimo argomento.
I ritmi astrali e le attività dell’essere umano
Qualche giorno fa Christian Savini ha postato un articolo sullo higan (equinozio d’autunno) in Giappone. Non avevo mai sentito il termine ma, guarda caso, il giorno dopo sono andato a visitare un tempio vicino a casa mia il cui portone principale è sempre chiuso. Questa volta era aperto. Ho domandato perché e la ragione era proprio lo higan.
Ora so che in giapponese la parola “higan” (彼岸) si riferisce a un concetto associato al Buddhismo giapponese. È spesso utilizzata per riferirsi al periodo di sette giorni intorno all’equinozio d’autunno, che di solito cade a metà settembre. Questo periodo è noto come “Higan no chūgen” (彼岸の中元) o semplicemente “Higan.”
Higan è un periodo in cui molte persone in Giappone visitano i cimiteri per onorare i propri antenati e pregare per il riposo delle loro anime. Per qualche ragione che sarebbe molto interessante sapere, si ritiene che l’abbia qualche rapporto con gli antenati. È una pratica buddista che riflette l’idea di passare dallo “Shigan” (o mondo terreno) allo Higan” (o altro mondo) e rappresenta un momento di riflessione, gratitudine e rispetto per gli antenati. Durante li higan, è comune offrire fiori e pulire le tombe dei defunti.
Questa non è che è una delle tantissime feste giapponesi basate su un evento siderale.
Setsubun: Questa festa si celebra il 3 febbraio ed è associata all’equinozio di primavera. Durante il Setsubun, le persone lanciano fagioli per scacciare i demoni e portare la buona fortuna per l’anno a venire
Hina Matsuri (Festa delle bambole): Si celebra il 3 marzo ed è una festa tradizionale dedicata alle bambine. Le famiglie espongono una serie di bambole chiamate “hina ningyo” per auspicare prosperità e felicità per le loro figlie.
Hanami (ammirare i fiori di ciliegio): Questa festa non ha una data specifica, ma di solito avviene tra marzo e aprile, quando i ciliegi sono in fiore. Le persone si riuniscono nei parchi per ammirare i ciliegi in fiore, fare picnic e festeggiare la bellezza della primavera.
Tanabata (Festa delle stelle): Si celebra il 7 luglio (o il 7 agosto secondo il calendario lunare). La festa di Tanabata coinvolge la scrittura di desideri su pezzi di carta colorato e appenderli a rami di bambù per celebrare l’incontro annuale di due stelle, Orihime e Hikoboshi.
Obon: Questa festività dura tre giorni e cade generalmente in agosto, ma le date variano da regione a regione. Obon è una festa in cui le persone commemorano i propri antenati. Si crede che le anime dei defunti ritornino in questo mondo, quindi si praticano danze tradizionali come il Bon Odori.
Tsukimi (Festa della luna piena): Si celebra durante la luna piena di settembre o ottobre. Durante Tsukimi, le persone ammirano la luna e spesso consumano cibi tradizionali come il mochi (dolce di riso glutinoso) per celebrare l’autunno.
Queste festività sono solo alcune delle celebrazioni basate su eventi siderali e stagionali in Giappone.
Sorge spontanea la domanda: perché? C’è una risposta ovvia. I ritmi della natura sono importanti nelle società preindustriali.
Ma ci sono altre ragioni. Da sempre, il cielo è associato con gli dei e il divino. Tutte le società celebrano in qualche modo le stelle e tentano di predire il futuro sulla base del loro comportamento. Le stelle ed il loro movimento sono visti come un modo per penetrare il mistero delle intenzioni degli dei, appunto nel cielo
È anche comune l’associazione di antenati e stelle.
Infine, si crede che le stelle in qualche modo controllino il nostro destino. Quanti modi di dire si basano appunto sull’idea che le stelle controllano il nostro futuro?
Un elemento sicuramente è la costanza della loro presenza, che ci induce a pensarle eterne. Un altro è il fatto che non cambiano mai, e sono quindi incorruttibili, salvo alcune, che invece cambiano spesso, i pianeti. Ce ne sono alcuni, per esempio Giove, che addirittura cambiano direzione improvvisamente in certe date.
Ma ecco un’altra parola che sta per destino. I pianeti.
L’associazione tra antenati, stelle e fortuna può variare da cultura a cultura, ma è presente ovunque.
Mi viene in mente ora che le montagne sono oggetto di culto praticamente ovunque per vari motivi, ma uno che è sempre presente è il fatto che toccano il cielo. Basta questo per renderle sacre. Il culto delle montagne poi ha multiple conseguenze, una delle quali sono i giardini zen, dai quali possono sparire del tutto le piante, ma dove le pietre sono indispensabili. Le pietre nella cultura giapponese rappresentano infatti le montagne quelle montagne la cui forza dipende in parte dal fatto che raggiungono gli astri, astri in cui riposano i nostri antenati.
Nei prossimi giorni cercherò di imparare di più su questo bellissimo argomento.
Prima di tutto vorrei attirare l’attenzione sul fatto che non c’è molto accordo circa il presente e il futuro della Cina. Vedi l’immagine in calce. Secondo me, e ripeto secondo me, quest’idea che la Cina stia per diventare una superpotenza è sbagliata e la Cina stessa ha dichiarato di ritenere la cosa improbabile. Questo per molteplici ragioni.
Si parte dal fatto Che la Cina non è interessata al mondo, e vuole essere lasciata il più possibile in pace. So che molti non la vedono così, ma si sbagliano. Nel XVIII secolo dopo la guerra dell’oppio gli stranieri sventrarono con inaudita violenza la Cina, dando inizio a quello che i cinesi stessi chiamano il secolo dell’umiliazione. Gli europei hanno dimenticato la guerra dell’oppio, i cinesi NO. Tutto quello che fanno è, dal loro punto di vista, in chiave di difesa. Infondo sono gli americani sulla loro porta di casa, armati fino ai denti ed aggressivi come non mai. La base di Okinawa da sola basta e avanza a giustificare le preoccupazioni della Cina. Che io sappia, la Cina non è una minaccia mortale per gli Stati Uniti.
La sua popolazione poi e contemporaneamente scarsa ed eccessiva. Insufficiente perché non ha una percentale adeguata di giovani. Sono i giovani che mantengono i vecchi. Uno non paga la pensione per mettere via denaro per mantenere se stesso. Si paga la pensione per mantenere chi è in pensione adesso.
La politica di concedere un figlio solo per famiglia ha avuto il suo risultato inteso, quello di fermare la crescita della popolazione, ma ha anche avuto questo effetto collaterale indesiderato. Al contrario degli Stati Uniti, alla Cina mancano i giovani.
Per non parlare del problema della equa distribuzione del reddito. Se pensate che gli Stati Uniti siano ingiusti, non sapete quanto lo sia la Cina.
Infine, la Cina è istintivamente isolazionista. In questi due secoli è cambiato molto, ma storicamente ad ogni apertura è sempre corrisposta una chiusura più tardi.al contrario degli Stati Uniti, la Cina non è inclusiva, non desidera e non accoglie volentieri gli stranieri. Se ne sta bene a casa sua, e le grandi migrazioni di cinesi sono tutte recentissime, al massimo un paio di secoli fa. Tutto questo non la rende un candidato ideale per il ruolo di superpotenza. Lo sarà solo in un teatro. L’estremo oriente.
La mancanza di interesse nel mondo della Cina è visibile chiaramente nell’immensa area di influenza indiana, che si manifesta in un uso di metodi di scrittura derivati dal sanscrito. I paesi che usano in qualche misura i caratteri cinesi sono tre, oltre naturalmente la Cina. Alla Cina sta bene così
La Cina è sempre stata, e tuttora e sempre sarà la potenza dominante di quello che io chiamo in paese dei kanji, che sarebbe poi il piccolo paradiso economico che Cina, Taiwan, Corea e Giappone si sono costruite, una specie di mini comunità europea. La Cina vuole con tutta se stessa dominare il paese dei kanji e quindi necessariamente espellere gli Stati Uniti perché secondo lei ne va della sua sicurezza
È mia convinzione che gli Stati Uniti non potranno fare a meno prima o poi di ritirarsi in buon ordine e lasciare la supremazia nel paese dei kanji a chi compete di diritto. Gli Stati Uniti non possono vincere una guerra con la Cina, perché la Cina combatterebbe per difendere se stessa, quindi è disposta a perdite umane, anche altissime, per difendere se stessa. Mao Zedong ha perso un figlio nella guerra di Corea, la cui vera ragione di essere era di impedire agli americani di raggiungere il fiume Yalu, il tradizionale confine fra Cina e Corea. I cinesi assolutamente non volevano che gli Stati Uniti fossero in grado di minacciare la loro patria direttamente. Ed è questo che gli europei (io non mi reputo più tale. In Q inglese mi presento come un asiatico di origine europea) non vogliono mettersi in testa. La Cina, dal suo punto di vista, non è aggressiva. E non so come non darle ragione. Perfino i francesi hanno mandato una portaerei nel mare cinese, che si chiama appunto mare cinese, non mare francese.
Gli Stati Uniti non sono disposti a perdere numeri altissimi dei loro soldati per un paese lontano. Non possono proiettare all’infinito il loro potere attraverso i continenti, e credo nell’estremo oriente il loro periodo di grazia stia per finire. Questa zona sarà il cordone sanitario di cui la Cina ha bisogno. Questo le basterà.
Per tutti questi motivi io ritengo che la Cina non sarà mai una superpotenza.