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  • 小正月 Koshōgatsu

    小正月 Koshōgatsu

    Koshōgatsu: definizione ed origini


    Il Capodanno in Giappone é considerato il periodo dell’anno più importante e tutti i riti ad esso connessi sono distribuiti nell’arco temporale di quattro settimane.

    In un post precedente abbiamo già parlato dello Oshōgatsu (大正月) descrivendone i riti distintivi. In questo parleremo invece delle sue origini, parlando del koshōgatsu (小正月), il “piccolo Capodanno”.

    Shōgatsu e koshōgatsu

    Il termine shōgatsu, è composto dal kanji, 正, che significa “corretto”, “originale”, e dal kanji per luna, 月. Il termine significa letteralmente “il mese principale”. Il temine koshōgatsu invece, è composto da il kanji 小, che significa “piccolo”. Per opposizione, il nuovo anno può essere anche chiamato “grande” con il kanji per grande, 大, e sarà letto come “Oshōgatsu“.

    Mentre durante lo Oshōgatsu le persone pregano per la fortuna e la felicità personale e delle loro famiglie, le celebrazioni del koshōgatsu sono sempre state più legate al mondo agricolo.

    Durante il koshōgatsu, in un modo che ricorda l’ hatsumōde (初詣, la prima visita al tempio/santuario), le persone visitano i santuari locali, fanno offerte agli antenati e conducono anche riti riconducibili alla fertilità.

    Tradizioni e calendario

    I riti del Capodanno giapponese sono legati a tradizioni antiche che nel corso del tempo sono mutate adattandosi all’introduzione di nuovi calendari. A partire da quello luni-solare di provenienza cinese e in seguito quello gregoriano.

    Il Giappone ha formalmente adottato il calendario gregoriano durante la Restaurazione Meiji, e dal 1873, il Capodanno si festeggia il 1° Gennaio. Secondo il kyūreki (旧暦), il precendente calendario luni-solare e condivideva il giorno del Capodanno si festeggiava nel mese di Febbraio come accade ancora in altri paese dell’Asia orientale come Cina, Corea e Vietnam.

    Koshōgatsu e matsu no uchi

    Secondo la tradizione i preparativi dello Oshōgatsu cominciavano il 13 Dicembre per concludersi il 15 Gennaio, giorno in cui si festeggia il koshōgatsu che, fino al periodo Edo (1603-1868), era conosciuto con il nome di matsu no uchi (松の内) letteralmente “periodo del pino”. Questo nome è legato alla tradizione giapponese di esporre i kadomatsu agli ingressi di abitazioni ed imprese commerciali. Oggi con questo termine si va rifermento soltanto ai primi 7 giorni dell’anno nuovo.
    Con l’adozione del calendario gregoriano, il Capodanno si celebra ufficialmente il 1 Gennaio con il nome di Oshōgatsu (大正月). Sono considerati festivi anche i giorni precedenti 29-30-31 Dicembre e i primi 3 giorni di Gennaio, conosciuti come shōgatsu sanganichi (正月三が日). Qui in Giappone si fa riferimento a questo periodo chiamandolo normalmente nenmatsu nenshi (年末年始), letteralmente “fine anno, inizio anno”.

    Otoko-shōgatsu ed onna-shōgatsu

    Mentre il 1° Gennaio viene chiamato anche otoko-shōgatsu (男正月, Capodanno degli uomini), il 15 Gennaio è conosciuto anche come il Capodanno delle donne, onna-shōgatsu (女正月). In passato, in questo giorno, le le donne potevano finalmente rilassarsi, dopo essere state impegnate nei preparativi e nell’intrattenimento dei parenti durante il periodo di Capodanno, vivendo appieno lo spirito del nuovo anno.

    In alcune regioni, è consuetudine che gli uomini svolgano tutte le faccende domestiche durante il Piccolo Capodanno, in modo che le donne possano riposare. Mia moglie per esempio organizza ogni anno con le sue amiche il shinnenkai (新年会) proprio in questo giorno. Durante gli shinnenkai i giapponesi si ritrovano assieme, normalmente in un izakaya, per festeggiare e condividere le loro aspirazioni per il nuovo anno.

    Toshigami, la divinità dell’anno

    Fulcro delle celebrazioni del koshōgatsu é il Toshigami-sama. Comunemente associato al ta no kami (田の神) la divinità della montagna che scende nelle risaie durante la primavera.

    I preparativi e le decorazioni per accogliere questa divinità vanno ultimati entro il 28 Dicembre, giorno conosciuto come goyō-osame (御用納め), ovvero l’ultimo giorno lavorativo dell’anno. Molte famiglie si preparano ad accogliere il toshigami pulendo e decorando i kamidana (神棚, gli altari dedicati ai kami) ed esponendo i kadomatsu, le shimenawa (しめ縄), le shimekazari (しめ飾り), i kagami-mochi (鏡餅), i mochi-bana (餅花) o mayudama (繭玉).

    L’azuki-gayu

    La mattina del koshōgatsu, in molte famiglie giapponesi si consuma un porridge di riso al quale vengono aggiunti i fagioli rossi azuki conosciuto come azuki-gayu (小豆粥) o jūgonichi-gayu (十五日粥), “porridge del quindicesimo giorno”.

    Perché si mangia l’azuki-gayu?

    Questa usanza trova le sue origini nell’antica Cina quando si credeva che il cibo di colore rosso, come i fagioli azuki, aiutasse a purificare il corpo dagli spiriti maligni. L’azuki-gayu viene consumato come augurio di buona salute.

    Kayuura

    Il kayu-ura (粥占), conosciuto anche come mi-kayu-ura (神粥占) o toshi-ura (年占) è un rituale di divinazione scintoista per il nuovo anno che prevede appunto l’utilizzo del kayu (porridge di riso) o degli azuki.

    Fonte: Mainichi-shinbun

    Tradizionalmente eseguito il 15° giorno del primo mese lunare, in seguito all’ adozione del calendario gregoriano è convenzionalmente eseguito il 15 Gennaio.
    Lo scopo del kayu-ura è predire il tempo atmosferico, il raccolto ed altri aspetti dell’anno nuovo. Una pratica diffusa in quasi tutto il Giappone consiste nel mescolare il kayu con il kayu-bashi (粥箸), un bastoncino di salice o bambù dotato di una fessura su un’estremità. La divinazione viene fatta in base al numero di chicchi di riso che rimangono attaccati nella fessura del bastoncino.

    Un altro metodo, consiste nel mettere dodici sottili cilindri di bambù detti take-tsutsu (竹筒), assieme al riso o ai fagioli azuki in una pentola e rimuoverli a fine cottura. Dopo aver tagliato in due ogni cilindro, il raccolto di quell’anno sarà determinato dal numero di chicchi di riso o di fagioli rimasti all’interno dei cilindri. I dodici cilindri di bambù rappresentano i mesi dell’anno.

    Fonte: Mainichi-shinbun

    Si crede che l’utilizzo del kayu derivi dalla credenza leagta al suo potere di esorcizzare gli spiriti maligni. Fino al periodo Meiji, questa forma di divinazione era diffusa in tutto il Giappone e si ritiene che fosse un rituale condotto nelle comunità rurali dai capifamiglia dei vari clan. Oggi è molto raro parteciparvi perché viene spesso condotto in modo privato e solamente i risultati vengono affissi nelle bacheche dei santuari e a volte riportati sulla stampa locale.

    Mochi-bana

    I mochi-bana (餅花) sono decorazione invernali composte da rami di salice e pino, decorati con tanti piccoli mochi. Si dice che i giapponesi abbiano iniziato ad esporre questa composizione nelle loro case e nelle strade per dare colore al grigio paesaggio invernale.

    Sono sempre stati considerati come un augurio per un abbondante raccolto del grano, quello che in giapponese é conosciuto come gokoku-hōjō (五穀豊穣). Il termine gokoku (五穀) indica i cinque cereali, mentre il temine hōjō (豊穣) indicare la produttività e l’abbondanza del raccolto.
    Nonostante al giorno d’oggi siano sempre meno le persone che continuano a creare ed usare queste decorazioni, comunità locali o istituzioni com l’asilo frequentato dai miei figli cercano di trasmettere ai bambini l’importanza di mantenere le tradizioni insegnando il processo di creazione di queste decorazioni.

    Preparazione dei mochi-bana

    I mochi di colore rosso e bianco, binomio di colori conosciuto in giapponese come kōhaku (紅白, rosso e bianco sono colori legati alla tradizione shintoista del paese in quanto il rosso sembra tenere lontani gli spiriti maligni e il bianco come simbolo di purezza), vengono appiattiti e poi divisi in piccoli pezzetti per essere poi infilati sui rami di salice. Il tutto viene poi decorato con rami di pino.

    Inizialmente, i mochi-bana erano utilizzati solo come decorazioni durante il periodo del koshōgatsu visto il loro legame con il raccolto ma, in seguito, sono diventati una decorazione tipicamente invernale che si può vedere esposta anche nei negozi. In alcune zone del Giappone, dove è molto praticata la sericoltura, sono anche chiamati anche mayudama (繭玉) dove al posto dei mochi vengono usati dei piccoli bozzoli di cotone.

    Fonte: tbs-tv (Mayudama)

    Sagichō

    Il sagichō (左義長), conosciuto anche come dondoyaki (どんど焼き) o con altri nomi, è un evento locale che si svolge dal 7 al 15 Gennaio (le date variano a seconda delle regione) in molte città giapponesi per bruciare le decorazioni usate durante lo shōgatsu e per pregare per la buona sorte del nuovo anno. Il sagichō è spesso legato a rituali celebrati nei santuari shintoisti.

    Si tratta di un evento che riunisce le comunità locali per augurarsi la felicità del nuovo anno. Viene costruita specie di torre, fatta di bambù verde, con un’apertura centrale all’intero della quale sono riposte tutte le decorazioni usate durante le celebrazioni per il nuovo anno assieme ad omamori, fuda, kakizome, daruma etc.

    Una volta incendiata, le fiamme salgono costantemente fino alla cima della torre tra lo scoppiettare del bambù. Nel mentre vengono serviti ai visitatori mochi e bevande. A seconda della zona il tutto può essere accompagnata anche da esibizioni di arti tradizionali o da fuochi d’artificio.
    Si crede che il sagichō purifichi e liberi il toshigami (年神), che ha dimorato nel kadomatsu e nelle altre decorazioni, permettendogli così di fare ritorno alla sua dimora risalendo in cielo con il fumo prodotto dai falò.

    Si dice che mangiando mochi o in generale altri cibi cotti su questo fuoco, si rimane in buona salute, e poiché si bruciano anche i kaki-zome (i fogli della prima calligrafia dell’anno) più in alto si innalzano le fiamme migliore sarà la propria calligrafia nel corso del nuovo anno.

    Con questi falò rituali si concludono le celebrazioni per il nuovo anno. Il 15 Gennaio è infatti anche conosciuto con il nome di shōgatsu-koto-jimai (正月事終い) che segnava la fine del periodo tradizionale del matsu no uchi e quindi il termine del periodo di festa per il nuovo anno.


    Anche se il legame tra l’agricoltura e la vita quotidiana delle persone sta venendo meno, il koshōgatsu rimane un momento importante soprattutto nelle zone rurali che fanno affidamento sull’agricoltura per il loro sostentamento. Molti templi, santuari e comunità in tutto il Giappone celebrano il Piccolo Capodanno seguendo antiche usanze e tradizioni che sperano di poter tramandare alle nuove generazioni sperando di conservare la cultura del proprio paese.

  • Perché in Giappone adottare bambini è raro

     Indubbiamente io scrivo molto spesso sull’animismo, ma ritengo di avere valide ragioni per farlo. Essa è infatti causa di molti dei malesseri che affliggono questo paese. Un esempio classico è l’adozione. Nell’articolo che segue tenterò di dimostrare che l’unica spiegazione plausibile del serio problema costituito dall’adozione in Giappone è il culto degli antenati. Sì vedrà che le sue caratteristiche sono così sconcertanti da non ammettere altra spiegazione.

    Il problema delle adozioni

    Da un lato, essa è estremamente comune. Il Giappone ha il secondo numero più alto di adozioni all’anno nel mondo, dopo gli Stati Uniti. Tuttavia, il 97% di questi adottati sono adulti che non hanno bisogno di aiuto finanziario o bambini legati ai genitori adottivi da legami di parentela. Dall’altra, la riluttanza ad adottare bambini con cui non si ha alcun rapporto di sangue è così grande che solo il 3% degli adottati è costituito da veri orfani.

    I fatti sono totalmente coerenti con tutto ciò che sappiamo del Giappone e delle sue tradizioni. Un clan ha bisogno di un capo. Se la natura non ne fornisce uno, è legittimo trovarne uno tra adulti con competenze adeguate. Questo tipo di adozione era normale nel Giappone tribale e tutti lo praticavano senza vederci nulla di male. Grandi figure storiche come Tokugawa Iemitsu erano state adottate.

    Una potenziale difficoltà potrebbe essere il fatto menzionato da Hozumi che  si credeva che gli antenati non amassero  il culto da parte di persone di sangue diverso. Ignorare questa preferenza era considerato uno dei peggiori crimini possibili contro la propria famiglia e si prendevano tutte le misure preventive possibili.

    La famiglia patriarcale

    In Cina, un altro paese in cui è presente il culto degli antenati, l’adozione era illegale e punita se scoperta. In Giappone era possibile solo in un caso, se una famiglia non aveva eredi maschi e stava per scomparire. Si adottava quindi qualcuno formalmente e lo si considerava , almeno a parole, parte della famiglia. A tempo debito, sarebbe diventato davvero il suo capo.

    Come è possibile conciliare i due fatti? Se è vero che un’adozione può dispiacere agli antenati, rimane il fatto che il lignaggio viene prima ancora di loro. È ovvio che anche gli antenati devono adattarsi, e nel loro stesso interesse.

    Inoltre, piuttosto che un bambino, le cui capacità sono sconosciute e che in ogni caso devono essere supportate fino all’età adulta, è molto più saggio adottare un adulto le cui abilità possono essere testate.

    Tale è la priorità data alla continuità della famiglia che i genitori biologici ricevono pieni diritti sui loro figli anche ben oltre il punto in cui li perderebbero altrove. Il destino del bambino stesso non è così importante quanto quello della famiglia, quindi i bambini abbandonati in una stazione ferroviaria non vengono tolti ai loro genitori biologici anche dopo che questi sono stati identificati.

    Legalmente parlando, il patriarcato giapponese non esiste più e ci sono indicazioni significative di erosione di ciò che resta del sistema. Tuttavia, il suo impatto sui tassi di adozione è ancora forte.

    Il kegare

    C’è anche la questione del kegare, perché un bambino abbandonato non appartiene formalmente a nessuna famiglia, ma è solo e può essere considerato merce danneggiata. Sarà evitato dai datori di lavoro e dalle potenziali partner. Il particolare sistema anagrafico giapponese koseki rende quasi impossibile nascondere il proprio status perché il documento contiene tutte le certificazioni possibili, compreso il fatto di essere stato abbandonato.

    Il disgusto per l’adozione è comune anche tra i giovani, e una giovane coppia giapponese senza figli rifiuterà l’idea di adottare. Conoscevo una coppia del genere e, dopo un soggiorno di diversi anni in Spagna, erano tornati in Giappone dove avevano pianificato di provare una terapia per la fertilità. Non riuscivano a capire come avremmo potuto raccomandare così facilmente un’adozione, e lo dicevano apertamente. Un problema molto diverso ma dalle radici simili è il seguente. 

    Accade sorprendentemente spesso che, alla morte di una donna giapponese sposata con uno straniero, la famiglia rapisca il bambino. Nonostante il fatto sia chiaramente un crimine, nella pratica le magistratura chiude un occhio a danno degli stranieri. Episodi del genere sono incomprensibili al di fuori del quadro del culto degli antenati. Conoscendo invece i meccanismi del medesimo, è immediatamente ovvıo che la motivazione risiede nel desiderio di proteggere gli interessi del clan, anche a discapito di quello dei diretti interessati.

  • È vero che gli stranieri in Giappone sono considerati sporchi?

    È vero che gli stranieri in Giappone sono considerati sporchi?

    Prima di tutto vorrei specificare che non ho mai sentito un giapponese esprimersi in questi termini. Possono avere pensato che gli europei sono sporchi, ma non mi è mai stato detto. Quelle che seguono quindi sono mie opinioni, quello che penso i giapponesi pensino, non fatti.

    Per un giapponese probabilmente è sporco il fatto che non ci facciamo il bagno tutti i giorni. Per loro è impensabile. Il bagno è un rituale, forse il momento più bello della giornata. In Giappone è sporco portare le scarpe in casa. Nessuno lo farebbe. I giapponesi, perlomeno quelli della mia età, 70 anni, trovano inconcepibile defecare e fare il bagno nello stesso luogo fisico. Il gabinetto ed il bagno sono locali separati. Per mia moglie è sporco mettere un rotolo di carta igienica nuovo di pacca sul tavolo di cucina. Le cose vecchie son sporche, quindi gli anziani, almeno, non andrebbero mai da un robivecchi. Mia moglie e quelle dei miei amici si rifiutano persino di entrarvi.

    I giapponesi sono famosi per essere amanti dell’igiene e chi è stato in oriente sa che nulla di paragonabile al Sol Levante esiste nel resto dell’Asia. Gli abiti si portano una volta sola. È ben vero che con questo clima è bene farselo, ma ci sono città italiane con climi simili, eppure non vi vedo tanta solerzia. Tutte le donne fanno il bucato tutte le mattine: siamo una famiglia di tre persone e la lavatrice corre tutte le mattine. La lavatrice una volta si teneva fuori casa perché considerata essa stessa sporca.

    Dopo gli attacchi terroristici al gas nervino degli anni 90, dal Giappone sono scomparsi i cestini dell’immondizia. Si vedono cartacce e rifiuti per terra? No. I tifosi del calcio giapponese puliscono lo stadio prima di andarsene, anche in caso di partite internazionali che perdono. Vediamo la mia cucina. Su di una mensola ci sono il contenitore arancione del liquido lavapiatti, quello verde del sapone liquido per le mani, mentre il terzo è una confezione di alcol disinfettante, fatto specificamente per la cucina e di comune uso. Questa pulizia fa parte di un panorama generale di estrema attenzione all’ordine, la precisione, la pulizia, la correttezza.

    Tutte queste cose hanno origine da un singolo concetto, causa di innumerevoli problemi sociali ed origine di molti dei tratti migliori di questa cultura, un concetto così importante che penso sia bene spiegarlo all’inizio, una volta per tutte, in modo che possa fare da sfondo a tutti i miei post. Il concetto in questione è quello di contaminazione, in giapponese kegare.

    Un breve racconto di dare un’idea chiara della sua natura. Mia moglie fino a qualche anno fa disegnava calzini per un’azienda che si chiamava Renown. Essa poi fallí ma i suoi prodotti, di ottima qualità, vennero venduti fino a esaurimento dello stock. Un giorno la mia metà entrò in un negozio di lusso e sentire una conversazione fra un uomo e una donna:

    -Guarda che belli questi calzini. E costano poco.

    -È vero. Sono della Renown. Ehi, ma la Renown non è quella ditta che era fallita? Lascia perdere.

    -Hai ragione! Meglio lasciar perdere. Sono pieni di kegare. (Risparmiatevi le battute. Lo so anch’io a che parola assomiglia)

    in altri termini, il fatto che l’azienda che li aveva prodotti fosse fallita contaminava i calzini al punto da poter trasmettere la sfortuna della Renown ai loro acquirenti.

    Esso è un’energia negativa e funesta emanata da certi oggetti o eventi, per certi versi simile alla iettatura. Ottimi esempi sono il contatto con la morte, col sangue (e quindi le mestruazioni), le malattie infettive e la sporcizia. A causa del kegare è possibile trovarsi in uno stato equivalente a quello di peccato senza avere alcuna colpa. Se si rimane coinvolti in un incidente automobilistico e si è coperti dal sangue di un altro, che magari poi è morto, ma si è indenni, si è ugualmente carichi di kegare. Funziona insomma in modo simile alla radioattività. Il kegare è trasmissibile da persona a persona, attraverso gli abiti, il contatto diretto, le azioni o perfino nessuno di questi.

    Due idee ad esso legate sono lo tsumi 罪 e l’oharae お祓 え. Lo tsumi è superficialmente simile al peccato cristiano, e di fatto lo include come caso particolare, ma in ultima analisi è tutt’altra cosa perché non implica necessariamente responsabilità morale. Avere rapporti sessuali con una donna mestruante, ad esempio, è uno tsumi che genera kegare. La fonte più comune di kegare al giorno d’oggi è probabilmente un funerale. I funerali sono così carichi di kegare che ogni gesto, ogni utensile utilizzato nel corso della cerimonia non è utilizzabile in qualsiasi altra circostanza. Chi partecipa deve poi purificarsi con sale.

    ​Lo oharae è il nome della cerimonia con cui il kegare viene lavato via. Ne esistono di diversi tipi e il più delle volte la soluzione è qualcosa di semplice, ad esempio fare un’offerta. Di qui la passione giapponese per le cose bianche e nuove. Di qui il disprezzo per tutto quello che è vecchio. Una cosa antica è una cosa da buttare e un mio conoscente che, pur essendo giapponese, fa l’antiquario mi assicura che molti dei suoi clienti sono stranieri e che gli eventuali accompagnatori giapponesi preferiscono spesso rimanere fuori dalla porta mentre l’amico foresto fa compere. L’usato respinge molti.

    Tutti abbiamo sentito storie di ciliegie in vendita a 200 euro l’una. Queste storie, anche se non esattamente all’ordine del giorno, sono nondimeno vere. La ragione per cui esistono giapponesi disposti a pagare certe cifre è che sono primizie. Una fragola in febbraio annuncia la bella stagione, parla di vita, di resurrezione, di primavera. Il contrario del kegare.

    Storicamente, il kegare ha avuto effetti calamitosi ed è direttamente responsabile di tre problemi sociali diversi.

    I burakumin

    Il primo è quello dei cosiddetti burakumin, i fuoricasta giapponesi. Si trattava inizialmente di persone adibite alla rimozione di corpi durante una epidemia a Kyoto. La loro presenza si consolidò con gli anni. Finirono con l’essere addetti alla macellatura e alla conceria delle pelli.  I macellai erano contaminati dal loro lavoro al di là di ogni possibile emancipazione. Non erano una casta bassa, ma dei fuoricasta. Avevano una società loro, separata da quella normale. Per questo erano chiamati Eta (穢多), tanto kegare.  Paradossalmente, il monopolio della produzione del cuoio li rese ricchi, ma questo non cambiò nulla. Lafcadio Hearn, il migliore ma quasi dimenticato osservatore del Giappone, descrive un loro villaggio. Lindo, ordinato, in tutto e per tutto come gli altri.

    Lungi da essere un retaggio del passato, il kegare è un concetto essenziale per interpretare correttamente il Giappone.Un oggetto trovato viene di rado raccolto, anche se costoso, perché possibile fonte di kegare.

    Condizione della donna

    il secondo problema causato dal concetto di contaminazione non è esclusivo del Giappone ma è conosciuto anche da noi. La condizione della donna deriva in parte dal fatto che mestrua. In molte culture il nesso fra mestruazioni, parto, e sesso non è chiaro, quello che è chiaro invece è che la donna ogni mese perde sangue direttamente dall’interno del suo corpo. Questo non sembra farle male, ma è ugualmente una forma chiara di kegare.

    Anni fa stavo cenando con alcune amiche (tutti i miei amici giapponesi sono di sesso femminile) quando ho sentito una di loro parlare con un’altra, dicendo che suo marito le aveva detto che “le donne sono sporche”. Io ho capito immediatamente che non stava parlando di sporcizia fisica. In quel senso, non c’è dubbio, se qualcuno è sporco sono i maschi.

    Parlava della contaminazione profonda dovuta alle mestruazioni. Lei, più che comprensibilmente offesa, gli ha subito risposto che questo poteva anche essere vero, ma che ugualmente anche lui era nato di donna. Il problema femminile quindi è più grave che altrove. Qualche anno fa durante un incontro di sumo un arbitro si era sentito male. Una donna, unico medico presente, è salita sul ring, cosa assolutamente proibita proprio a causa di questo kegare. L’impianto voci le ha immediatamente intimato di uscire… La cosa è meno significativa di quello che sembra, perché l’ambiente del sumo è uno dei più conservatori del Giappone, inoltre la cosa ha fatto un enorme scandalo. Non è possibile però negare che la questione esista.

    Spreco

    Il terzo problema è lo spreco. Chi conosce i giapponesi sa quanto siano parchi, frugali e semplici nelle loro abitudini. Per esempio, non credo di avere mai visto un giapponese lasciare qualcosa sul piatto. Si mangia tutto. Le agende che mia moglie gettano dopo anni di uso, quando lo spazio finisce, sono come nuove. Questo vale per tutte le giapponesi che conosco. Come spiegare allora la loro tendenza indubbia a gettar via cose nuove? Col fatto che nessuno le vorrebbe. Come mai la mania per le primizie? Perché una persona è disposta a pagare 200 € per una ciliegia? Perché sono nuove e quindi “pure”. Tutte queste domande hanno la loro risposta nel kegare.

    Un’ultima storia, poi stacco. Una mia conoscente ha purificato il suo appartamento prima di lasciarlo, per essere certa di non lasciare alcuna traccia di kegare ai nuovi inquilini.

    Il kegare, poi, insieme alla paura delle anime dei morti contribuisce a una situazione di continua paranoia caratteristica di questo paese.

  • Piccolo dizionario di termini attinenti la religione in Giappone

    Piccolo dizionario di termini attinenti la religione in Giappone

     

    Amida Nyorai

     

    Giapponese scritto: 阿弥陀如来

    Divinità venerata dalla scuola buddista Jōdo. Appartiene al gruppo dei tathagata (detti anche buddha, nyorai in giapponese), cioè coloro che hanno già raggiunto l’illuminazione. A Kamakura è venerato, tra gli altri, a Hasedera, Kōtokuin e An ‘yōin, tutti templi Jōdo.

    Il gruppo nella foto è chiamato Sanzebutsu (三世佛, o i Buddha delle Tre Ere). Essi sono, da sinistra a destra, Amida (buddha del passato), Shaka (buddha del presente) e Miroku (buddha del futuro). 

     

    Amida Sanzon

    Giapponese scritto: 阿弥陀三尊

    Un trio di statue, in piedi o sedute, con il nyorai Amida al centro. I due assistenti sono solitamente il bosatsu Kannon a sinistra e Seishi (勢至) a destra.  

     

    Ashikaga Takauji

    Giapponese scritto: 足利尊氏

    Generale di Kamakura che fondò il secondo shogunato del Giappone. Il suo clan governò il paeseda poco dopo la caduta di Kamakura fino, almeno formalmente, al 1573.

     

    Bosatsu

    Giapponese scritto: 菩薩

    Chi  potrebbe raggiungere l’illuminazione, ma non lo fa per rimanere su questa terra e salvare altri.

     

    Clan Ashikaga

    Giapponese scritto: 足利氏

    Vedere Ashikaga Takauji.

     

    Campata

    Chiamata ken (間) in giapponese, la campata è la distanza tra due pilastri di un edificio o di una porta. Poiché la sua lunghezza può variare anche all’interno dello stesso edificio, è un’indicazione delle proporzioni, piuttosto che un’unità di misura.

    Il numero di campate è quasi sempre dispari. Ad esempio, il butsuden di Kenchōji misura 5 x 5 campate.

     

    Nella foto il Sanmon di Komyoji, che è largo cinque campate e profondo tre.

     

    Bentendō

    Giapponese scritto: 弁天

     

    Vedi Benzaiten

    Benzaiten

    Giapponese scritto: 弁財天 

    Dea sincretica buddista e shintō associata all’acqua e venerata a Zeniarai Benten, Sugimotodera e Tsurugaoka Hachimangū. Si ritiene che sia un alter ego di Ugafukujin, il kami venerato insieme a lei a Zeniarai Benten. Nella foto qui sotto (per gentile concessione di Wikimedia Commons) la testa baffuta di Ugafukujin è visibile sopra la testa di Benzaiten. Si noti il torii.

     

    Giapponese scritto: 堂

    Suffisso, solitamente tradotto in inglese come hall, che indica un sotto-tempio all’interno di un complesso di templi (vedi garan). Il prefisso è di solito il nome della divinità che l’edificio ospita, come in Benten-dō (Sala di Benten), Jizōdō (Sala di Jizō), ecc. ma può occasionalmente essere qualcos’altro, come in Kaisandō o Soshidō (entrambe le parole significano “Sala del Fondatore”). 

    Bosatsu

     

    Bosatsu

    Giapponese scritto: 菩薩 

    Bodhisattva in inglese. Qualcuno che vuole raggiungere l’illuminazione, o che può raggiungerla ma non lo fa perché vuole rimanere in questo mondo per salvare gli altri. Si veda ad esempio Miroku Bosatsu.

     

    Buddha

    Qualsiasi essere umano che abbia raggiunto la perfetta illuminazione è chiamato buddha (notare la minuscola). Siddartha Gautama, fondatore del buddismo e normalmente chiamato semplicemente Buddha in maiuscolo, è uno di questi. Questo comporta un’ambiguità che può portare a fraintendimenti,

    L’ambiguità viene evitata usando il termine Buddha storico per Gautama e buddha in minuscolo per gli altri, un uso che questa guida segue. Il problema persiste tuttavia quando il termine è maiuscolo perché fa parte di un nome proprio. Ad esempio, il Grande Buddha di Kōtokuin non è Gautama Buddha, ma Amida, un altro essere umano che ha raggiunto la perfetta illuminazione.

    Il problema non esiste in giapponese, dove esistono parole separate per i due significati del termine inglese (Nyorai per buddha e Shaka Nyorai per il Buddha storico.

     

    Butsuden

    Giapponese scritto: 仏殿

    Edificio che custodisce lo spirito del Buddha storico. 

    Tipico dell’architettura zen, ha una struttura unica (visibile a Kenchōji) con un tetto a gonna puramente decorativo a metà altezza che lo fa sembrare un edificio a due piani, mentre in realtà ne ha solo uno, e misura 5 x 5 campate con un nucleo interno di 3 x 3 campate circondato da un corridoio perimetrale largo 1 campata. Altre scuole chiamano la loro versione shakadō da Shaka Nyorai, il nome giapponese del Buddha storico.

     

    Chinjūsha

    Giapponese scritto: 鎮守社

    Un chinjūsha è un santuario tutelare, cioè un santuario appartenente a un tempio buddista che ospita i kami tutelari del tempio. Di solito è piccolo, ma può essere molto grande. 

     

    Nella foto, il santuario tutelare di Kenchōji. Si noti che un rappresentante di Kenchōji si è fortemente opposto quando ho chiamato il loro santuario tutelare “santuario Shintō” in una bozza che gli avevo inviato, e mi ha chiesto di rimuovere la parola offensiva.  

    Intendeva dire che questo santuario è effettivamente dedicato a un’entità animistica giapponese, ma non ha nulla a che fare con l’istituzione dello Shintō. 

     

    Illuminazione

    Traduzione libera dell’originale sanscrito bodhi  (da cui bodhisattva), ovvero risveglio. Il termine indica infatti il risveglio alla vera natura della realtà, come se la si vedesse per la prima volta. L’illuminazione perfetta porta alla buddità.

     

    Feng-shui

    Giapponese scritto: 風水

    Geomanzia cinese molto influente in Giappone. La funzione e la disposizione degli edifici di un tempio erano decise soprattutto in base alle sue regole.

     

    Gongen

    Giapponese scritto: 権現

    Un gongen è un dio indiano che ha assunto le sembianze di un kami giapponese, per salvare più facilmente i giapponesi. Dettagli in Gongen di Wikipedia.

     

    Gorintō

    Giapponese scritto: 五輪塔

    Un tipo estremamente comune di pagoda in pietra divisa in cinque sezioni, ognuna delle quali rappresenta uno dei cinque elementi della cosmologia giapponese. Per maggiori dettagli su questa importantissima pagoda e sulle sue varianti, si veda la sezione Pagode nel capitolo sull’Architettura tradizionale di questo libro o l’articolo Tō di Wikipedia.

    Hachiman

     

    Giapponese scritto: 八幡

    Entità complessa custodita a Tsurugaoka Hachimangū, che possiede tratti sia buddisti che shintō ed è basata sullo spirito dell’imperatore mitologico Ojin. Nell’immagine il kami è ritratto come un monaco buddista, per attestare la sua conversione a quella religione.

     

    Haibutsu Kishaku

    Giapponese scritto: 廃仏毀釈

    Un’ondata di violenza anti-buddista su scala nazionale, scatenata dalla separazione del buddismo dallo Shintō nel 1968 e che ha portato il buddismo sull’orlo dell’estinzione. Si veda “Kami e Buddha divorziano” nel capitolo “La religione in Giappone”. In questa immagine del XIX secolo, le campane dei templi demoliti vengono fuse per recuperare il bronzo. 

    Han

     

    Giapponese scritto: 藩

    Una delle centinaia di piccole regioni semi-indipendenti in cui era diviso il Giappone prima del 1868. Solitamente chiamata dominio in inglese, era di proprietà di un clan di guerrieri.

    Buddha storico

     

    Gautama Buddha, fondatore della religione buddista. Il termine viene utilizzato per evitare la confusione causata dal fatto che il termine Buddha ha due significati distinti. Per maggiori dettagli, si veda Nyorai.

     

    Hodō o hattō

     

    Giapponese scritto: 法堂

    Un edificio utilizzato per le lezioni del capo sacerdote di un tempio Zen sulle scritture del buddismo (hō [法] in giapponese). Nella foto, il garan di Kenchōji, dove l’hōdō è il primo edificio da destra.

     

    Hōjō

     

    Giapponese scritto: 方丈

    Da non confondere con gli Hōjō, il clan dominante di Kamakura. In teoria l’abitazione del capo sacerdote di un tempio, in pratica un edificio spesso utilizzato per altro. Nell’immagine, l’hōjō di Kenchoji è il primo edificio da sinistra.

     

    Clan Hōjō

     

    Giapponese scritto: 北条氏

    Clan imparentato con il potente clan Taira di Kyoto, che tradì per sostenere Minamoto no Yoritomo, nemico mortale dei Taira. In seguito gli Hōjō avrebbero ucciso tutti i discendenti diretti dello shōgun, nominando una serie di fantocci che avrebbero obbedito ai loro ordini. In basso, lo stemma di famiglia del clan.

     

    Hokkedō

     

    Sala conferenze. Prende il nome dal Sutra del Loto (Hokkekyō), un testo sacro del buddismo.  

    Giapponese scritto: 宝篋印塔 

    Una grande pagoda in pietra con un terminale molto pronunciato.

    Sotto alcuni hōkyōintō a Kōmyōji. 

     

    Honden

    Giapponese scritto: 本殿

    Sala principale di un santuario, sempre chiusa perché dedicata a un kami. Questo edificio, il più importante di un santuario, può mancare. In tal caso, viene sostituito da un oggetto naturale, ad esempio un albero o una roccia. 

     

    Iso Mutsu

    Mutsu Iso (Gertrude Ethel Passigham, conosciuta in inglese anche come Iso Mutsu) è stata una donna britannica che ha scritto la prima guida moderna di Kamakura. Per maggiori dettagli, vedere l’articolo Jufukuji.

     

    Iwasaka/iwakura

    Giapponese scritto: 磐境/磐座

    Le iwakura sono rocce ritenute essere yorishiro (vedi). Una iwasaka ne contiene uno) Si tratta di oggetti naturali in grado di attirare i kami. Nel caso dell’iwasaka, la roccia viene utilizzata anche come altare per il culto. Nella foto, un iwakura a Meigetsuin.

     

    Jinguji

    Giapponese scritto: 神宮寺

    Centri religiosi che in passato comprendevano sia templi buddisti che santuari di kami. Erano la norma fino a quando non furono vietati dal governo Meiji nel 1868. Vedere Religione in Giappone. Nella foto, il Kumano Hongū Taisha nella prefettura di Wakayama, uno dei pochi jingūji ancora esistenti. 

     

    Jinja

    Giapponese scritto: 神社

    Vedi santuario.

     

    Jizō

    Giapponese scritto: 地蔵

    Dio tutelare delle anime perdute, che guida alla salvezza. Si ritiene che si occupi soprattutto dei bambini. Spesso indossa una pettorina rossa e/o uno zucchetto ed è riconoscibile per la testa rasata. A volte si possono trovare sei statue di Jizō (Roku Jizō [六地蔵]) insieme, nel qual caso ognuna guida le anime di un diverso Regno di Esistenza. Vedi Hasedera.

     

    Scuola Jōdo

     

    Giapponese scritto: 浄土宗

    Scuola di buddismo basata sul culto di Amida Nyorai.

     

    Kaisandō

    Giapponese scritto: 開山堂

    Sala che custodisce il fondatore di un tempio. Nella foto, il Kaisandō di Kōmyōji.

    Kamakura Gozan

     

    Giapponese scritto: 鎌倉五山

    Cinque templi zen di Kamakura (Kenchōji, Engakuji, Jufukuji, Jōchiji e Jōmyōji) che, insieme al Kyōto Gozan, di rango superiore, erano al vertice di una rete di templi zen immensamente influente a livello nazionale. Vedere il primo corso.

    Kamakura Kaidō

     

    Una rete di strade che collegava Kamakura al resto del Paese.

    Oggi, lo stesso nome viene dato alla strada che da Kamakura va a Yamanouchi e oltre. 

    Kamakura Kubō

     

    Giapponese scritto: 鎌倉公方

    Kubō è un titolo paragonabile a shōgun che il ramo Kamakura della famiglia Ashikaga, rappresentanti dello shogunato Ashikaga nella regione del Kantō, assunse lasciando il titolo ufficiale di kanrei (管領) al clan vassallo Uesugi. L’uso di questo titolo, che implica una posizione pari a quella di uno shōgun, è una misura della crescente tensione tra i due rami del clan. Poiché esisteva un altro Kubō nella provincia di Koga, quelli di Kamakura sono chiamati Kamakura Kubō.

    I sette ingressi di Kamakura

     

    Giapponese scritto: 鎌倉七口 (Kamakura Nanakuchi)

    Sette passi famosi per essere stati presumibilmente l’unico accesso a Kamakura all’epoca dello shogunato. L’idea è tuttavia falsa. Si veda la sezione Kamakura di Tokugawa Mitsukuni in Storia di Kamakura.

     

    Kami

    Giapponese scritto: 神

    Una parola con molti significati, solitamente tradotta come dio, una traduzione a mio avviso problematica. Kikuchi Dairoku lo dice meglio.

    “Nella mitologia giapponese c’è una difficoltà particolare per l’interprete: una difficoltà di nomenclatura. È stata abitudine costante degli scrittori stranieri della storia del Giappone parlare di una “Età degli dei” (Kami no yo). Ma la parola giapponese Kami non ha necessariamente un significato di questo tipo. Non ha alcuna valenza divina. Tra poco scopriremo che, tra le centinaia di famiglie in cui si divideva la società giapponese, ognuna aveva il suo Kami, che non era altro che il capofamiglia. Cinquant’anni fa, il governo era comunemente chiamato O Kami (l’onorevole capo) e un feudatario aveva spesso il titolo di Kami di una tale località. Tradurre Kami con “divinità” o “dio” è quindi fuorviante e, poiché la lingua inglese non fornisce un equivalente esatto, la cosa migliore è attenersi all’espressione originale.

    Estratto da: Frank Brinkley e Dairoku Kikuchi. “Storia del popolo giapponese”, disponibile gratuitamente sull’iTunes Store di Apple.

    In origine un kami giapponese era semplicemente una forza impersonale della natura, ad esempio uno spirito che dimorava all’interno di una cascata, di un albero o di una roccia. Poteva anche essere un antenato o semplicemente la sacralità di un luogo, ma in seguito il buddismo introdusse l’idea di creature antropomorfe come Amaterasu e Hachiman.

    Nel XVIII secolo Motoori Norinaga (1730 – 1801) diede la seguente, famosa definizione: “Un kami è qualsiasi cosa o fenomeno che produce emozioni di paura e soggezione, senza distinzione tra bene e male”. 

    Il culto dei kami

     

    A causa della controversia in corso sulla natura dello Shintō, descritta nel capitolo sulla religione in Giappone, gli specialisti evitano di usare la parola Shintō quando si parla di eventi precedenti alla predicazione di Yoshida Kanetomo, che per primo usò il termine in qualcosa di vicino al suo senso moderno. Usano invece l’espressione “culto dei kami” (神祇信仰; jingi shinkō), e io farò lo stesso.

     

    Kannon

    Giapponese scritto: 観音

    Divinità buddista della misericordia e della compassione, estremamente popolare in Giappone. Viene solitamente descritta come una dea, ma in realtà è di sesso indeterminato.

     

    Karamon

    Giapponese scritto: 唐門

    Un tipo minore di cancello caratterizzato da un tetto curvo.

     

    Karesansui

    Giapponese scritto: 枯山水

    Lit. paesaggio secco. Normalmente si trova nei templi zen, ma a volte anche nei templi di altre scuole. Kōmyōji, un tempio Jōdo, ne ha uno.

    Giapponese scritto: 火灯窓

    Finestra a forma di campana, originariamente sviluppata nei templi zen in Cina, ma ora ampiamente utilizzata da altre scuole buddiste e anche nell’architettura laica.

     

    Komainu

    Giapponese scritto: 狛犬

    Chiamati cani-leone in inglese, sono bestie simili a leoni incastonate nella pietra all’ingresso di santuari e templi per proteggerli. L’usanza ha origine nella Mezzaluna Fertile ed è arrivata in Giappone attraverso la Cina con il Buddismo. 

    Di solito uno degli animali ha la bocca aperta, l’altro chiusa. Questa differenza ha un valore simbolico: una delle bestie pronuncia il suono “a”, la prima lettera dell’alfabeto sanscrito, l’altra il suono “um”, l’ultima lettera dell’alfabeto sanscrito, a significare il ciclo della vita e della morte che muove il mondo.  L’animale punon essere affatto un cane-leone: Tsurugaoka Hachiman-gū ha due tigri. Anche le statue dei due Niō che si trovano all’interno delle porte dei templi seguono questo schema. Il komainu nella foto ha un cucciolo ed è presumibilmente una femmina.

     

    Kumimono

    Giapponese scritto: 組み物 

    Chiamati anche tokyō, sono elaborate serie di staffe a incastro che sostengono il tetto di un edificio, fungendo da ammortizzatori. La staffa agli angoli è famosa tra gli artigiani giapponesi per la sua complessità. 

     

    Padiglione principale

     

    L’edificio di un tempio o di un santuario che ospita l’oggetto di culto più importante del tempio o del santuario. 

     

    Minamoto no Yoritomo

    Capo del ramo Seiwa Genji del clan Minamoto e fondatore dello shogunato di Kamakura.  

    Chiamati inzō in giapponese, i mudra sono gesti compiuti dai Nyorai con le dita e che possono essere utilizzati per identificarli. Nella foto, le mani del Grande Buddha di Kamakura formano il Dhyani Mudra. Vedi Arte religiosa.

     

    Giapponese scritto: 仁王

    Letteralmente “due re”. I Niō sono Ten, divinità minori del Pantheon buddista, e le loro statue sono normalmente ospitate all’interno della porta di un tempio, in questo caso chiamato Niōmon. Nella foto il Niōmon di Sugimotodera. Vedi anche Arte religiosa.

     

    Pagoda

    Giapponese scritto

    La forma assunta dallo stupa indiano in Estremo Oriente. Quest’ultimo, originariamente un reliquiario a forma di campana, in Cina divenne una torre con un numero dispari di piani. In Giappone si è evoluta rapidamente in molte forme originali utilizzate per vari scopi, tra cui la decorazione. Si trovano quindi nei cimiteri dei templi, nei santuari, nei giardini e persino nei ristoranti. Le pagode in legno sono molto grandi, ma a Kamakura non ce ne sono, in parte perché sono passate di moda prima che la città diventasse capitale, in parte perché alcune sono state distrutte durante i primi giorni dell’era Meiji. Le pagode in pietra, mai più alte di un paio di metri, sono comuni. I due tipi più comuni sono il gorintō e l’hōkyōintō.

     

    Si veda la sezione Pagode nel capitolo sull’architettura buddista di questo libro e l’articolo Tō di Wikipedia.

     

    Regno di esistenza 

    Secondo il buddismo, le creature viventi si spostano senza fine dall’uno all’altro dei sei mondi in base al loro karma. Dal basso verso l’alto sono abitati da fantasmi affamati, demoni guerrieri, bestie, esseri umani ed esseri celesti.

     

    Ri

    Giapponese scritto: 里

    Il ri è un’antica unità di misura di origine cinese equivalente a 2,4 km.

     

    Giapponese scritto: 楼門

    Lit. “porta della torre”. Il rōmon è caratterizzato dalla presenza di un secondo piano che, sebbene spesso di aspetto confortevole, non ha un punto di ingresso ed è quindi inutilizzabile.

     

    Sanmon

    Giapponese scritto: 山門

    Anche se non è la prima, questa porta è il vero ingresso di un tempio. Si suppone anche che guarisca chi entra dai tre mali dell’avidità, dell’ignoranza e dell’accidia. Vedere Engakuji.

     

    Shichido Garan

    Giapponese scritto: 七堂伽藍

    Lit. composto di sette edifici ritenuto idea<le per i templi. Un complesso di templi, composto in modo diverso a seconda della scuola, ma che si suppone comprenda sette edifici distinti, ognuno dei quali ha una posizione particolare, che dipende ancora una volta dalla scuola e dal periodo.

    Nella foto, il garan di Kenchōji.

        

    Shide

    Giapponese scritto: 紙垂, 四手

    Festoni di carta zigzaganti che pendono da corde sacre chiamate shimenawa. Solitamente associati allo Shintō, sono comuni anche nei templi buddisti.

     

    Shikken

    Giapponese scritto: 執権

    Titolo usato dai reggenti Hōjō che governarono Kamakura, usurpando il potere dello shōgun.

     

    Shimenawa

    Giapponese scritto: 注連縄

    Corda di paglia di riso intrecciata e decorata con festoni di carta a zig zag (shide), utilizzata per contrassegnare un oggetto sacro.

     

    Shinbutsu bunri

    Giapponese scritto: 神仏分離

    La separazione legale dei buddha dai kami del 1868. Per maggiori dettagli, vedere Religione in Giappone.

     

    Shinbutsu shūgō

    Giapponese scritto: 神仏習合

    Fusione parziale del culto locale dei kami con il buddismo in un unico sistema religioso. Ufficialmente terminato per legge nel 1868, nella pratica il sistema è ancora vivo e vegeto. Nella foto, alcuni santuari portatili vengono portati in un tempio, Kōmyōji a Kamakura, per essere benedetti.

     

    Shingon

    Giapponese scritto: 真言宗

    Antica scuola di buddismo fortemente combinatoria a cui apparteneva Tsurugaoka Hachimangū. Come la Tendai, strettamente correlata, è rara a Kamakura, dove lo Zen è prevalente.  

     

    Shinpen Kamakurashi

    Giapponese scritto: 新編鎌倉志

    La prima e più importante guida di Kamakura, scritta da un gruppo di scrittori agli ordini di Tokugawa Mitsukuni nel XVI secolo.

     

    Shintai

    Giapponese scritto: 身体

    Oggetto, di solito uno specchio o una spada, utilizzato in un santuario per ospitare un kami, dandogli spazio da occupare.

    Shintō

     

    Giapponese scritto: 神道

    Una delle due fedi dominanti in Giappone, l’altra è il buddismo. Le due fedi sono di natura molto diversa, ma hanno comunque un rapporto complesso, vicino alla simbiosi. Forse vi sorprenderà che io dica che lo Shintō, solitamente descritto come la religione ancestrale del Giappone, sia un’invenzione recente dell’amministrazione Meiji. Tuttavia, questo è il consenso degli specialisti. Dopo aver letto i fatti in Religione in Giappone, credo che sarete in grado di capire da soli se questa tesi ha senso.

     

    Santuario

     

    Per convenzione, un’istituzione religiosa Shintō.

    Purtroppo, questa singola parola traduce in inglese molte parole giapponesi di significato molto diverso. Vedi anche Religione in Giappone.

    Sei Jizō

     

    Giapponese scritto: 六地蔵 (Roku Jizō)

    I Sei Jizō (gli stessi già visti al Butsuden e al Roku Jizō Crossing lungo il viale Yuigahama) sono un gruppo di sei incarnazioni del bodhisattva. Il buddismo afferma che gli esseri senzienti sono intrappolati in un circolo vizioso di nascita e morte e rinascita in uno dei cosiddetti Sei Regni. Si inizia con l’Inferno, in basso, seguito dai Regni dei fantasmi affamati, degli animali, dei demoni, degli esseri umani e degli esseri celesti o Deva. Le anime salgono e scendono la scala dei reami in base a ciò che hanno ottenuto nella loro vita precedente, ma la vera liberazione può essere raggiunta solo attraverso l’illuminazione. Ognuno dei sei è responsabile di uno dei mondi. Un gruppo simile di sei Jizō può essere visto all’incrocio Roku Jizō, che protegge i viaggiatori. 

     

    Sōmon

    Giapponese scritto: 総門

    La prima porta di un tempio. Normalmente precede il sanmon più importante.

     

    Sotoba

    Giapponese scritto: 卒塔婆

    La parola è una traslitterazione fonetica della parola sanscrita stupa. Le Sotoba sono strisce di legno utilizzate nei cimiteri per rappresentare una pagoda. La parte superiore è divisa in cinque parti come un gorintō ed è decorata con citazioni sanscrite e il nome del defunto. Vedi anche Pagode nell’architettura tradizionale giapponese.

     

    Lanterna di pietra

    Chiamata tōrō in giapponese, è un tipo di pagoda e ne possiede la maggior parte delle caratteristiche.

    Conigli di pietra

     

    Nella mitologia dell’Estremo Oriente, uno o due conigli abitano la luna. Si veda la voce Coniglio lunare di Wikipedia. Il numero di animali può variare, ma sono sempre presenti.

    Svastica

     

    Antico simbolo utilizzato da molte civiltà, tra cui gli indù, alcune tribù indiane americane e i vichinghi. Nell’induismo e nella sua propaggine, il buddismo, è un simbolo di infinito, di pace e di armonia, e in Giappone la sua associazione con il buddismo è così forte che una svastica segna la presenza di un tempio buddista sulle mappe. Non si sente alcuna associazione con il nazionalsocialismo tedesco.

    Temizuya

    Giapponese scritto: 手水舎

    Bacino coperto all’ingresso di un santuario o di un tempio dove i visitatori possono purificarsi prima di entrare. È consuetudine lavarsi le mani e sciacquarsi la bocca senza bere.

     

    Tempio

    寺 (tera) – Per convenzione, un’istituzione religiosa buddista. Come per il santuario, questa singola parola è usata per tradurre diverse parole giapponesi non equivalenti. Vedere Templi, santuari e i loro nomi nel capitolo Religione in Giappone.

     

    Ten

    Giapponese scritto: 天

    Divinità minori del pantheon buddista. Vedi Arte religiosa.

     

    Tendai

    Giapponese scritto: 天台宗

    Una delle più antiche scuole del buddismo giapponese, rappresentata a Kamakura solo da Sugimotodera e Hōkaiji. 

     

    Tokugawa Mitsukuni

    L’uomo che nel XVI secolo scrisse la prima e più influente guida di Kamakura, lo Shinpen Kamakurashi. Meglio conosciuto dai giapponesi come Mito Kōmon (水戸黄門).

     

    Tomba

    Ho recentemente scoperto che le mie fonti giapponesi non fanno distinzione tra tomba (お墓, ohaka) e cenotafio (供養塔, kuyōtō). In realtà credo, ma non ne ho la certezza, che tutte le cosiddette tombe di questa guida siano in realtà cenotafi, perché non contengono un corpo.

    Torii

     

    Giapponese scritto: 鳥居

    Un tipo di cancello presente sia nei templi che nei santuari, il cui profilo è diventato un simbolo del Giappone. Sebbene sia principalmente un simbolo dello Shintō, ha forti legami anche con il buddismo giapponese. Una misura della profondità di questi legami è data dal fatto che la targa spesso appesa al suo centro conteneva sutra buddisti.

     

    Yagura

    Giapponese scritto: やぐら

    Grotte artificiali utilizzate come tombe durante il periodo Kamakura. Sono estremamente comuni in 

    città e nei dintorni. Si trovano ad esempio a Engakuji, Kenchōji, Jōchiji e altre.

     

    Yorishiro

    Giapponese scritto: 依り代

    Un oggetto che per natura attrae i kami, che scelgono di dimorarvi. Un santuario ha almeno uno yorishiro. La maggior parte degli yorishiro sono contrassegnati da uno shimenawa, una speciale corda decorata da festoni di carta a zig zag chiamati shide.

     

    Zazen

    Giapponese scritto: 座禅

    Letteralmente Zen seduto, una forma di meditazione praticata da seduti.

     

    Zen

    Giapponese scritto: 禅

    Scuola di buddismo che enfatizza la meditazione e l’autosufficienza, piuttosto che lo studio delle scritture, come mezzo per raggiungere l’illuminazione. Si divide in tre sotto-scuole, Sōtō, Rinzai e Ōbaku, ma Rinzai domina completamente la Kamakura.


  • Kemari – 蹴鞠

    Kemari – 蹴鞠

    E se ti dicessi che un sport antenato del moderno gioco del calcio era già praticato nel Giappone antico?

    Sto parlando del Kemari (蹴鞠), un gioco conosciuto anche con il nome di shūkiku, il cui obiettivo era semplicemente quello di passare una palla, mari (鞠) calciandola, keru (蹴る) verso gli altri partecipanti. Introdotto dalla Cina durante il periodo Yamato, più o meno 1400 anni fa’, si hanno tracce della sua esistenza sia all’interno del Nihon-Shoki (gli annali del Giappone) che in documenti ritrovati nella città di Nara, antica capitale del paese. Durante il periodo Heian (794-1192) il gioco del kemari era molto diffuso tra i nobili di corte e anche la scrittrice Murasaki Shikibu, all’interno del Genji Monogatari lo nomina definendolo come uno sport poco signorile, rozzo e rumoroso anche se dipende dal luogo e da chi vi partecipa.
    Le regole hanno trovato ispirazione dallo sport cinese detto cuju (che si ritiene esser la prima forma di calcio) con il quale condivide anche gli stessi kanji che compongono il nome. Oggi si pratica ancora durante qualche matsuri all’interno dei santuari shintoisti.

    Fonte: kyobunka.or.jp

    Tra i nobili di corte durante di periodo Heian divenne un gioco conpulsivo e, nel periodo Edo (1603-1867), la popolarità del gioco si era estesa tra i samurai e cittadini. Il kemari era così diventato quello che nel linguaggio odierno definiremmo come uno sport di massa.
    Non è mai stato un gioco competitivo, lo scopo era quello di passarsi la palla collaborando con gli altri giocatori. Come nel gioco del calcio moderno l’uso della braccia e delle mani era vietato. Ogni altra parte del corpo poteva essere utilizzata per mantenere le palla in aria. La palla, del diametro di 20 centimetri e dal peso di 150 grammi era fatta di pelle di cervo tenuta insieme da pelle di cavallo e imbottita di segatura o chicchi di grano, era cosparsa di albume d’uovo e, in aggiunta, di polvere bianca per il viso mescolata con colla o di un colore più scuro ottenuto mettendola sopra ad un fuoco di aghi di pino. La palla affumicata rappresentava il sole e la palla bianca la luna riprendendo così il concetto dello inyō (陰陽), ovvero lo Yin e lo Yang.

    Le basi del kemari

    Il kemari si gioca calciando la palla con i piedi e continuando il palleggio il più a lungo possibile. Otto (o sei) giocatori, chiamati mari-ashi (鞠足), giocano in cerchio all’interno di un campo chiamato mari-niwa (鞠庭). Una partita formale è composta da sei-otto persone, ma molte illustrazioni indicano un numero inferiore di giocatori. In genere ci sono quattro giocatori principali, i mari-ashi, e fino a quattro assistenti.

    Mari-niwa – 鞠庭

    Il mari-niwa era il campo da gioco all’interno del quale si pratica il kemari. Ai quarti angoli sono posizionati qauttro alberi detti shiki-boku (式木, alberi cerimoniali) o alternativamente kakari no ki (掛かりの木) alberi specifici del campo. Gli alberi erano disposti nel seguente ordine:

    Nord-est: ciliegio

    Nord-ovest: pino

    Sud-est: salice

    Sud-ovest: acero

    Fonte: atorie-aozora.jp

    Questi alberi sono gli yorishiro per la divinità del kemari, seidai-myōjin (精大明神). Si racconta che durante il periodo Heian (794-1185), l’esperto giocatore di kemari, Fujiwara Narimichi, per propiziare la sua millesima partita di kemari abbia allestito due altari per condurre un rituale. Su un altare aveva posto delle offerte e sull’altro una palla per il kemari. La sera stessa, mentre Narimichi era intento nella scrittura del suo diario, la palla che era stata appoggiata su uno dei due altari entrò rotolando nella stanza seguita da tre bambini dal volto umano, ma dal corpo che ricordava quello di un scimmia. Stupito, Narimichi chiese lo chi fossero e da dove venissero.

    I tre bambini si presentarono come gli spiriti della palla e alzando le ciocche di capelli mostrano la loro fronte dove era scritto il nome con inchiostro dorato.

    Geanrin (夏安林): letteralmente “bosco tranquillo d’estate”.

    Shunyōka (春楊花): letteralmente “Fiore di salice primaverile”.

    Shūon (秋園): letteralmente “Giardino autunnale”.

    Poi dissero: “se ricorderai e celebrerai i nostri nomi e diventerai nostro guardiano il tuo successo nel kemari conoscerà fine.”

    Gli alberi, posizionati sui quattro lati del così di gioco hanno il tronco diviso in due per facilitare la seduta della divinità e sono effettivamente gli alberi prediletti dalle scimmie. Oggi la dimensione del campo è fissata a 15 metri di lato. Si usano sia dei piccoli alberi che possono essere spostati o dei bambù.

    Fonte: Shūkiku Hozon-kai

    Shōzoku – 装束

    Gli abiti usati nel kemari.

    L’abbigliamento attuale si ritiene risalga al periodo Edo (1603-1867) e consiste in:

    Mari-suikan – (鞠水干): il suikan era un indumento per tutti i giorni indossato dalla nobiltà nel Giappone antico. In questa occasione veniva indossato accompagnato da pantaloni conosciuti come mari-bakama (鞠袴). In testa veniva normalmente indossato un eboshi (烏帽子). Come già spiegato in altri articoli l’eboshi era un copricapo laccato nero, originario del periodo Heian, che in precedenza era indossato solo da uomini di un particolare status sociale e che oggi viene indossato in alcune cerimonie shintoiste e dai gyōji (行司), gli arbitri degli incontri di sumo.

    Le scarpe appositamente progettate per il kemari, sono dette kamo-gutsu (鴨沓) vista la loro particolare forma a becco d’anatra per facilitare i calci. Kamo (鴨) è il kanji per anatra mentre kutsu (沓, é uno dei vari kanji che possono usare per indicare le scarpe assieme al classico 靴 e 鞋).

    Ashi-moto – 足元

    I fondamenti del palleggio nel kemari.

    Ci si sposta facendo scivolare i piedi partendo dal destro, poi sinistro e una volta tornati sul destro si calcia la palla. Quando si calcia si tiene la gamba completamente estesa, la palla viene colpita il più vicino possibile al terreno senza mostrare la pianta del piede.

    Kake-goe – 掛け声

    Le chiamate.

    I giocatotori si coordinavano tra loro urlando:

    1. Quando un giocatore riceveva la palla chiamava “ooh” (Ou) mentre questa si trovava al culmine del suo arco e se più di un giocatore chiamava, quello con la chiamata più lunga riceveva la palla.

    2. Con il secondo calcio, il giocatore chiamava “ari” e mandava il pallone in alto.

    3. Con il terzo calcio, passava la palla a un altro giocatore, chiamando “ya!”.

    Queste tre parola sembrano siano legate agli spiriti della palla Geanrin (夏安林), Shunyōka (春楊花) e Shūon (秋園) apparsi a Fujiwara Narimichi.


    Come si svolge una partita di kemari

    La partita inizia con i quattro mari-ashi principali che prendono posizione davanti agli alberi ai quattro angoli del campo mentre gli assistenti prendono posizione al di fuori di questo. Prima di iniziare, ogni partecipante ha la possibilità di calciare il pallone un paio di volte, apparentemente per provarlo, una sorta di riscaldamento. Una volta iniziato il gioco, un giocatore poteva palleggiare sul posto tutte le volte che voleva (per assicurarsi di avere un buon controllo) prima di calciare la palla in direzione del giocatore successivo, che deve evitare che il pallone tocchi terra. L’obiettivo, ovviamente, è passarsi la palla il maggior numero di volte possibile senza farla cadere a terra. La palla viene calciata a circa 3 o 4 metri d’altezza, perché si dice che questa altezza la rotazione della palla in aria crei il suono più piacevole.

    Curiosità sul kemari

    Diventò un gioco così popolare che alcune persone erano così appassionate da trascurare persino il loro lavoro. Venivano apostrofate con la parola baka (馬鹿), “stupido/idiota”, in relazione con il nome del materiale usato per la produzione delle palla del kemari, ovvero la pelle di cervo, shika (鹿) in giapponese. Quindi si attribuisce l’origine di questo termine giapponese al gioco del kemari.

    Il santuario Shiramine

    Fonte: Shiramine Jinja

    Il Santuario Shiramine (白峯神宮) è situato a nord-ovest del Kyōto Gyoen. Fu costruito sui resti della residenza della famiglia Asukai, una famiglia di nobili rinomata per la poesia waka e per la pratica del kemari. Questo santuario ospita la divinità Seidai Myōjin (精大明神) conosciuta come la divinità dello sport, in particolare dei giochi che prevedono l’uso di una palla. All’interno del santuario si trova il kemari no hi (蹴鞠の碑), un monumento in cui è incastonata una palla anch’essa di pietra detta nade-mari (撫で鞠) che se ruotata con la mano si dice porti fortuna.

    Con la Restaurazione Meiji, la popolarità e la pratica del kemari diminuirono. La sua storia è sopravvissuta fino ai giorni grazie all’intervento dell’Imperatore Meiji che, con una donazione privata, rese possibile l’istituzione di una fondazione, la Shūkiku Hozon-kai (蹴鞠保存会, Fondazione per la conservazione dello Shūkiku, altro nome per indicare il kemari) con lo scopo di preservare e trasmettere questo antico gioco.

    Il 4 gennaio di ogni anno, il Santuario di Shimogamo (下鴨神社), ufficialmente conosciuto come Kamomioya-jinja, 賀茂御祖神社), a Kyōto, ospita il festival kemari-hajime (蹴鞠始め), la prima partita di kemari dell’anno, dedicata ai kami.

    Sono passati più di 1.400 anni dall’introduzione del kemari in Giappone e non si conosce con assoluta certezza come fosse questo gioco all’inizio. La sua storia rimane comunque interessante in quanto il kemari è stato in grado di incorporare in sé stesso usi e costumi di ogni periodo storico del Giappone.

  • Com’era abitare a Edo?

    Domanda: com’era vivere a Edo?

    Tokugawa Ieyasu arriva a Edo
    Tokugawa Ieyasu arriva a Edo nel 1603

    Mi è stato chiesto come fosse vivere a Edo. La prima cosa da fare quindi è spiegare che Edo è  il  nome originale della città di Tokyo, un nome che vuol dire estuario. La città si erge infatti sull’estuario di due fiumi, il Sumida e l’Ara, ed è per questa ragione che il grande condottiero Tokugawa Ieyasu l’aveva scelta come propria capitale. Nel 1603 entrò in quello che allora era un piccolo paese di qualche migliaio di abitanti.in quello che allora era un piccolo paese di qualche migliaio di abitanti.nel giro di tre anni sarebbe stato una città di 1 milione di abitanti. Nel giro di qualche anno sarebbe stato una città di 1 milione di abitanti.

    Ieyasu mobilitò quindi tutte le risorse del paese per costruire questa città artificiale, consumando così tanto legname da causare un disboscamento grave in tutto il paese.

    Era una città unica nel suo genere, perché specificamente per un compito: aiutare il suo creatore a tenere sotto controllo un popolo che aveva vissuto in quasi continua guerra civile per oltre di tre secoli. Era la prima vera capitale del paese e lo Shogun obbligava con la forza tutti i feudatari più piccoli a passare l’anno a Edo. Ciascuno era costretto a venire a piedi insieme a soldati, attendenti, cuochi, tutto quello che gli serviva insomma e formando quelle che allora venivano chiamate processioni, a volte lunghe centinaia di metri.

    La sua popolazione era altrettanto varia  e si parlavano lingue mutuamente incomprensibili. Dal loro mescolarsi nacque per la prima volta una lingua nazionale, comprensibile e studiata in tutto il paese. 

    Fu qui che sorse il Giappone moderno, compresa la sua cultura. Kabuki, Noh, Haiòku … quasi tutto nacque nacque o si sviluppò qui.

    Era una città dove, sempre per prevenire rivolte,  le classi vivevano separate da numerosissime e severissime leggi: avevano ciascuna un modo di vestire, di abitare, di mangiare, di seppellire tutto loro. Per ciascuna, la pettinatura, il divieto della barba, l’abbigliamento, i mezzi di trasporto e i cibi erano definiti per  legge. E nessuna libertà di scelta.

    Al centro di tutto questo c’era il colossale castello dello shogun. Venne distrutto completamente dall’incendio di Meireki nel 1657, ma abbiamo disegni sulla base del quale si è potuto ricostruire un modello.

    Di seguito potete vedere anche la zona che circondava il castello stesso, la fortezza dalla quale lo shogun proiettava il suo potere.

    La principale divisione  sociale era quella fra samurai da una parte e popolani e mercanti dall’altra.  I samurai erano la classe dominante, e si potrebbe pensare che questo volesse dire che erano la classe più ricca, ma non è così. La classe dei guerrieri infatti di solito era povera a causa della pace che i Tokugawa lavoravano così duro per mantenere.

    E un guerriero di professione durante un periodo di pace non solo non serve alla sua funzione originale, ma è sempre alla ricerca di prestiti per far quadrare il bilancio. I ricchi erano i mercanti, e di conseguenza tutta la vita culturale si trovava nella parte della città sul mare, per esempio Nihonbashi, dove circolava denaro a fiumi.

    Gli incendi erano il flagello dell’epoca, frequenti e spesso molto gravi. Era per questo che le strade erano così larghe. Si sperava che il fuoco avessi difficoltà a superarle e andare da un isolato dall’altro. Questo di fatto non accadde, ma in compenso impedì lo svilupparsi delle piazze, che sono tuttora del tutto assenti.

    Un’altra peculiarità del paesaggio era numerosissimi ponti fatti ad arco. In Europa, dove si costruisce in pietra, l’arco può essere anche sotto il livello del suolo o nell’acqua. In Giappone, dove i terremoti sono sempre una preoccupazione, si costruiva in legno, il che forzava a costruire il ponte completamente al di fuori dell’acqua, rendendo spesso inevitabile l’arrampicarsi almeno nella sua prima parte. La curvatura era determinata da vari fattori, incluse le navi che ci dovevano passare sotto, il traffico che ci doveva passare sopra, la distanza fra le rive.

    Qui sopra vedete il ponte di Nihonbashi. La curvatura è leggera e non è un grosso ostacolo alla circolazione, ma che dire di questo?

    La cosa aveva altre ripercussioni, quale la rarità dei carretti e della trazione animale. 

    Dal profilo igienico e profilattico era una Città senza dubbio avanzata, e per vari motivi. Non solo (al contrario delle grandi città europee) aveva servizi di nettezza urbana che mantenevano le città immacolate, ma gli escrementi umani venivano trattenuti in serbatoi appositi e quindi venduti a mercanti che li compravano con contanti o in cambio di qualcos’altro. Le toilette erano all’aperto e uomini e donne le usavano insieme. 

    Da questo nacque un modo di dire ancora usato qualche volta. ”Si incontrano nella puzza.”  (臭いとこで会ってる) vuol dire “sono amanti、” e perfino  le stampe erotiche shunga 春画 ne trattano. C’erano anche i guardoni, disprezzati ma non puniti.

    Parlando di punizione, la giustizia di allora era severissima e tre centri sono partiti passati alla storia per la sofferenza inflittavi agli Edokko (questo il nome di un abitante di Edo. I centri di esecuzione di Kozukappara (vicino alla stazione di Minami Senjū), di Kodenmachō  (nell’immagine, vicino a Nihonbashi) e di Suzugamori  (vicino a Shinagawa sono detti essere stato il luogo di morte di oltre 300.000 persone nell’arco di due secoli e mezzo. Una cifra sicuramente inattendibile, ma che in qualche modo da una misura del rigore della giustizia a Edo.

     

     

  • Come si contano i kami in giapponese?

    Come si contano i kami in giapponese?

    “Un kami, è qualsiasi cosa o fenomeno al di fuori dell’ordinario, che possiede un potere superiore o che incute timore”.

    Motoori Norinaga – 本居 宣長 (1730-1801), Kojiki-den (古事記伝, commentario sul Kojiki)

    Fonte: bushō-japan


    Parlando di kami si sente spesso usare l’espressione yaoyorozu no kami (八百万の神, lett. otto milioni di divinità). Questo termine è legato alla tradizione shintoista giapponese e sebbene letteralmente significhi “otto milioni di divinità”, non sta ad indicare una cifra esatta ma viene semplicemente utilizzato per esprimere l’idea dell’esistenza di “innumerevoli” divinità, siano queste di indole mite o malvagia e tutte dotate di una propria personalità. I giapponesi credono che esista un numero infinito di kami, alcuni in grado di controllare i fenomeni atmosferici e altri più strettamente legati alla vita delle persone.

    Ma come si contano in kami in giapponese.

    Nella lingua giapponese non esiste una distinzione tra maschile e femminile come non esiste nemmeno tra singolare e plurale. In italiano per indicare la quantità desiderata ci si limita ad usare il numerale corrispondente. In giapponese invece si ricorre ai josūshi (助数詞) conosciuti come classificatori o contatori. Sono delle particelle che, associate ad un sostantivo, ne indicano il numero, cioè “quante” cose ci sono e, a seconda della natura del sostantivo che lo precede, il parlante dovrà scegliere quello adatto. La scelta del classificatore corretto é legata il più delle volte alla caratteristiche fisiche dell’oggetto che desideriamo contare. Per esempio se stiamo parlando di persone useremo il classificatore “人” mentre per contare un elettrodomestico o le macchine useremo il classificatore “台” e così via. I classificatori più comuni vanno imparati a memoria; mentre per padroneggiare l’uso di quelli più particolari ci vorrà più tempo ed esperienze. A seconda dei casi i classificatori possono anche subire delle modifiche fonetiche.

    La lingua giapponese ha un modo specifico anche per contare sia le divinità appartenenti alla tradizione shintoista che quelle appartenenti alla dottrina buddista (che vi racconterò in un altro articolo).

    Per contare i kami della tradizione shintoista si usa il contatore hashira (柱) nella sua lettura kun-yomi, la lettura semantica giapponese del kanji.

    Si leggerà quindi:

    Hito-hashira (一柱), un kami

    Futa-hashira (二柱), due kami

    Mi-hashira (三柱), tre kami

    E così via…


    Origini del josūshi hashira.

    La nascita di questo contatore deriva dal concetto shintoista dello shintai (神体, lett. Corpo del kami) che rappresenterebbe la manifestazione materiale di un kami, ovvero l’oggetto in cui quest’ultimo vi alberga. Possono essere oggetto come spade, specchi oppure manifestazioni della natura come le montagne (il monte Fuji è considerato un shintai-zan (神体山, montagna sacra) le cascate e nel nostro caso si tratta di un albero.

    Fin dall’antichità, i giapponesi hanno sentito la presenza dei kami nella natura. In Giappone, la natura ha da sempre portato abbondanti benedizioni al popolo, che ne era grato e percepiva queste benedizioni come opera dei kami. In origine, il santuario o la divinità principale di un santuario shintoista era la natura stessa. Per il Giappone, paese circondato su tutti i lati dal mare e frastagliato da numerose catene montuose, le foreste sono sempre state percepite come il luogo in cui dimoravano le divinità.

    Ancora oggi, la maggior parte dei santuari ha nelle sue immediate vicinanze le cosiddette chinju mori (鎮守森) o foreste sacre, verdi e profonde, che vengono gestite e protette con cura. Gli alberi hanno una propria vita e una propria anima e lo shintoismo ha una cultura religiosa che valorizza gli alberi. Quindi gli alberi, come le pietre e le montagne, sono stati a lungo oggetto di profonda devozione in Giappone. In origine non esistevano santuari o templi, ma un albero, una foresta, un grande masso o una montagna erano il fulcro del culto. Ancora oggi capita spesso di vedere in Giappone alberi, rocce ed altri oggetti circondati da una shimenawa (注連縄, letteralmente “corda di chiusura”), una corda di paglia o canapa intrecciate utilizzate per riti di purificazione shintoisti o usate per delimitare lo spazio appartenente a quello che in giapponese sono conosciuti come yorishiro (依り代, 依代) che per l’animismo giapponese sono degli oggetti che possiedono la capacità di attirare i kami fornendo loro uno spazio fisico da occupare durante i vari matsuri che si svolgono in tutto il paese.

    Come detto in precedenza quando un kami dimora in un oggetto questo viene definito uno shintai. Le shimenawa decorate con gli shide (紙垂, 四手) spesso circondano uno yorishiro per manifestare la sua sacralità. Gli shide sono festoni di carta a forma di zig zag che si possono trovare anche come ornamenti sulle porte dei santuari o sui kamidana all’interno delle case giapponesi. Anche una persona può svolgere lo stesso ruolo di uno yorishiro, e in tal caso sono chiamate yorimashi (憑坐, letteralmente “persona posseduta”) o kamigakari (神懸りletteralmente “possessione del kami”).

    Nel Giappone antico si credeva che esistesse una sorta di forza misteriosa della natura detta ke (気) che riempiva lo spazio e gli oggetti, che normalmente in giapponese vengono indicati con il termine generico mono (物). Questa forza misteriosa dava vita al mononoke (物の気) che scorreva all’interno anche di alberi e pietre. Alcune tipologie di alberi, come ad esempio il sakaki (榊), sono considerati sacri per questo motivo. Quando uno di questi alberi veniva abbattuto e trasformato in legno utilizzato per la costruzione di un santuario, si credeva che la sacralità dell’albero venisse trasferita all’edificio stesso. La forza spirituale dell’albero rimaneva sotto forma di pilastro attorno al quale veniva costruito il santuario.

    Il daikoku-bashira (大黒柱, pilastro centrale) di un santuario o di una semplice casa era spesso ricavato da uno di questi grandi alberi. Da qui è quindi nata la credenza che i kami risiedessero nei pilastri e l’uso di hashira (柱) come contatore. Non c’è da stupirsi che, a causa di questa cultura che valorizza ciò che la circonda, la gente credesse che la divinità risiedesse nel pilastro principale, ricavato da un albero molto grande, e considerasse la divinità stessa come un pilastro. Nel Giappone antico, la preparazione di un pilastro era una cosa molto importante. Tradizionalmente, l’abbattimento del legname era una cerimonia estremamente importante e solenne, eseguita di notte. La preparazione e il posizionamento del legname erano un rito sacro e potevano essere eseguiti solo dai sacerdoti shintoisti.

    La data di posizionamento del pilastro centrale era determinata da un decreto imperiale e coincideva con le cerimonie di apertura del terreno per la costruzione di un santuario. Dall’inizio del periodo Edo, il decreto imperiale per questa cerimonia è stato interrotto. Oggi le cerimonie di posa del pilastro e di rottura del terreno si svolgono in giorni diversi. L’erezione di un pilastro sulla terra è visto come un mezzo di collegamento tra il cielo e la terra e funge da richiamo per lo spirito divino che dimora nel cielo. I pilastri si crede conferiscono stabilità alla struttura e alla terra stessa in quanto abitato dai kami.

  • I giapponesi sono davvero gentili come dicono?

    I giapponesi sono davvero cosi gentili come dicono?

    di FB

    Io abito in Giappone e, ogni tanto, invito qualche amico a cena. Va detto prima di tutto che questa non è una cosa che i giapponesi facciano. Non si invitano di solito le persone a cenare a casa propria ma in un ristorante.

    E quindi ancora più significativo è il fatto che ogni volta, automaticamente, verso le 11 uno dica: “Andiamo a casa?”

    Tutti quanti si dichiarano d’accordo e uno si mette a lavare i piatti, un’altra a spazzare per terra, una terza a separare lattine in acciaio da quelle in alluminio, come richiesto dalla regolamentazione in vigore, ecc.

    In un quarto d’ora la casa è pulita più di quanto non lo fosse quando sono arrivati.

    Questo fatto illustra secondo me uno dei lati più straordinari di un popolo ammirevole. Nei quasi quarant’anni che ho passato in questo paese non mi è mai successo che qualcuno se ne andasse da casa mia senza pulire. Mai.

    L’abitudine di cui vorrei parlare è quella della considerazione per gli altri che si manifesta in mille altri modi.

    Supponi per esempio che tu manifesti un interesse per i pipistrelli.

    Presto cominceranno ad arrivarti ritagli di giornale sui pipistrelli, mail con link ad articoli, fotografie, ricordini e quant’altro riescono a trovare. Chiedere non è necessario.

    Esempio fresco di oggi. La settimana scorsa avevo parlato di sinestesia (una sensazione che ne causa un’altra in un senso diverso, ad esempio una nota che causa la percezione di un odore particolare) con un’amica. Stamattina è arrivato via posta un ritaglio di giornale riguardante la sinestesia del poeta francese Arthur Rimbaud e mandato da lei.

    Questi sono i giapponesi. Si fanno regali come questo l’uno con l’altro molto spesso. Si tratta di regali piccolissimi e inaspettati, che quindi fanno ancora più piacere. Un dolce, di solito. Deve essere piccolo e di poco valore per non scatenare catene di controregali di valore crescente.

    È per questo che sul mercato c’è una quantità di dolci di prezzo compreso fra uno e tre euro.

    L’aspetto fisico è sempre curatissimo. Parte del regalo consiste proprio nel trovare un oggetto particolarmente bello, particolarmente interessante ma non particolarmente costoso e, soprattutto, adatto a chi lo riceve.

    Tutto questo crea un’atmosfera del tutto particolare, soffice e diffusa, di calore umano che non ho mai provato con non-giapponesi.

    Insegno italiano e uno dei rituali che si è venuto a creare spontaneamente è quello appunto dello scambiarsi regali. Questa attività occupa i primi cinque minuti di ogni lezione e ogni volta mi stupisco di quello che riescono a portare spendendo qualche modesto spicciolo.

    Va da sé che io mi dimentico spesso, ma nessuno sembra farsene un problema. I regalini arrivano comunque.

    Non si tratta tanto del fatto che, siccome sono straniero, vengo considerato un bifolco da scusare, ma quanto che sanno che si tratta di disattenzione, nulla di più.

    In altri termini, la mia individualità viene presa in considerazione, cosa che non collima con uno dei tanti pregiudizi che circolano su di loro.

    Una delle tre mi ha esplicitamente confermato che le piace moltissimo fare regali perché parlano per lei. Da buona giapponese, si sente un incapace con le parole. I piccoli Regali dicono quello che lei non riesce dire.

    Lo scatola di dolci che vedete nella foto costa più o meno dieci euro e contiene dieci ottimi dolci. Una basta per vari incontri nel corso di una settimana o due. Notare come dicevo il design curatissimo in un prodotto di basso prezzo.

  • Una lettera ed il suo autore, l’imperatore cinese Qianlong

    To the King of England

    You, O King, live beyond the confines of many seas, nevertheless, impelled by your humble desire to partake of the benefits of our civilisation, you have dispatched a mission respectfully bearing your memorial. Your Envoy has crossed the seas and paid his respects at my Court on the anniversary of my birthday. To show your devotion, you have also sent offerings of your country’s produce.

    I have perused your memorial: the earnest terms in which it is couched reveal a respectful humility on your part, which is highly praiseworthy. In consideration of the fact that your Ambassador and his deputy have come a long way with your memorial and tribute, I have shown them high favour and have allowed them to be introduced into my presence. To manifest my indulgence, I have entertained them at a banquet and made them numerous gifts. I have also caused presents to be forwarded to the Naval Commander and six hundred of his officers and men, although they did not come to Peking, so that they too may share in my all­embracing kindness.

    As to your entreaty to send one of your nationals to be accredited to my Celestial Court and to be in control of your country’s trade with China, this request is contrary to all usage of my dynasty and cannot possibly be entertained. It is true that Europeans, in the service of the dynasty, have been permitted to live at Peking, but they are compelled to adopt Chinese dress, they are strictly confined to their own precincts and are never permitted to return home. You are presumably familiar with our dynastic regulations. Your proposed Envoy to my Court could not be placed in a position similar to that of European officials in Peking who are forbidden to leave China, nor could he, on the other hand, be allowed liberty of movement and the privilege of corresponding with his own country; so that you would gain nothing by his residence in our midst.

    Moreover, our Celestial dynasty possesses vast territories, and tribute missions from the dependencies are provided for by the Department for Tributary States, which ministers to their wants and exercises strict control over their movements. It would be quite impossible to leave them to their own devices. Supposing that your Envoy should come to our Court, his language and national dress differ from that of our people, and there would be no place in which to bestow him. It may be suggested that he might imitate the Europeans permanently resident in Peking and adopt the dress and customs of China, but, it has never been our dynasty’s wish to force people to do things unseemly and inconvenient. Besides, supposing I sent an Ambassador to reside in your country, how could you possibly make for him the requisite arrangements? Europe consists of many other nations besides your own: if each and all demanded to be represented at our Court, how could we possibly consent? The thing is utterly impracticable. How can our dynasty alter its whole procedure and system of etiquette, established for more than a century, in order to meet your individual views? If it be said that your object is to exercise control over your country’s trade, your nationals have had full liberty to trade at Canton for many a year, and have received the greatest consideration at our hands. Missions have been sent by Portugal and Italy, preferring similar requests. The Throne appreciated their sincerity and loaded them with favours, besides authorising measures to facilitate their trade with China. You are no doubt aware that, when my Canton merchant, Wu Chao­ping, was in debt to the foreign ships, I made the Viceroy advance the monies due, out of the provincial treasury, and ordered him to punish the culprit severely. Why then should foreign nations advance this utterly unreasonable request to be represented at my Court? Peking is nearly two thousand miles from Canton, and at such a distance what possible control could any British representative exercise?

    If you assert that your reverence for Our Celestial dynasty fills you with a desire to acquire our civilisation, our ceremonies and code of laws differ so completely from your own that, even if your Envoy were able to acquire the rudiments of our civilisation, you could not possibly transplant our manners and customs to your alien soil. Therefore, however adept the Envoy might become, nothing would be gained thereby.

    Swaying the wide world, I have but one aim in view, namely, to maintain a perfect governance and to fulfil the duties of the State: strange and costly objects do not interest me. If I have commanded that the tribute offerings sent by you, O King, are to be accepted, this was solely in consideration for the spirit which prompted you to dispatch them from afar. Our dynasty’s majestic virtue has penetrated unto every country under Heaven, and Kings of all nations have offered their costly tribute by land and sea. As your Ambassador can see for himself, we possess all things. I set no value on objects strange or ingenious, and have no use for your country’s manufactures. This then is my answer to your request to appoint a representative at my Court, a request contrary to our dynastic usage, which would only result in inconvenience to yourself. I have expounded my wishes in detail and have commanded your tribute Envoys to leave in peace on their homeward journey. It behoves you, O King, to respect my sentiments and to display even greater devotion and loyalty in future, so that, by perpetual submission to our Throne, you may secure peace and prosperity for your country hereafter. Besides making gifts (of which I enclose an inventory) to each member of your Mission, I confer upon you, O King, valuable presents in excess of the number usually bestowed on such occasions, including silks and curios-a list of which is likewise enclosed. Do you reverently receive them and take note of my tender goodwill towards you! A special mandate.

    In the same letter, a further mandate to King George III dealt in detail with the British ambassador’s proposals and the Emperor’s reasons for declining them.

    You, O King, from afar have yearned after the blessings of our civilisation, and in your eagerness to come into touch with our converting influence have sent an Embassy across the sea bearing a memorial. I have already taken note of your respectful spirit of submission, have treated your mission with extreme favour and loaded it with gifts, besides issuing a mandate to you, O King, and honouring you with the bestowal of valuable presents. Thus has my indulgence been manifested.

    Yesterday your Ambassador petitioned my Ministers to memorialise me regarding your trade with China, but his proposal is not consistent with our dynastic usage and cannot be entertained. Hitherto, all European nations, including your own country’s barbarian merchants, have carried on their trade with our Celestial Empire at Canton. Such has been the procedure for many years, although our Celestial Empire possesses all things in prolific abundance and lacks no product within its own borders. There was therefore no need to import the manufactures of outside barbarians in exchange for our own produce. But as the tea, silk and porcelain which the Celestial Empire produces, are absolute necessities to European nations and to yourselves, we have permitted, as a signal mark of favour, that foreign hongs [merchant firms] should be established at Canton, so that your wants might be supplied and your country thus participate in our beneficence. But your Ambassador has now put forward new requests which completely fail to recognise the Throne’s principle to “treat strangers from afar with indulgence,” and to exercise a pacifying control over barbarian tribes, the world over. Moreover, our dynasty, swaying the myriad races of the globe, extends the same benevolence towards all. Your England is not the only nation trading at Canton. If other nations, following your bad example, wrongfully importune my ear with further impossible requests, how will it be possible for me to treat them with easy indulgence? Nevertheless, I do not forget the lonely remoteness of your island, cut off from the world by intervening wastes of sea, nor do I overlook your excusable ignorance of the usages of our Celestial Empire. I have consequently commanded my Ministers to enlighten your Ambassador on the subject, and have ordered the departure of the mission. But I have doubts that, after your Envoy’s return he may fail to acquaint you with my view in detail or that he may be lacking in lucidity, so that I shall now proceed . . . to issue my mandate on each question separately. In this way you will, I trust, comprehend my meaning….

    (3) Your request for a small island near Chusan, where your merchants may reside and goods be warehoused, arises from your desire to develop trade. As there are neither foreign hongs nor interpreters in or near Chusan, where none of your ships have ever called, such an island would be utterly useless for your purposes. Every inch of the territory of our Empire is marked on the map and the strictest vigilance is exercised over it all: even tiny islets and far­lying sand­banks are clearly defined as part of the provinces to which they belong. Consider, moreover, that England is not the only barbarian land which wishes to establish . . . trade with our Empire: supposing that other nations were all to imitate your evil example and beseech me to present them each and all with a site for trading purposes, how could I possibly comply? This also is a flagrant infringement of the usage of my Empire and cannot possibly be entertained.

    (4) The next request, for a small site in the vicinity of Canton city, where your barbarian merchants may lodge or, alternatively, that there be no longer any restrictions over their movements at Aomen, has arisen from the following causes. Hitherto, the barbarian merchants of Europe have had a definite locality assigned to them at Aomen for residence and trade, and have been forbidden to encroach an inch beyond the limits assigned to that locality…. If these restrictions were withdrawn, friction would inevitably occur between the Chinese and your barbarian subjects, and the results would militate against the benevolent regard that I feel towards you. From every point of view, therefore, it is best that the regulations now in force should continue unchanged….

    (7) Regarding your nation’s worship of the Lord of Heaven, it is the same religion as that of other European nations. Ever since the beginning of history, sage Emperors and wise rulers have bestowed on China a moral system and inculcated a code, which from time immemorial has been religiously observed by the myriads of my subjects. There has been no hankering after heterodox doctrines. Even the European (missionary) officials in my capital are forbidden to hold intercourse with Chinese subjects; they are restricted within the limits of their appointed residences, and may not go about propagating their religion. The distinction between Chinese and barbarian is most strict, and your Ambassador’s request that barbarians shall be given full liberty to disseminate their religion is utterly unreasonable.

    It may be, O King, that the above proposals have been wantonly made by your Ambassador on his own responsibility, or peradventure you yourself are ignorant of our dynastic regulations and had no intention of transgressing them when you expressed these wild ideas and hopes…. If, after the receipt of this explicit decree, you lightly give ear to the representations of your subordinates and allow your barbarian merchants to proceed to Chêkiang and Tientsin, with the object of landing and trading there, the ordinances of my Celestial Empire are strict in the extreme, and the local officials, both civil and military, are bound reverently to obey the law of the land. Should your vessels touch the shore, your merchants will assuredly never be permitted to land or to reside there, but will be subject to instant expulsion. In that event your barbarian merchants will have had a long journey for nothing. Do not say that you were not warned in due time! Tremblingly obey and show no negligence! . . .

    From E. Backhouse and J. O. P. Bland, Annals and Memoirs of the Court of Peking (Boston: Houghton Mifflin, 1914), pp. 322­-331, via the Internet Modern History Sourcebook.

  • Cos’è l’arte

    Cos’è l’arte

    di FB

    Chi definisce cos‘è l’arte?

     La tua domanda tocca uno degli argomenti più difficili e intrattabili della storia dell’umanità.

    L’arte come forma di espressione personale estetica è sempre esistita e ha presumibilmente sempre avuto un valore di mercato. Non mi sembrerebbe strano se un un Neanderthal csi fosse impegnato a dare un pesce a un compagno se questo gli faceva le stesse decorazioni sull’Elsa della sua clava.

    Allora come ora, se le tue decorazioni sui manici delle clave sono più popolari di quelle di un altro artigiano( notare il prefisso arti-, che in questo caso sta per tecnica, non per arte), avranno un valore di mercato superiore. Ma allora si parlava di bello, non di arte, che parla di valori assoluti, ci sono questi valori assoluti del problema.

    Il concetto di arte come lo intendiamo oggi, come forma di espressione individuale e creativa, è emerso in modo più distintivo durante il Rinascimento europeo nel XIV secolo. In questo periodo, gli artisti come Leonardo da Vinci, Michelangelo e Raffaello furono riconosciuti come figure di grande talento e iniziarono a essere considerati come creatori di opere d’arte uniche e originali.

    Da allora, il concetto di arte si è sviluppato ulteriormente attraverso i movimenti artistici successivi, come il Barocco, il Romanticismo, l’Impressionismo, il Cubismo, il Surrealismo e così via. Ogni movimento artistico ha portato con sé nuove prospettive e approcci all’arte, contribuendo alla sua evoluzione e alla definizione di ciò che può essere considerato come tale.

    Ricordo un tizio che avevo incontrato sul treno. Era appena andato a Firenze a vedere una mostra con il suo figlioletto di sei o sette anni. Il bambino gli aveva fatto una domanda molto intelligente. Davanti a un quadro di Raffaello, aveva detto: “papà, posso di’ che è brutto?

    E lui rispose: “se pensi che è brutto, lo DEVI dire. Sagge parole. Per me, i quadri di Raffaello sono croste.

    Ma il succo è che si tenta sempre di dare un valore assoluto all’arte, cosa che non è possibile. E questa idea che causa tutte le contraddizioni.

    L’arte deve essere assoluta, quindi godibile nella stessa misura da tutti. Tutti devono per forza trovare sublime Raffaello. Ma chiaramente non è così. Ci sono fattori di conoscenza, sensibilità ed educazione da tenere presenti. Ci sono anche fattori di interesse. Io per esempio sono sensibile alle arti musicali e ho una conoscenza molto profonda e molto estesa delle musiche di tutto il mondo ma l’arte figurativa non mi interessa. Credo che il fatto che in generale io trovi assolutamente priva di interesse di bellezza il 90% dell’arte figurativa sia un mio problema di sensibilità.

    ma non abbiamo ancora risposto alla domanda. Chi definisce l’arte?. Di solito la risposta accettata nel mondo del mercato dell’arte è “Gli esperti.” Gli esperti quindi letteralmente creano l’arte dichiarandola tale.

    È quello che fa notare il falsario d’arte Eric Hebborn, che si difende sostenendo di non aver mai detto che un quadro fosse stato fatto da tale o talaltro. Lui si limitava a produrre un disegno che assomigliava a quelli di Piranesi, con carta del periodo di Piranesi, portando poi il tutto ad un esperto. Era poi questo esperto che creava l’arte, identificando il disegno come un’opera in edita di Piranesi.

    Sei confuso? Anch’io.