Ombrelli Rotti

  • 小満 – Shōman

    小満 – Shōman

    Mentre sistemavo gli appuntamenti di lavoro sul calendario ho visto riportata la seguente frase:

    「万物盈満すれば草木枝葉繁る」

    Banbutsu eiman sureba kusaki edaha shigeru

    Il significato di questa frase è che quando il clima diventa mite le piante e gli altri esseri viventi crescono e prosperano.

    La frase è ripresa dal koyomi binran (暦便覧), un manuale di approfondimento del calendario pubblicato durante il periodo Edo (1603-1868) da Taigensai (太玄斎).

    Oltre a fornire informazioni dettagliate sul calendario, il koyomi binran include anche spiegazioni complete sui nijūshisekki (二十四節気), i ventiquattro periodi solari, rimanendo un punto di riferimento importante per la loro comprensione anche ai giorni nostri.

    La frase precedente è stata riportata sul calendario per segnare la fine di uno questi ventiquattro periodi solari. Sto parlando del periodo conosciuto come shōman (小満), terminato il 4 Giugno.

    Shōman è la fase in cui ogni essere vivente cresce gradualmente, riempiendo cielo e terra. Coincide con la maturazione delle spighe del grano seminato in autunno, e si dice porti un po’ di soddisfazione e rassicurazione per il futuro raccolto. Questa fase rappresenta un momento di transizione, con il clima che diventa caldo e umido.

    Shōman, l’ottavo dei ventiquattro periodi solari, quest’anno è iniziato il 20 Maggio, con una durata che si estende fino al 4 Giugno. Sebbene generalmente si collochi tra il 21 Maggio e il 4 Giugno circa, la data esatta non è mai fissa. I ventiquattro periodi solari dividono l’anno in 24 segmenti di circa 15 giorni ciascuno, allo scopo di comprendere il cambio delle stagioni. Tuttavia, poiché la loro determinazione si basa sulla divisione dell’anno in 24 parti uguali in base al movimento del sole, non sono fissi e possono variare di circa un giorno. Di conseguenza, il termine shōman può riferirsi sia al giorno specifico dell’inizio del periodo, sia all’intero lasso di circa 15 giorni che va da shōman a bōshu (芒種), il nono dei ventiquattro periodi solari.

    Lo shōman porta con sé il momento dell’ inizio del raccolto del grano, ormai pronto per essere mietuto. Seminato durante l’inverno, il grano attende questo periodo per essere finalmente raccolto. Questa fase è conosciuta come bakushū (麦秋) o mugiaki (麦秋), termini che figurano come parole stagionali legate all’ estate. Nonostante si tratti della stagione estiva, il kanji di “autunno” (秋) viene utilizzato in entrambe le parole in paragone con l’autunno, e il periodo di maturazione del riso. La doratura delle spighe di grano crea un suggestivo scenario simile a quello delle dorate spighe di riso autunnali.

    Anche i fenomeni atmosferici di questo periodo hanno dei nomi riconducibili alla coltura del grano come ad esempio la pioggia, è chiamata bakū (麦雨, pioggia di grano). Il vento che soffia sui campi di grano è chiamato mugi no akikaze (麦の秋風vento autunnale del grano) o mugiarashi (麦嵐, tempesta di grano), mentre le spighe ondeggianti nei campi sono chiamate mugi no nami (麦の波, onde del grano).

    Lo shōman come gli altri periodi solari, si suddivide a sua volta in 3 fasi.

    蚕起食桑 – Kaiko okite kuwa wo hamu

    Durante questa prima fase, che segna l’inizio dello shōman, l’appetito dei bachi da seta cresce e divorano voracemente le foglie di gelso che usano come cibo. Alla fine, i bozzoli filati dai bachi da seta si trasformano in splendidi fili di seta.

    Fonte: note.com

    紅花栄 – Benibana sakae

    È il periodo in cui il cartamo sboccia in splendidi fiori color arancio-giallastro. Il cartamo o zafferone, benibana in giapponese, è giallo brillante nel momento della fioritura, ma diventa gradualmente rosso man mano che cresce. Dalla corolla del suo fiore sin dall’ antichità si estraggono due colori (il cremisi ed il giallo) utilizzati, dalle persone di corte, come coloranti per stoffe e tessuti e veniva utilizzato per tingere seta.

    麦秋至 – Mugi no toki itaru

    Letteralmente, “l’arrivo dell’autunno del grano”. È il periodo in cui le spighe di grano raggiungono la maturazione.

    Durante lo shōman, per alcuni giorni, il cielo rimane coperto e piove a tratti. Questo fenomeno meteorologico, che precede l’inizio della vera e propria stagione delle piogge (梅雨, tsuyu), è chiamato hashiri zuyu (走り梅雨) o tsuyu no hashiri (梅雨の走り) ed è considerato un termine stagionale. Al termine di questa fase, il tempo si apre e torna sereno, ma subito dopo inizia la vera stagione delle piogge.

    Un mio collega, che ha vissuto molto tempo ad Okinawa, mi ha spiegato che in quella zona la stagione delle piogge inizia prima rispetto al Kyūshū dove mi trovo ora. Lo tsuyu iniziai spesso a cavallo tra lo shōman e il periodo successivo, il bōshu (芒種) e si usa spesso l’espressione “shōman-bōshu“, che viene spesso pronunciata “sūman-bōsu” per indicare la stagione delle piogge stessa.


    Oltre ad essere un momento di abbondanza per la natura, shōman assume anche un significato simbolico. Il grano dorato che matura nei campi rappresenta il frutto del duro lavoro e della dedizione, un monito a perseverare per raccogliere i frutti dei propri sforzi.

    La suddivisione in tre fasi, ognuna caratterizzata da eventi naturali e fenomeni atmosferici peculiari, offre un ulteriore spunto di riflessione sulla ciclicità della vita e l’armonia che regna nel mondo naturale.

    In definitiva, shōman è un periodo ricco di significato che ci invita ad apprezzare la bellezza della natura, a celebrare i frutti del lavoro e a riflettere sulla ciclicità della vita. Un momento per rallentare, osservare il mondo che ci circonda e trarne ispirazione.

  • 水無月 – Minazuki

    水無月 – Minazuki

    Giugno

    Immaginate un Giappone immerso nella stagione delle piogge, con i campi inondati pronti per il trapianto del riso. In questo scenario, si staglia il sesto mese lunare, conosciuto con il nome Minazuki (水無月). Un nome che, pur non coincidendo perfettamente con il mese di Giugno del calendario solare, continua ad evocare immagini e sensazioni di questo periodo ricco di fascino.

    Come sesto mese dell’inreki (陰暦), il calendario lunare giapponese, rappresenta un periodo di transizione tra l’estate e l’autunno, ricco di significati legati alla natura e al lavoro. Conosciuto anche come wafū-gestumei (和風月名), il nome tradizionale giapponese per questo mese, minazuki evoca l’importanza dell’acqua per la coltivazione del riso, un’attività fondamentale per la sussistenza delle comunità rurali in Giappone.

    L’adozione del calendario solare in Giappone ha portato a un cambiamento significativo nel modo di identificare i mesi, sostituendo i tradizionali nomi giapponesi con numeri semplici. Tuttavia, il fascino dei nomi antichi non è andato perduto, e minazuki, continua a essere utilizzato come nome poetico per il mese di Giugno del calendario solare.

    Importante sottolineare che i due mesi non coincidono perfettamente. Il calendario lunare giapponese, infatti, segue un ciclo basato sulle fasi lunari, mentre il calendario gregoriano si basa sul moto apparente del Sole. Di conseguenza, minazuki può cadere in periodi differenti all’interno del calendario gregoriano, solitamente tra la fine di Giugno e l’inizio di Agosto.

    Minazuki: Un mese senza acqua nel cuore della stagione delle piogge?

    Minazuki, ovvero “mizu no nai tsuki” (水の無い月), “mese senza acqua”, è un nome che suscita curiosità per la sua apparente contraddizione con lo tsuyu (梅雨), la stagione delle piogge. Le sue origini affondano nella storia e nella cultura del paese, rivelando un legame profondo con le pratiche agricole e la gestione delle risorse idriche.

    In passato, il sesto mese lunare coincideva con il periodo del trapianto del riso, un’attività fondamentale per la sussistenza delle comunità rurali. L’acqua era dunque un elemento vitale, ma la sua abbondanza durante lo tsuyu poteva creare problemi di allagamento e favorire la proliferazione di insetti dannosi per le colture.

    Il nome minazuki potrebbe quindi essere interpretato come un monito a gestire con attenzione l’acqua in questo periodo delicato, preservandola per il trapianto e garantendo la salute del raccolto. Un nome che riflette la saggezza contadina e l’importanza di un equilibrio tra le risorse naturali.

    Minazuki, un mese che sfida le apparenze

    Come scritto in precedenza, minazuki suscita curiosità per il suo apparente contrasto con la stagione delle piogge in Giappone. Tuttavia, l’origine di questo nome cela un significato più profondo, legato all’interpretazione del kanji “無” (mu).

    Sebbene “mu” possa significare “assenza”, in questo contesto assume il ruolo di particella pronominale “no“, trasformando “minazuki” in “mizu no tsuki“, ovvero “mese dell’acqua”. Questa interpretazione si basa sul fatto che il sesto mese coincideva, come scritto in precedenza, con il periodo del trapianto del riso, un’attività fondamentale per la sussistenza delle comunità rurali. L’acqua era dunque l’elemento vitale per la coltivazione e il raccolto, da cui l’idea del “mese dell’acqua”.

    I significati attribuiti a minazuki si esauriscono nel suo significato letterale, ma che si apre a un gioco fonetico interessante. Il suono “na” si crede riconducibile al verbo “naru” (鳴る), ovvero “risuonare”. In questo caso, minazuki potrebbe essere interpretato come il “mese in cui risuona la forza dell’acqua”.

    Un’immagine poetica che evoca il rumore dell’acqua che scorre nei campi, che nutre la terra e dà vita al raccolto. Un suono che diventa simbolo di vita, di speranza e di armonia con la natura.

    Indipendentemente dall’origine precisa, il nome minazuki evoca un periodo ricco di simbolismo. Esso rappresenta il duro lavoro dei contadini, la gratitudine per il raccolto e l’armonia con la natura.

    Minazuki: un mese, mille nomi

    Minazuki non è solo un nome, ma un caleidoscopio di denominazioni che riflettono la ricchezza della cultura e delle tradizioni passate legate a questo periodo dell’anno. Altri nomi offrono spunti di riflessione e ci permettono di approfondire il legame tra questo mese il passato e la vita contadina.

    Uno di questi nomi è mizuharizuki (水張り月) letteralmente “mese dell’allagamento dei campi”. Un termine che descrive in modo diretto l’operazione di inondare i campi per il trapianto del riso, sottolineando l’importanza di questo passaggio per la coltivazione e la sopravvivenza delle comunità rurali.

    皆仕尽 – Minashitsuki

    Un tuffo nella storia contadina del Giappone

    Minashitsuki (皆仕尽), letteralmente “mese in cui tutto è terminato”, un nome che racchiude in sé la soddisfazione e il sollievo dei contadini giapponesi al termine dei lavori di impianto del riso. Un momento cruciale per la coltivazione, che segna il passaggio dalla fatica alla speranza per il raccolto futuro.

    Un nome che ci riporta indietro nel tempo, quando l’agricoltura era l’asse portante della società giapponese. La fine dei lavori di impianto del riso rappresentava un momento di grande importanza, non solo per la sopravvivenza delle comunità, ma anche per la coesione sociale e il senso di appartenenza alla terra.

    Questi nomi tradizionali, con la loro bellezza e profondità, ci invitano a un viaggio poetico attraverso le stagioni e la cultura giapponese, un viaggio che ci ricorda l’importanza di preservare le nostre radici e di apprezzare la bellezza effimera della natura.


    Oltre al nome più conosciuto, minazuki ha diverse altre denominazioni, ognuna con un suo fascino e significato.

    晩夏 – Banka

    L’estate che cede il passo all’autunno

    Banka non è solo un nome, ma un momento. Nel calendario lunare giapponese, l’estate si estende da aprile a giugno. Minazuki, il sesto mese, rappresenta l’ultima fase di questa stagione e viene quindi chiamato anche “banka” (晩夏), ovvero “fine dell’estate”.

    Questo appellativo riflette perfettamente la posizione di minazuki nel ciclo delle stagioni. Mentre il caldo estivo è ancora presente, si avvertono già i primi segni del suo declino. Le giornate iniziano ad accorciarsi, le notti diventano più fresche e l’aria assume un sentore di cambiamento.

    Banka quindi non è solo un nome, ma un’indicazione precisa del momento in cui l’estate inizia a volgere al termine, lasciando spazio all’autunno. E’ un periodo di transizione, dove la natura si prepara al riposo invernale e i paesaggi si tingono di nuove sfumature di colore.

    青水無月 – Aominazuki

    Immaginate un paesaggio giapponese dove il verde brillante delle foglie domina la scena. Il cielo, di un azzurro intenso e terso, si specchia in questo mare di verde, creando un panorama mozzafiato. E’ questo il quadro che ci regala aominazuki,  il “mese delle foglie verdi”.

    Il kanji “青”, “ao“, che significa “verde”, richiama alla mente la brillantezza e la crescita rigogliosa delle foglie appena nate, dando una sensazione di crescita e di rinnovata energia che pervade la natura in questo periodo.

    鳴神月 – Narukamizuki

    Quando il cielo si scatena

    Minazuki, è conosciuto anche con nomi alternativi come narukamizuki (鳴神月), kaminarizuki (神鳴月) e raigetsu (雷月), tutti e tre legati al frequente verificarsi di temporali durante questo periodo.

    Questi nomi non sono solo semplici descrizioni meteorologiche, ma rappresentano la profonda connessione tra la cultura giapponese e la natura. I temporali, con la loro forza e il loro fragore, erano visti come manifestazioni del potere dei kami e come portatori di pioggia preziosa per i raccolti.

    Nella tradizione giapponese, i temporali erano associati ai kamiRaijin (雷神) e Fūjin (風神), che erano venerate e temute allo stesso tempo, e la loro presenza era percepita durante i violenti temporali di Minazuki.

    Questi nomi rappresentano un’affascinante testimonianza del profondo legame e rispetto che la cultura giapponese ha sempre avuto con la natura e con i suoi fenomeni più potenti.

    涼暮月 – Suzukurezuki e 弥涼暮月 – Isuzukurezuki

    Un mese di contrasti tra caldo e fresco

    Minazuki è conosciuto anche come suzukurezuki (涼暮月) e isuzukurezuki (弥生月). Questi nomi riflettono due aspetti peculiari di questo periodo dell’anno.

    Suzukurezuki, letteralmente “crepuscolo fresco”, descrive il piacevole calo delle temperature che si verifica al tramonto, dopo la calura estiva del giorno. Questo nome coglie perfettamente l’atmosfera di Minazuki, quando l’afa del giorno lascia il posto a una piacevole freschezza serale.

    Isuzukurezuki, invece, significa “mese che precede l’autunno”. Questo nome sottolinea il fatto che Minazuki rappresenta una sorta di preludio alla stagione autunnale.

    常夏月 – Tokonatsuzuki

    L’estate eterna

    Tra i numerosi nomi alternativi di minazuki, troviamo tokonatsuzuki (常夏月), che letteralmente si può tradurre come “mese dell’estate eterna”. Questo nome evoca l’immagine di un periodo caratterizzato da una fioritura continua, simbolo della bellezza e della vitalità estiva.

    Il termine “tokonatsu” (常夏) é anche l’antico nome del fiore nadeshiko (撫子), noto anche come garofano giapponese. Questo fiore, arrivato in Giappone dalla Cina durante il periodo Heian (794-1185), considerato simbolo di purezza e di bellezza femminile, raggiunge il suo massimo splendore proprio durante il mese di minazuki.

    蝉羽月 – Seminohazuki

    Nome che potremmo tradurre letteralmente in italiano come “mese delle ali di cicala”. L’utilizzo del termine non è casuale. In Giappone, le cicale con il loro canto sono simbolo della calura estiva e la loro presenza è così legata a questo mese da diventare un simbolo iconico della stagione.

    In passato inoltre, secondo il calendario lunare, si usava indossare gli usumono (薄物), un tipo di kimono leggero realizzato in seta o canapa. La scelta di questo nome riflette quindi anche la moda del tempo, quando le persone abbandonano gli abiti più pesanti per abbracciare capi più freschi e confortevoli.

    L’immagine di questi kimono leggeri e svolazzanti sono accostati alle ali leggere delle cicale, insetto perfettamente adatto al clima caldo e umido del periodo.

    葵月 – Aoizuki

    Aoizuki, letteralmente significa “mese della malva”. Questo nome evoca l’immagine di questo fiore iconico che, assieme all’ajisai (紫陽花, le ortensie) sboccia proprio durante questo periodo dell’anno, colorando i paesaggi con le sue tonalità vivaci.

    La malva, in particolare la malva tachiaoi (立葵), è considerata un simbolo dell’estate in Giappone. I suoi fiori, alti e slanciati, iniziano a sbocciare proprio durante la stagione delle piogge, per poi raggiungere il loro massimo splendore verso la fine del mese, quando il clima diventa più caldo e soleggiato.

    Minazuki, un dolce tipico

    A Kyōto, il 30 Giugno, giorno che segna esattamente la metà dell’anno, si celebra un rituale religioso chiamato nagoshi no harai (夏越祓) per purificare i peccati e le impurità accumulate nei primi sei mesi e per augurare salute e prosperità per i restanti sei mesi.

    In questa occasione viene offerto il minazuki un dolce tipico di Giugno, composto da uno strato di pasta di azuki (fagioli rossi dolci) adagiato sopra una pasta si farina di riso glutinoso quasi trasparente e tagliata a forma di triangolo detta uirō, molto simile per consistenza ai mochi ma più leggera.

    I fagioli rossi, di colore rosso considerato propizio per allontanare il male, rappresentano un elemento propiziatorio che, secondo la tradizione, ha il potere di scacciare gli spiriti maligni. Il bianco uirō a forma di triangolo, invece, simboleggia i frammenti di ghiaccio conservati nelle himuro (氷室), le antiche ghiacciaie). In un periodo caldo come l’estate, il ghiaccio era un bene prezioso e rappresentava un modo per combattere l’afa.

    Il ruolo storico delle Himuro nella tradizione del minatsuki

    Nell’antichità, in prossimità della capitale, esistevano delle strutture chiamate himuro (氷室), che fungevano da ghiacciaie naturali. Durante l’inverno, il ghiaccio veniva raccolto e conservato all’interno di queste strutture, isolate termicamente per preservarlo fino all’estate.

    Fonte Wikipedia

    Con l’arrivo della stagione calda, il ghiaccio veniva trasportato a corte e offerto all’imperatore, ai membri della famiglia imperiale e ai nobili. Il 1° Giugno (che oggi corrisponderebbe circa al 27 Giugno) celebrava l’himuro no sechie (氷室の節会), conosciuto anche come koori no sekku (氷の節句), il primo giorno del ghiaccio, un rituale durante il quale si consumava il ghiaccio proveniente dalle himuro come rimedio contro l’afa estiva.


    Minazuki, il sesto mese del calendario lunare giapponese, è un periodo di contrasti. Rappresenta l’apice dell’estate, con il caldo torrido e l’umidità che avvolgono le isole dell’arcipelago giapponese. Un mese di contrasti e cambiamenti, ma anche di bellezza e riflessione. È un momento per apprezzare la natura effimera della vita e per prepararsi ai nuovi inizi che l’autunno porterà con sé.


  • Perché nel linguaggio colloquiale maschile spesso la mamma viene chiamata col termine o-fukuro (il sacco)?

    Perché nel linguaggio colloquiale maschile spesso la mamma viene chiamata col termine o-fukuro (il sacco)?

    Il termine お袋 (ofukuro) per “mamma” ha origini storiche e culturali interessanti. Ecco una spiegazione dettagliata delle sue origini:

    Origini del Termine お袋 (ofukuro)

    1. Significato Letterale:
    – La parola 袋 (fukuro) significa “sacco” o “borsa” in giapponese. L’aggiunta del prefisso onorifico お (o) è una forma di rispetto che trasforma la parola in お袋 (ofukuro).

    2. Uso Storico
    – Anticamente, il termine fukuro era usato per riferirsi alle sacche in cui le madri giapponesi conservavano e portavano oggetti essenziali per la famiglia, come cibo e utensili. Queste sacche erano simbolicamente legate al ruolo della madre come custode e nutrice della famiglia.
    – Nel periodo Edo (1603-1868), era comune che le donne portassero con sé sacche di tessuto (fukuro) contenenti oggetti personali o cibo. Queste sacche divennero simbolicamente associate alle madri che preparavano e portavano cibo ai loro figli, specialmente quando lavoravano o andavano a scuola.

    3. Simbolismo e Affetto
    – Con il tempo, il termine fukuro iniziò a essere usato metaforicamente per riferirsi alla madre stessa, poiché era lei che preparava e forniva ciò che era contenuto nelle sacche. L’uso di お袋 (ofukuro) divenne un modo affettuoso e rispettoso per riferirsi alla propria madre, richiamando l’immagine del suo ruolo premuroso e nutriente.

    4. **Connotazione Familiare:**
    – お袋 (ofukuro) ha una connotazione familiare e intima, spesso utilizzata dai figli per riferirsi alla loro madre in modo affettuoso. È meno formale rispetto a 母 (はは, haha), che è il termine standard per “madre”.

    Oggi, お袋 (ofukuro) è ancora utilizzato, anche se può avere una sfumatura un po’ arcaica o regionale. È particolarmente comune sentirlo nelle conversazioni familiari o tra amici intimi. La parola conserva il suo significato affettuoso, evocando immagini di cura e sostegno materno.

     

  • Perché, a differenza degli inglesi, pur abitando sulle isole i giapponesi non divennero mai navigatori?

    Perché, a differenza degli inglesi, pur abitando sulle isole i giapponesi non divennero mai navigatori?


    Per tre motivi, credo.
    Penso che quello principale sia stata la presenza della Cina. Questo paese e la minuscola Corea erano tutto quanto appariva a ovest sull’orizzonte dei giapponesi. Il problema era che la Cina già confinava con praticamente tutti ed era quindi il veicolo principale e più economico di commercio fra Giappone e chicchessia. Non avrebbe quindi avuto senso tentare di sviluppare le considerevoli doti tecniche e le tecnologie necessarie per un viaggio davvero lungo come quello richiesto per raggiungere nuovi mercati.
    Dall’altra parte c’era l’abisso del Pacifico. L’immagine del grande navigatore che abbiamo noi europei nella fantasia appartiene a un momento unico della storia, vale a dire la navigazione intercontinentale transoceanica, che iniziò quando divenne tecnicamente possibile, vale a dire molto più tardi. Gli europei furono i primi a superare i grandi problemi tecnici posti dalla navigazione intercontinentale a partire dal XV secolo.
    Il particolarissimo momento storico giustifica il loro comportamento anomalo. I viaggi degli esseri umani sono sempre i più brevi possibile e la colonizzazione della terra è avvenuta a piedi e a passetti i più brevi possibili.
    Infine, i I giapponesi non avevano la personalità, il carattere giusto. Un popolo che migra è psicologicamente pronto per divenire stanziale. Se arriva per caso in un’isola o un arcipelago, sviluppa una mentalità insulare, che è più di una barzelletta. Per esempio, il mito della creazione maori e quello giapponese hanno in comune il fatto che gli dèi creano solo il paese dei Maori e dei giapponesi rispettivamente. Il resto non esiste. Quanto vedi è reale, ma, in assenza di prove dirette, il resto del mondo è surreale, una diceria. Esattamente questo è il modo in cui i giapponesi vedono il resto dell’umanità. Roba che si vede alla televisione. Come giustamente ha detto Dario Fabbri in uno dei suoi rari momenti di lucidità, i giapponesi sono isolazionisti, non pacifisti. Ai giapponesi il mondo non interessava.
    Questo però non è razzismo, ma semplicemente il risultato di non avere contatti diretti con alcuno.

  • -kyō e -dō

    -kyō e -dō

    A ciascuno la sua strada

    Qualche giorno fa ho scritto un breve articolo sulla mia scoperta che la presenza del suffisso -dō dopo il nome di una disciplina giapponese non è neutrale, ma ha implicazioni precise che non vanno ignorate. 

    La scoperta mi ha aperto diverse porte, facendomi realizzare un’altra volta che penso di comprendere cose che in realtà non mi sono chiare. Ora spiego.

    Le dottrine e le “vie”

    Conosco diverse parole giapponesi che terminano con il suffisso “dō” (道), un carattere usato solo in composti che significa “via” o “cammino”. Ecco alcuni esempi:

    1. Judō (柔道), “la via morbida”, un’arte marziale che enfatizza la flessibilità e l’efficienza.

    2. Kendō (剣道): “la via della spada”, un’arte marziale che si concentra sull’uso della katana in bambù. Gli scolari in divisa da kndō 

    3. Aikidō (合気道) “la via dell’armonia spirituale”, un’arte marziale che mira ad armonizzare l’energia.

    4. Karatedō (空手道), ”la via della mano vuota”, un’arte marziale che impiega ogni parte del corpo per l’autodifesa senz’armi.

    5. Chadō (茶道) “la via del tè”, più comunemente conosciuta come la cerimonia del tè giapponese.

    6. Shodō (書道), “la via della scrittura”, l’arte giapponese della calligrafia.

    7. Ikebanadō (生け花道) “la via dell’ikebana”, l’arte giapponese di arrangiare i fiori.

    8. Shintō, nome di una religione spacciata per la più antica del popolo giapponese, in realtà un’invenzione dell’amministrazione Meiji. (Nota 1)

    Per spiegare un po’ meglio il significato di questo suffisso, -dō indica che, a differenza di quanto accade nel buddhismo, dove esistono e sono sempre esistiti i maestri ( a partire da Siddhartha Gautama), la conoscenza in Giappone viene associata col perseguire una via. Tale via ti darà un obiettivo e null’altro. Il resto dovrai trovarlo da solo nel percorrere la tua strada. Non ci sono insegnamenti, l’essenza della via è la tua crescita personale,  conseguenza diretta dei problemi che incontrerai e delle soluzioni che darai loro.

    Il pensiero e l’azione

    Sarebbe un errore a questo punto pensare che questo modo di pensare si limiti a queste poche arti. 

    Al contrario, l’enciclopedia della filosofia dell’Università di Stanford dichiara che l’unione di azione e pensiero è la caratteristica fondamentale della filosofia giapponese.

    Se questo è vero, e non ho ragione di pensare il contrario, la filosofia giapponese si limita al rapporto fra l’individuo e il mondo, un raggio di interessi molto inferiore a quello della filosofia europea, che si estende perlopiù al non umano, per capirlo e definirlo.

    Alla base delle manifestazioni di creatività giapponese che abbiamo visto c’è l’incontro con la realtà come momento di comprensione di se stessi. Nel modo di pensare del Giappone l’importante non è la riflessione astratta, quanto quella applicata appunto all’azione.

    Credo di avere un episodio tratto dalla mia vita personale che illustra bene il significato di via come appare nella filosofia giapponese. Sono falegname, scadente ma falegname, e mi sono autoimposto alcune condizioni di lavoro piuttosto scomode, ma che mi consentono di evitare di farmi male seriamente. Non uso utensili utensili elettrici, il che vuol dire che passo spesso ore a fare quanto altri fanno in un minuto, meglio di me e con una sega a nastro di costo modesto. Eppure la decisione di non usare utensili elettrici, ma solo una sega a mano Ryōba, originariamente presa per motivi di sicurezza, è stata una delle migliori della mia vita. Le difficoltà extra che mi sono andato a cercare mi hanno tutte insegnato qualcosa di utile. La prima è stata quanto duro e difficile sia essere un falegname, e quanto difficile sia mantenere una famiglia in questo modo. Lavori per due giorni per costituire un oggetto disponibile da qualche parte per metà di quello che hai speso, senza contare il tuo lavoro. 

    C’è di più, ovviamente. Costruire qualcosa di concreto, avere un obiettivo preciso in mente, necessitare di cose che non possedevi come la pazienza e l’accettazione serena che un errore può rendere inutili giorni di lavoro, ti cambiano. Per essere un buon falegname devi essere una persona migliore. I tuoi mobili rifletteranno la complessità e la ricchezza della tua personalità. I mille pali fra le ruote che ho trovato prima del successo mi sono stati molto utili in campi molto diversi dalla falegnameria. La pazienza è una dote utile un po’ dappertutto.

    Ed ora arriva finalmente l’episodio che avevo nominato in apertura. Avevo notato che molti dei pali usati dall’industria edilizia (2 by 4) qui in Giappone per costruire le case sono fatte in legno bianchissimo. Ho deciso quindi di tagliare uno di questi pali in fettine, ciascuna di dimensione 180 × 12 × 0,5 cm per farne scatole. La prima fetta mi è costata quattro ore di lavoro. Il legno era durissimo e fibroso, uno dei peggiori che avrei potuto scegliere. Non mi pento del mio fallimento. Ci sono due modi per imparare. Uno è la fortuna, l’altro è il fallimento.

    A modo mio, , ho trovato il mio “-dō,” la mia strada. ‘’

    Note

    1 Chi avesse dubbi in proposito può leggere Shinto in the History of Japanese Religion dell’insigne studioso Kuroda Toshio.

  • Quali sono le cause della fine del periodo Sengoku (1467 — 1603)

    Prima di questo articolo, leggere quello Quali furono le cause del periodo sengoku?

    Il periodo Sengoku, noto anche come l’era dei regni combattenti, è stato un periodo tumultuoso nella storia del Giappone che si è esteso dal XV al XVI secolo. Vi sono ben tre date diverse usate per segnare l’inizio di questo periodo, la prima è l’incidente di Kyōtoku, la seconda è la guerra di Ōnin, e la terza l’incidente di Meiō. Quelle per la sua fine sono molte di più e vanno dal 1568 al 1638. Io ho scelto la guerra di Ōnin per l’inizio, l’arrivo di Ieyasu a Edo per la fine (1467-1603).

    Il fattore decisivo che portò alla fine del periodo della guerra fra gli Stati (1467-1603) furono le armi da fuoco, portate dai portoghesi, subito imitate dai giapponesi e usate con giudizio soprattutto da Oda Nobunaga. Una figura estremamente interessante, Costui era noto per la sua curiosità per tutto quello Che era nuovo. Si procurò armi da fuoco, teneva in camera sua un mappamondo che guardava spesso e volentieri, aveva nominato un africano al rango di samurai. Doveva averne fiducia, perché lo accompagnò sempre anche nei momenti di grande importanza. Yusuke Era con lui la notte dell’incidente a Honnoji , Il misterioso evento che gli costò la vita. Fu lui a capire immediatamente il valore Degli archibugi e a procurarsene. Ne erano già arrivati diversi tipi dalla dalla Cina, ma nessuno poteva competere con i fucili portoghesi e presto nacque la figura del fuciliere appiedato, il cosiddetto Ashigaru,, raramente un guerriero e di solito un contadino. Fu una figura di grande importanza storica, parte del gruppo di motivi che portò all’eclissi Della casta guerriera.

    Il samurai medio considerava contaminante degradante l’uso delle armi da fuoco perché Richiedevano un addestramento molto minore e rifiutava di procurarsene. Ma questo non fece altro che approfondire la crisi del suo ruolo, Crisi che poi sfociò con la scomparsa completa della figura del guerriero . A causa della presenza degli Ashigaru del rifiuto del samurai di armarsi, Nel periodo Edo L’esercito smise di essere un affare di casta e si burocratizzo. Iniziò invece l’era dei Ronin. Di solito sono descritti come guerrieri che avevano perso il padrone, dando l’impressione che il loro destino fosse Normale, ma raro. La realtà era l’opposto. La Scomparsa immediata, traumatica e imprevista della classe militare sostituita da un esercito di professionisti segnò il momento di nascita Della figura del Ronin, In realtà un’intera classe messa su una strada senza becco di un quattrino ma con due spade alla cintura. Sono meglio descritti come reduci e vittime della scomparsa della loro classe al termine della guerra civile. La scomparsa del guerriero come figura sociale non sarebbe stata così completa alla fine della guerra civile se non fosse stato per le armi, che distrussero completamente la necessità di un guerriero con due spade. La guerra civile era durata un secolo e mezzo. Il problema dei reduci era quindi proporzionalmente molto ma molto più grande che In qualsiasi altro conflitto precedente. Il problema dello tsujigiri, L’uccisione a casaccio di passanti dopo il tramonto, fu una espressione Di protesta da parte dei Ronin, una protesta irrazionale e destinata a fallire ma sicuramente non l’ignobile atto di pregiudizio di classe con cui viene solitamente definito. Il problema dei Ronin durò a lungo, come prova la ribellione di Saigo Takamori, che combatté per la restaurazione Meiji Fin quando si rese conto che il termine restaurazione era solo una parola. Nessuno aveva intenzione di ritornare al passato. Takamori passò alla parte opposta del conflitto, Perdendo la vita per una causa che sapeva persa. Come si vede, le armi da fuoco Ebbero ripercussioni che andarono molto al di là della guerra civile.

  • Quali furono le cause dell’epoca dei regni combattenti?

    Il periodo Sengoku, noto anche come l’era dei regni combattenti, è stato un periodo tumultuoso nella storia del Giappone che si è esteso dal XV al XVI secolo. Di sua natura, un periodo simile e difficile da racchiudere fra due date esatte ma, in generale, Esso vide il completo crollo dell’autorità centrale nel Kanto e nel Kansai. Ci sono state diverse cause che hanno contribuito all’inizio e alla durata di questo periodo, la più importante delle quali è stata senza dubbio la legge sull’eredità promulgata dallo shogunato stesso.

    Questo prevedeva la divisione delle terre governate dai vassalli tra i loro figli maschi. Questo portò alla frammentazione delle terre e dei domini, creando molte entità politiche indipendenti all’interno del paese, una situazione difficilissima da cambiare in modo non violento, perché qualsiasi soluzione coinvolgeva il ledere gli interessi di un grande numero di persone.

    La pratica dello shoen seido, combinata con altre leggi sull’eredità, portò a una serie di conflitti sulla proprietà delle terre e sulla successione dei daimyo. Queste questioni di eredità divennero spesso il catalizzatore per le guerre tra i clan, in quanto i daimyo cercavano di espandere il loro dominio e ottenere terre attraverso conquista o alleanze matrimoniali.

    Vi sono ben tre date diverse usate per segnare l’inizio di questo periodo, la prima è l’incidente di Kyōtoku, la seconda è la guerra di Ōnin, e la terza l’incidente di Meiō. Quelle per la sua fine sono molte di più e vanno dal 1568 al 1638. Io ho scelto la guerra di Ōnin per l’inizio, l’arrivo di Jason a Edo per la fine (1467-1603)

    Durante i tre secoli di disordine che vanno dalla caduta di Kamakura alla vittoria di Tokugawa Ieyasu vediamo prima il crollo completo dello shoen seido, poi la nascita di un nuovo sistema, rigidissimo nello stabilire un solo erede. La differenza fra un daimyo e i gokenin, le figura che viene a sostituire, sta principalmente proprio nel modo in cui viene trasmessa la proprietà. L’erede non deve essere necessariamente dello stesso sangue dello shogun. La sua competenza è più importante e il terzo shogun della dinastia dei Tokugawa, Iemitsu, il migliore dopo Ieyasu, non era figlio del secondo. Ma l’erede doveva pur sempre essere sempre uno solo.

    Durante il periodo Sengoku, le leggi sull’eredità e la successione variano notevolmente a seconda dei clan e delle famiglie nobiliari coinvolte. Non c’era un sistema di successione uniforme o centralizzato come si potrebbe trovare in altre culture o periodi storici.

    In generale, il sistema di eredità dipendeva dalle tradizioni e dalle regole stabilite da ciascun clan. Alcuni clan seguivano un sistema di primogenitura, in cui il primogenito maschio aveva diritto a ereditare il titolo, le terre e le proprietà del padre. Tuttavia, in molti casi, la successione poteva essere contestata o combattuta tra i membri della famiglia o tra i daimyo rivali.

    La legge sulla successione poteva anche essere influenzata dal potere politico e militare. I signori della guerra più forti e influenti avevano maggiori probabilità di garantire la successione dei loro discendenti, anche se ciò significava ignorare la linea di successione tradizionale. La stabilità e la continuità dinastica spesso erano secondarie rispetto alla capacità di un leader di mantenere il controllo sul proprio dominio.

    Inoltre, durante il periodo Sengoku, molti clan e famiglie nobiliari si estinsero a causa della guerra, delle alleanze mutevoli e delle rivalità interne. Ciò ha portato a una continua ridefinizione delle dinastie e delle linee di successione. A questo si ricollega poi il problema dei Ronin visto nell’articolo Lo tsujigiri, un fenomeno complesso

    Il crollo delle istituzioni precedenti era tuttavia necessario perché fosse possibile stabilirne di nuove Quando appaiono Oda Nobunaga, Toyotomi Hideyoshi e Tokugawa Ieyasu, il nuovo metodo a erede singolo è fermamente al suo posto. Esso sarà una delle caratteristiche nuove e significative del nuovo Shogunato Tokugawa. La figura del Daimyo è infatti definita dal modo in cui trasmette la propria proprietà a un erede.

    Un secondo e importante motivo fu il modo in cui il fondatore del secondo Shogunato, Ashikaga Takauji, conquistò il potere. Lo strappò infatti direttamente all’imperatore Go-Daigo, che avevo visto nel crollo dello Shogunato di Kamakura un’occasione di ritornare al potere effettivo. Takauji nominò perfino un imperatore dalla cui dinastia di scendono gli attuali imperatore del Giappone. Notare che non esiste alcun dubbio circa la loro legittimità perché possiedono i tre oggetti sacri che attribuiscono il potere al sovrano. Le due dinastie si combatterono per circa sessant’anni, un lungo periodo di caos totale che preparò il cataclisma che doveva venire.

  • Lo tsujigiri, un fenomeno complesso

    Qualche mese fa incidentalmente lessi una definizione dello tsujigiri, un fenomeno sconcertante di violenza estrema che durò per tutto il periodo Edo. Esso consisteva di attacchi mortali a danno di sconosciuti incontrati per caso e perpetrati da Rōnin. Questa non è la definizione che trovate normalmente. Quella dice che lo tsujigiri consisteva nell’attaccare un passante per testare il filo della propria spada, una definizione che troverai immediatamente incredibile, assolutamente incredibile, e che oreuna definizione che troverai immediatamente incredibile, assolutamente incredibile, e che ora sono sono convinto non sia altro che propaganda. Non solo, ma la ricerca fatta per chiarire questo episodio ha cambiato di molto le mie opinioni circa gli eventi nel periodo immediatamente dopo la fine della guerra civile

    Vediamo ora i fatti.

    Lo tsujigiri divenne talmente diffuso e problematico che lo shogunato dei Tokugawa dovette intervenire per contenerlo. Nel 1602, vennero emanate leggi specifiche per vietarlo espressamente come omicidio e coloro che venivano colti in flagrante venivano puniti severamente, a volte anche con la morte. Si istituirono stazioni di polizia apposite per impedirlo, stazioni che sono le progenitrici dell’attuale Kōban. Vennero persino create forze dell’ordine specificamente dedicata al compito di sradicare il fenomeno. Le unità abitative dei quartieri poveri venivano chiuse dall’esterno tenere per proteggere chi vi  abitava .

    Penso che a questo punto vada da sé che la definizione ufficiale di tsujigiri, vale a dire che questi omicidi erano semplicemente eccessi di alcuni samurai, non sia per nulla plausibile. Il fenomeno santuario e politicamente insignificante descritto dalle varie definizioni che circolano su Internet era in realtà una piaga sociale di una certa importanza che riuscì perfino a far cambiare l’architettura urbana. Non ritengo impossibile che l’abitudine dei giapponesi di chiudersi in casa dall’interno quando vanno a dormire, ancora comune fra gli anziani, abbia nelle sue radici in questo periodo. Si tratta altrimenti di un gesto inspiegabile in un paese sicuro e tutt’altro che violento come il Giappone di oggi.

    Ma allora, chi erano gli omicidi? Chi poteva avere interesse ad esercitare violenza casuale in questo modo? Chi aveva la possibilità di farlo, perché non tutti potevano portare armi?

    C’è una figura storica che sembra costruita appositamente per spiegare tutti i misteri che abbiamo visto.  Nonostante ci siano testimonianze che  uno dei figli del secondo shogun Hidetada e uno dei 47 Ronin fossero essi stessi tsujigiri, i primi sospetti sono i membri di un gruppo sociale che al momento aveva più di un motivo per essere scontento, verso esercitava la violenza per processione e aveva il diritto legale di portare due spade: i Ronin.

    I rōnin sono definiti come samurai senza padrone. La verità nel Giappone del XVII secolo era molto più difficile. La verità nel Giappone del XVII secolo era molto più difficile. Prima di tutto i reduci dovevano essere moltissimi. Dopo 147 anni di guerra continua, il numero di soldati che all’improvviso si trovavano senza lavoro in un mercato che non aveva bisogno delle loro qualifiche dove essere altissimo. Per la persona coinvolta doveva essere una catastrofe.

    1. Gli veniva a mancare il rispetto a cui era abituato. Perdeva l’autorità di dare ordini ai membri delle classi inferiori.
    2. Per un samurai, esserlo era più che è un mezzo per sostentarsi. Era un’identità che ora veniva a scomparire, non solo a livello individuale ma anche a livello societario, perché con la Pax Tokugawa pur rimanendo di nome, di fatto il samurai scompare.
    3. Il destino di un soldato è legato a quello del suo clan e del suo padrone.unIl destino di un soldato è legato a quello del suo clan e del suo padrone.un soldato sconfitto quindi con tutta probabilità perde anche il suo clan, l’ultima difesa che aveva.squindi con tutta probabilità perde anche il suo clan, l’ultima difesa che aveva. Alla fine della interminabile guerra civile, la perdita del legame Alla fine della interminabile guerra civile, la perdita del legame con il proprio clan Alla fine della interminabile guerra civile, la perdita del legame con il proprio clan e col proprio clan era un evento all’ordine del giorno
    4. L’ironia del destino volle che proprio i samurai, che in teoria dominavano la scena politica di questa epoca, ne fossero le maggiori vittime. Una pace duratura come quella dell’era Edo, 250 anni e più, non è un bene per chi possiede un solo mestiere, le arti marziali. La rabbia di samurai come Saigo Takamori, che lo portò a ribellarsi contro i Tokugawa, non era sicuramente solo sua.

    In sintesi, la fine della guerra civile non è stato solo un passaggio da un modo di vivere un altro, ma è stata una catastrofe per coloro che di guerra vivevano.ilIn sintesi, la fine della guerra civile non è stato solo un passaggio da un modo di vivere un altro, ma è stata una catastrofe per coloro che di guerra vivevano. Nominalmente al potere i samurai si trovavano in effetti di fronte alla scomparsa del loro ruolo sociale.Per sopravvivere, alcuni divennero effetti di fronte alla scomparsa del loro ruolo sociale.Per sopravvivere, alcuni divennero taroccati burocrati.

    Il veterano ritorna a casa con un senso di credito nei confronti della società da cui proviene per l’aver combattuto per essa e avere subito danni che notevoli per il suo bene. Di solito invece trova indifferenza, difficoltà nel trovare lavoro

    Non mi sembrerebbe quindi strano che, con le sue due spade ancora alla cintola, un guerriero si desse allo tsujigiri. In realtà, non vedo altra possibile spiegazione.Con il passare del tempo, quello che era iniziato come tsujigiri,si trasformò o fu associato a forme di banditismo. Durante i periodi di instabilità politica o economica, i samurai divennero rōnini. Senza una fonte stabile di reddito o uno scopo sociale, alcuni di questi rōnin si rivolsero al banditismo per sopravvivere. Questi ex samurai, abituati alla violenza e alla disciplina militare, divennero spesso banditi organizzati e temuti. Essi potevano mettere a segno rapine, estorsioni e, in alcuni casi, continuare la pratica dello tsujigiri come dimostrazione della loro abilità e per terrorizzare le popolazioni locali. Questi atti di banditismo non erano solo il risultato della disperazione economica ma anche dell’erosione del sistema feudale e del codice d’onore samurai, in un periodo in cui il Giappone stava subendo profondi cambiamenti sociali e politici.
    sujigiri fu menzionato come una delle cause che contribuirono al malcontento che portò alla Ribellione di Shimabara (1637-1638). La Ribellione di Shimabara fu un’insurrezione di contadini, la maggior parte dei quali erano cristiani, insieme a rōnin (samurai senza padrone) e altri gruppi, contro il dominio locale e le politiche oppressive dello shogunato Tokugawa. Avvenne nella penisola di Shimabara e nelle isole Amakusa nel Giappone sud-occidentale.
    Le cause della ribellione furono molteplici e complesse, includendo l’oppressione economica, come tasse eccessive e carestie, le persecuzioni religiose contro i cristiani e il malcontento sociale generale. Lo tsujigiri, in questo contesto, è emblematico del più ampio disordine sociale e della legge marziale che caratterizzavano il periodo. La pratica dello tsujigiri da parte di alcuni samurai rōnin contribuì a creare un clima di paura e instabilità, riflettendo il malcontento e la frustrazione di alcuni segmenti della società giapponese dell’epoca.
    Tuttavia, è importante notare che lo tsujigiri non fu la causa principale della Ribellione di Shimabara. Fu piuttosto uno dei tanti sintomi del malcontento e della tensione sociale che si stavano accumulando in Giappone sotto lo shogunato Tokugawa, in particolare tra le classi contadine e i rōnin. La ribellione fu una manifestazione estrema di resistenza contro un insieme complesso di problemi, tra cui l’oppressione economica, la persecuzione religiosa e l’instabilità sociale.

    Negli ultimi anni, ha preso piede una nuova teoria che spiega lo scopo dell’editto come un tentativo di cambiare la mentalità del popolo. Ho trovato diverse fonti online sull’argomento.
    All’epoca di Tsunayoshi (Anni di regno: 1780-1820),sebbene la “pace” fosse stata raggiunta, l’atmosfera della società era ancora permeata dalla brutalità del periodo delle guerrecivili. A Edo, ad esempio, c’erano i “kabukimono”, teppisti che seminavano il terrore.
    Secondo questa teoria, Tsunayoshi sperava che l’editto avrebbe contribuito a civilizzare la società e a rendere il popolo più compassionevole e gentile.
    Fine prima parte

  • È possibile leggere il giapponese scritto senza kanji?

    Certamente, particolarmente se farlo è un obiettivo esplicito di chi scrive. Molti sono convinti che il giapponese non possa venire scritto foneticamente. Io stesso l’ho creduto per molti anni fino a che ho scoperto che il mio amico Sohan, che è indiano e come lingua madre ha una lingua indoeuropea, lo parla correntemente e lo usa tutti i giorni per lavoro (dirige un ristorante a Tokyo) senza saper leggere un solo hiragana. Dopo di allora, ho scoperto che per scrivere un testo in giapponese che sia difficile da comprendere in hiragana ci vuole impegno.
    È perfettamente possibile scrivere in giapponese comprensibile senza caratteri cinesi, il punto è che nessuno lo fa se non per annotare su un foglio cosa comprare per la spesa. Come in Italia, in Giappone l’oscurità del testo testimoniare e testimonianza è creduta essere testimonianza dell’educazione di chi ha scritto un testo, ma questa è una favola.questa è una favola.questa è una favola.
    L’inglese non ha affatto un registro separato per il linguaggio scritto particolarmente negli Stati Uniti, si scrive come si parla e negli USA sentire il presidente degli Stati Uniti parlare alla televisione facendo uso di slang non è particolarmente raro.
    Anche in italiano c’è chi parla come magna e chi no, c’è chi è molto facilmente comprensibile e chi no, ma in giapponese questa differenza è esasperata da fattori di carattere culturale, primo fra tutti l’orgoglio del giapponese come assetto culturale, come elemento di unicità emotivo di orgoglio per la nazione.

    ひらがなだけでも、わかりやすいにほんごをかくのはむりではありません.

    Hiragana e katakana sono disprezzati come indegni di un adulto. E questo è il vero problema per gli stranieri.

  • 兄弟島

    兄弟島

    Tra l’isola di Kyūshū e Gotō-rettō (五島列島), l’arcipelago delle Gotō, non lontano da casa mia, si estende un mare conosciuto come Sumō-nada (角力灘). Immerse nelle sue acque turchesi, si ergono tre isole conosciute come: Oozumō-jima (大角力島), Kozumō-jima (小角力島) e infine una terza chiamata hako-shima (母子島).

    Una di queste isole custodisce un’antica leggenda che, come un sussurro tra le onde, si tramanda di generazione in generazione.

    L’isola sulla sinistra, conosciuta come Oozumō-jima, ha una forma davvero singolare. Attraversata da un foro centrale, spesso attraversato anche dalle imbarcazioni turistiche, questa curiosa formazione rocciosa è conosciuta anche come hongee-jima (本げえ島). Un altro nome con cui è conosciuta è kyōdai-jima (兄弟島), “Isola dei fratelli”, data la sua somiglianza a due lottatori impegnati in un eterno duello.

    Un’antica leggenda narra di un pescatore che, al suo ritorno dal mare, portò in dono ai suoi due figli un mikan (un agrume simile ad un mandarino ma molto più dolce) e un pesce. I due fratelli, incapaci di dividersi equamente i regali del padre, iniziarono a litigare furiosamente. In preda all’ira, il padre punì entrambi con crudeltà inaudita: al più giovane tagliò la spalla, mentre al maggiore squarciò il ventre.

    Legati insieme, i due fratelli vennero poi gettati in mare. Secondo la leggenda, i loro corpi si trasformarono nelle rocce che oggi sono chiamate kyōdai-iwa (兄弟岩). Ancora oggi, si dice che sulla cima dell’isola cresca un albero di mikan, simbolo della discordia che portò alla tragedia. La roccia di sinistra, con la sua forma simile a una spalla mutilata, rappresenta il fratello minore. Quella di destra, più alta e con un incavo simile a un ventre squarciato, rappresenta il fratello maggiore.

    L’isola dei fratelli, con la sua storia tragica, viene spesso raccontata ai bambini in queste zone e serve da monito per le generazioni future, ricordando loro le terribili conseguenze causate dalla discordia e dell’invidia.

    Come ho scritto nel mio articolo sul blog “Ombrelli Rotti” dedicato alla Nagasaki Sunset Road, sono numerosi i turisti che si recano nella zona di Sotome per ammirare il sole che al tramonto si specchia nelle acque del mare di Sumō-nada. Lo spettacolo offerto dal cielo e dal mare è in continua evoluzione, cambiando forma e colore con il cambio delle stagioni. Ogni visita regala un’esperienza unica e indimenticabile.

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