Similmente all’usanza occidentale di inviare biglietti di Natale, in Giappone esiste la tradizione di inviare biglietti di auguri per il nuovo anno, chiamati nengajō (年賀状). Poiché al giorno d’oggi si trovano in vendita già scritte su apposite cartoline, sono conosciute anche come nenga-hagaki (年賀はがき), o cartoline di Capodanno.
Questa usanza sembra essere nata durante il periodo Heian (794-1185), quando la nobiltà iniziò a scrivere lettere alle persone che vivevano troppo lontane per potersi recare in visita a porgere i consueti auguri di buon anno. Quando, nel 1871, il servizio postale giapponese seguì l’esempio europeo e creò le cartoline, queste si adattarono perfettamente a questi auguri che richiedevano solo la scrittura della frase Buon Anno, il proprio nome e un indirizzo. La tradizione si è conservata da allora, diventando una delle ricorrenze di capodanno più comuni nella storia del Giappone.
Nonostante la diffusione dei social e delle app di messaggistica abbiano contribuito al declino di questa tradizione il servizio postale giapponese stima che ogni anno ogni giapponese spedisca circa 15 nengajō.
Lo scopo primario di questi biglietti è quello di esprimere la vostra gratitudine a parenti, amici o colleghi che vi hanno aiutato nel corso dell’anno. Spesso sono anche usate come un modo per rimanere in contatto con persone che non si ha la possibilità di vedere spesso. Nel caso in cui si riceva uno di questi biglietti da qualcuno a cui non sono fatti gli auguri, la regola vuole che si risponda con una nengajō.
La sola regola da tenere a mente è non inviare una nengajō a qualcuno che ha avuto un lutto in famiglia durante l’anno trascorso. È usanza delle famiglie che hanno avuto in lutto spedire anticipatamente una cartolina detta mochū-hagaki (喪中はがき) per comunicare ai tutti i loro conoscenti che non festeggeranno la fine dell’anno. L’usanza del mochū-hagaki non rappresenta la norma, cambia da famiglia a famiglia.
Per essere certi che le vostre cartoline vengano consegnate in tempo (cioè il 1° Gennaio), il servizio postale giapponese inizia ad accettare le cartoline contrassegnate con la parola nenga, dal 15 dicembre e le conserva per la consegna il 1 Gennaio. Normalmente è meglio consegnare le cartoline entro il 25 Dicembre. È preferibile che le nengajō arrivino a destinazione entro il 3 Gennaio, che in genere è l’ultimo giorno di vacanza. Il termine ultimo di consegna delle nengajo è il 7 Gennaio. Tutte le cartoline consegnate dopo questa data sono considerate come kanchu-mimai (寒中見舞い), ovvero auguri invernali.
Le nengajō, già affrancate, sono normalmente acquistabili presso tutti gli uffici postali o presso in konbini. Ce ne sono in vendita di tutti i tipi. Da quelle bianche dove potete aggiungere decorazioni voi stessi a quelle già disegnate. Qualsiasi biglietto può essere spedito come nengajō apponendo un apposito francobollo dal prezzo di 52 yen e scrivendo la parola nenga sopra ‘indirizzo del destinatario.
Esistono anche siti web che offrono disegni stampabili: il sito ufficiale delle poste giapponesi ha una sezione, chiamata crea la tua nengajō ,contenente più di 400 stili per tra i quali poter scegliere.
Le cartoline che si trovano in vendita sono molto semplici da compilare in quanto prevedono già tutti gli spazi necessari per inserire indirizzo di mittente e destinatario. L’indirizzo del destinatario si trova sul lato destro mentre quello del mittente sul lato sinistro. Sulla parte alta troverete gli spazi esatti per inserire il codice di avviamento postale, essenziale in Giappone, visto che non esistono i nomi delle vie. Il nome del destinatario e di ogni membro della famiglia, se ne si è a conoscenza, va scritto sulla cartolina seguito dall’ onorifico sama (様). Il cognome può essere scritto solo una volta. Ricordatevi di scrivere i nomi utilizzando dei caratteri più grandi rispetto a quelli usati per l’indirizzo.
I messaggi più frequenti riportati sulla cartolina sono:
明けましておめでとうございます。
Akemashite omedetō gozaimasu.
新年おめでとうございます。
Shinnen omedeto gozaimasu.
謹賀新年。
Kinga-shinnen.
Tutti e tre questi messaggi significano semplicemente “Buon Anno”.
Normalmente uno di questi tre auguri viene seguito dalla seguente frase:
昨年はお世話になりました。
Sakunen wa o-sewa ni narimashita.
“Grazie per tutto il vostro sostegno dell’anno scorso”.
Seguita da:
今年もよろしくお願いします。
Kotoshi mo yoroshiku onegaishimasu.
che in italiano potremmo rendere come “spero che la sua gentilezza verso di me continui anche durante l’anno nuovo”.
Le nengajō sono spesso decorate con una foto di famiglia o ritraente un evento importante accaduto durante l’anno passato come un matrimonio o una nascita. Molto popolari sono anche le rappresentazioni dello zodiaco cinese che distingue l’anno a venire.
Il 2024, in giapponese Reiwa Roku Nen (令和6年), sarà il tatsu-doshi (辰年) anno del drago, quindi sono già in vendita le cartoline a tema.
Quindi, ora che sapete cosa sono le nengajō e siete in vacanza in Giappone compratene alcune e speditele a vostri familiari in Italia. Sicuramente farà felici anche loro. Attraverso le poste giapponesi è possibile recapitare le nengajo in quasi tutti i paesi del mondo.
Si ritiene che visitare i santuari e i templi all’inizio dell’anno aumenti la felicità nel nuovo anno. L’hatsu-mōde (初詣, la prima preghiera dell’anno) era originariamente un saluto alla divinità locale della zona in cui si viveva, ma in seguito le persone iniziarono a fare visita al santuario o al tempio che si trovava nella direzione fortunata della divinità del nuovo anno. In giapponese recarsi al santuario situato nella direzione fortunata si dice ehō-mairi (恵方参り) termine composto dalla parola ehō (direzione fortunata) e mairi (pregare). Anche se questa tradizione sta svanendo, ci sono famiglie, come quella di mia moglie, che continuano a seguirla. La direzione della benedizione si riferisce alla direzione in cui si crede si trovi la divinità del nuovo anno, conosciuta come toshigami-sama (年神様) o toshitokujin (歳徳神), ed è decisa di anno in anno basandosi sull’ onmyōdō (陰陽道), il concerto dello Ying e Yang e sul jikkan (十干) ovvero il sistema dei tronchi celesti e dei cinque elementi introdotto in Giappone dalla Cina. La direzione della benedizione per il 2024, in Giappone Sesto anno dell’ era Reiwa (令和6年) sarà:
東北東やや東
Tōhokutō yaya higashi
Est, nord-est leggermente est
È quindi consigliabile visitate un santuario, un tempio o anche una chiesa che si trova in questa direzione da casa vostra.
Ci sono diverse opinioni su quando sia il momento migliore per andare a visitare un sanitario o un tempio per l’ hatsu-mōde. Alcune persone si recano in visita in un luogo sacro il 1° Gennaio, mentre altre ritengono che si possa visitare in qualsiasi momento, durante lo shōgatsu-sanga-nichi (正月三が日) ovvero il periodo che va dal 1°al 3 Gennaio o nel periodo fino al 7 Gennaio. Sebbene sia generalmente accettato che l’ hatsu-mōde si svolga il primo giorno del nuovo anno, la realtà è che i santuari più popolari sono estremamente affollati. È diventato comune per molti frequentatori dei santuari o dei templi evitare questo particolare giorno a causa dell’enorme affollamento.
Generalmente, i santuari shintoisti sono i più visitati per questa occasione, ma anche i templi buddisti sono popolari e, vista l’armonia e lo sincretismo che ha sempre contraddistinto la coesistenza di shintoismo e buddismo in Giappone, le celebrazioni hanno sempre attinto i loro elementi da entrambe le tradizioni e così anche nel caso della prima preghiera dell’anno, sia santuari shintoisti (jinja, 神社) che i templi buddisti (otera, お寺) sono luoghi popolari per festeggiare il nuovo anno.
Fino al periodo Edo, esisteva un’usanza conosciuta come toshigomori (年籠, il primo kanji indica la parola anno mentre il secondo komoru, significa confinarsi all’interno di un luogo) secondo la quale i patriarchi rimanevano chiusi all’interno di un santuario dedicato alla divinità protettrice del clan dalla sera del 31 Dicembre fino alla mattina alle primo Gennaio pregando per un buon raccolto e per la sicurezza della famiglia nel nuovo anno. In seguito, questa usanza è stata prima chiamata joya-mōde (除夜詣, preghiera di capodanno), in seguito gantan-mōde (元旦詣, preghiere del gantan) o ganjitsu-mōde (元日詣) preghiera del primo giorno dell’ anno.
Nel tardo periodo Edo (1603-1868), l’ ehō-mairi (pellegrinaggio al santuario o al tempio in direzione della benedizione dell’anno) divenne popolare nel primo giorno dell’anno. Ma fu quando, la rete dei trasporti diventò più capillare durante il periodo Meiji (1868-1912) permettendo alle persone di visitare il loro santuario o tempio preferito, che la pratica si affermò come hatsu-moōde.
Una delle ragioni per cui l’hatsu-mōde è diventato così popolare e consueto sembra sia stata l’influenza delle compagnie ferroviarie: la creazione delle ferrovie nell’era Meiji ha reso più facile raggiungere i santuari e i templi più famosi e lontani. Durante il periodo Meiji ebbe inizio una vera e propria competizione tra le compagnie di trasporto che aumentarono i servizi e crearono anche treni speciali per attirare i clienti durante il Capodanno. All’interno di varie campagne pubblicitarie si faceva grande uso del termine hatsu-mōde che così ha guadagnato in popolarità e sempre ha dato vita a questa usanza.
Ma i giapponesi non hanno sempre festeggiato il Capodanno il primo Gennaio. Fino al 1873 in Giappone si seguiva il wareki (和暦), il calendario lunare cinese, e quindi festeggiavano l’inizio dell’anno un po’ più tardi.
Nel 1873, cinque anni dopo la Restaurazione Meiji, il Giappone adottò ufficialmente il calendario gregoriano o solare detto seireki (西暦) e da allora iniziò a festeggiare il primo Gennaio, noto in giapponese come gantan (元旦). Tuttavia, alcune delle vecchie tradizioni del calendario lunare vengono ancora celebrate un po’ più avanti nel mese, nell’ambito di una festa non ufficiale chiamata koshogatsu (小正月), il piccolo capodanno giapponese che veniva festeggiato il 15 Febbraio secondo il calendario lunare in concomitanza con la prima la prima luna piena del nuovo anno.
A differenza del Capodanno durante il quale si prega per la fortuna e la felicità personale, le celebrazioni del koshogatsu erano, e sono tuttora, incentrate sulla collettività e su un raccolto abbondante per l’anno successivo.
La mattina del koshōgatsu si usava consumare l’ azukigayu (小豆粥), una sorta di pappa di riso mescolata con fagioli azuki. Molto spesso, le famiglie decorano la loro casa con il mayudama (繭玉), che consiste nell’appendere a ramoscelli di salice o di bambù diversi piccoli dolci di riso a forma di bozzolo come portafortuna, tra i quali brillano piccoli tesori come monete d’oro chiamate koban e altri oggetti, che vanno da piccole bottiglie di sakè a portafortuna in legno e così via.
Anche se l’importanza dell’agricoltura è diminuita nel corso degli anni rispetto alla vita quotidiana delle persone, il koshogatsu viene ancora celebrato, soprattutto nelle zone rurali che fanno affidamento sull’agricoltura per il loro sostentamento. Tuttavia, diversi templi, santuari e comunità in tutto il Giappone celebrano il Piccolo Capodanno, tipicamente il 15 gennaio, facendo uso di diverse antiche usanze e tradizioni che sono state tramandate per generazioni. Oggi il koshōgatsu è spesso anche il momento in cui le famiglie giapponesi iniziano a togliere le decorazioni dedicate alla celebrazioni del nuovo anno.
Fonte sito web koto no ha techō
Se vi capiterà di visitare il Giappone nei primi giorni dell’anno vi capiterà di vedere lunghe file presso i santuari e i templi per suonare la campana e offrire una preghiera per il nuovo anno. Sebbene questo gesto possa essere compiuto in qualsiasi giorno dell’anno, l’hatsumode è considerato un momento particolarmente importante per pregare e, a seconda che si visiti un santuario o un tempio, la procedura è leggermente diversa. Per pregare in un santuario, bisogna innanzitutto suonare la campana, se c’è, e poi mettere una moneta nella cassetta delle offerte. Quindi, seguire la regola del Nirei-nihakushu-ichirei (二礼二拍手一礼), ovvero “2 inchini, 2 battiti di mani, preghiera, 1 inchino” per completare il rituale. In un tempio, suonare la campana dopo l’inchino una volta prima di mettere una moneta nella cassetta delle offerte. Poi, pregate con le mani giunte davanti al petto. A differenza dei santuari shintoisti, in un tempio buddista non si battono le mani. Esiste anche un’altro modo di pregare presso un tempio buddista che ho visto fare solo alla nonna di mia moglie che poi mi ha anche spiegato il significato che è legato alle parole tenjō tenge yui ga dokuson (天上天下唯我独尊).
Con termine di si riferisce alla posa del Buddha in cui la mano destra è sollevata in alto con l’indice esteso verso il cielo, mentre la mano sinistra è tenuta in basso e l’indice indica la terra . Il significato di questa posa é: “in cielo e in terra, io sono l’unico ad essere onorato”. Queste si racconta siano state le prime parole del Buddha dopo essere nato puntando le mani verso il cielo e la terra. Se qualche appassionato di Jujutsu-kaisen leggerà questo articolo ricorderà Gojō Satoru assumere questa posa durante lo scontro con Fushiguro Tōji e dicendo le stesse parole.
Se il clima lo permette è facile incontrare persone in raffinati abiti tradizionali che si recano in visita al tempio per rendere omaggio alla divinità. Per questo motivo, è un momento in cui sia le donne che gli uomini possono indossare il kimono. Il Capodanno è un’ottima occasione per indossare gli abiti tradizionali giapponesi. Tuttavia, non è assolutamente necessario.
Fonte sito web Yasukuni Jinja
Dovete sapere che per i giapponesi una visita a un santuario non è completa senza l’acquisto di uno dei portafortuna disponibili. Questo è particolarmente consigliato ai visitatori del Giappone, per chiunque sia interessato a portare a casa un souvenir culturalmente significativo e al tempo stesso economico. Sto parlando degli omamori (御守), un portafortuna tradizionale giapponese. Si tratta di un piccolo sacchetto di stoffa che contiene un piccolo oggetto fatto di carta, legno, stoffa o metallo, su cui è inciso un testo sacro o un sutra. Al centro del ciondolo è ricamato il nome del santuario. È consuetudine portare al santuario i vecchi omamori dell’anno precedente per bruciarli in modo cerimoniale. Disponibili in una varietà di colori diversi che simboleggiano il tipo di fortuna che porteranno, gli omamori più diffusi sono quelli che portano fortuna in termini di ricchezza, salute e amore.
Foto Tōkyō Keizai On-line
Oltre agli omamori si possono acquistare anche dei portafortuna chiamati omikuji (おみくじ), che sono delle strisce di carta contenenti una predizione divina. Tradizionalmente si conservano gli omikuji che contengono frasi portafortuna poiché descrivono in dettaglio la fortuna del destinatario nell’anno a venire. Quelli che invece indicano la sfortuna possono essere legate a un ramo di un albero o su appositi luoghi in un’area designata all’interno del perimetro del santuario, in modo da lasciare all’interno di quest’ultimo qualsiasi tipo di sfortuna predetta. L’ omikuji, tuttavia, non deve fungere solo da carta della fortuna. Deve essere considerato anche un consiglio, per dare piccole indicazioni nella vita di tutti i giorni.
Foto dal sito web si Okumiya Jinja
Durante l’ hatsumōde spesso i giapponesi comprano anche un ema (絵馬) per garantire il proprio successo negli affari o negli studi. Gli ema sono delle targhe di legno sulle quali si scrive il proprio desiderio o la proprie speranze per l’anno successivo. Sono spesso decorati con simboli shintoisti di buon auspicio e alcuni sono unici per un particolare santuario. In origine, l’ema era un piatto di legno con l’immagine di un cavallo, derivante da un’usanza che consisteva nell’offrire cavalli vivi a una divinità, da questa tradizione deriva anche il temine ema e come secondo kanji ha proprio quello di cavallo. Una volta scritto il vostro desiderio, dovrete appenderlo nell’apposito spazio del santuario.
Spesso mi chiedono dove è meglio recarsi per l’hatsumōde. Non esiste una regola scritta, si può scegliere un luogo in base alla posizione o alla popolarità, ma la cosa migliore sarebbe visitare un luogo in cui i propri desideri e i propri benefici trovano corrispondenza. Tuttavia, qui in Giappone quando si parla dei kami si usa il temine yaoyorozu no kami (八百万の神), ovvero si pensa che ci siano otto milioni di divinità, quindi no è difficile trovare un luogo che corrisponda ai proprio desideri. Seguendo i consigli di mia moglie giapponesi suggerisco sempre di usare il nome del santuario o del tempio che ti premetto di farti un’idea, per quanto approssimativa, della tipologia di benefici offerti dai vari luoghi sacri.
Se si vuole pregare per la pace e la sicurezza della propria famiglia allora dovreste recarvi presso un santuario con il nome che termina con jingu (神宮) ad esempio il Meiji Jingū (明治神宮) di Tōkyō. All’interno dei jingū è custodita e si prega la divinità ancestrale dell’imperatore.
Se volete pregare per il successo nel mondo degli affari o negli studi, per una lunga vita e per la protezione dalla sfortuna alla dovrete recarvi presso un un santuario che contenga la parola hachiman (八幡). In questi luoghi sacri si venera Hachiman, divinità dei guerrieri. Per esempio l’azienda per cui lavoro si raduna per l’ hatsumōde stesso un santuario di Hachiman della nostra città.
Se siete in procinto di sostenere un esame di ammissione all’università o un concorso statale o volete pregare per il successo scolastico dei vostri figli potete recarvi presso un santuario che contiene il termine tenjin (天神) o tenma (天満). In questi luoghi si venera Sugawara no Michizane (菅原道真) il kami dell’ apprendimento.
Infine se cercate un luogo dove pregare per la prosperità degli affari della vostra azienda o se la vostra azienda è legata al mondo rurale e agricolo e quindi desiderate ricevere una benedizione per un buon raccolto non vi resta che recarvi presso un santuario dedicato ad Inari (稲荷), kami dell’agricoltura e dei commerci.
Se la fortuna in amore è quello che cercate ci sono moltissimi santuari dove è possibile recarsi. Ma, il momento migliore dell’anno per pregare per quello che in Giappone e conosciuto come en-musubi (縁結び) ovvero la creazione di legami, é durante il kannazuki (神無月), ovvero il mese di Ottobre. Ma questa è un’altra tradizione che descriverò in un altro articolo.
In ogni epoca, la prima preghiera dell’anno è sempre stata uno degli eventi familiari più importanti ed emozionanti del Capodanno. Ogni anno un gran numero di persone che vi si recano insieme come famiglia.
La prima uscita dopo il nuovo anno si chiama hatsu-kadome (初門出), ed è considerata anch’essa un’occasione molto felice.
Se visitate il Giappone in concomitanza del Capodanno cogliete l’occasione per godervi questa usanza unica.
Continuano la nostra rassegna delle tradizioni giapponesi legate ai festeggiamenti dell’anno nuovo parlando delle otoshi-dama (お年玉), che sono un dono in denaro che viene dato ai bambini durante i primi giorni dell’anno.
Questi regali oggigiorno sono per lo più in denaro, ma in origine si usava regalare dei mochi, considerati un simbolo dell’anima (tamashii, 魂) che, nella cultura giapponese è l’espressione del potere di vivere e rappresenta l’energia che permette a tutte le creature di vivere. Come ho spiegato in un mio precedente articolo, la tradizione vuole che lo spirito del nuovo anno fosse condiviso dal toshigami-sama (年神様, divinità dell’anno nuovo), con tutte le creature viventi, donando loro la forza per vivere l’intero anno. In Giappone, si tengono una serie di eventi per accogliere, intrattenere e salutare il kami del nuovo anno che condividerà con noi il suo spirito, insieme alla felicità e alle benedizioni per il nuovo anno.
Ai bambini giapponesi piace molto il periodo di Capodanno perché ricevono le otoshi-dama dai genitori o dai parenti più stretti. Il dono viene consegnato mettendo il denaro all’interno di una piccola busta detta otoshi-dama bukuro (お年玉袋) o pochi-bukuro (ポチ袋). Esistono diversi tipi di buste in commercio, da quelle classice a quelle raffiguranti i personaggi di anime e manga.
Si dice che il termine otoshi-dama sia legato al concetto di “anima del nuovo anno”. “L’anima del nuovo anno” é detta anche “Toshi-gami-sama no tamashii” (年神様の魂, anima del kami del nuovo anno). Le festività legate al Capodanno sono eventi che danno il benvenuto alla divinità del nuovo anno e sono strettamente legati alla tradizione shintoista. Si dice che toshigami-sama dimori nel kagami-mochi durante questo periodo. Aprendo e mangiando questo dolce, le persone ricevono una parte dell’anima della divinità che gli conferisce l’energia vitale necessaria per il nuovo anno. Un tempo era molto diffuso un rituale shintoista, conosciuto con il nome di kamgami-biraki (鏡開き, Lett apertura dello specchio), durante il quale si aprivano i kagami-mochi. L’apertura di questo dolce rappresenta simbolicamente il rilascio dell’anima del toshigami-sama e, una volta terminato, i partecipanti ne ricevevano una parte. Quando tornavano a casa, schiacciavano e dividevano ulteriormente la parte ricevuta, avvolgevano le parti in carta e le condividevano con la famiglia e la servitù: questa usanza è considerata la nascita dell’ otoshi-dama. Si racconta che questa tradizione sia diventata di uso comune tra la popolazione durante il periodo Edo (1603-1868), quando le famiglie ricche e i commercianti erano soliti distribuire sacchetti di mochi e mikan (un’arancia mandarino giapponese) alle famiglie per diffondere la felicità all’inizio di ogni anno. Si diffuse anche l’usanza di portare don, chiamati onenshi (御年始), quando ci si recava in visita a parenti o amici durante la notte di Capodanno. È quando si cominciò a regalarli ai bambini che nacque l’attuale tradizione dell’ otoshi-dama. Inizialmente venivano regalati ai bambini i kagami-mochi, ma poi, con il passare del tempo furono sostituiti da altri beni fino a giungere ai soldi. Questa usanza è stata tramandata durante le epoche Meiji, Taisho e Showa, ma fu a partire dal periodo di rapida crescita economica alla fine degli anni Cinquanta, che il denaro divenne la norma, soprattutto nelle aree urbane, e si dice che i destinatari fossero esclusivamente i bambini.
Ma che cifra viene donata normalmente?
Non esiste una regola precisa sulla quantità di denaro da dare, ma c’è una linea guida approssimativa che molte persone seguono. Ad esempio, 2.000 yen per i bambini in età prescolare, 3.000 yen per gli studenti delle scuole elementari, 5.000 yen per gli studenti delle scuole medie e superiori e così via. L’importo varia anche in base al rapporto con il bambino: il proprio, quello dei parenti stretti, quello dei figli degli amici, ecc. Per i bambini troppo piccoli per capire il valore del denaro, al posto dei contanti si regalano giocattoli. Nella mia famiglia si usa regalare una moneta da 500 yen accompagnata da un gioco ai neonati.
Ogni anno con i miei figli si pone sempre il problema di come spendere questi soldi. Generalmente, in caso di somme ingenti, i genitori chiedono ai bambini di metterne da parte almeno una parte per i loro risparmi futuri. A volte i bambini possono usarla per un oggetto speciale e costoso che desiderano da tempo. Tutto dipende dalla famiglia. Indipendentemente da come viene speso il denaro, una cosa su cui la maggior parte dei bambini giapponesi è d’accordo è che ricevere l’otoshi-dama è uno dei momenti più emozionanti del nuovo anno!
Ogni Capodanno in Giappone, le famiglie che si riuniscono per i festeggiamenti sono solite mangiare l’ o-zōni (お雑煮) una zuppa piena di teneri mochi e tanti altri buonissimi ingredienti. Come molti ormai sapranno i mochi (餅) sono dei morbidi dolci giapponesi a base di riso. Ci sono diverse tipologie di mochi ognuno con un suo proprio simbolismo. Fortuna e longevità sono solo due delle tante qualità associate ai mochi.
Il sakura mochi (桜餅) solitamente disponibile durante la stagione primaverile. È considerato come una sorta di wagashi (和菓子, dolci tradizionali giapponesi che di solito si accompagnano al tè) ed è famoso per il suo aspetto e colore graziosi. La dolcezza del mochi si sposa bene con il sapore del tè. Di colore rosa ha un ripieno di anko (餡, pasta di fagioli rossi) e viene servito avvolto in foglie di ciliegio salate e commestibili. I giapponesi sono soliti mangiare wagashi diversi a seconda della stagione e poiché il colore di questo mochi ricorda quello dei fiori di ciliegio è stato rapidamente associato alla primavera. Assieme all’ hishi mochi (菱餅), un mochi a tre strati verde, bianco, rosa é diventato il simbolo dell’ hina matsuri (雛祭り, Giornata delle ragazze) rappresentando la fertilità e la salute.
I mochi un tempo erano un’offerta per le feste e i rituali legati principalmente alla religione buddista. Ma a partire dal periodo Edo (1603-1868), divennero disponibili per la gente comune. A quanto pare, è in questo periodo che si iniziò la tradizione di mangiarli per accogliere il nuovo anno.
I mochi sono anche mangiati, durante le festività per il nuovo anno, accompagnati o immersi in una zuppa chiamata ozōni, che si traduce approssimativamente in “vari tipi di cottura a fuoco lento”. Come suggerisce il nome, c’è molta flessibilità nel modo in cui viene preparata. Ogni regione e famiglia ha il proprio modo di prepararla, con ingredienti diversi.
Sembra che l’ozōni fosse originariamente servita all’inizio dei pasti rituali chiamati honzen-ryōri (本膳料理) che erano popolari tra la classe dei samurai durante il periodo Muromachi (1333-1336). Essendo l’ozōni uno dei primi piatti ad essere servito si pensa che sia passato a essere il primo pasto servito nel nuovo anno dopo la sua diffusione in Giappone, circa 500 anni fa.
Oggigiorno gli ingredienti principali per preparare l’ozōni possono essere distinti in quattro gruppi: la base di dashi, il condimento del dashi, i mochi e gli ingredienti aggiuntivi.
Un macro divisione può essere fatta tra l’ozōni servito nella zona del kansai (関西風), caratterizzata dal bordo bianco e cremoso dovuti all’utilizzo del famoso e buonissimo saikyo miso (西京みそ) di Kyōto. Mentre quella servita nella zona del kantō (関東風) è più salata e presenta un colore più scuro dovuto all’aggiunta della salsa di soia.
Gli eventi e il cibo del Capodanno giapponese, così come l’ozōni, hanno origine dalla tradizione shintoista e varie usanze sono nate dall’idea del shinjin kyōshoku (神人共食) che significa mangiare cibo offerto agli dei per ricevere il potere degli dei ed essere più energici. L’ozōni viene solitamente preparata il primo Gennaio perché la tradizione vuole che venga utilizzata la prima acqua dell’anno. Conosciuta come wakamizu (若水, Lett acqua giovane), in passato si prendeva direttamente dal pozzo oggigiorno direttamente dal rubinetto di casa.
La preparazione di questa pietanza varia da regione a regione e con essa anche gli ingredienti utilizzati. Ci sono solo due componenti principali comuni in tutte le regioni del Giappone. I mochi e il dashi.
Per quanto riguarda i mochi si possono trovare in due forme: rotonda e quadrata.In genere, i mochi rotondi sono utilizzati nel Giappone occidentale, mentre quelli quadrati sono utilizzati nel Giappone orientale. È interessante notare come il confine tra l’uso di un tipo e l’altro di mochi coincida con la zona di Sekigahara (関ヶ原), dove si svolse la battaglia che vide la vittoria Tokugawa e segnò la fine del sengoku jidai (戦国時代) il periodo degli stati combattenti. La regione da nord a sud, ovvero la parete di territorio che da Aomori scende fino a Sekigahara, è la zona dove i mochi hanno forma quadrata, noti anche come kaku-mochi (角餅), ottenuti appiattendo e tagliando il riso precedentemente pestato. Alcuni sostengono che durante il periodo Edo, quando i mochi divennero popolari tra la gente comune, erano di forma quadrata perché nella città di Edo (l’attuale Tōkyō) la richiesta di mochi era così elevata che si decise di prepararli di forma quadrata perché più pratico e veloce. La regione a ovest di Sekigahara è la zona in cui i mochi sono hanno sempre avuto una forma rotonda. A Kyōto, dove si trovava la capitale, i mochi rotondi erano i principali portafortuna ed erano simbolo di amicizia.
Fonte: Maff
Il dashi e il condimento dell’ozōni variano da regione a regione. Nel Giappone orientale è comune aggiungere katsuobushi, sardine e alga kobu nella preparazione del brodo della zuppa, aggiungendo salsa di soia per aggiustare il sapore. Nella regione del Kansai, il miso bianco è molto diffuso. Il miso bianco era un ingrediente molto costoso una volta e aveva un forte sapore dolce, preparato con molta crusca di riso, per cui l’ozōni di miso bianco divenne popolare tra la corte e i nobili di Kyōto nel tardo periodo Edo. Nel Tohoku, nord del Giappone, si preferisce una zuppa con brodo più chiaro, aromatizzata con salsa di soia e con aggiunta di carne di pollo.
Qui nel Kyūshū, molte zone utilizzano un brodo chiaro a base di ago (pesce volante essiccato). Oltre al brodo e al mochi, il tocco di unicità dell’ozōni sta negli ingredienti aggiuntivi. Carote, daikon, kamaboko una pasta di pesce dai colori bianco e rosso. Bianco e rosso, come spiegato in un articolo precedente sono considerati o colori portafortuna per l’anno nuovo legati alla dottrina shintoista. Il bianco richiama la purezza mentre il rosso, dalla sua sfumatura vermiglia, si pensa allontani gli spiriti maligni. Vengono aggiunte poi delle verdure a foglia come gli spinaci e carne di pollo generalmente.
Oltre allo stile regionale dell’ozōni, ogni famiglia ha la sua storia e il suo sapore. In molti casi, quando uomini e donne di regioni diverse si sposano, gli stili di preparazione delle rispettive famiglie si fondono insieme per creare uno stile unico. Nel Kyūshū, dove vivo, ci sono tre modi differenti di preparare l’ozōni rispettivamente nelle zone di Fukuoka, Nagasaki e Kagoshima.
L’ hakata zōni è una zuppa tipica di Fukuoka con brodo a base di sardine grigliate, con l’aggiunta di una verdura tradizionale detta katsuna (カツオ菜) e di un pesce, il buri, (la ricciola) che porta fortuna per il successo nella vita. I mochi vengono aggiunti bolliti o grigliati.
Nella zona di Nagasaki si usa aggiungere i funghi shiitake e la carne di pollo.
L’ozoni della prefettura di Kagoshima, conosciuto come Satsuma Ebi Zoni (薩摩えび雑煮. Satsuma è l’antico nome di questa zona) è caratterizzato da gamberi così grandi da sporgere dalla ciotola.
La maggior parte dei giapponesi festeggia il Capodanno con la famiglia e i parenti e raramente consuma l’ozōni a casa di altri, anche se si tratta di amici stretti. Come scritto in un precedente articolo al giorno d’oggi, è diventato usuale ordinare molte delle pietanze tipiche di questo periodo presso negozi specializzati. Solamente l’ozōni continua ad essere preparata tramandata in casa in tutte le sue varianti.
Scopriamo assieme le origine di questa tradizione giapponese di inizio anno.
di Christian Savini
Durante le celebrazioni di inizio anno non poteva mancare il sake, collante per ogni tipo di rito purificatore e celebrazione. Lo o-toso (お屠蘇) è una bevanda alcolica a base di erbe medicinali ed é considerato puro al pari dell’ o-miki (お神酒), il sake utilizzato nei rituali shintoisti. Diversamente da quest’ ultimo però l‘o-toso è considerato una bevanda medicamentosa (yakuyō-shu, 薬用酒) ed è il simbolo di augurio di buona salute della famiglia. Preso in prestito dalla tradizione cinese, si crede curi dolori del corpo e della mente allontanando i peccati e gli spiriti maligni. Quando ci si reca in casa di amici o parenti per fare gli auguri per il nuovo anno, o quando si ricevono ospiti durante questo periodo, è usanza bere o office questa bevanda.
È parte integrante della storia e della cultura che circonda le celebrazioni tradizionali del nuovo anno in Giappone. Anche se alcune tradizioni si sono affievolite negli anni, il significato spirituale della condivisione del sake, medicinale o meno, continua nella maggior parte delle famiglie nipponiche.
L‘O-toso non è, come si potrebbe pensare, solo una bevanda distillata dal riso, speziata e medicinale. Porta con sé un significato più profondo che si lega ai kanji usati nel suo nome. I caratteri usati per scrivere toso, 屠蘇, significano rispettivamente massacrare e rinvigorire. Si crede che bevendolo, si possa sia respingere la malattia e la cattiva sorte, sia rivitalizzare lo spirito. C’è anche un antico adagio popolare riferito all’ o-tosu che recita:
一人これ飲めば一家苦しみなく、一家これ飲めば一里病なし。
“Se una persona lo beve, la sua famiglia non si ammalerà; se tutta la famiglia lo beve, nessuno nel villaggio si ammalerà”.
Questo per rafforzare la visione collettivista della società giapponese. Gi effetti duraturi dell’o-toso non giovano solo all’individuo, ma all’intera comunità.
Le prime tracce dell’esistenza di questa bevanda risalgono a migliaia di anni fa, durante la dinastia Han. Questa miscela di erbe immerse nel liquore distillato dal riso arrivò in Giappone, come tante altre usanze continentali durante il periodo Heian, sotto il governo dell’imperatore Saga ed era un rituale diffuso solo all’interno della corte imperiale. Tuttavia, con il passare del tempo, la pratica si è lentamente diffusa anche tra le persone e la tradizione dell’o-toso ha iniziato a prendere forma. Il suo consumo si diffuse tra la popolazione anche attraverso la medicina. Veniva infatti spesso consumato per combattere l’insorgere di un raffreddore o di un mal di stomaco.
Come si prepara e come si beve lo o-toso?
Ancora oggi, gli elementi per preparare l’o-toso detti tososan (屠蘇散) o toso enmeisan (屠蘇延命散) sono venduti nelle farmacie. Fino agli anni duemila venivano dati anche in dono ai clienti con l’avvicinarsi delle festività. Di solito sono venduti in bustine da tè, quindi si possono preparare la sera di Capodanno, immergendo le bustine nel sakè se lo si preferisce liscio, o nel mirin se lo si preferisce più dolce. Il primo giorno dell’anno vanno tolte le bustine e l’ o-toso è pronto.
Il primo giorno dell’anno si preparano, i recipienti per bere, detti tosoki (屠蘇器), che vengono disposti su una piattaforma in ordine di grandezza: piccolo, medio e grande. Al posto del classico tokkuri (徳利), usato normalmente per versare il sake, l’ usanza dell’o-toso prevede l’uso di un piccolo recipiente simile a una teiera per servirlo. I membri della famiglia bevono l’o-toso in ordine, dalla tazza più piccola a quella più grande. Ogni tazza verrà riempita tre volte e sarà bevuta in tre sorsi separati.
Anche l’ordine di chi beve è diverso dalla convenzione standard. Invece di procedere dal più vecchio al più giovane, il membro più giovane della famiglia beve per primo. In questo modo, la gioia e la vitalità della gioventù passano agli anziani della famiglia. La persona più anziana versa prima l’ o-toso alla persona più giovane, che lo beve, e poi la persona più giovane lo versa alla seconda persona più giovane, e così via, finché la persona che ha finito di bere lo versa alla persona successiva. Anche se si tratta di un evento celebrativo, essendo l’alcol coinvolto, i bambini e coloro che guidano possono solo imitare i sorsi bagnandosi solamente le labbra.
Sebbene questa usanza possa non essere più comune nell’era moderna continua a rappresentare un tassello fondamentale della storia e delle tradizioni del paese. Si crede che bere l’ o-toso il primo giorno dell’anno non porti solo fortuna e prosperità alla propria famiglia ma a tutta la popolazione e alla cultura giapponese. Gli sforzi per mantenere viva questa tradizione vanno a vantaggio delle famiglie, della comunità e della ricchezza della cultura giapponese legata al mondo del sake da sempre considerato ponte di contatto con le tradizioni di questo fantastico paese.
La celebrazione del nuovo anno porta con sé un momento di festa. Molti Paesi e culture hanno le loro tradizioni per festeggiare, e il Giappone non fa eccezione. Uno dei modi in cui si festeggia il Capodanno è attraverso il cibo. Tradizionalmente ci sono alcuni cibi che vengono consumati durante i festeggiamenti e molti dei piatti o degli ingredienti utilizzati sono in realtà simbolici di qualcosa. Anche se, a seconda della zona del Giappone, esistono delle varianti, in generale ci sono dei piatti principali che vengono sempre preparati in questo periodo dell’anno.
Durante questo periodo i giapponesi sono soliti riunirsi in famiglia e consumare dell’ottimo cibo. Per mia esperienza si tratta di un escalation di abbuffate incredibile
Toshi koshi soba – 年越しそば
I toshi koshi soba sono un piatto che si usa tipicamente mangiare la notte di Capodanno per salutare e lasciarsi alle spalle l’anno passato. Questo giorno in giapponese è conosciuto con il nome di ōmisoka (大晦日). Nella lingua giapponese con il termine misoka (晦日) ci si riferisce normalmente all’ultimo giorno del mese.
I soba sono una pasta di grano saraceno dalla forma simile agli spaghetti che possono essere consumati sia caldi che freddi. Assieme ad udon (fatti con il grano) e al ramen sono tra i cibi più amati e consumati dai giapponesi.
Scopriamo assieme le origini di questa tradizione.
Si dice che i soba siano stati riconosciuti come “cibo” prima del periodo Nara (710-794). Per molto tempo, la soba è stata consumata sotto forma di porridge ottenuto dalla bollitura dei chicchi di grano saraceno o come torte, preparate cuocendo il grano saraceno e impastandolo con acqua o altri ingredienti. Solo durante il periodo Edo (1603-1867) la soba fu tagliata in lunghi “spaghetti” come la conosciamo oggi. Durante questo periodo le famiglie di commercianti avevano l’abitudine di mangiare i soba alla fine di ogni mese. Questi pietanza era chiamata misoka soba (晦日そば) e la lunghezza e sottigliezza di questi lunghi “spaghetti” era considerata di buon auspicio per la longevità della famiglia e dei propri affari. A quei tempi, i soba erano anche un cibo veloce, una sorta di street food di periodo Edo, che poteva essere consumato rapidamente nei negozi o nelle bancarelle che si trovavano lungo le strade, perfetto per gli impegnativi giorni di fine mese. Con il passare del tempo, l’usanza di mangiare i soba alla fine di ogni mese cadde in disuso, ma rimase la tradizione di mangiarli a Capodanno, quando divenne nota come toshi koshi soba o “Soba di Capodanno”.
Perché si mangiano i soba a Capodanno.
L’usanza di mangiare i soba a Capodanno è conosciuta con diversi nomi: il già citato e più usato toshi koshi soba (年越しそば), ootsugomori / oomisokasoba (大晦日そば, il kanji 大晦日 si può leggere sia oomisoka che ootsugomori) e infine toshi tori Soba (年取そば). In Giappone, il benvenuto al nuovo anno è chiamato anche toshitori.
Poiché i soba sono lunghi e sottili, le persone li mangiavano e pregavano di vivere a lungo. Erano anche considerati un alimento salutare durante il periodo Edo (1603-1868), quando il beriberi era molto diffuso tra la popolazione e si credeva che mangiare soba avrebbe prevenuto l’insorgere di questa patologia. Durante il periodo Edo, il beriberi era diffuso a causa di carenze nutrizionali. Era accompagnata da stanchezza e intorpidimento e, se grave, era fatale. Le persone più soggette alla malattia erano quelle di alto rango, come gli shōgun, i guerrieri e gli aristocratici. Si diceva che il consumo di soba prevenisse l’insorgere del beriberi e si mangiava soba per iniziare il nuovo anno in buona salute. Il beriberi è una malnutrizione causata dalla mancanza di vitamina B1. Oggi si crede che durante il periodo Edo le persone appartenenti all’aristocrazia di quel periodo abbiano smesso di mangiare il riso integrale e abbiano iniziato a mangiare principalmente riso bianco con pochi contorni, il che ha creato un forte squilibrio nella loro alimentazione. Il grano saraceno è ricco di vitamina B1 e anche se all’epoca si trattava solo di dicerie, in realtà, con le informazioni di cui siamo in possesso oggi, si trattava di un alimento che poteva essere veramente efficace nella prevenzione del beriberi.
In quel periodo si usava il termine chōju kigan (長寿祈願), preghiera per la longevità e ci si riferiva spesso ai soba usando nomi come chōju soba (長寿そば) o jumyō soba (寿命そば). Entrambi i termini chōju e jumyō sono sinonimi di longevità, di lunga vita che veniva associata con la lunghezza caratteristica dei soba. Sono chiamati anche in altri modi come ad esempio:
Enkiri soba – 縁切りそば
L’usanza di mangiare i soba a Capodanno era vista come un modo per tagliare i legami con i problemi o disastri accaduti durante l’anno che stava per concludersi. I soba, molto più sottili degli udon o di altri alimenti giapponesi, sono molto più facili da tagliare e quindi ben si adattavano al desiderio delle persone di lasciarsi alle spalle le fatiche dell’anno.
Fuku soba – 福そば
Si racconta che gli orafi usavano gnocchi di farina di grano saraceno per raccogliere l’oro sparso durante il loro lavoro, quindi il grano saraceno era considerato un portafortuna per la raccolta dell’oro, quindi mangiare soba era un modo per augurare prosperità economica.
Infine anche la pianta stessa del grano saraceno è molto resistente alla pioggia e al vento e ricresce bene quando viene esposta al sole. Per questo motivo, di è sempre creduto che le persone mangiavano i soba per pregare di avere buona salute nell’anno successivo.
Non esistono regole precise sugli ingredienti o su come mangiare i soba a Capodanno. Possono essere serviti freddi o caldi, accompagnati da tempura o altri ingredienti. Un ingrediente non manca mai ad accompagnare questa pietanza, il cipollotto, negi (ねぎ) in giapponese. Esiste un detto, forse caduto in disuso, che mi spiegò mio suocero durante il mio primo Capodanno in Giappone e che recita:
一年間の頑張りをねぎらい新年の幸せを祈るネギ。
Ichinen no ganbari wo negirai shinnen no shiawase wo inoru negi.
Negi per apprezzare un anno di duro lavoro e per un felice anno nuovo
La parola “negi” è usata più volte all’interno di questa frase. Una volta all’interno della parola “negirai” che ho tradotto come “apprezzare” l’anno passato di duro lavoro. Alla fine della frase si nasconde sia all’interno del termine “inoru“, che vuol dire pregare. I sacerdoti shintoisti anziani sono chiamati negi (禰宜) da qui l’omofonia con il termine negi che indica il cipollotto.
Data la loro nauta di cibo portafortuna c’è l’usanza di accompagnarli anche con altri ingredienti considerati porta fortuna oltre alla negi.
Ebi – 海老
Gamberi: come spiegato in un altro mio post la forma del corpo del gambero ricorda le persone anziane quindi questo alimento viene mangiato come augurio di longevità.
Shungi – 春菊
Le foglie di crisantemo, simbolo delle famiglia imperiale e del Giappone stesso. È una pianta invernale ed essendo considerato un alimento stagionale da aggiungere specialmente nelle zuppe. È considerato un augurio di prosperità.
Kamboko – かまぼこ
Un pasta di pesce dal colore bianco e rosso simboleggiante la felicità.
Omelette di uova – 卵焼き
Per il loro colore dorato come augurio di fortuna e la prosperità.
Abura-age – 油揚げ
Tōfu fritto per pregare per un buon raccolto, per un’attività commerciale prospera e per la sicurezza della famiglia.
I soba di Capodanno possono essere mangiata in qualsiasi momento durante il 31 Dicembre. Non è obbligatorio mangiarli al mattino o alla sera in quanto non c’è fortuna o sfortuna legata al momento della consumazione.
In genere, in molte famiglie si mangiano durante la cena quando si è tutti riuniti insieme e si aspetta l’anno nuovo. Per esempio nella famiglia di mia moglie si mangiano sempre prima della fine dell’anno perché si vuole mantenere il significato originale di questa usanza che come ho spiegato in precedenza serve a tagliare i legami con l’anno vecchio lasciandosi alle spalle stanchezza e negatività guardano ad un anno nuovo ricco di fortuna e felicità. La sera dell’ultimo dell’anno ci si ritrova tutti assieme a casa dei genitori di mia moglie (di solito si usa andare nella casa dei genitori del marito o spesso si usa fare ad anni alterni) e mangiando e bevendo ai attende il nuovo anno guardando la televisione.
I toshi koshi soba sono una tradizione molto importante in Giappone. Anche se siete turisti e vi trovate in Giappone a Capodanno non dimenticate di mangiare un buon piatto di soba salutando l’anno passato e guardando con speranza ad un felice e prospero anno nuovo.
N.B: ai bambini piccoli fino ai due o tre anni non vengono fatti mangiare perché si teme che possano insorgere reazioni allergiche. Una reazione allergica causata dai soba è molto fastidiosa anche per gli adulti quindi si consiglia di non darli ai bambini perché non ci potrebbe accorgere dei sintomi.
I kagamimochi, nome composto dalla parola kagami “specchio” e mochi, le i famosi dolci fatti con il riso, rappresentano un’offerta al kami del nuovo anno e sono considerati uno yorishiro (依り代), termine di derivazione shintoista che viene usato per indicare un oggetto capace di attirare lo spirito dei kami, dando così loro uno spazio fisico da occupare durante le cerimonie religiose. Una volta che uno yorishiro ospita effettivamente un kami, diventa uno shintai (神体).
Il termine kagamimochi trova le sue origini in un’antica tradizione di corte conosciuta come hagatame (歯固め, lett. rinforzare i denti) che consisteva nel mangiare dei dolci di riso duri durante le festività di Capodanno. Secondo la tradizione, le persone con denti forti possono mangiare di tutto e vivere a lungo, per cui la gente mangiava i kagamimochi nella speranza di vivere a lungo e godere di buona salute. Il nome kagamimochi deriva dallo specchio circolare utilizzato nei rituali come luogo di dimora delle divinità, mentre i due mochi rappresentano l’anima. Hanno due dimensioni diverse perché si dice che siano la rappresentazione del sole e della luna, dello yang e dello yin, e vogliono anche simboleggiare il perfetto invecchiamento dell’anno. Sin dall’antichità si crede che il kami del nuovo anno divida la sua anima tra noi, insieme alla felicità e alle benedizioni del nuovo anno. Il simbolo di questo spirito è proprio il kagami-mochi.
La parola tamashii (魂, anima) é molto importante perché in Giappone é sempre stata considerata come l’energia, il potere che permette la vita. Anticamente si pensava che all’inizio dell’anno la tamashi del kami venisse condivisa con tutti gli esseri viventi. In altre parole, la divinità donava una parte della propria anima per conferire a tutte le creature il potere necessario per vivere un anno interno. Da qui deriva anche il kazoedoshi (数え年) ovvero il sistema di calcolare l’età di una persona. Secondo questo sistema ogni bambino compie il primo anno di vita al momento della nascita. I neonati giapponesi partono quindi da un anno di età e ne acquistano uno in più al trascorrere di ogni nuovo anno lunare, piuttosto che al momento del loro compleanno. Questo sistema è stato abolito per legge ma viene ancora ampiamente usato.
Il kagamimochi ospita quindi il mitama (御魂), l’anima della divinità. I dolci di riso rappresentano l’anima del kami del nuovo anno, che è l’anima dell’anno a venire. I capofamiglia condividevano le torte di riso, che rappresentavano lo spirito dell’anno, con le loro famiglie come “spirito del nuovo anno” o “palline di riso del nuovo anno”.
Il significato di kagamimochi é legato al significato della parola kagami, specchio in giapponese. Gli specchi antichi, di bronzo e di forma rotonda, sono stati utilizzati fin dal periodo Yayoi. Data la loro proprietà di riflettere la luce del sole e il loro potere di brillare come esso, furono paragonati ad Amaterasu, la divinità del sole nella mitologia giapponese, e vennero considerati come oggetti in cui dimoravano i kami.
Questi dolci vengono normalmente esposti sopra un supporto di legno detto sanpō (三宝). Il dolce viene appoggiato sopra ad un foglio di carta detto shihōbeni (四方紅). La funzione di questo foglio di carta non è puramente ornamentale ma serve come augurio e protezione verso l’abitazione contro eventuali incendi. Sono spesso ornati con una striscia di alga kobu e con una piccola striscia di cachi essiccati.
Questi dolci vengono spesso decorati con la daidai (橙), una varietà di arancia giapponese. Il nome viene anche scritto nel seguente modo 代々, dove il kanji 代 ha il significato di “generazione” (il seguente simbolo 々, detto noma, viene utilizzato in giapponese per ripetere il kanji). Quindi così come i frutti della pianta di daidai non cadono facilmente dopo la maturazione invernali e quindi superano l’anno così si crede che anche la famiglia continuerà a prosperare per le generazioni a venire.
Un’altra decorazione tipica è il kushigaki (串柿) ovvero dei cachi essiccati infilati con uno spiedino. Il caco è un frutto legato alla buona sorte. Mentre il caco essiccato rappresenta un’alta spiritualità.
Perché il caco è un frutto legato alla buona sorte?
La lingua giapponese arriva in nostro soccorso. La parola kaki (Lett. caco in italiano) normalmente è scritta con il seguente kanji 柿. In giapponese esistono gli ateji (当て字) che sono dei kanji che vengono usati per scrivere le parole solamente per il loro valore fonetico e a volte anche per il loro significato. (Il kanji utilizzato per la parola sushi per esempio è un ateji. I due kanji che compongono la parola sushi sono stati scelti per la loro pronuncia e non per il loro significato. Il significato della parola sushi non ha niente a che vedere con il pesce crudo o il riso ma deriva dall’aggettivo sushi (酸し) che in giapponese significa acido, aspro e riflette la natura di tutti i piatti della cucina giapponese a base di riso e di aceto di riso).
Kaki può essere scritto anche nel seguente modo 嘉来 che può essere tradotto come “felicità in arrivo” e in giapponese si usa l’espressione:
幸せを“かき”集める。
Shiawase wo kaki atsumeru.
Raccogliere la felicità.
Il caco infilzato rappresenta la spada facente parte dei sanshu no jingi (三種の神器), le tre insegne Imperiali giapponesi. Mentre il kagamimochi rappresenta lo specchio e l’arancio la gemma.
Yuzuriha – ゆずり葉
Foglie di yuzuri
Le foglie vecchie di questa pianta cadono dopo la comparsa di quelle nuove, indicando il passaggio della famiglia ai discendenti e la continuazione della linea familiare.
Kobu – 昆布
Si usa decorare i kagami-mochi anche con l’alga kobu per attirare la felicità.
Shide – 紙垂
Spesso vengono decorati anche con delle strisce di carta dette shide provenienti dalla tradizione shintoista con la loro caratteristica forma a zig-zag.
Urajiro – 裏白
Tre le decorazioni si possono trovare delle foglie di felce, conosciute come urajiro, che presentano una superficie verde, ma con la parte inferiore bianca, a significare un cuore puro e innocente, senza macchie. Le foglie crescono in coppia, quindi si usano anche per augurare un felice e longevo matrimonio.
Normalmente in famiglia esponiamo i kagamimochi una volta terminate le pulizie per l’arrivo del nuovo anno badando bene di evitare il 29 Dicembre perché considerato giorno nefasto. Questi dolci vengono solitamente aperti e mangiati durante un rituale ispirato alla tradizione shintoista chiamato kagami biraki (鏡開き, apertura dello specchio), che si tiene il secondo sabato di Gennaio (in alcune zone del Giappone fino al 20 Gennaio), pregando per la salute e il benessere della famiglia. In passato, questo rituale si svolgeva il 20 di Gennaio, giorno conosciuto anche come hatsuka shōgatsu (二十日正月) ma, poiché Tokugawa Iemitsu, il terzo Shogun Tokugawa, morì proprio il 20 aprile, la data fu spostata all’11 Gennaio evitando il 20 del mese, che era l’anniversario della sua morte. Il cambio di data fu probabilmente una misura dovuta al fatto che questo evento si svolgeva originariamente all’interno della casta dei samurai.
Il primo Capodanno che ho trascorso in Giappone ho chiesto a mia moglie se era possibile tenere esposto il kagamimochi tutto l’anno senza mangiarlo oppure riporlo da qualche parte. Lei mi spiegò che queste non sono delle semplici offerte come tante altre che è consuetudine fare durante l’anno in Giappone. Essendo considerato uno shintai si crede che al suo interno dimori la divinità del nuovo anno e aprendolo si permette a quest’ultima di uscire, compiere la sua benedizione sulla famiglia per poi fare ritorno al suo luogo di origine. Si dice che il kagami biraki abbia avuto origine da un’usanza dei guerrieri durante il periodo degli Stati Combattenti chiamata gusoku iwai (具足祝い). Si trattava di un evento di Capodanno in cui si offriva i kagamimochi davanti a spade, armature, elmi e altri oggetti di uso comune tra i samurai.
La cerimonia del kagami biraki segnava la fine del nuovo anno e l’inizio dei lavori dell’anno nuovo. Si dice che i samurai aprivano i loro forzieri, i mercanti aprivano i loro magazzini e i contadini iniziassero l’anno con la semina del riso. Poiché questo rituale ebbe origine all’interno della classe dei samurai, era proibito tagliare questi dolci usando coltelli o altre lame, in quanto il gesto veniva associato al seppuku. La gente iniziò a romperli a mano o con un martello. Fu inoltre deciso di utilizzare la parola biraki (che sarebbe hiraki), ovvero aprire piuttosto che la parola waru (割る, rompere) perché portava sfortuna.