Oggi, facendo un salto a casa dei nonni di mia moglie per un saluto, ho fatto una passeggiata in giardino e ho notato che gli alberi di biwa sono ormai cari di frutti pronti per essere raccolti. Queste nespole giapponesi, con la loro buccia vellutata color albicocca, sono un vero spettacolo. Qui in Giappone, le biwa sono il simbolo della primavera che finisce per lasciare spazio all’estate, e la loro maturazione tra maggio e giugno è attesa con impazienza, specialmente qui nella zona di Nagasaki.
Foto dell’autore. Albero di biwa nel giardino di famiglia
Questi alberi, che curiosamente fioriscono in autunno, sono considerati come un piccolo miracolo di resilienza. Noi, qui nella prefettura di Nagasaki, siamo particolarmente fortunati ad avere le biwa di Mogi, una delle varietà più famose e apprezzate di tutto l’arcipelago. Le nespole di Mogi, che prendono il nome da una zona della prefettura, si distinguono per le loro dimensioni, il colore giallo-arancio brillante della buccia, e soprattutto per la polpa succosa, dolce e molto aromatica, con un’acidità perfetta che le rende un alimento rinfrescante durante la stagione delle piogge.
Foto dell’autore
La storia di queste famose nespole è affascinante e risale al tardo periodo Edo (1603-1868). Fu allora che una dama di corte conosciuta con il nome di Miura Shio, ricevette dei semi di tōbiwa (la nespola cinese) da un Nagasaki-tsūji, un traduttore, e li piantò nel giardino di casa sua. Quei primi alberi produssero frutti così grandi, gustosi e di aspetto molto bello che la loro coltivazione si diffuse rapidamente in tutta la zona di Mogi. La coltivazione sistematica di questa varietà iniziò solo più tardi durante il periodo Meiji, e da allora questa varietà viene coltivata con cura da oltre 100 anni.
Sara una gioia raccoglierle, come ogni anno. E magari anche quest’anno potremmo preparare qualche vasetto di marmellata e il buonissimo biwa-shu, un liquore tradizionale. Ogni anno c’e sempre qualcosa di magico nell’attendere il momento giusto, un attesa che sa un po ‘di tradizione e di sapori antichi che meritano di essere conservati come vanto di Nagasaki.
In Giappone siamo entrati nel periodo del kanro (寒露), uno dei nijūshisekki (二十四節気) o 24 termini solari. Questo periodo, caratterizzato dalla prima rugiada mattutina segna il pieno arrivo dell’autunno. La natura si prepara al letargo invernale offrendo uno spettacolo di colori indimenticabile: le foglie degli alberi si tingono di rosso, arancione e giallo, creando un paesaggio mozzafiato.
Kanro, il diciassettesimo termine solare
Come già scritto in altri articoli di questo blog i nijūshisekki (二十四節気) o 24 termini solari, suddividono l’anno in 24 periodi, ognuno con un nome che riflette le caratteristiche climatiche e stagionali.
Passato il lungo periodo delle piogge dello shūrin (秋霖), che accompagna l’inizio dell’autunno, l’aria si fa più fresca e i cieli più limpidi, creando uno scenario perfetto per ammirare le prime sfumature autunnali. Un periodo di transizione ricco di fascino, dove la natura si rinnova e si prepara ad affrontare il freddo invernale.
In autunno, il cielo è alto e i cavalli ingrassano.
Come recita un antico proverbio cinese:
天高く馬肥ゆる秋 Tentakaku umakoyuru aki In autunno, il cielo è alto e i cavalli ingrassano
Questo proverbio, spesso tradotto come “In autunno, il cielo è alto e i cavalli ingrassano”, sembra celebrare la bellezza e l’abbondanza dell’autunno. Tuttavia, le sue origini nascondono un significato più profondo. In realtà, questo proverbio era inizialmente un avvertimento riguardo alle tribù nomadi che, proprio in autunno, quando i loro cavalli erano più forti e ben nutriti, compivano incursioni e prendevano i villaggi.
Micro stagioni del kanro
Oltre ai 24 termini solari, esiste una divisione stagionale più dettagliata conosciuta come shichijūnikō (七十二候) che potremmo tradurre in italiano come “72 micro-stagioni”. Ciascuno dei 24 termini solari viene quindi ulteriormente diviso in tre periodi di circa cinque giorni.
Kanro si divide in tre periodi:
Kōgan-kitaru (鴻雁来): un’antica tradizione giapponese che celebra l’arrivo delle oche selvatiche. Questo evento, ricco di significato simbolico, segna l’inizio dell’autunno e l’avvicinarsi dell’inverno. Le oche, con il loro volo maestoso, sono da sempre considerate messaggere dei kami e simboli di longevità e fedeltà e sono spesso citate in poesie, canzoni e ritrarre in opere d’arte.
Kiku no Hana Hiraku (菊花開): una celebrazione dell’autunno giapponese, quando i crisantemi, simbolo di perfezione e rinascita, colorano i giardini. Questa antica espressione evoca una profonda connessione con la natura e le tradizioni nipponiche, dove i crisantemi sono protagonisti di numerose festività autunnali.
Kirigiri suto ari (蟋蟀在戸), letteralmente “i grilli cantano alla porta”, è un’espressione che evoca l’atmosfera unica dell’autunno in Giappone. Questo termine indica il periodo in cui i grilli, in particolare il suzumushi (鈴虫), o grillo campana, iniziano a cantare le loro melodiose serenate.
Il termine kirigiri-suto-ari utilizza il kanji antico “蟋蟀” (kirigirisu), che un tempo indicava genericamente i grilli. Oggi, il termine più comune è “koorogi“. L’espressione “alla porta” sottolinea l’intimità e la familiarità con cui molti giapponesi percepiscono il canto dei grilli, quasi come se fossero ospiti benvenuti nelle loro case.
Un suono inconfondibile
Il canto del grillo maschio, che si protrae per circa venti giorni durante l’autunno, è inconfondibile. Il suono prodotto dallo sfregamento delle ali ricorda quello di un dito che scorre su un pettine o, secondo la tradizione giapponese, il tintinnio di una piccola campana, da cui il nome “suzumushi“.
Una tradizione antica
L’ascolto del canto dei grilli è una tradizione profondamente radicata nella cultura giapponese. Da secoli, i giapponesi apprezzano la bellezza e la serenità del loro canto, che viene associato all’arrivo dell’autunno e alla contemplazione della natura.
Nagasaki Kunchi
Il festival dello Okunchi (おくんち) è un tesoro culturale del Giappone, che celebra la ricca storia multietnica e le tradizioni di Nagasaki. Questa antica festa, nata dalla fusione di elementi locali, cinesi, olandesi e portoghesi è un esempio straordinario di come la cultura possa evolversi e adattarsi nel corso dei secoli. Il Kunchi è molto più di una semplice festa: è un’espressione dell’identità di Nagasaki e un ponte tra passato e presente.
Nella parte settentrionale del Kyūshū, un crogiolo di culture e un’antica tradizione cinese si sono mescolati con le usanze locali, dando vita a una trilogia di spettacolari festival, noti collettivamente come i nihon sandai kunchi (日本三大くんち), ovvero i “Tre Grandi Festival Kunchi del Giappone”. Ciascuno di questi eventi, un vero e proprio capolavoro di coreografia e tradizione, offre uno spettacolo unico e indimenticabile. Il più famoso, quello di Nagasaki, è un trionfo di colori e suoni che incanta ogni anno migliaia di spettatori. Ma anche l’Hakata Kunchi di Fukuoka e il Karatsu Kunchi, con le loro sfilate e danze tradizionali, animano le città con un’energia contagiosa, trasformandole in veri e propri palcoscenici a cielo aperto.
Si dice che questo festival abbia avuto origine a Nagasaki nel 1634, quando una prostituta dedicò una rappresentazione conosciuta con il nome di komai (小舞), un’espressione artistica che rifletteva la vibrante cultura multietnica della città, al santuario di Suwa (諏訪神社, suwajinja) la dimora del kami protettore di Nagasaki. Da quel momento, il festival è cresciuto in modo esponenziale, radicandosi profondamente nel cuore dei cittadini e diventando un vero e proprio patrimonio culturale.
Durante i tre giorni di festa, i vari quartieri della città, gli odocchō (踊町), si sfidano in spettacolari rappresentazioni tradizionali, un mosaico di influenze culturali che spazia dalla Cina all’Olanda e al Portogallo. Queste esibizioni, riconosciute come Beni Culturali Folklorici Intangibili dal governo giapponese, sono un tesoro vivente che celebra la storia e l’identità culturale di Nagasaki.
Fonte: foto dell’autore. Nagasaki Kunchi 2024
L’autunno, con le sue giornate miti e le notti che si allungano lentamente, invita a godere appieno della natura. Le foglie degli alberi si tingono di mille colori, creando paesaggi mozzafiato perfetti per lunghe passeggiate o picnic all’aria aperta. Un’atmosfera magica avvolge i parchi e i giardini, rendendo questo periodo dell’anno ideale per rilassarsi e ricaricare le energie prima dell’arrivo dell’inverno.
Ochōzu Kannon (御手水観音, letteralmente “Kannon della sorgente purificatrice”) è un luogo speciale, lontano dal trambusto delle città, nascosto tra le montagne della prefettura di Nagasaki, dove la storia e la spiritualità si fondono in un’atmosfera unica. Immagina un piccolo tempio dedicato a Kannon, divinità buddista molto amata in Giappone, che da secoli attira pellegrini da tutta la zona.
Chōzuè un rituale tradizionale giapponese di purificazione che si svolge prima di pregare nei santuari o nei templi lavandosi le mani. Questo gesto simbolico serve a pulire il corpo e lo spirito, preparandoli per la preghiera. In un’epoca in cui la fede popolare e il sankaku bukkyō (山岳仏教, “il buddismo della montagna”) erano fiorenti, numerosi fedeli si recavano a venerare Kannon e si purificavano nelle acque fresche della cascata dedicandosi alla pratica spirituale.
Ancora oggi durante il periodo estivo, le persone si recano in questa oasi di pace alla ricerca di un po’ di refrigerio. Ma la vera sorpresa ti aspetta percorrendo il sentiero che conduce al tempio: sul lato sinistro, sulle rocce, troverai ben 49 incisioni dedicate a Buddha! Queste incisioni sono un vero mistero, perché nessuno sa esattamente quando e perché furono create. Questo luogo infatti è conosciuto anche come Ochōzu kannonno magaibutsugun (御手水観音の磨崖仏群), letteralmente “gruppo di Buddha scolpiti nella roccia presso l’Ochōzu kannon“.
Le espressioni dei Buddha sono così serene e delicate che ti sembrerà di entrare in un mondo di tranquillità. Molte di queste incisioni sono state realizzate con un’antica tecnica, uguale a quella delle goyakurakan (五百羅漢, “i 500 discepoli del Buddha), che si trovano a Tomigawa, nella città di Isahaya.
I 500 discepoli di Buddha di Tomigawa
I 500 goyakurakan si trovano nella gola di Tomigawa, a monte del fiume Honmyō(本明川). Le cronache riportano che tra il 1699 e il 1700, 12° e 13° anno dell’era Genroku (元禄) , il dominio di Isahaya fu colpito prima da una grave alluvione causata dal fiume Honmyō che causò la morte di 487 persone e in seguito da una grave carestia. Per pregare per le anime dei defunti e per la pace e prosperità del dominio, il settimo signore di Isahaya, Shigeharu, fece costruire il tempio Daiō (大雄寺)nella gola di Tomigawa e fece scolpire le immagini dei rakan sulle pareti rocciose della gola e sui grandi massi. Attualmente sono state identificate oltre 500 immagini. Completate nel 1709, queste incisioni sono, assieme a quelle di Ochōzu kannon, le più importanti della prefettura e costituiscono come bene culturale e una preziosa testimonianza della storia di Isahaya.
Tornando alle incisioni presenti ad Ochōzu kannon vicino ad alcune sono stati incisi anche dei nomi, che si crede sia riconducibili a persone che abbiano contribuito alla creazione di queste incisioni, forse donando del denaro o lavorando direttamente su di esse.
Le origini di questo tempio si perdono nel tempo. Sebbene esista una leggenda che attribuisca la sua fondazione al monaco Gyōki (行基), le fonti storiche, in particolare un documento conservato nel santuario di Mitachiyama (御館山神社, Mitachiyamajinja, Isahaya), offrono un quadro un po’ più preciso.
In questo documento c’è scritto: “Non si sa con certezza in quale epoca sia stato fondato. Davanti al tempio scorre una cascata, e sulla parete rocciosa è incisa la data Shitoku (1385). Sopra si trovano le sillabe di Senju Kannon (千手観音), Fudō Myō (不動明王) e Bishamonten (毘沙門天), ancora visibili oggi.
Il grande festival di Ochōzu kannon
Da oltre un secolo, ogni anno il 18 Agosto, si svolge l’ Ochōzu kannonTaisai (御手水観音大祭), il grande festival dedicato ad Ochōzu kannon. Durante il festival, si svolgono cerimonie per pregare per un buon raccolto (五穀豊穣, gokokuhōjō) e la sicurezza della famiglia. Non mancano le esibizioni nella tradizionale danza conosciuta con il nome di furyū (浮立) per esprimere la loro gratitudine per l’acqua che irrora i campi.
Nelle mie zone si dice che questa danza abbia il potere di “far risvegliare l’animo dei kami e degli uomini”. Questa antica tradizione, radicata nelle campagne dell’ex dominio di Saga e oggi anche in tutta la prefettura di Nagasaki e in altre zone del Kyūshū veniva offerta nei santuari e templi locali come atto di devozione, sia per implorare la pioggia che per ringraziare per la prosperità dei raccolti.
Queste incisioni, create da diverse mani che hanno raffigurato il Buddha in modi differenti, sono una preziosa testimonianza della profonda fede popolare dell’epoca.
L’ obon (お盆), conosciuto anche come urabon-e (盂蘭盆会), è un’antica celebrazione buddista durante la quale i giapponesi onorano le anime dei loro cari defunti. Si dice che urabon-e derivi dalla parola sanscrita ullambana, che significa “appeso a testa in giù”. Originariamente, questo termine si riferiva a un rito buddista volto a salvare le anime degli antenati che soffrivano nell’inferno, dove erano condannate a penzolare a testa in giù. Questa tradizione millenaria, tra le più importanti dell’anno, è un momento di profondo legame con i propri antenati, un tempo in cui si crede che gli spiriti tornino a far visita ai propri familiari.
Il bon ci racconta di un Giappone antico dove il confine tra i vivi e i morti si assottigliava. Il bon è il periodo in cui si crede che le anime dei defunti e degli antenati tornino dal mondo ultraterreno detto jōdo (浄土) al gensei (現世), il mondo terreno. Si tratta di un periodo dedicato ad accogliere i defunti nelle loro antiche dimore, principalmente nelle case, per pregare per la loro felicità nell’aldilà.
Urabon-e
Il termine urabon-e, menzionato in precedenza e legato al termine buddista urabonkyō (盂蘭盆経), ha origine dalla parola sanscrita “ullambana” (che significa “appeso a testa in giù”). Questa parola è legata a una leggenda che riguarda Mokuren (目連), uno dei discepoli del Buddha.
Si racconta che un giorno, Mokuren, grazie ai suoi poteri soprannaturali, scoprì che sua madre era finita nell’inferno degli affamati, dove era appesa a testa in giù e soffriva terribilmente. Desideroso di salvarla, si rivolse al Buddha per chiedere consiglio. Il Buddha gli disse: “Il 15 giorno del settimo mese lunare, alla fine del periodo di ritiro monastico estivo, se inviterai dei monaci e offrirai loro molte offerte, potrai salvare tua madre”.
Mokuren seguì i consigli del Buddha e, grazie alle sue azioni virtuose, sua madre riuscì a rinascere in un regno celeste. Da allora, il 15 giorno del settimo mese lunare divenne un giorno importante per esprimere gratitudine e rendere omaggio ai propri genitori e antenati. Si dice che in Giappone la prima celebrazione del bon risalga all’anno 14 del regno dell’imperatrice Suiko (606 d.C.).
Successivamente, a causa della riforma del calendario introdotta in Giappone durante l’era Meiji (1868-1912), con l’obiettivo di allinearsi agli standard internazionali, tutte le festività giapponesi furono posticipate di circa 30 giorni. Oggi, il bon si celebra principalmente dal 13 al 16 Agosto.
Kyūbon e shinbon
Il periodo del bon si concentra principalmente dal 13 al 16 Agosto. Tuttavia, in alcune regioni, viene celebrato il 15 Luglio. Quest’ultimo è chiamato shinbon (新盆, “nuovo bon“) o shichigatsubon (七月盆), “bon di Luglio”, mentre quello del 15 agosto è chiamato kyūbon (旧盆, “vecchio bon“), o hachigatsubon (八月盆, “bon di Agosto”).
Dopo la restaurazione Meiji, il nuovo governo, impegnato nella modernizzazione del Giappone, decise nel 1873 di cambiare il calendario nazionale dal precedente calendario lunisolare al calendario solare, adottando quello gregoriano utilizzato in Europa e negli Stati Uniti.
Si dice che una delle motivazioni di questo cambiamento fosse la difficile situazione finanziaria del governo Meiji: passando da un calendario lunisolare di 13 mesi a uno solare di 12 mesi, si sarebbe potuto ridurre di un mese lo stipendio dei funzionari pubblici. Tuttavia, questa riforma causò non poca confusione, dato che il 3 Dicembre del 1872 divenne improvvisamente il 1° Gennaio del 1873.
In seguito a questa riforma, anche il periodo del bon fu spostato a Luglio. Tuttavia, poiché il bon, che nel calendario lunisolare cadeva in un periodo di relativa calma agricola, si trovava ora anticipato di un mese e coincideva con la stagione dei lavori nei campi, alcune regioni decisero di mantenere la tradizione e celebrarlo un mese più tardi, ovvero il 15 Agosto, dando origine al tsukiokurebon (月遅れ盆), letteralmente “bon in ritardo di un mese”, o kyūbon.
Ancora oggi, succede raramente che a seconda delle regioni e delle tradizioni locali, le date del bon possono variare, ad esempio per adattarsi al calendario lunisolare o alle esigenze dell’attività economica locale.
Bon ad Okinawa
Nella prefettura di Okinawa il bon viene ancora celebrato seguendo il calendario lunare, quindi le date variano di anno in anno. Generalmente dura tre giorni, dal 13 al 15 Luglio del calendario lunare, e quindi è più breve rispetto ad altre regioni.
Usanze del bon
Le usanze del bon sono diverse a seconda della regione, ma tutte hanno il fine ultimo di venerare gli antenati. Cercherò di spiegarne il significato per permetervi di capire l’importanza di questo periodo con maggiore profondità.
Hakamairi, far visita alla tomba di famiglia
Consuetudine vuole che ci si rechi presso la tomba di famiglia, hakamairi (墓参り) il 13 Agosto. Di seguito riporto i passaggi base quando mi reco con mia moglie presso la tomba di famiglia per le pulizie di rito (non è detto che tutti i giapponesi si comportino in questo modo). Si usa pulire la tomba di famiglia per creare un ambiente puro per l’arrivo degli spiriti degli antenati.
Recitiamo una preghiera, unendo le mani (questo gesto in giapponese si chiama gasshō, 合掌) in segno di rispetto davanti alla tomba.
Puliamo la tomba rimuovendo la polvere ed eventuali erbacce.
Versiamo dell’acqua sulla lapide per purificarla.
Posiamo sulla tomba le offerte come fiori, frutta, riso o altri cibi che i nostri cari amavano.
Accendiamo i bastoncini di senkō (線香), l’incenso e ci raccogliamo in preghiera.
Si riprendono tutte le offerte, si mette tutto in ordine e si ritorna a casa.
Se per motivi di lavoro una persona non può recarsi in visita alla tomba durante il primo giorno del bon, la può sempre visitare entro il 16 Agosto. Se non puoi proprio recarti al cimitero durante il periodo del bon, puoi comunque pregare i tuoi antenati a casa per esprimere la tua gratitudine
Mukaebi, i fuochi di benvenuto
Il 13 Agosto è chiamato mukaebon (迎え盆), ovvero il giorno in cui si va ad accogliere gli spiriti degli antenati. Per questo motivo, il 13 ci si reca presso al tomba di famiglia per accogliere gli spiriti degli antenati accendendo i mukaebi (迎え火), i fuochi di benvenuto, per guidarli verso casa.
Si dice che in passato i fuochi illuminassero i sentieri che conducevano dalle tombe alle case, guidando le anime che vi facevano ritorno. Durante il mio primo bon in Giappone, ormai 20 anni fa, la nonna della famiglia che mi ospitava durante il mio periodo di studio, mi ha detto detto le seguenti parole mentre accendevano i fuochi:
“Gli spiriti dei nostri antenati hanno bisogno di una guida, i mukaebi li aiutano a trovare la strada di casa”
Oggi i mukaebi vengono accesi solamente presso la tomba di famiglia e all’ingresso dell’abitazione. Si accendono normalmente posandoli su un piatto di terracotta chiamato hōroku (焙烙), su cui si pone dell’ogara. L’ogara è la parte centrale del fusto della canapa che rimane dopo averne rimosso la corteccia. La canapa è considerata da sempre una pianta purificatrice. Bruciandola si credeva di purificare gli ambienti e allontanare le energie negative, sfruttando le proprietà purificanti della pianta.
La tradizione vorrebbe che una volta acceso un mukaebi al cimitero ci si rechi presso la propria abitazione, trasportando una parte dell’ogara in fiamme all’interno di una lanterna di carta detta bonchōchin (盆提灯). Una volta a casa, si accende un’altra lanterna di carta preparata in precedenza e si spegne quella in cui è stato trasferito il fuoco. Si dice che, una volta accolti gli antenati a casa, non si perderanno più, quindi si può spegnere il mukaebi. Oggi per praticità si spegne il fuoco del mukaebi al cimitero e lo si riaccende poi a casa.
Okuribi, i fuochi di congedo
L’okuribi (送り火), il fuoco di congedo, è simile al mukaebi. Si accende un fuoco all’interno della casa e si guida lo spirito dell’antenato fino alla tomba di famiglia. Arrivati al luogo di congedo, si osserva un momento di silenzio e poi si spegne il fuoco.
In alcune regioni, esiste l’usanza di far galleggiare delle lanterne sull’acqua oppure si costruiscono delle navi per trasportare simbolicamente le anime dei propri cari.
Bonchōchin, le lanterne del bon
Le lanterne che vengono appese all’ingresso delle case durante il periodo del bon sono chiamate bonchōchin (盆提灯) e vengono utilizzate come punti di riferimento per guidare gli spiriti dei defunti e degli antenati nel loro ritorno a casa. In particolare, nel caso una famiglia celebrasse il primo bon di un proprio caro, esporrà delle lanterne bianche per aiutare lo spirito del defunto, al suo primo ritorno. Queste lanterne bianche vengono solitamente preparate dalla famiglia e appese all’ingresso, alle finestre delle stanze o davanti all’altare buddista dopo aver acceso il fuoco di benvenuto. Alla fine del primo bon, vengono bruciate nel fuoco di congedo o, se non è possibile, vengono portate al tempio che le brucerà tramite un apposito rito.
Fuochi di benvenuto e di congedo nella Jōdo Shinshū
Mi moglie e la sua famiglia seguono gli insegnamenti della scuola buddista Jōdo Shinshū, che insegna che i defunti raggiungono subito la Terra Pura, pertanto non si celebrano rituali come l’accensione dei fuochi per accogliere ed accompagnare gli spiriti durante il bon. Nonostante ciò, si è soliti decorare l’altare buddista con lanterne in questo periodo per esprimere gratitudine al Buddha e agli antenati.
Shōryōdana, l’altare delle anime
L’altare speciale preparato nelle case durante il bon è chiamato shōryōdana (精霊棚), “altare delle anime” o piu semplicemente bondana (盆棚), “altare del bon“. Lo shōryōdana è un ripiano su cui si posiziona al centro le tavolette commemorativa, le ihai (位牌) e dove vengono fatte le offerte per accogliere gli spiriti degli antenati. Il modo di costruire lo shōryōdana varia a seconda della regione. Nelle aree dove le tradizioni del bon sono molto radicate all’interno delle famiglie, si allestiscono shōryōdana tradizionali per accogliere gli spiriti.
Nelle zone urbane, a causa delle dimensioni ridotte delle abitazioni, molte famiglie scelgono di non allestire lo shōryōdana. In questi casi, si usa stendere un tappetino fatto con la makomo (una pianta acquatica) su un tavolino e preparare le offerte. Se lo spazio è davvero limitato, il butsudan (仏壇), l’altare buddista, può fungere anche da altare degli spiriti, quindi è possibile fare le offerte direttamente lì. In commercio si possono trovare dei comodi kit come quello nella foto che segue (fonte Rakuten).
Il termine shōryō fa riferimento allo spirito di un antenato o di una persona defunta. In occasione del primo bon, lo spirito del defunto è chiamato in modo speciale, ovvero arabotoke (新仏).
La struttura dello shōryōdana varia a seconda della regione e delle tradizioni familiari, ma fondamentalmente, esistono due tipi principali: uno con una piattaforma sostenuta da quattro gambe agli angoli e uno a gradoni (come l’altare usato per esporre le bambole hina).
Nel primo tipo, si stende un tappetino di makomo sulla piattaforma e si preparano sui quattro angoli delle canne di bambù collegate tra loro con una corda a formare una sorta di recinto. A questa corda si appendono oggetti come frutti come alghe kombu, il miscanto, o dei somen (una specie di spaghetti molto sottili). Al centro del fondo si posiziona le tavolette commemorative e davanti ad esse si prepara un incensiere, un vaso per i fiori, un candelabro e un altare con offerte di frutta, verdura di stagione ed altri piatti graditi ai propri cari defunti.
Non possiedo foto riguardanti lo shōryōdana perché la famiglia di mia moglie segue gli insegnamenti della Jōdo Shinshū, il buddismo della terra pura che non prevede decorazioni troppo elaborate per il bon, come proprio l’altare degli spiriti. Si preferisce semplicemente aumentare le offerte sull’altare buddista e posizionare delle lanterne davanti ad esso per celebrare questa festività.
Foto dell’autore
Il luogo dove si posiziona l’altare degli spiriti può variare: può essere posizionato accanto all’altare buddista, o sul tokonoma (床の間), un’alcova presente nelle stanze in stile giapponese.
Shinbon e hatsubon
Il primo bon che si celebra dopo i 49 giorni successivi alla morte di una persona è chiamato shinbon (新盆) o hatsubon (初盆), letteralmente “nuovo bon o primo bon“. In questa occasione, le cerimonie sono solitamente più elaborate rispetto agli altri anni, e si invitano parenti e amici stretti del defunto per celebrare un servizio commemorativo.
Shijūkunichi
Shijūkunichi (四十九日) è un termine buddista che indica il servizio commemorativo che si tiene il quarantanovesimo giorno dopo la morte di una persona. Il motivo per cui si celebra proprio il quarantanovesimo giorno risiede nella credenza buddista secondo cui, dopo la morte di una persona, si tiene un giudizio nell’aldilà ogni sette giorni per stabilire se l’anima possa raggiungere il gokurakujōdo (極楽浄土), ovvero il paradiso. L’ultimo di questi giudizi si tiene appunto il quarantanovesimo giorno. Per questo motivo, il quarantanovesimo giorno è talvolta chiamato anche na-na-nanoka, oppure shichishici-nichi (七七日), ovvero “sette volte sette giorni”.
In passato, era consuetudine tenere un servizio commemorativo ogni sette giorni, ma poiché oggi è difficile organizzare così tante cerimonie, si è diffusa la pratica di celebrare solo il shonanoka (初七日, “il primo dei sette giorni”) e il shijūkunichi ( “il quarantanovesimo giorno”), ovvero il primo e l’ultimo giudizio.
Shōryō-uma e shōryō-ushi, lo spirito del cavallo e della mucca
Durante il periodo del bon, sugli altari vengono poste delle rappresentazioni di cavalli e mucche create utilizzando cetrioli e melanzane. Questi, chiamati rispettivamente shōryō-uma (精霊馬, “spirito del cavallo”) e shōryō-ushi (精霊牛, “spirito della mucca”), vengono decorati con stecchini o bacchette per simulare le zampe. Si ritiene che questi ortaggi siano i veicoli che permettono agli spiriti degli antenati di tornare a casa durante il periodo del bon. In particolare, il cavallo, più veloce, è destinato al viaggio di andata, mentre la mucca, più lenta, è utilizzata per il ritorno, simbolicamente invitando gli spiriti a godersi il viaggio di ritorno.
Goku, le cinque offerte
La tradizione vuole che durante il bon vengano offerti cinque elementi fondamentali, i cosiddetti goku (五供): incenso, fiori, candele, acqua e cibo. È importante ricordare che, se si ricevono offerte di cibo da amici o parenti, è buona educazione presentarle sull’altare aperte e pronte per essere consumate. Ad esempio, i dolci vanno aperti e la frutta sbucciata.
Cibo e offerte durante il bon
Durante il periodo del bon, si prepara un pasto speciale per rendere omaggio agli antenati che si crede stiano compiendo pratiche ascetiche nella terra pura e per esprimere loro gratitudine. A seconda della delle credenze personali, è consuetudine preparare un pasto vegetariano, a base di verdure e cereali, evitando prodotti di origine animale. Tuttavia, ai giorni nostri, è sempre più comune offrire piatti che piacevano al defunto, piuttosto che attenersi rigorosamente alla dieta vegetariana. Tra le offerte tradizionali troviamo i sōmen (spaghetti lunghi e sottili), simbolo di una lunga vita felice, i dango (palline di riso) chiamati mukae dango (迎え団子, “dango di benvenuto”) e okuri dango (送り団子, “dango di commiato”), i dolci di riso detti ohagi o botamochi, coperti con uno strato di pasta di fagioli rossi azuki considerati portafortuna. Dopo aver offerto i cibi agli antenati, si crede che questi portino fortuna alla famiglia, quindi è poi consuetudine dividerli tra i parenti riuniti.
Usanze estive ispirate dal bon
Come scritto in precedenza si ritiene che le prime celebrazioni pubbliche del bon risalgano al regno dell’imperatrice Suiko. In seguito, con l’imperatore Shōmu, il bon divenne una raffinata cerimonia di corte. Fu a partire dal periodo Edo (1603-1868), questa tradizione si diffuse tra la popolazione. In quell’epoca, era consuetudine scambiarsi doni tra parenti e amici durante il bon chiamati bonrei (盆礼), un’usanza che si ritiene essere all’origine dell’attuale pratica di fare regali estivi, i cosiddetti ochūgen (お中元).
Gozanokuribi
Gozanokuribi (五山送り火), conosciuto anche come daimonji (大文字), che si svolge nella citta di Kyōto. Durante questo festival enormi falò, che non sono altro che enormi okuribi, vengono accesi sulle montagne che circondano la città. Questo rituale si è svolto ininterrottamente dal periodo Meiji, con l’eccezione degli anni dal 1943 al 1945 a causa del secondo conflitto mondiale. Questo festival rituale è registrati come beni culturali immateriali della città di Kyōto.
Shōryō-nagashi, la processione delle barche degli spiriti di Nagasaki
La processione delle barche degli spiriti celebrata qui a Nagasaki, e in altre zone del Kyūshū, è la cerimonia tradizionale più conosciuta del Giappone durante il periodo del bon. La caratteristica distintiva di Nagasaki è la vivace parata delle barche degli spiriti, le shōryōbune (精霊船) che si snoda attraverso la città, accompagnata dal continuo scoppio di petardi, mentre le famiglie salutano le anime dei defunti in modo colorato, fino a tarda notte. Le navi, adornate con lanterne luminose, attraversano la città al suono dei petardi per allontanare gli spiriti maligni, dei gong, dei tamburi e del clamore della folla. I festeggiamenti iniziano intorno alle 5 del pomeriggio e proseguono fino a notte fonda. Le navi sono preparate in segno di lutto da coloro che hanno perso un familiare nell’ultimo anno, anche se partecipano anche persone che non sono direttamente coinvolte nel lutto. Nonostante l’atmosfera, la processione è in realtà un evento buddista di lutto per i defunti. Un tempo le barche venivano fatte galleggiare nell’oceano, ma negli ultimi anni vengono recuperate prima che si allontanino troppo per evitare l’inquinamento eccessivo.
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Il bon è una tradizionale festa dedicata al culto degli antenati, un’occasione per esprimere gratitudine e rendere omaggio ai propri progenitori. Consapevoli dell’importanza di rafforzare i legami familiari e di apprezzare il legame con gli antenati, i giapponesi e gli stranieri come me che da anni vivono in Giappone cercano di viverlo ogni anno in modo piu significativo. In questo articolo abbiamo descritto le usanze tipiche di questo periodo, ma è importante sottolineare che non esistono regole rigide da seguire. Seguendo le tradizioni locali e della propria famiglia è possibile trascorrere un momento personale con i vostri antenati.
Sulle pendici del Monte Unzen nella penisola di Shimabara, riposano silenziose le rovine del castello di Hara, testimonianza tangibile di un passato tumultuoso. Centro della ribellione di Shimabara-Amakusa (1637-1638), offre oggi ai visitatori l’opportunità di esplorare le sue rovine immergendosi nella ricca storia della regione.
Le rovine del castello di Hara
Storia e fede si intrecciano tra le rovine del castello di Hara, unico luogo della zona a far parte dei “Siti dei cristiani nascosti della regione di Nagasaki“, patrimonio mondiale dell’umanità.
Il Castello di Hara fu una roccaforte costruita tra il 1599 e il 1604 da Arima Harunobu (有馬晴信), un daimyō che aveva esteso il suo potere fino alla higashi hizen (東肥前), parte orientale di Hizen no kuni (肥前国), una delle antiche province del Giappone che corrispondeva approssimativamente alle attuali prefetture di Saga e Nagasaki. Si dice che la grandezza del feudo di Arima fosse stimata in circa 260.000 koku. Un koku (石), equivalente a circa 180 litri, è un’unità di volume utilizzata in Giappone sin dall’antichità. Il numero di koku indicava una stima del volume di riso che poteva essere prodotto dalle terre all’interno del dominio di un daimyō. Le relazioni feudali erano determinate dai gradi militari, a loro volta assegnati in base al numero di koku posseduti da un signore. Quest’ultimi poi tassavano la popolazione che risiedevano nei loro domini in base al numero di koku e generalmente le tasse erano pagate in riso.
Si ritiene che il castello di Hara sia stato costruito a sud dello Hinoejō (日野江城, castello di Hinoe) con lo scopo di supportarlo nel sorvegliare la principale via d’acqua della regione, l’ Ariakekai (有明海), il mare di Ariake. Il clan Arima aveva nel castello di Hinoe la sua residenza principale che però date le dimensioni troppo piccole era considerato inadatto alla guerra.
Shimabara-hantō
Con l’unificazione del Giappone sotto il dominio di potenti signori come Oda Nobunaga, Toyotomi Hideyoshi e, infine, Tokugawa Ieyasu, il paese sembrava finalmente aver trovato la pace. Il governo Tokugawa, infatti, proclamò solennemente l’inizio di un’era “senza guerre”. Tuttavia, la ribellione di Shimabara, rappresentò un evento di grande importanza nella storia del paese. Questa rivolta, che vide contrapposti samurai cristiani, contadini e altri strati impoveriti della popolazione contro il governo Tokugawa, si concluse tragicamente in un massacro. Questo episodio segnò un punto di svolta definitivo, decretando la fine di un’epoca di conflitti e aprendo le porte a un periodo di quasi 250 anni di pace.
Le ribellioni di Higo-Amakusa e Shimabara, sebbene separate da un lungo periodo di tempo, rappresentano due capitoli cruciali della storia giapponese, legati da un unico filo conduttore. La ribellione di Higo-Amakusa (1587-1590) vide protagonisti samurai cristiani e abitanti della provincia di Higo (conosciuta anche come higo no kuni, 肥後国, era un’antica provincia corrispondente all’attuale prefettura di Kumamoto), esasperati da tensioni religiose e condizioni di estrema povertà. La mancata risoluzione di queste problematiche lasciò un terreno fertile per la successiva ribellione di Shimabara (1637-1638), che coinvolse nuovamente samurai cristiani e parte della popolazione della zona contro il governo Tokugawa.
Da Harima Harunobu a Matsukura Shigemasa: la rivolta di Amakusa-Shimabara
Nel 1612, Arima Harunobu (有馬晴信) fu coinvolto nell’incidente di Okamoto Daihachi e fu esiliato e costretto a commettere seppuku. Suo figlio, Naozumi (有馬 直純), riprese il governo della terra di Arima, ma due anni dopo fu trasferito a Hyuga. Successivamente, nel 1616, Matsukura Shigemasa (松倉重政), un vassallo del dominio Yamato Gojō (大和五条, oggi corrispondente alla prefettura di Nara) fu nominato daimyō di Shimabara e prese possesso del castello di Hara. In conformità all’editto Tokugawa conosciuto come ikkoku ichijō (一国一城), letteralmente “una provincia, un castello”, Shigemasa costruì il moridakejō (森岳城), il castello di Shimabara, abbandonando di fatto gli altri castelli della zona come quello di Hinoe e Hara (1618). Non solo Shigemasa diede inizio a una terribile persecuzione dei cristiani, ma iniziò a vessare la popolazione con continui aumenti dei tributi per ripianare gli alti costi della costruzione del castello.
Era il 1630 quando, stanchi del suo dominio dispotico, alcuni congiurati decisero di eliminare Shigemasa. Fu avvelenato mentre si trovava nel villaggio termale di Obama. L’identità dei colpevoli rimane un mistero, ma alcuni sospettano che si trattasse di esponenti dello shogunato locale di Nagasaki, preoccupati per la sua severità e per il rischio di una rivolta popolare. Alla sua morte, il potere passò nelle mani del figlio Katsuie (松倉勝家).
Katsuie si rivelò un despota tale quale il padre e durante il suo dominio si abbatté sulla popolazione locale come una tempesta di tributi inarrestabile. Non solo i cristiani erano vittime di persecuzioni feroci, ma anche i non cristiani furono costretti a subire il peso di tributi sempre più gravosi. Anni di magri raccolti avevano condotto la popolazione alla fame, mentre il fardello delle imposte li schiacciava senza pietà. Alla fine, spinta dalla disperazione, parte della popolazione non potendo più sopportare tali ingiustizie insorse. Il 25 ottobre 1637, contadini e rōnin (浪人, samurai senza padrone) del sud di Shimabara si unirono a quelli delle isole Amakusa e con un leader carismatico conosciuto come Amakusa Shirō, appena sedicenne, diedero vita a quella che passò alla storia come la rivolta di Shimabara e Amakusa (島原・天草一揆, Shimabara, Amakusa ikki). Il giorno successivo, l’incendio della rivolta raggiunse anche il castello di Shimabara, dove un assalto fallito non fece altro che alimentare la fiamma della resistenza che rischiava di diffondersi in tutto il Giappone, diventando una questione di primaria importanza per lo shogunato.
I ribelli si arroccarono all’interno del castello di Hara, ormai abbandonato. Tra le sue mura si asserragliarono circa 30.000 ribelli, provenienti quasi unicamente dalle province meridionali di Shimabara. A contrastare questo esercito improvvisato, lo shogunato inviò ben 140.000 soldati Tokugawa provenienti da tutto il Kyūshū (si racconta che prese parte all’assedio anche il famoso Miyamoto Musashi). Per quattro mesi, la fortezza resistette agli attacchi, alimentando la speranza dei ribelli. Ma la fame e l’isolamento, con navi olandesi che pattugliavano il mare di Ariake bombardando continuamente il castello, ebbero il sopravvento. Nell’aprile del 1638, l’ultimo assalto segnò la caduta del castello e la tragica fine di tutti i ribelli.
Amakusa Shirō e tutte le 30.000 persone rifugiate nel castello di Hara, uomini, donne e bambini, vennero trucidati e si racconta che i loro corpi furono gettati all’interno delle mura del castello, mescolandosi alla terra. Come se non bastasse, anche le restanti mura di pietra del castello furono smantellate, condividendo il destino dei suoi occupanti. Infine, i resti del castello vennero dati alle fiamme. La storia descrive questo evento come una testimonianza dell’odio delle forze governative verso i ribelli. Inoltre, ben 10.000 teste mozzate furono infilzate su pali e messe in mostra intorno al sito. Altre teste vennero esposte in vari punti del feudo e a Nagasaki come monito per la popolazione, mostrando cosa accadeva a chi si opponeva al governo. La testa di Amakusa Shiro fu addirittura messa in mostra di fronte a Dejima, un’isola artificiale nella baia di Nagasaki che all’epoca era l’unico avamposto straniero legale in tutto il Giappone.
Da quel momento la persecuzione anticristiana si fece molto più aspra terminando solo nel 1650. Fu a seguito di questa rivolta che in Giappone si adottò una politica di isolamento nazionale conosciuta come sakoku (鎖国, letteralmente “paese il catene”) che isolò il paese per oltre due secoli. Il cristianesimo fu dichiarato fuorilegge e i controlli sulla popolazione locale furono rafforzati. La ribellione di Shimabara segnò un punto di svolta nella storia giapponese. Le successive riforme Tokugawa decretarono il divieto totale del Cristianesimo e del commercio con i cristiani. I portoghesi furono espulsi, Dejima a Nagasaki divenne un’isola commerciale vuota. Solo gli olandesi, “premiati” per aver sostenuto i Tokugawa durante la ribellione, ottennero il diritto esclusivo al commercio. La ribellione si concluse con un vero e proprio massacro che cancellò i cristiani dal sud di Shimabara. I sopravvissuti fuggirono sulle isole diventando i cosiddetti senpuku kirishitan (潜伏キリシタン), i “cristiani nascosti”.
La ribellione domata non salvò Matsukura Katsuie. Chiamato a Edo per rispondere del malgoverno e della brutalità che avevano causato la rivolta nella sua provincia, gli fu negata la dignità del seppuku e fu condannato a morte per decapitazione.
Le rovine del castello di Hara patrimonio dell’umanità
Il 30 maggio 1938 le rovine del castello di Hara hanno ottenuto il titolo di sito storico nazionale. Il 4 luglio 2018, un ulteriore traguardo: l’iscrizione ai Siti cristiani del Giappone come Patrimonio dell’Umanità UNESCO. Un riconoscimento che ne sottolinea il valore storico e culturale.
Il sito patrimonio dell’UNESCO dei Cristiani Nascosti della regione di Nagasaki
Un percorso tra luoghi segreti dove i fedeli, tenaci nella loro fede, sfidarono la persecuzione e preservarono il cristianesimo per secoli.
I 12 siti si trovano nell’attuale prefettura di Nagasaki e nelle vicine isole Amakusa della prefettura di Kumamoto, l’area che aveva la più alta concentrazione di missioni cristiane nel Giappone dell’era moderna. Dopo il bando della religione cristiana, un numero considerevole di fedeli cattolici mantenne congregazioni segrete nell’area di Nagasaki-Amakusa, specialmente nei villaggi lungo la costa e sulle isolate isole minori dove alcuni di loro emigrarono. Attraverso oltre 200 anni di persecuzione, mantennero facciate di pratiche buddiste e shintoiste convenzionali, pur continuando a coltivare le loro tradizioni cristiane di famiglia. La loro storia di culto nascosto è ora riconosciuta come un inestimabile patrimonio.
Ho visitato le rovine si questo castello diverse volte negli ultimi 10 anni accompagnando anche amici a vederle. Lo honmaru, che è la sezione meglio conservata del castello ospita alcuni memoriali. Il basamento principale sembra essere rimasto intatto, mentre grossi massi sparsi nella zona restano come testimonianza delle antiche mura. La vista della baia di Shimabara è davvero impressionante e bellissima, e si capisce perfettamente sia la posizione strategica della fortezza sia perché sia stato chiamato “Castello del Tramonto”.
Di seguito la mappa del complesso del castello di Hara e delle sue difese.
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Vista dall’alto dell’area un tempo occupata dal castello di Hara.
Di seguito le rovine dello ishigaki (石垣)i, il muro di pietra dello honmaru. In realtà era molto più alto, gran parte di esso fu distrutta dopo la ribellione.
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Grazie ad un sistema di QR code distribuiti lungo tutto il percorso, è possibile immergersi in un’esperienza virtuale che ricrea l’aspetto originale del castello. L’immagine che segue rappresenta una ricostruzione dell’imponente cancello d’ingresso allo honmaru, caratterizzato dalla tipica architettura detta watari yagura (渡櫓), che prevedeva una torre di guardia sopraelevata, utilizzata per lanciare frecce contro gli eventuali assalitori.
Questa foto l’ho scattata nella zona sud-occidentale del complesso del castello. L’angolazione non permette di apprezzare appieno l’estensione dell’area che un tempo ospitava una yagura (櫓), una torre di guardia a tre piani, come riportato da diverse fonti storiche, tra cui i resoconti di alcuni gesuiti. Dalla cima di questa struttura, si aveva una visuale strategica sul mare di Ariake, le isole Amakusa e, sullo sfondo, il maestoso Monte Unzen.
Nel corso del 1618, la torre di guardia subì un processo di smantellamento, condividendo la stessa sorte di altre strutture del castello. I materiali recuperati da questa demolizione furono destinati alla costruzione del castello di Shimabara. È evidente, quindi, che la torre non era più presente al momento dello scoppio della ribellione.
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Sempre all’interno della zona zona centrale del castello c’è una statua dedicata al leader della ribellione Amakusa Shirō.
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Questa statua è opera dello scultore Kitamura Seibō (北村西望), originario di Shimabara, noto anche per aver creato la statua commemorativa della pace nel Parco della Pace di Nagasaki. Il suo vero nome era Tokisada Masuda (益田 時貞). Figlio di un vassallo di Yukinaga Onischi (un signore feudale cristiano giustiziato nella Battaglia di Sekigahara), era un cristiano molto carismatico. Eletto capo dai ribelli, combatté valorosamente fino alla fine, ponendo tragicamente fine alla sua giovane vita a soli 15 anni.
Ten no tsukai – 天のつかい
Il giovane capo era venerato dalla popolazione come il “ten no tsukai“, il messaggero del cielo, addirittura considerato il figlio di Dio in persona. Questa credenza si fondava su un’antica profezia, attribuita al missionario Marcos, esiliato da Shimabara. Secondo la leggenda, Marcos aveva predetto l’arrivo, dopo venticinque anni, di un messia che avrebbe liberato il popolo dalle sofferenze. E così fu: nel 1637, proprio come previsto, si racconta che Shirō iniziò a manifestare poteri soprannaturali, compiendo miracoli che ricordavano quelli di Cristo. Perseguitati e affamati, i cristiani di Amakusa e Shimabara videro in lui la realizzazione della profezia e si unirono alla sua causa, pronti a tutto pur di seguirlo.
Poco vicino sorge anche una lapide dedicata a Amakusa Shirō. Questa tomba è stata costruita attorno a una lapide scoperta casualmente in una casa privata a Nishi Arima che si trova nelle vicinanze del castello. La testa di Amakusa Shirō, ucciso durante la rivolta, fu inviata a Nagasaki dove scomparve.
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Davanti alla tomba è stato eretto un monumento a forma di croce
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Guardano verso il mare troviamo tre statue cristiane che ricordano un Jizō. Il loro sguardo è rivolto verso l’isola di Yushima, dove si radunarono i capi della rivolta di Shimabara.
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Honekami Jizō – Il Jizō delle ossa
All’entrata delle rovine del castello si trova una statua di Jizō eretta in periodo Meiji, n memoria di oltre mille scheletri, da cui il nome honekami, ritrovati durante i lavori nei terreni circostanti le rovine del castello di Hara, che con il tempo erano diventati terreni agricoli. Il Jizō non è stato eretto direttamente sui resti del castello ma su terrapieno apposito e sulla è impressa la seguente iscrizione:
三界万霊乃至平等 南無阿弥陀仏骨塔
Sangai Banrei Naishi Byōdō Namuamidabutsu Kottō
Tutte le creature dei tre mondi sono uguali, Namuamidabutsu, pagoda delle ossa
Sangai banrei è un termine buddhista dove “sangai” che si riferisce ai tre regni esistenziali: il mondo del desiderio, il mondo della forma e il mondo senza forma. “Banrei”, invece indica tutte le creature senzienti e non senzienti che abitano questi tre regni.
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Le rovine del Castello di Hara sono una delle testimonianze di ciò che scatenò la clandestinità dei cristiani giapponesi. A causa della seguente politica di isolamento e la conseguente assenza di missionari, i cristiani rimasti furono lasciati soli a mantenere la loro fede in clandestinità, e dovettero trovare nuovi luoghi per preservare le loro comunità religiose. Il ricordo della ribellione fu mantenuto vivo dalle comunità cristiane nascoste di Sotome e in altre aree della regione di Nagasaki durante tutto il periodo del divieto del cristianesimo.
Kyōdai-jima – L’isola dei fratelliUn monito contro la discordia
Tra l’isola di Kyūshū e Gotō-rettō (五島列島), l’arcipelago delle Gotō, non lontano da casa mia, si estende un mare conosciuto come Sumō-nada (角力灘). Immerse nelle sue acque turchesi, si ergono tre isole conosciute come: Oozumō-jima (大角力島), Kozumō-jima (小角力島) e infine una terza chiamata hako-shima (母子島).
Una di queste isole custodisce un’antica leggenda che, come un sussurro tra le onde, si tramanda di generazione in generazione.
Oozumō-jima: un’isola dalla forma singolare
L’isola sulla sinistra, conosciuta come Oozumō-jima, ha una forma davvero singolare. Attraversata da un foro centrale, spesso attraversato anche dalle imbarcazioni turistiche, questa curiosa formazione rocciosa è conosciuta anche come hongee-jima (本げえ島). Un altro nome con cui è conosciuta è kyōdai-jima (兄弟島), “Isola dei fratelli”, data la sua somiglianza a due lottatori impegnati in un eterno duello.
La leggenda
Un’antica leggenda narra di un pescatore che, al suo ritorno dal mare, portò in dono ai suoi due figli un mikan (un agrume simile ad un mandarino ma molto più dolce) e un pesce. I due fratelli, incapaci di dividersi equamente i regali del padre, iniziarono a litigare furiosamente. In preda all’ira, il padre punì entrambi con crudeltà inaudita: al più giovane tagliò la spalla, mentre al maggiore squarciò il ventre.
Legati insieme, i due fratelli vennero poi gettati in mare. Secondo la leggenda, i loro corpi si trasformarono nelle rocce che oggi sono chiamate kyōdai-iwa (兄弟岩). Ancora oggi, si dice che sulla cima dell’isola cresca un albero di mikan, simbolo della discordia che portò alla tragedia. La roccia di sinistra, con la sua forma simile a una spalla mutilata, rappresenta il fratello minore. Quella di destra, più alta e con un incavo simile a un ventre squarciato, rappresenta il fratello maggiore.
Un monito per le generazioni future
L’isola dei fratelli, con la sua storia tragica, viene spesso raccontata ai bambini in queste zone e serve da monito per le generazioni future, ricordando loro le terribili conseguenze causate dalla discordia e dell’invidia.
Un panorama mozzafiato
Come ho scritto nel mio articolo sul blog “Ombrelli Rotti” dedicato alla Nagasaki Sunset Road, sono numerosi i turisti che si recano nella zona di Sotome per ammirare il sole che al tramonto si specchia nelle acque del mare di Sumō-nada. Lo spettacolo offerto dal cielo e dal mare è in continua evoluzione, cambiando forma e colore con il cambio delle stagioni. Ogni visita regala un’esperienza unica e indimenticabile.
La Nagasaki Sunset Road [長崎サンセットロード] è un affascinante percorso che attraversa città come Matsuura [松浦], Hirado [平戸], Sasebo [佐世保] e Saikai [西海] lungo la suggestiva costa occidentale della prefettura di Nagasaki [長崎], fino a giungere a Nomozaki [野母崎]. Questo itinerario abbraccia la linea costiera più occidentale del Giappone da nord a sud, offrendo l’opportunità di godersi appieno i tramonti sul mare da qualsiasi punto lungo il percorso.
Da Matsuura, una cittadina situata a nord della prefettura, la strada prosegue attraverso Hirado, conosciuta dagli europei come Firando. Qui, nel 1609, gli olandesi stabilirono il loro primo avamposto commerciale in Giappone. Hirado è stata il principale centro degli scambi commerciali tra il Giappone e il resto del mondo fino a quando, sotto la pressione del bakufuTokugawa, fu trasferito a Nagasaki sull’isola artificiale di Dejima [出島].
La strada prosegue attraverso la città di Sasebo, dove attualmente risiedo. Da un umile villaggio di pescatori controllato dalla vicina Hirado, Sasebo si trasformò durante il periodo Meiji [1603-1867] in una città di rilevanza non solo nazionale, ma anche internazionale.
Grazie alla morfologia del suo porto, caratterizzato da acque profonde e protette, la Marina Giapponese scelse di stabilire qui la sua base per le missioni durante le guerre sino-giapponese e russo-giapponese. Nonostante il ruolo cruciale svolto durante il conflitto nel Pacifico, la città fu risparmiata dai bombardamenti americani, probabilmente perché gli Stati Uniti avevano già individuato questa struttura preesistente per le proprie attività.
Nel 1946, la Marina Militare degli Stati Uniti assunse il controllo delle strutture e istituì U.S Fleet Activities Sasebo, che ancora oggi fornisce supporto logistico alla Settima Flotta del Pacifico, con sede principale a Yokosuka.
九十九島 – kujūku-shima
Nella zona di Sasebo attraversata dalla Sunset Road si possono ammirare le kujūku-shima [九十九島], conosciute come le “99 isole”. In realtà, queste isolette superano le 200, formando un labirinto incredibile da esplorare. Il nome kujūku-shima, in modo figurativo, riflette l’impossibilità di contare con precisione il loro numero.
Questo concetto mi porta alla filosofia shintoista che descrive il Giappone come il paese degli yaoyorozu no kami [八百万の神], ovvero “otto milioni di kami”. La forte componente animista presente nelle shintoismo crede che ogni oggetto o fenomeno naturale possa essere abitato da un kami (divinità), il termine yaoyorozu viene utilizzato per indicare l’impossibilità di enumerarli tutti.
Fonte: sasebo.com
Kujūku-shima e Hollywood
La scena d’apertura del film “L’Ultimo Samurai” si svolge proprio sulla vista delle 99 isole, osservate da un’altura conosciuta come Ishidake [石岳]. Questo punto panoramico è noto come tenkaihō [展海峰], e sulla sua cima si erge un tenbōdai [展望台], un belvedere, che offre una magnifica vista a 180° sulle isole. La bellezza scenografica di questo luogo, soprattutto al tramonto, lo ha reso la location ideale per il film hollywoodiano.
Fonte: Nagasaki-tabinet
I vortici di Saikai
Dopo aver lasciato Sasebo, il viaggio prosegue verso sud attraverso il Saikai-bashi [西海橋], il Ponte di Saikai. Questo imponente ponte ad arco attraversa lo stretto di Hario [針尾], collegandosi alla Nishisonogi-hantō [ 西彼杵半島], la penisola di Nishisonogi, dove sorge anche Nagasaki.
Costruito nel 1955, al momento della sua realizzazione era il terzo ponte più grande al mondo e il più grande in Asia.
Grazie alla forza delle maree nello stretto di Hario, durante la primavera e l’autunno si formano vortici enormi che attraggono numerosi visitatori per partecipare all’uzu-shio matsuri [うず潮祭り], il “Festival dei Vortici”. Questo evento si tiene sia in primavera che in autunno. Se desiderate partecipare a questo matsuri, vi consiglio di visitare durante la primavera, quando circa mille ciliegi sono in fiore nel parco vicino al ponte. Un momento particolarmente suggestivo è quando i petali di ciliegio cadono nelle acque agitate e cominciano a vorteggiare, creando un effetto di grande bellezza.
Fonte: Saikai-machi web site
隠れキリシタン – Kakure-kirishitan
Come raccontato in un precedente articolo, nella penisola di Nishisonogi i Kakure Kirishitans, i “cristiani nascosti”, giapponesi che fuggivano dall’editto che proibiva il Cristianesimo durante il periodo Edo, trovarono rifugio presso la città di Sotome [外海]. I Kakure Kirishitans di questa zona, così come quelli di Hirado e di altre aree della prefettura di Nagasaki, continuarono a seguire le proprie tradizioni religiose, anche se nel tempo si sono notevolmente differenziate dal Cristianesimo che tutti conosciamo.
La Sunset Road si sovrappone al percorso del pellegrinaggio di Nagasaki, contribuendo a creare un’unica “strada panoramica” che celebra sia la bellezza naturale che la ricca cultura della regione. In collaborazione con le organizzazioni lungo il tragitto, l’obiettivo è sviluppare la Nagasaki Sunset Road come una delle principali attrazioni della prefettura.
I siti che offrirono rifugio ai kakure kirishitan sono stati ufficialmente riconosciuti come Patrimonio Mondiale dell’UNESCO. Questo riconoscimento celebra la ricca storia del cristianesimo in Giappone, una storia caratterizzata da una fede tenace che ha sempre convissuto con le tradizioni dello shintoismo e del buddismo, così come con le dinamiche sociali del paese.
Il cristianesimo giapponese ha mantenuto la sua identità unica anche durante i periodi in cui è stato vietato. I luoghi di culto cristiani nelle regioni di Nagasaki, Shimabara, Hirado e Amakusa sono testimonianze viventi di questa tradizione straordinaria e del modo di vita dei fedeli, che hanno segretamente tramandato la propria fede anche a rischio della propria vita.
Questi siti sono veri e propri tesori storici che raccontano storie di resilienza, coraggio e devozione, incarnando la perseveranza e la determinazione delle comunità cristiane giapponesi nel preservare la propria fede attraverso i secoli.
La designazione come Patrimonio Mondiale dell’UNESCO è un tributo alla loro importanza culturale e al loro significato universale, che va oltre i confini del Giappone e parla alla condizione umana universale di ricerca spirituale e di difesa delle proprie convinzioni, anche nelle circostanze più difficili.
遠藤周作 – Shūsaku Endō
Nella zona di Sotome è anche possibile esplorare il bungaku-kan [文学館], il Museo Letterario dedicato a Shūsaku Endō [遠藤周作], l’autore del celebre romanzo “Chinmoku” [沈黙], che ha ispirato il film “Silence” del regista premio Oscar, Martin Scorsese.
「神様が僕のためにとっておいてくれた場所」
“Il posto che Dio ha tenuto per me”
Affascinato dalla storia e dalla cultura uniche di queste zone, si dice che Endō abbia visitato questo luogo anche dopo aver completato il romanzo, definendolo persino “il posto che Dio ha tenuto per me”.
l museo letterario, situato su una collina che domina il sumō-nada [角力灘], il mare di Sumō(すもうなだ), è un elegante edificio, all’interno del quale, sono esposti gli oggetti appartenuti allo scrittore, insieme ai suoi manoscritti originali e alla sua collezione di libri, offrendo una panoramica della sua vita e del suo lavoro. Oltre alla mostra permanente, vengono organizzate mostre speciali ogni due anni, ognuna con un tema diverso.
Nagasaki tabinet
Poiché vi trovate nella zona, consiglio vivamente di fare una breve visita anche al Karematsu Jinja [枯松神社]. L’interessante storia di questo santuario sarà trattata in un articolo a parte.
ゴジラ – Gojira
Continuando verso sud lungo la Sunset Road, si attraversa la città di Teguma [手熊], di cui ho già parlato in un articolo precedente riguardante le celebrazioni tradizionali del setsubun nella prefettura di Nagasaki.
Guardando verso il Gotō-nada [五島灘], il mare che si estende tra l’isola di Kyūshū e le isole Gotō, noterete immediatamente unp scoglio che assomiglia al più famoso kaijū [怪獣] che il mondo abbia mai conosciuto. Sto parlando di Gojira [ゴジラ], o come è conosciuto al di fuori del Giappone, Godzilla.
Gli abitanti del luogo la chiamano gojira-iwa [ゴジラ岩] e vista dalla strada sembra proprio che Godzilla stia tornando in mare.
Fonte: Nagasaki ShinbunFonte: Nagasaki Shinbun
Quello di Teguma non è l’unico scoglio in Giappone ad avere le sembianze di Gojira. Ce ne sono altri cinque rispettivamente in Hokkaidō, Akita, Ōshima [un’isola al largo delle coste di Tōkyō], Ishikawa e Kyōto.
Gojira o Godzilla
Il nome Godzilla deriva dalla traslitterazione (romanizzazione) del nome originale giapponese Gojira (ゴジラ), che è composto da due parole giapponesi: gorira (ゴリラ), “gorilla”, e kujira (クジラ), “balena”. Questa combinazione di termini riflette le dimensioni, la potenza e l’origine acquatica del leggendario mostro Godzilla.
Gojira è il nome originale giapponese dell’iconico mostro, che in seguito è stato adattato in “Godzilla” per il pubblico di lingua inglese.
女神大橋 – Megami-oohashi
Il viaggio prosegue verso sud, dove si attraversa il Megami-oohashi [女神大橋]. Questo ponte, che si erge a oltre 65 metri al di sopra del livello del mare, permette alle imponenti navi da crociera di entrare nella baia di Nagasaki. Ogni sera, il ponte viene illuminato, creando uno spettacolo meraviglioso che lascia senza fiato.
Nagasaki ShinbunNagasaki Shinbun
野母崎半島 – Nomozaki-hantō – La penisola di Nomozaki
Passato il ponte Megami-bashi la Nagasaki Sunset Road continua il suo viaggio verso sud lungo la Nomozaki Hantō attraversando villaggi di pescatori e natura incontaminata.
軍艦島 – Gunkan-jima
Situata a soli 40 minuti di navigazione dal porto di Nagasaki, c’è un isola chiamata Hashima [端島], ma conosciuta da tutti come Gunkanjima [軍艦島], che significa in giapponese “nave da guerra”. Originariamente una miniera di carbone sottomarina do proprietà della Mistubishi, questa piccola isola è stata trasformata in un’area abitativa artificiale riempiendo gli spazi gli scogli circostanti.
La caratteristica più distintiva di Gunkanjima è la sua somiglianza con la maestosa nave da guerra Tosa, che ha ispirato il suo soprannome. Nel 1960, l’isola era la casa di circa 5300 abitanti, vantando la più alta densità di popolazione in Giappone all’epoca.
Le sue strade strette erano animate da scuole elementari e medie, ospedali e una miriade di strutture ricreative, tra cui cinema e sale da gioco, che soddisfacevano le esigenze degli abitanti.
Il carbone estratto dalle miniere di carbone di Hashima era di ottima qualità e ha contribuito in modo significativo alla modernizzazione del Giappone. Tuttavia, con il passaggio dal carbone al petrolio, l’isola ha iniziato a declinare e ha chiuso nel 1974. Gli abitanti dell’isola se ne andarono portando con sé una varietà di esperienze, trasformandola in un’isola disabitata.
Nel 2009 è diventato possibile per il pubblico sbarcare sull’isola e oggi molte persone partecipano a tour che permettono di visitare l’Isola Gunkanjima. Nel luglio 2015 è stata ufficialmente registrata come Patrimonio Mondiale dell’Umanità sotto il nome di “Industrializzazione dell’era Meiji in Giappone – Ferro e Acciaio, Cantieristica Navale, Industria del Carbone”.
夫婦岩 – Meoto-iwa – Un monumento naturale a Nomozaki
Percorrendo la kokudō 499 [国道499号線], la strada statale 499 lungo la penisola di Nomozaki, con il mare di Sumō che si staglia alla vostra destra, oltre alla possibilità di ammirare una vista mozzafiato della costa, e l’imponente Gunkanjima, si vedrà una formazione rocciosa davvero singolare, con una corda tesa tra di esse: sto parlando delle celebri meoto-iwa [夫婦岩], le rocce “Marito e Moglie”.
Guardando verso il mare, sulla sinistra si erge la otoko-iwa [男岩] roccia maschile, che si innalza per 11 metri, mentre sulla destra troviamo la meiwa [女岩] roccia femminile, della stessa altezza.
Questa è una località rinomata per i suoi tramonti, soprattutto durante il solstizio d’estate, quando il sole tramonta all’orizzonte e si tuffa nel mare attraverso lo spazio tra le imponenti rocce.
Nel 1994, questo luogo è stato ufficialmente designato come monumento naturale dalla prefettura di Nagasaki. Inoltre, nel 2013 è stato riconosciuto come una delle “100 vedute naturali viventi di Nagasaki“, confermando la sua importanza e bellezza nella regione.
水仙の丘 – Suisen no oka – La collina dei narcisi di Nomozaki
Situato all’estremità meridionale della suggestiva penisola di Nagasaki, sorge il Nagasaki Nomozaki kyōryū Paaku [長崎のもざき恐竜パーク], il Parco dei dinosauri di Nagasaki-Mozaki un gioiello incantato che ospita uno spettacolo mozzafiato: il suisen no oka [水仙の丘], la collina dei narcisi.
Questo parco incantato si estende su tre piccole colline panoramiche, ognuna con il suo punto di osservazione unico: l’osservatorio nord, l’osservatorio est e l’osservatorio ovest. Qui, tra i sentieri tortuosi e le viste panoramiche, circa 10 milioni di narcisi creano un mare di colori e profumi, regalando un’esperienza sensoriale indimenticabile per chiunque abbia la fortuna di visitarlo.
L’imponente panorama marino di Nomozaki è davvero mozzafiato. Dall’osservatorio settentrionale, si può ammirare l’incantevole isola di Ta no kojima [田の子島], accessibile a piedi durante la bassa marea, e godersi una vista panoramica su Gunkanjima, patrimonio mondiale dell’UNESCO.
Durante i mesi invernali quando il cielo è terso, lo sguardo può spaziare fino a Gotō rettō[五島列島, ]’arcipelago di Gotō. Il contrasto tra il cielo azzurro e il mare profondo è straordinario. Dall’osservatorio occidentale, si può contemplare lo spettacolo del vasto mare e dell’adorabile cittadina di pescatori Nomo-gyokō [野母漁港].
Tra la fine di dicembre e la metà di gennaio ogni anno, le colline sono magnificamente adornate di narcisi in fiore, creando un’atmosfera colorata e ricca di profumi. Nomozaki è rinomata come una delle principali regioni produttrici di narcisi del Giappone occidentale, e in questo periodo si tiene il Nomozaki suisen matsuri [のもざき水仙まつり], il Festival dei narcisi di Nomozaki, che attira moltissime persone da tutto il paese.
La Nagasaki Sunset Road offre molto più di un semplice percorso panoramico. È un viaggio attraverso la storia, la cultura e la bellezza naturale di Nagasaki, che si svela gradualmente con ogni curva della strada. I tramonti mozzafiato che si possono ammirare lungo questo percorso rimangono impressi nella memoria, mentre le pittoresche vedute sul mare e sulle colline creano un’atmosfera di pace e serenità.
Chi percorre la Nagasaki Sunset Road ha l’opportunità di immergersi completamente nell’incantevole paesaggio di questa regione, lasciandosi trasportare dalle emozioni che solo un tramonto sul mare può suscitare. È un’esperienza che rimane nel cuore di chiunque abbia avuto il privilegio di attraversare queste strade e di contemplare lo spettacolo della natura in tutto il suo splendore.
Che si tratti di un viaggio breve o di un’esperienza più prolungata, la Nagasaki Sunset Road offre un viaggio indimenticabile attraverso la bellezza e la tranquillità del paesaggio giapponese.
Il festival delle lanterne [長崎ランタンフェスティバル], originariamente iniziato come una celebrazione del Capodanno cinese da parte dei commercianti cinesi che risiedevano a Nagasaki, si è trasformato nel principale evento invernale della città, diventando anche il più grande del suo genere in tutto il Giappone.
Più di 15.000 lanterne colorate e installazioni adornano l’intera città, partendo dal palco allestito presso il minato kōen [湊公園, “parco Minato] attraverso le strade di Chinatown e dell’animata kankō-doori fino a Chūō–kōen e il suggestivo meganebashi (letteralmente “ponte degli occhiali”), oltre a numerosi altri luoghi sparsi per l’intera Nagasaki.
Durante tutto il periodo dell’evento, oltre alle lanterne, numerosi oggetti artistici, detti obuje [オブジェ, dal francese “objet“] di varie forme e dimensioni adornano le strade di Nagasaki, alcuni dei quali superano i 10 metri di altezza.
Nel cuore della nuova Chinatown [長崎新地中華街, Nagasaki shinchi chūka machi], che è la principale sede del festival, un palco ospita spettacoli quotidiani legati alla cultura cinese. Gli spettatori possono godersi la ja-odori [龍踊り, “la danza del drago”], gli spettacoli acrobatici cinesi e le esibizioni dell’Erhu, lo strumento a corda tipico cinese.
Storia del festival
Nel 1994, la vivace comunità della Shinchi Chinatown di Nagasaki, una delle tre più grandi Chinatown del Paese [le altre si trovano a Kobe e Yokohama], ha trasformato la popolare celebrazione del kyūshōgatsu [旧正月], conosciuto anche come shunsetsu [春節], il Capodanno cinese, nel suggestivo Nagasaki Lantern Festival.
Questa trasformazione ha reso il festival una delle principali tradizioni invernali della città, attirando ogni anno più di un milione di persone provenienti da tutto il paese, contribuendo così a promuovere la città a livello nazionale.
Questo festival si ispira al genshōsetsu [元宵節], il festival delle lanterne cinesi che si svolge nella notte del quindicesimo giorno del primo mese del calendario lunare. Le lanterne esposte a Nagasaki, seguendo lo stile cinese, sono chiamate chūgoku-chōchin [中国提灯], in omaggio a questa tradizione.
Shunsetsu, shunsetsusai e genshōsetsu
Lo shunsetsu [春節], letteralmente “festa di primavera”, rappresenta il Capodanno cinese ed è l’evento annuale più significativo del paese. Si celebra il primo giorno del primo mese del calendario lunare (Febbraio secondo il calendario gregoriano), e la notte precedente è nota come joseki [除夕], durante la quale le famiglie si riuniscono per accogliere il nuovo anno festeggiando.
Lo shunsetsusai [春節祭, “Festival di Primavera”] rappresenta un evento originariamente dedicato alle celebrazioni del Capodanno cinese dai residenti cinesi a Nagasaki. Iniziato principalmente nella Chinatown Shinchi di Nagasaki nel 1987, è stato ampliato nel 1994, diventando l’attuale festival.
Il genshōsetsu [元宵節], la festa delle lanterne, si celebra il quindicesimo giorno del primo mese del calendario lunare, ed è considerato il momento in cui gli spiriti celesti possono essere avvistati nel cielo. Si narra che in questa notte le lanterne venissero accese e portate in processione per le strade della città, al fine di facilitare la individuazione degli spiriti anche in presenza di nuvole e nebbia.
Durante questa festa si onorano anche le anime degli antenati defunti e si festeggia la prima luna piena del nuovo anno lunare, segnando la conclusione del Capodanno cinese. Le abitazioni vengono addobbate con lanterne colorate, spesso adornate da indovinelli; chi riesce a risolverli correttamente può ricevere un piccolo omaggio in segno di buon auspicio.
Questa antica tradizione sembra risalire alla dinastia cinese degli Han, periodo in cui i monaci buddisti accendevano lanterne il quindicesimo giorno del primo mese lunare in onore del Buddha. Successivamente, il rito fu adottato dalla popolazione e si diffuse in tutta la Cina e in altre regioni dell’Asia.
Luoghi dove si svolge il festival
湊公園 – Minato Kōen – Il parco Minato
Uno dei luoghi più affascinanti da visitare è il Minato Kōen, incastonato nel cuore della vivace Chinatown. Questo parco è rinomato per la sue suggestie decorazioni con lanterne di diverse tonalità e dimensioni, che creano un’atmosfera magica e colorata.
L’attrazione principale del parco è senz’altro l’installazione artistica composta da lanterne che rappresenta il segno zodiacale dell’anno in corso. Questa installazione non solo attira l’attenzione dei visitatori, ma incanta anche per la sua bellezza e la sua simbologia.
Inoltre, all’interno del parco viene allestito un palco dove si tengono spettacoli e performance di vario genere. Qui è possibile godersi esibizioni di danza tradizionale, musica folkloristica e altre forme d’arte che celebrano la cultura cinese.
Il Minato Kōen è un luogo imperdibile per coloro che desiderano immergersi nell’atmosfera unica di questa affascinante zona della città.
[豚の生首] – Buta no nama-kubi
Durante il periodo del festival, presso il Minato Kōen, è tradizione esporre le nama-kubi [生首], teste di maiale, come offerta a Kan-u [関羽], uno dei protagonisti della saga dei Tre Regni, simbolo di coraggio e saggezza. Questa pratica rende omaggio alla profonda lealtà di Kan-u, il quale gode di grande popolarità in Giappone, dove è considerato un valoroso generale.
Conosciuto anche con il nome di kantei [関帝]. Dopo la sua morte, è stato venerato come una divinità per favorire il successo nei commerci, attirare la fortuna e scacciare gli spiriti maligni.
Significato della disposizione delle teste
La disposizione dei maiali sull’altare e le code conficcate sulla fronte hanno significati profondi: il maiale stesso simboleggia la prosperità, mentre la presenza della coda infissa sulla fronte del maiale è un gesto simbolico che accoglie i clienti, indicando che un intero maiale è stato preparato in loro onore.
新地中華街 – Shinchi-chūka-machi – La nuova Chinatown
Tutte le strade che si intersacano all’interno della nuva Chinatown sono decorate con lanterne illuminate che, al tramonto, danzano al vento, creando un’atmosfera unica e magica.
唐人屋敷 – Tōjin-shiki – La vecchia Chinatown
Oltre a Dejima [出嶋], la piccola isola artificiale a Nagasaki dove i commercianti olandesi erano confinati, è forse il simbolo più conosciuto di ciò che è conosiuto come il periodo di isolamento del Giappone noto come sakoku [鎖国, “paese chiuso”] che è stato in vigore durante il periodo Edo fino all’apertura del Giappone nel 1858.
Ciò che è molto meno conosciuto è che c’era anche un secondo complesso a Nagasaki dove erano confinati mercanti e marinai cinesi. Chiamato tōjin-yakishi, fu costruito sul pendio che sorge alle spalle dell’attuale chinatown.
浜んまち – Haman-machi
Le arcate della vivace shōtengai di Nagasaki sono abbellite con moltissime lanterne rosse. In questa zona di trova l’installazione rappresentante Lao Zi. In giapponese conosciuto come gekka-rōjiin [月下老人], protettore dei matrimoni.
中島川公園 – Nakashima-gawa-kōen
Lungo il fiume Nagashima, sede della più celebre attrazione turistica di Nagasaki, il ponte Megane, le lanterne gialle si specchiano sulla superficie del fiume, regalando uno spettacolo mozzafiato ai visitatori.
Il Meganebashi (眼鏡橋, letteralmente “ponte degli occhiali”) è il più notevole tra i vari ponti in pietra che attraversano il fiume Nakashima nel centro di Nagasaki.
l ponte, che prende il nome dalla sua somiglianza con un paio di occhiali quando è riflesso nell’acqua del fiume, è una popolare attrazione turistica ed è designato come un importante patrimonio culturale della città.
中央公園 – Chūō-kōen – Il parco Chūō
Questo parco è abbellito da splendide installazioni raffiguranti una varietà di animali ed è molto popolare tra le famiglie con bambini.
孔子廟 – Kōshibyō – Il tempio di Confucio
Il Santuario di Confucio a Nagasaki (孔子廟, Kōshi-byō) è uno dei pochi santuari dedicati al filosofo cinese Confucio in Giappone. Il santuario fu costruito nel 1893 dalla comunità cinese di Nagasaki.
All’interno del santuario si può assistere allo henmen-show [変面ショー, “show del cambio delle maschere”], una performance cinese trazionale tenuta durante eventi particolari, è molto popolare sia tra la popolazione locale che tra i turisti.
Eventi da non perdere durante il festival delle lanterne
Durante il festival, si tengono numerosi eventi che celebrano la cultura tradizionale cinese. Tra le attrazioni più spettacolari e affascinanti vi sono la parata dell’Imperatore, la processione di Mazu, le danze del drago e le esibizioni di erhu.
皇帝パレード – Kōtei Pareedo – La parata dell’imperatore
La Parata dell’Imperatore, che si tiene di solito solamente due volte durante il festival, è una magnifica processione ispirata alle celebrazioni del Capodanno della dinastia Qing.
Partendo da Chūō-kōen e terminando a Minato-kōen, la parata presenta un carro dell’Imperatore e dell’Imperatrice, accompagnati da circa 100 persone, tra cui portabandiera, indossanti sontuosi costumi cinesi per ricreare l’atmosfera festosa del nuovo anno.
媽祖行列 – Mazo Gyōretsu – La processione di Mazu
La Processione è un evento dedicato a Mazu, la divinità del mare, per invocare la sua protezione e la prosperità delle attività marittime.
龍踊り – Ja-odori – La danza del drago
La Danza del Drago, affonda le sue radici in un antico rituale celebrato per invocare un buon raccolto e la pioggia, vede impeganti abili danzatori che guidano un drago di 20 metri di lunghezza con grande maestria, eseguendo movimenti vigorosi per attirare le precipitazioni.
二胡演奏 – Niko-ensō – Performance musicale con i niko
l’erhu, conosciuto in giapponese come niko [二胡], è uno strumento a due corde, simle al violino, molto popolare nella musica tradizionale cinese.
変面ショー – Henmen Show – Il cambio delle maschere
Lo spettacolo delle maschere cinesi, presentato quotidianamente presso il Tempio di Confucio, rappresenta un’antica forma d’arte segreta proveniente dal Teatro del Fiume di Sichuan.
Questo enigmatico spettacolo, con maschere che si trasformano in un batter d’occhio di fronte agli occhi degli spettatori, offre uno spettacolo affascinante e misterioso.
Street Food
Cosa si deve assolutamente assaggiare durante il Festival delle Lanterne.
ハトシ – Hatoshi
L’hatosi è un piatto che si dice sia stato trasmesso dalla Cina, consiste nel friggere due fette di pane farcite con polpa di gamberi. Ha le dimensioni pefertte per mangiarlo passeggiando tra le vie del festival.
長崎ぶたまん – Nagasaki Butaman
Non c’è niente di meglio che mangiare un butaman caldo durante le fredde e ventose giornate del festival. I più buoni sono quelli di una bottega conosciuta come Momotaro.
じゃがちゃん – Jagachan
Le jagachan sono delle patate cotte a vapore, ricoperte di burro e poi fritte. Il risultato finale è cibo dolce e salato. Le patate, coltivate nei ricchi suoli vulcanici, sono diventate una specialità della Penisola di Shimabara.
角煮まんじゅう – Kakuni manjū
Se vi paice la pancetta di maiale, una cosa che devote assolutamente provare se venite a Nagasaki sono i kakuni manju. Spessi pezzi di pancetta di maiale vengono cotti a fuoco lento con dashi, salsa di soia, sakè, zucchero e mirin fino a diventare morbidi e scioglievoli in bocca. Questi pezzi di maiale vengono poi avvolti in un leggero e soffice panino cotto a vapore.
Il Lantern Festival di Nagasaki incanta con la sua magica atmosfera luminosa, unendo tradizione, cultura e spettacolo in una celebrazione indimenticabile per tutti i visitatori.
Dopo un periodo di pausa forzata causato dall’impatto della pandemia di COVID-19, le vivaci grida del motto-ji [モットモ爺, “nonno motto”] e dei bambini terrorizzati hanno di nuovo animato le case delle cittadine di Teguma [手熊] e Kakidomari [柿泊], situate nella zona occidentale di Nagasaki.
Nelle aree menzionate, ilsetsubun[節分] è festeggiato attraverso una tradizione conosciuta come motto-mo [モットモ]. Questo rito, simile ad altri rituali associati al setsubun, è concepito per scacciare i demoni e attirare la fortuna.
Motto-mo patrimonio folkloristico immateriali nazionale
La nascita di questa tradizione non è documentata in fonti scritte; piuttosto, è stata tramandata oralmente da oltre cento anni. Ogni individuo che vi ha preso parte ha appreso questa tradizione dalle generazioni precedenti e a sua volta l’ha insegnata a quelle successive, creando così un legame duraturo tra passato e futuro.
Nel 2015, il motto-mo è stato ufficialmente designato come patrimonio folkloristico immateriale nazionale [重要無形文化財, jūyōmukei-minzoku-bukazai], per il suo significato nel contesto delle caratteristiche regionali e dello sviluppo dei riti associati al setsubun.
Quando si svolge il motto-mo?
Le cittadine di Teguma e Kakidomari celebrano il setsubun rispettivamente il 2 e il 3 di Febbraio.
I protagonisti del motto-mo
Durante il rituale, un gruppo di tre persone, composto dal toshi-otoko [年男, “ragazzo dell’anno”], dalla fuku-musume [福娘, la “ragazza della fortuna”] e dal motto-mo ji [モットモ爺, il “nonno Motto-mo“], si reca in visita nelle case della zona.
Il termine toshi-otoko [年男], che letteralmente significa “l’uomo dell’anno”, si riferisce a un individuo nato sotto lo stesso segno zodiacale (cinese) dell’anno in corso. In Giappone, il concetto di toshi-otoko si estende anche al capofamiglia maschile, responsabile della conduzione dei riti di fine anno.
La fuku-musume [福娘], nota come la “ragazza della fortuna”, è una figura comune nei santuari giapponesi, spesso selezionata annualmente per distribuire gli amuleti portafortuna. Durante il motto-mo, indossa un kimono e il volto è dipinto di bianco. A Teguma, la fuku-musume può essere interpretata da un uomo travestito da ragazza, aggiungendo un tocco unico alla tradizione locale.
Il motto-mo-ji [モットモ爺], letteralmente “nonno motto-mo“, si presenta con il volto dipinto di rosso e nero e indossa un copri abito chiamato shuro-mino [棕櫚蓑], fatto di foglie di palma di canapa intrecciate, un tempo utilizzato dai contadini della regione. Spesso, durante le celebrazioni, vengono anche indossate maschere per aggiungere ulteriore mistero e fascino alla tradizione.
Come si svolge il motto-mo?
La prima persona ad entrare in casa è il toshi-otoko, il quale sparge i mame mentre urla “Oni ha soto!” [鬼は外!], ossia “fuori i demoni”, seguito dalla fuku-musume che grida “Fuku ha uchi!” [福は内!], “dentro la fortuna”. Questo momento simbolico marca l’inizio delle festività e dei rituali del setsubun.
Infine, gridando motto-mooo! [モットモー!]”, il motto-mo ji fa il suo ingresso nella casa, battendo i piedi e picchiando il pavimento con un bastone, prendendo in braccio i bambini che piangono e si nascondono terrorizzati. Si crede che più i bambini piangono, più la famiglia sarà fortunata durante l’anno nuovo, mantenendo viva la tradizione e il folklore della festività del setsubun.
La pratica di picchiare energicamente il pavimento con i piedi e un bastone, creando un forte rumore, ha lo scopo di placare gli spiriti maligni. Questo gesto condivide il medesimo significato dello shiko [四股], il cerimoniale eseguito dai lottatori di sumō quando alzano le gambe in aria e colpiscono con forza il terreno, un atto che simboleggia la purificazione e la scacciata delle energie negative.
Quando i tre lasciano la casa, un accompagnatore dice “le divinità della fortuna sono venuti a trovarvi” e riceve un dono della famiglia.
Il futuro del motto-mo
Sebbene in passato eventi simili al motto-mo siano stati tramandati in tutte le cittadine della penisola di Nishisonogi [西彼杵半島, “Nishisonogi Hantō“, dove sorge anche Nagasaki], negli ultimi decenni molte di queste celebrazioni sono state abbandonate a causa della mancanza di persone disponibili ad impegnarsi nel preservare e portare avanti tali tradizioni. Tuttavia, c’è speranza che con il rinnovato e crescente interesse per il folklore locale, possa esserci un ritorno e una rinascita di questi rituali nel futuro.