Tag: Cultura giapponese

  • Festival della ceramica di Arita

    Festival della ceramica di Arita

    Anche quest’anno, approfittando delle vacanze della Golden Week, ho visitato con la mia famiglia la vicina città di Arita, a meno di 30 chilometri da casa. La nostra meta era il celebre Arita Tōkichi (有田陶器市), l’annuale festival della ceramica che anima la città proprio in questo periodo.

    Arita è un’affascinante cittadina situata nella prefettura di Saga, nel sud-ovest del Giappone. È un luogo intriso di storia, famoso in tutto il mondo per essere la culla della giapponese. 

    L’importanza storica di Arita è legata indissolubilmente alla porcella. Fu proprio qui che, all’inizio del XVII secolo, vennero introdotte direttamente dalla Corea le tecniche di lavorazione che diedero inizio a una tradizione artigianale secolare. Quest’arte si è evoluta nel tempo, producendo opere di straordinaria bellezza, tanto che vennero esportate in Europa dalla Compagnia Olandese delle Indie Orientali con in nome di “Imari-ware”, derivato dal vicino porto della città di Imari da dove salpavano le navi dirette in Europa.

    La reputazione di Arita si intreccia spesso con quella della vicina Hasami (波佐見), anch’essa rinomata in Giappone per le sue ceramiche. Tuttavia, il nome di Arita è tradizionalmente associato a porcellane artistiche e di alta gamma, Hasami si è distinta nel tempo per una produzione più orientata all’uso quotidiano e alla praticità.

    Ed è proprio durante la Golden Week che Arita ospita il suo famoso festival della ceramica. In questa occasione, la via principale della città si trasforma in un vivace mercato a cielo aperto. Centinaia di bancarelle e piccole botteghe espongono una gamma incredibilmente vasta di porcellane e ceramiche: dai pezzi d’arte unici agli oggetti di uso comune, molti dei quali offerti a prezzi scontati. È un’opportunità imperdibile per immergersi nella cultura della ceramica, apprezarne la storia e persino incontrare rinomati artigiani locali. 

    Una vita ad Arita non sarebbe completa senza una tappa al Tōzan Jinja (陶山神社). Questo santuario fu costruito intorno al 1600 per volere del governatore locale Sarayama, e originariamente chiamato “Arita Sarayama Sobyo Hachimangū”. Era dedicato al mitologico Imperatore Ōjin e a Nabeshima Naoshige, signore dell’omonimo clan che prese il controllo del dominio di Saga nel 1607. Si racconta che Naoshige abbia guidato i primi vasai coreani a Saga. Nel 1871, il santuario fu rinominato “Sueyama Jinja” (陶山神社), che significa letteralmente “santuario della montagna della ceramica”. Il nome attuale, Tōzan Jinja, deriva da una lettura alternativa del primo kanji del termine “Sueyama”. Il santuario onora anche Yi Sam-pyeong (noto in Giappone come Kanagae Sanbei) , considerato il padre della porcellana giapponese.

    Un elemento distintivo di questo santuario è il suo magnifico torii, realizzato interamente in pregiata ceramica di Arita. Questo non segna solo l’ingresso a un luogo sacro, ma rappresenta anche un tributo tangibile e duraturo all’arte della ceramica che definisce l’identità stessa della città.

  • Kaizan-sai: il rito shintoista che che apre la stagione alpinistica in Giappone

    Kaizan-sai: il rito shintoista che che apre la stagione alpinistica in Giappone

    Prendendo spunto da un recente articolo pubblicato su un quotidiano on-line giapponese riguardo l’apertura della stagione escursionistica sul monte Nantai a Nikkō, mi è sembrato interessante approfondire un aspetto centrale di questo evento per chi non lo conoscesse: il rito shintoista noto come kaizan-sai (開山祭).

    Il kaizan-sai, traducibile letteralmente come “festa dell’apertura della montagna”, è una cerimonia tradizionale shintoista che segna l’inizio ufficiale della stagione in cui è consentito o considerato sicuro scalare e compiere escursioni in una determinata montagna in Giappone. Non è solo una data pratica fissata sul calendario per gli escursionisti, ma un rito profondamente radicato nella cultura e nella spiritualità giapponese.

    Le origini di questo rituale affondano le radici nell’antico culto della montagna, che considera le catene montuose come le dimore dei kami, vere e proprie porte verso il mondo spirituale. Questa credenza si è intrecciata nel corso del tempo con elementi appartenenti al buddismo esoterico, dando vita a pratiche ascetiche come lo shugendō. Aprire una montagna al passaggio delle persone non rappresentava un atto banale, ma richiedeva l’esecuzione di precisi riti di purificazione dei sentieri. Era un modo per chiedere il permesso al kami di una determinata montagna implorando la sua protezione per coloro che si sarebbero dovuti avventurare lungo i suoi pendii. In passato questi riti miravano a garantire la sicurezza di coloro che si spostavano, per necessità, da una regione ad un’altra del paese.

    Oggi il kaizan-sai mantiene la sua importanza come un’importante tradizione culturale e un appuntamento annuale per gli amanti della montagna. Le cerimonie, tenute presso i santuari alla base o suoi fianchi della montagna, vedono la partecipazione di sacerdoti shintoisti, autorità locali, associazioni di alpinismo e gente comune che offrono preghiere per propiziare la sicurezza di tutti gli escursionisti durante la stagione alla porte.

    L’articolo pubblicato sul quotidiano on-line descriveva proprio una di questa cerimonie celebrata presso il monte Nantai, dove i sacerdoti del Nikkō Futarasan Jinja Chūgūshi (日光二荒山神社中宮祠) hanno simbolicamente rimosso il fermo del cancello d’ingresso al sentiero, dando il via alla stagione delle escursioni dopo la chiusura dovuta alla stagione invernale. Viene sottolineata l’importanza di essere adeguatamente equipaggiati, specialmente considerando la neve ancora presente in alta quota, dimostrando come la consepevolezza dei rischi naturali si fonda con il rito tradizionale.

    Foto: shimonutsuke-shinbun. Rimozione del sigillo della porta di ingresso al sentiero del monte Nantai

    Il kaizan-sai rappresenta un affascinante esempio di come antiche credenze, rispetto per la natura e la prevenzione si fondano in una cerimonia che segna un momento atteso da molti, ovvero l’opportunità di riconnettersi con la maestosità delle montagne.

    L’articolo riguardante la cerimonia tenutasi a Nikkō potete trovarlo sul sito del Tokyō Shinbun al seguente link:

    https://www.tokyo-np.co.jp/article/401172


  • Kamusari

    Kamusari

    Significato e legame con la mitologia giapponese


    Disclaimer

    Le analisi e le connessioni presentate in questo articolo riguardo al termine “Kamusari” in One Piece e il suo potenziale legame con la mitologia giapponese, in particolare con il Kojiki e le figure di Izanami e Izanagi, rappresentano interpretazioni e riflessioni personali dell’autore.

    Sebbene il termine “Kamusari” (神避り) esista effettivamente nel contesto mitologico descritto, non vi è alcuna dichiarazione ufficiale da parte dell’autore di One Piece, Eiichiro Oda, o dei suoi editori, che confermi che tale riferimento mitologico sia stato la fonte d’ispirazione diretta ed esplicita per l’introduzione del termine e del relativo potere nel manga.

    Questo articolo ha lo scopo di esplorare interessanti parallelismi culturali e possibili fonti di ispirazione, ma le conclusioni tratte rimangono nel campo della speculazione e dell’analisi personale, non di fatti confermati dall’autore originale.


    Sei un fan di One Piece? Allora avrai sicuramente sentito parlare di kamusari (神避り), una tecnica devastante associata a figure leggendarie, il cui potere sembra trascendere persino l’ haōshoku haki (覇王色の覇気). Ma ti sei mai chiesto quale sia l’origine di questo nome così potente ed evocativo? La risposta affonda le radici nell’antica mitologia giapponese.

    Le origini: il kojiki

    Per comprendere appieno il significato del termine kamusari, dobbiamo viaggiare indietro nel tempo fino alle pagine del Kojiki (古事記), il più antico testo esistente sulla mitologia e sulla storia arcaica del Giappone. È proprio in questa raccolta di miti che incontriamo il termine kamusari, legato a due figure centrali del pantheon shintoista: le divinità creatrici Izanami e Izanagi.

    Izanami, Izanagi e la “dipartita divina”

    Secondo il mito narrato nel Kojiki, Izanami e Izanagi ricevettero il compito divino di creare le isole del Giappone e generare le altre divinità (i kami). Tragicamente, durante la nascita del dio del fuoco, Kagutsuchi, Izanami subì ustioni mortali. La sua morte la portò nel Yomi, il cupo regno dei morti della mitologia giapponese. È in questo contesto che il Kojiki utilizza il termine Kamusari (神避り), traducibile letteralmente come “dipartita divina” o “morte divina”, per descrivere la scomparsa di Izanami.

    Cosa significa realmente kamusari?

    Il il significato di Kamusari è complesso ed esistono diverse interpretazioni. Si tratta di una semplice morte, come la concepiamo comunemente? O rappresenta qualcosa di più profondo? Gli studiosi del Kojiki e della mitologia giapponese hanno offerto diverse interpretazioni:

    1. Separazione fefinitiva: alcuni interpretano il termine kamusari un allontanamento irrevocabile dal mondo dei vivi, un passaggio consapevole verso il regno dei morti.
    2. Trasformazione divina: altri invece interpretano kamusari non come una fine, ma come un cambiamento di stato, un’evoluzione dell’essere che passa da un piano esistenziale all’altro, pur mantenendo la sua essenza divina.

    Oltre l’haki del re conquistatore

    Tornando a One Piece, è evidente come Eiichiro Oda, l’autore, abbia attinto a piene mani da questa antica fonte mitologica per creare un potere dal nome così significativo. Nel manga, kamusari è una tecnica che sembra amplificare l’haōshoku haki a livelli divini, sprigionando un’energia primordiale devastante. Questo richiama fortemente l’idea di un potere che trascende il normale, attingendo a una forza quasi divina, proprio come suggerisce l’origine mitologica del termine.

    Un ponte tra il mito e la cultura pop moderna

    L’uso del termine kamusari in One Piece è un esempio perfetto di come le antiche leggende e la mitologia giapponese continuino a vivere e a influenzare la cultura popolare contemporanea, arricchendo opere come il manga di Oda con strati di significato più profondi.

    Che tu sia un appassionato di One Piece, un cultore della mitologia giapponese, o semplicemente curioso di scoprire le connessioni tra questi due mondi, esplorare il significato del termine kamusari e il mito di Izanami e Izanagi offre un viaggio affascinante nel cuore della storia, della spiritualità e dell’immaginario nipponico.

    Kamusari è molto più di un semplice attacco potente in One Piece; è un termine carico di storia e significato, che ci collega direttamente ai miti fondativi del Giappone.







  • L’animismo latente del Giappone moderno

    L’animismo latente del Giappone moderno

    Dal mio punto di vista di straniero che vive in Giappone, uno degli aspetti più affascinanti e sottili della cultura di questo paese è la percezione diffusa di una sorta di “presenza” nel mondo naturale e persino negli oggetti. Questa sensibilità, che affonda le radici in quello che potremmo definire animismo, sembra permeare l’ambiente in un modo che contrasta fortemente con le tradizioni monoteistiche o il secolarismo più marcato di molte culture occidentali. Non si tratta di un’adesione dogmatica a credenze antiche, ma piuttosto di un’attitudine, un residuo culturale che continua a manifestarsi in pratiche quotidiane.

    Kami, l’immanenza del divino

    Fonte: Wikipedia

    Lo shintoismo (神道), che non definirei propriamente una religione ma una sorta di via, di condotta indigena del Giappone, è intrinsecamente legato a questa visione del mondo. Come spiegò Motoori Norinaga (本居 宣長), eminente studioso del periodo Edo, il concetto di kami (神) non si limita a divinità antropomorfe, ma si estende a tutto ciò che ispira un senso di meraviglia, timore o rispetto – montagne, fiumi, alberi maestosi, fenomeni naturali, persino rocce dalla forma insolita. La sua analisi del Kojiki (古事記), la più antica cronaca giapponese, rivela una cosmologia dove il divino non è trascendente e separato, ma immanente nel mondo circostante. Questa definizione cosi ampia di kami, come “tutto ciò che possiede una qualità eccellente fuori dall’ordinario o che è fonte di timore reverenziale”, getta le basi per una comprensione animistica della realtà.

    Yanagita Kunio e il mondo spirituale

    Fonte: Wikipedia

    Il padre degli studi folcloristici giapponesi (minzokugaku – 民俗学), Yanagita Kunio (柳田 國男), ha documentato meticolosamente come le comunità rurali vivessero in simbiosi spirituale con il loro ambiente. Nei suoi scritti, come quelli raccolti in Tōno Monogatari – (遠野物語), emerge un mondo popolato da spiriti della montagna, spiriti dell’acqua, e una miriade di yōkai, tutti esseri soprannaturali legati a luoghi specifici. Yanagita ha sottolineato come la venerazione degli antenati e degli spiriti locali fosse fondamentale per l’identità e il benessere della comunità. Non si trattava solo di credenze astratte, ma di pratiche che regolavano il rapporto con la terra, le foreste e i corsi d’acqua, viste non come risorse inerti ma come entità viventi.

    I Marebito

    Fonte: Wikipedia

    Un altro gigante del minzokugaku, Origuchi Shinobu (折口 信夫), discepolo di Yanagita, ha introdotto il concetto di marebito (稀人), divinità che si crede giungono periodicamente dal tokoyo (常世), un aldilà mitico, portando benedizioni o rinnovamento. Questa idea, esplorata nei suoi studi sulla letteratura e sui rituali antichi, suggerisce una continua interazione tra il mondo umano e quello spirituale, spesso mediata da elementi naturali o luoghi sacri che fungono da ponte. Il concetto di marebito stesso veicola l’idea che forze spirituali esterne, spesso legate alla natura o agli antenati, influenzino attivamente la vita umana.

    Una sensibilità che permane: L’animismo nel Giappone contemporaneo

    Oggi, nel Giappone urbanizzato del 2025, si potrebbe pensare che questa visione animistica sia scomparsa. Pochi, forse, affermerebbero apertamente di credere che un albero o una roccia abbiano un’anima senziente nel senso letterale del termine. Eppure, osservando da vicino, si scopre che questa sensibilità non è svanita, ma si è trasformata, rimanendo latente in numerose pratiche e atteggiamenti. È diventata parte del “codice culturale” giapponese, spesso un modo quasi inconscio di interagire con il mondo.

    Rituali e pratiche che Riflettono l’antica sensibilità

    Questa persistenza si manifesta in diversi riti ancora oggi praticati:

    Jichinsai (地鎮祭)

    La cerimonia di purificazione del terreno prima di iniziare una costruzione. Si invoca il kami locale della terra per chiedere il permesso di costruire e garantire la sicurezza del progetto. È un chiaro residuo della credenza negli spiriti legati a luoghi specifici.

    Fonte: wikipedia

    Kamidana (神棚)

    Il piccolo altare shintō presente in molte case e negozi, dedicato ai kami protettori della famiglia o dell’attività. Mantenere un kamidana implica un riconoscimento continuo della presenza e dell’influenza dei kami nella vita quotidiana.

    Foto dell’autore

    Omamori (お守り)

    Gli amuleti protettivi acquistati presso templi e santuari per scopi specifici (sicurezza stradale, successo negli esami, salute). L’efficacia percepita dell’amuleto deriva dal potere spirituale del luogo sacro (e quindi del kami) infuso nell’oggetto.

    Piccole offerte spontanee

    È comune vedere monete, bevande o piccoli oggetti lasciati presso alberi secolari contrassegnati da una corda sacra detta shimenawa – (注連縄), rocce particolari, o piccoli santuari ai bordi delle strade, gli hokora – (祠). Questi gesti spontanei indicano un rispetto istintivo per la potenziale sacralità del luogo o dell’oggetto naturale.

    Foto dell’autore

    Cerimonie di “ringraziamento” per oggetti

    Esistono cerimonie come l’hari-kuyō (針供養) per gli aghi da cucito rotti o il ningyō-kuyō (人形供養) per le bambole che non si usano più. Sebbene spesso influenzate dal Buddismo, queste pratiche nascondono una sensibilità animistica sottostante: l’idea che anche oggetti inanimati, attraverso l’uso, nel caso degli aghi, o l’affezione nel caso delle bambole, acquisiscano una sorta di “spirito” e meritino rispetto alla fine del loro “servizio”.

    Rituali di purificazione (Oharai – お祓い)

    L’uso del sale per purificare spazi o persone, o l’impiego di bacchette rituali (ōnusa – 大幣) nei santuari, mirano a rimuovere impurità spirituali conosciute come kegare – (穢れ), presupponendo l’esistenza di forze invisibili positive e negative.

    Fonte: Wikipedia – ōnusa

    Un legame silenzioso

    In conclusione, la mia percezione da straniero è che l’animismo in Giappone non sia un capitolo chiuso della sua storia religiosa. Sebbene la sua manifestazione esplicita si sia attenuata con la modernizzazione, esso sopravvive in forma latente, intrecciato nel tessuto delle pratiche culturali, dei rituali e di un’innata attitudine di rispetto verso il mondo naturale e persino materiale. È questa persistenza silenziosa, spesso involontaria, più sentita che apertamente dichiarata, a contribuire in modo significativo a quell’atmosfera unica che molti stranieri percepiscono in Giappone, un ricordo costante della profonda connessione tra l’umano, il naturale e lo spirituale.

  • Kasumi – la foschia primaverile

    Kasumi – la foschia primaverile

    Ogni mattina, alle cinque, quando l’aria è ancora fresca e il mondo è ancora sospeso tra il sonno e la veglia, la mia corsa mi porta tra le risaie. E lì, quasi ogni giorno in questa stagione primaverile, si manifesta uno spettacolo silenzioso: una striscia densa di nebbia, un fiume bianco e ovattato che galleggia compatto sopra le risaie, come un segreto custodito appena sopra il livello della terra ancora a riposo.

    Non è una foschia diffusa, ma una presenza definita, quasi solida nella sua evanescenza. È come se la terra stessa esalasse un respiro visibile nel fresco dell’alba. Questo velo basso non nasconde il paesaggio, ma crea una divisione netta: sotto, il mondo concreto della terra, sopra, questo strato impalpabile che sembra appartenere a un’altra dimensione.

    Vedere questa scena ogni mattina è diventato quasi un rito, un incontro con qualcosa profondamente radicato nello spirito giapponese. La nebbia (霧, kiri) e la foschia primaverile (霞, kasumi) non sono semplici fenomeni meteorologici in Giappone; ma sono considerate come manifestazioni con propri significati estetici e spirituali.

    Nella cultura giapponese, la nebbia e la foschia sono spesso associate all’impermanenza delle cose, alla bellezza fugace e malinconica descritta dal concetto di mono no aware. È un elemento che sfuma i contorni, che nasconde e rivela allo stesso tempo, invitando alla contemplazione di ciò che non è immediatamente visibile. Rappresenta l’ambiguità, il mistero, lo spazio tra il reale e l’immaginario.

    Pensando alla storia e agli aneddoti, la nebbia ha spesso giocato ruoli cruciali, sia reali che simbolici. Nelle antiche cronache e leggende, montagne avvolte nella nebbia sono spesso considerate dimore dei kami, luoghi sacri dove il mondo umano e quello divino si toccano. La nebbia può essere un passaggio, un portale verso l’ignoto o il soprannaturale. Non sorprende che nell’arte tradizionale, come nel sumi-e (pittura a inchiostro), la nebbia sia resa magistralmente con spazi vuoti e sfumature delicate, suggerendo profondità e atmosfera, lasciando all’osservatore il compito di riempire quegli spazi con la propria immaginazione. Questo richiama il concetto estetico di yūgen, una bellezza profonda e misteriosa, suggerita più che mostrata.

    La foschia primaverile, kasumi, è un kigo (parola stagionale) classico nella poesia haiku e waka, evocando la dolcezza e la transitorietà della primavera, un velo leggero che ammorbidisce il paesaggio e i sentimenti.

    Storicamente, la nebbia ha avuto anche implicazioni pratiche e talvolta decisive. Si narra di battaglie in cui la nebbia ha nascosto eserciti, creato confusione o permesso ritirate strategiche, diventando quasi un attore invisibile sul campo. 

    Quella striscia di nebbia che vedo non è solo vapore acqueo condensato a causa della differenza di temperatura tra la terra umida delle risaie e l’aria più fredda sovrastante. È un confine impalpabile tra notte e giorno, tra il visibile e l’invisibile. È il respiro della terra che si prepara a un nuovo ciclo vitale, avvolto in un mistero che la cultura giapponese ha sempre saputo osservare, rispettare e trasformare in arte e poesia. Correre lì, in quel momento, è come attraversare brevemente un dipinto vivente, un haiku visivo che racchiude l’essenza fugace e profonda della natura e dello spirito giapponese. È un promemoria silenzioso che le cose più belle sono spesso quelle sospese tra la chiarezza e l’oscurità, proprio come quella nebbia sospesa sulle risaie all’alba.

  • Zekken

    Zekken

    Il primo zekken di mio figlio è pronto!

    Di sicuro vi sarà capitato di vedere foto, video, manga o anime che avevano come oggetto le feste sportive che si svolgono durante l’anno scolastico in Giappone, i famosi undōkai (運動会)? Tra le corse sfrenate, il tifo da stadio dei genitori e i giochi di squadra, avrere forse notato un dettaglio particolare sulle divise da ginnastica degli studenti: un pezzo di stoffa bianca, di solito rettangolare, cucito sul petto e sulla schiena, con sopra delle scritte fatte a mano con il pennarello nero. Ecco, quello è lo zekken (ゼッケン)!

    Ma cos’è esattamente e a cosa serve?

    Immagina di essere un insegnante durante l’ora di educazione fisica o, peggio ancora, durante il caos colorato e festoso dell’undōkai, con centinaia di studenti che corrono in ogni direzione. Come fai a riconoscere subito chi è chi? Semplice: guardi lo zekken!

    Lo zekken è fondamentalmente un’etichetta di riconoscimento in tessuto. Solitamente riporta informazioni essenziali come:

    Il cognome dello studente: scritto bello grande, spesso in caratteri katakana o hiragana per facilitare la lettura.

    La classe e la sezione: ad esempio mio figlio  “1年1組” (1-nen 1-gumi), che significa “Classe 1 del 1° anno”.

    A volte, viene scritto anche il nome della scuola.

    Viene attaccato (spesso cucito con pazienza dai genitori all’inizio dell’anno scolastico, o talvolta fissato con spille di sicurezza) sulla divisa da ginnastica, la taisō-fuku (体操服). La sua funzione principale è proprio questa: identificare lo studente in modo rapido ed efficace. È utilissimo per gli insegnanti per chiamare gli studenti, per l’organizzazione delle squadre durante i giochi, per segnare i punteggi e, non meno importante, per questioni di sicurezza. È un po’ come il numero che gli atleti portano sulla schiena durante una gara, ma personalizzato con il nome e la classe.

    Un po’ di storia

    La sua introduzione e diffusione nelle scuole giapponesi è legata principalmente al periodo del dopoguerra. Con la standardizzazione del sistema educativo e la costruzione di nuove scuole, si rese necessario un metodo pratico ed economico per gestire e identificare un gran numero di studenti durante le attività fisiche di massa. Lo zekken si rivelò una soluzione semplice ed efficiente per mantenere l’ordine e garantire che ogni studente fosse riconoscibile. Permetteva agli insegnanti di avere un controllo migliore e facilitava l’organizzazione di eventi su larga scala come l’undokai.

    Oggi, lo zekken è una parte integrante e quasi scontata dell’esperienza scolastica giapponese legata all’attività fisica. Anche se può sembrare un dettaglio minore, svolge un ruolo pratico fondamentale. È un piccolo pezzo di stoffa che racchiude una grande necessità organizzativa, testimone silenzioso di innumerevoli lezioni di ginnastica, corse nei sacchi, staffette e giornate di sport sotto il sole!

  • Haru – Primavera

    Haru – Primavera

    Da straniero che vive in Giappone e che osserva le tradizioni di questo paese, trovo affascinante come la celebrazione della primavera si sia evoluta. In passato, specialmente durante il periodo Nara (710-794), l’aristocrazia giapponese, influenzata dalle usanze cinesi, celebrava l’arrivo della primavera ammirando i fiori di pruno. Questi fiori sbocciano presto, tra febbraio e marzo, quando l’aria è spesso ancora fredda, e simboleggiano la perseveranza e la fine dell’inverno, più che l’inizio pieno della primavera. Erano queste le prime feste di hanami (osservazione dei fiori).

    Con il passare del tempo, soprattutto durante il periodo Heian (794-1185), l’attenzione si spostò gradualmente verso i fiori di ciliegio (sakura). I sakura, con la loro fioritura spettacolare ma effimera tra la fine di marzo e gli inizi di aprile, vennero associati alla bellezza fugace della vita, un concetto profondamente radicato nell’estetica giapponese. Storicamente, quindi, mentre i pruni annunciano che l’inverno sta finendo, sono i ciliegi che accompagnano l’arrivo della primavera vera e propria, con le sue temperature più miti e la sua atmosfera di rinnovamento.

    Questa preferenza per i sakura si consolidò e divenne popolare tra tutte le classi sociali durante il periodo Edo (1603-1867), quando, grazie allo shōgun Tokugawa Yoshimune, furono piantati molti ciliegi in aree pubbliche per permettere a tutti di godere dello spettacolo. Oggi, l’usanza dell’hanami sotto i ciliegi è una festa nazionale sentitissima, con picnic, feste e celebrazioni in parchi e giardini in tutto il paese. È interessante notare come questo periodo coincida anche con l’inizio dell’anno scolastico e fiscale in Giappone, ad aprile, legando ulteriormente la fioritura dei sakura a un senso di nuovo inizio, un evento storico-culturale che si ripete ogni anno. Per chi viene da fuori, è un’immersione incredibile in secoli di storia, estetica e connessione con la natura.

  • Primo giorno di scuola

    Primo giorno di scuola

    Capita spesso, vivendo qui in Giappone, di imbattersi in situazioni o momenti che ti permettono di aprire la mente verso una comprensione più profonda della cultura di questo paese. Oggi, accompagnando mio figlio alla cerimonia di ingresso alla scuola elementare, ho sentito di nuovo quella sensazione. Non era solo l’emozione di vedere il proprio figlio varcare una nuova soglia, era qualcosa di più vasto, che andava dritto al significato collettivo di questi eventi tipici della società giapponese.

    Queste cerimonie, che si tratti dell’ingresso ad un nuovo ciclo scolastico (dall’asilo all’università) o dell’inizio di un nuovo lavoro, non sono semplici eventi formali o un modo un po’ più strutturato di iniziare ma sono veri e propri riti di passaggio, momenti carichi di simbolismo che segnano in modo indelebile l’inizio di una nuova fase della vita, non solo per l’individuo ma anche per la sua collocazione all’interno della comunità.

    In una cultura dove il gruppo e l’armonia collettiva rivestono un’importanza cruciale, queste cerimonie rappresentano l’accoglienza ufficiale dell’individuo in una nuova collettività: la classe, la scuola, l’azienda. È un momento in cui si viene formalmente presentati e accettati, e allo stesso tempo, si accetta implicitamente di aderire alle regole, ai valori e agli obiettivi di quel determinato gruppo. La formalità stessa dell’evento – gli abiti dei genitori e dei nuovi studenti o  impiegati, i discorsi del preside o dell’amministratore delegato, l’inno della scuola o dell’azienda, la disposizione ordinata dei partecipanti – sottolinea la serietà di questo ingresso. Non è un atto casuale, ma un impegno reciproco.

    Per un bambino che inizia le elementari, la cerimonia di ingresso è il momento in cui smette di essere solo un bambino e diventa ufficialmente uno studente, con le responsabilità che ne derivano: ascoltare l’insegnante, rispettare le regole della scuola, impegnarsi nello studio, far parte di una classe. È un messaggio potente, comunicato attraverso il rituale della cerimonia di ingresso, che prepara mentalmente non solo il bambino ma anche la sua famiglia a questo cambiamento di status. Allo stesso modo, per un neolaureato che partecipa alla la cerimonia di ingresso in un’azienda, sancisce la fine del suo percorso formativo e l’ingresso nel mondo del lavoro come membro della società (社会人, shakaijin), con l’aspettativa di contribuire attivamente all’azienda e, più in generale, alla società stessa.

    Questi eventi servono anche a creare un forte senso di appartenenza e di inizio condiviso. Tutti i bambini della classe di mio figlio, tutti i nuovi assunti nella mia azienda, iniziano insieme quel giorno, segnato dalla stessa cerimonia. Questo crea un legame, un punto di partenza comune che rafforza l’identità del gruppo. I discorsi che vengono pronunciati non sono solo parole di benvenuto; spesso contengono esortazioni all’impegno, alla perseveranza, alla collaborazione, ribadendo i valori fondamentali che la scuola o l’azienda intendono promuovere.

    Vedere oggi mio figlio seduto composto tra i suoi nuovi compagni, ascoltare le parole del preside, mi ha fatto pensare a quanto questi rituali siano profondamente radicati nel tessuto sociale giapponese. Non sono solo tradizioni, ma meccanismi culturali che servono a scandire il tempo della vita, a dare struttura ai passaggi importanti, a rafforzare il senso di comunità e a preparare psicologicamente gli individui ai loro nuovi ruoli. È un modo solenne e collettivo per dire “Benvenuto, ora fai parte di noi, questo è un nuovo inizio, ed è una cosa importante”. E in quella solennità, c’è tutto il peso e il valore che la cultura giapponese attribuisce a ogni nuova tappa del cammino.

  • L’arte della scusa

    L’arte della scusa

    Comprendere shazai e shazai kaiken nella cultura giapponese

    In Giappone, l’atto di scusarsi, noto come shazai – 謝罪 -, trascende la semplice ammissione di colpa. È un complesso rituale sociale intriso di significati culturali profondi, che mira a ripristinare l’armonia, mostrare responsabilità e mantenere le relazioni sociali. Quando un errore o uno scandalo coinvolge figure pubbliche o aziende, questo atto assume spesso la forma altamente formalizzata della shazai kaiken -謝罪会見-, letteralmente, “la conferenza stampa di scuse”. Comprendere questi fenomeni offre una finestra unica sulla mentalità e sui valori della società giapponese.

    Shazai, oltre le semplici scuse

    Lo shazai non è solo dire “mi dispiace”. Implica un riconoscimento della responsabilità per l’inconveniente causato ad altri mista a un’espressione di rimorso sincero. L’obiettivo primario non è necessariamente ottenere il perdono immediato, quanto piuttosto dimostrare di comprendere la gravità della situazione, di assumersene la responsabilità e di voler riparare il danno, ripristinando così l’armonia all’interno del gruppo o della società.

    Shazai in giapponese è il termine ombrello per “scusa”. Comprende un’ampia gamma di espressioni e azioni, da un semplice “scusa” verbale come ad esempio – gomennasai o sumimasen -, a un inchino più o meno profondo, fino a scuse formali scritte o pubbliche – shazai kaiken -. L’obiettivo è riconoscere un errore, esprimere rimorso e ripristinare l’armonia.

    Le scuse in Giappone sono spesso accompagnate da un linguaggio del corpo specifico, in particolare l’inchino – ojigi – (お辞儀). La profondità e la durata dell’inchino comunicano il livello di rimorso e rispetto. In situazioni formali o gravi, l’inchino può essere molto profondo e prolungato.

    Dogeza: la forma estrema di scuse

    Esiste una correlazione molto forte tra shazai e dogeza (土下座). Si può dire che il dogeza è la forma più estrema e umiliante di shazai.

    Dogeza si riferisce specificamente all’atto di inginocchiarsi direttamente a terra e piegarsi in avanti fino a toccare (o quasi toccare) il suolo con la fronte. È un gesto di massima sottomissione, umiltà e spesso disperazione. Storicamente, era usato per mostrare estremo rispetto verso persone di rango molto elevato (come il daimyō o lo shōgun) o, più comunemente, come atto di supplica disperata o di scusa per una colpa gravissima, implorando perdono o pietà.

    Il dogeza è considerato il livello più alto e più intenso di shazai. È una manifestazione fisica estrema del rimorso e della volontà di umiliarsi completamente di fronte alla parte offesa o all’autorità. Mentre uno shazai standard mira a mostrare responsabilità e sincerità, il dogeza va oltre: ci si spoglia del proprio status e della propria dignità per esprimere la profondità del pentimento o l’urgenza di una richiesta.

    Oggi, il dogeza non è comune nella vita quotidiana ed è spesso visto come eccessivamente drammatico o addirittura umiliante se non assolutamente giustificato dalla gravità estrema della situazione. Vederlo in pubblico è raro. Può apparire in fiction (manga, anime, film, drama) per sottolineare la gravità di una situazione o il carattere di un personaggio. In casi reali di scandali aziendali o crisi gravissime (ad esempio, incidenti con vittime causati da negligenza), anche se non comune, la pressione pubblica o il senso di colpa potrebbero spingere una persona a compiere un gesto simile, ma è spesso percepito negativamente e spesso troppo “spettacolare”. Forzare qualcuno a fare dogeza è anche considerato un atto di bullismo o abuso di potere.

    In sintesi, il dogeza è una forma specifica ed estrema di shazai, rappresentando il massimo grado di scusa e sottomissione nella cultura giapponese, riservato a circostanze eccezionalmente gravi e carico di un forte peso storico e culturale. Non è un’alternativa quotidiana a un normale inchino o a scuse verbali, ma l’espressione ultima di pentimento o supplica.

    Shazai kaiken: le scuse pubbliche

    La shazai kaiken (謝罪会見) è un evento mediatico distintivo del Giappone moderno. Si verifica tipicamente quando un’azienda, un politico o una celebrità è coinvolta in uno scandalo, un errore grave o un incidente che ha avuto un impatto pubblico significativo (frodi, difetti di prodotto, dichiarazioni inappropriate, ecc.).

    Queste conferenze stampa seguono spesso un copione quasi ritualistico:

    • Ambientazione solenne: i responsabili appaiono sempre vestiti in abiti scuri e formali.
    • Scuse e inchino: la conferenza inizia quasi invariabilmente con profonde e lunghe scuse formali e un inchino collettivo verso le telecamere e i giornalisti presenti.
    • Spiegazione del fatto: viene fornita una spiegazione dell’accaduto, spesso molto vaga, a volte focalizzata più sull’impatto che sulle cause profonde, e si esprime profondo rammarico.
    • Assunzione di responsabilità: viene dichiarata l’assunzione di responsabilità, spesso accompagnata da promesse di azioni correttive, indagini interne e misure per prevenire il ripetersi dell’errore. A volte, questo include le dimissioni dei vertici.
    • Domande dei media: segue una sessione di domande e risposte con i giornalisti, spesso molto tesa.
    Fonte: Asahi-shinbun. Foto delle scuse pubbliche di Fuji Television

    Origini e motivazioni

    Le radici dello shazai possono essere collegate a diversi aspetti culturali e storici del Giappone:

    • Shūdan shugi (集団主義 – la culture del gruppo): nella società giapponese, l’individuo è visto come parte integrante di un gruppo (famiglia, azienda, comunità). Le azioni di un singolo membro si riflettono sull’intero gruppo. Scusarsi pubblicamente serve a mitigare il danno alla reputazione del gruppo e a mostrare che il gruppo stesso prende sul serio l’errore.
    • Armonia sociale: mantenere l’armonia è un valore cardine. Un errore o uno scandalo rompe questa armonia. Lo shazai reppresenta quindi un meccanismo fondamentale per riconoscerne la rottura e iniziare il processo di riparazione.
    • Sekinin (責任 – responsabilità ): c’è una forte enfasi sull’assunzione di responsabilità, anche se simbolica. La shazai kaiken è una dimostrazione pubblica di questa assunzione.
    • Preservare il proprio onore: anche se uno scandalo causa una perdita di “faccia”, una scusa pubblica eseguita correttamente, mostrando sincerità e rimorso, può essere vista come un passo necessario per iniziare a ricostruire la fiducia e limitare ulteriori danni alla reputazione.

    Le motivazioni principali dietro una shazai kaiken includono:

    • Placare l’opinione pubblica e i media.
    • Mostrare rimorso e responsabilità ai clienti, agli stakeholder e alla società stessa.
    • Tentare di ripristinare la fiducia persa.
    • Soddisfare un’aspettativa sociale quasi ritualistica per la gestione delle crisi.
    • Limitare i danni economici e reputazionali a lungo termine.

    Fattore culturale

    Le pratiche di shazai e shazai kaiken sono profondamente intrecciate con la cultura giapponese:

    • Importanza della forma: Il modo in cui le scuse vengono presentate è cruciale quanto il contenuto. La formalità, l’abbigliamento, il linguaggio del corpo (specialmente l’inchino) e il tono devono trasmettere sincerità e gravità.
    • Distinzione tra tatemae e honne: tatemae (建前) è il comportamento e le opinioni espresse in pubblico, mentre honne (本音) sono i veri sentimenti interiori. La shazai kaiken è un chiaro esempio di tatemae, dove l’espressione pubblica di rimorso e responsabilità è fondamentale, indipendentemente dai sentimenti reali o dalle strategie interne. L’importante è che l’atto pubblico sia eseguito in modo convincente.
    • Pressione sociale: esiste una forte pressione sociale affinché individui e organizzazioni si scusino pubblicamente in caso di errori significativi. Non farlo può portare a critiche ancora più aspre e a un danno reputazionale maggiore.

    Critiche e complessità

    Nonostante la loro importanza culturale, le shazai kaiken sono talvolta criticate. Alcuni le vedono come performance superficiali, più concentrate sul rituale che su un reale cambiamento o su un’effettiva assunzione di responsabilità. A volte, le spiegazioni fornite sono percepite come evasive. Inoltre, la pressione mediatica e pubblica può trasformare queste conferenze in spettacoli umilianti, sollevando interrogativi sull’equilibrio tra responsabilità e dignità umana.

    Origini storiche dello shazai

    Lo shazai non è nato in un momento storico preciso, ma è il risultato di una lunga evoluzione culturale e sociale. Le sue radici affondano nelle antiche credenze shintoiste sull’armonia comunitaria e sulla necessità di purificare le impurità, nell’etica confuciana che enfatizza la responsabilità e l’ordine sociale, e nella filosofia buddista sul pentimento e la redenzione.

    Sebbene le tracce dirette del termine shazai e delle sue forme moderne potrebbero non essere esplicite in testi antichi, i principi sottostanti di riconoscimento della colpa, espressione di rimorso e tentativo di ripristinare l’armonia sono presenti fin dalle prime fasi della storia giapponese. L’evoluzione di queste idee e pratiche nel corso dei secoli ha portato alla complessa e significativa tradizione dello shazai che osserviamo oggi.

    Conclusione

    Lo shazai e la shazai kaiken sono molto più che semplici scuse. Sono pratiche sociali complesse che riflettono valori giapponesi fondamentali come l’importanza del gruppo, il mantenimento dell’armonia, il concetto di responsabilità e l’attenzione alla forma. Sebbene possano apparire eccessivamente ritualistiche a un osservatore esterno, esse svolgono una funzione cruciale nel tessuto sociale giapponese per gestire crisi, riaffermare norme sociali e avviare il processo di riparazione della fiducia. Comprendere questi atti significa comprendere un aspetto essenziale della comunicazione e della cultura del Giappone.


  • Perché in Giappone l’anno fiscale Inizia in aprile?

    Perché in Giappone l’anno fiscale Inizia in aprile?

    In Giappone, il passaggio da marzo ad aprile segna l’inizio di un nuovo “nendo” (年度), ovvero un nuovo anno fiscale. A differenza dell’anno solare che inizia a gennaio, il periodo fiscale giapponese prende il via il 1° aprile per concludersi il 31 marzo dell’anno successivo. Questa singolare tempistica affonda le sue radici in una storia che continua a influenzare profondamente la cultura, l’economia e le dinamiche aziendali del paese.

    Radici storiche: tra tasse e bilanci

    La ragione principale per cui l’anno fiscale giapponese inizia in aprile risiede nella storia finanziaria del paese durante la Restaurazione Meiji (1868-1912). L’istituzione di un anno fiscale standardizzato fu un processo tutt’altro che lineare, caratterizzato da diversi tentativi e sperimentazioni. Inizialmente, nel 1869, l’anno fiscale cominciava in ottobre. Seguì un breve periodo, nel 1873, in cui il governo tentò di allinearlo al calendario gregoriano facendolo iniziare a gennaio. Tuttavia, nel 1875, la data di inizio fu nuovamente spostata a luglio per coincidere con il periodo di pagamento della tassa fondiaria, all’epoca una fonte cruciale di entrate per il governo.

    La svolta definitiva verso aprile avvenne nel 1886. Di fronte a crescenti spese militari e a un deficit di bilancio, il Ministro delle Finanze, Masayoshi Matsukata (松方 正義), implementò una politica che prevedeva l’utilizzo di parte del budget dell’anno fiscale successivo per coprire le carenze dell’anno in corso. Per prevenire problemi futuri nella gestione finanziaria, il governo cambiò legalmente l’inizio dell’anno fiscale ad aprile. Questa modifica, unita all’accorciamento dell’anno fiscale del 1885 a nove mesi, permise un allineamento più fluido tra entrate e uscite, riducendo efficacemente il deficit.

    Inoltre, con il passaggio in Giappone dalla riscossione della tassa fondiaria in riso al pagamento in denaro durante l’era Meiji, l’inizio del nuovo anno fiscale ad aprile, permise agli agricoltori di raccogliere e vendere il riso e pagare le tasse prima dell’inizio del nuovo anno fiscale. Ciò fornì anche al governo un periodo definito per compilare il bilancio sulla base delle entrate fiscali ricevute.

    Impatto culturale

    L’inizio dell’anno fiscale in aprile si è profondamente radicato nella cultura giapponese. Si allinea con diversi eventi significativi della vita delle persone creando così anche un senso di rinnovamento.

    • Anno scolastico: anche l’anno accademico, dalle elementari alle università, inizia ad aprile. Questa sincronizzazione con l’anno fiscale è in parte dovuta ai sussidi governativi e alle direttive per allineare i cicli educativi e finanziari.
    • Impiego: la pratica di assumere in blocco i neolaureati, conosciuta come “shinsotsu-ikkatsu-saiyō” (新卒一括採用), è molto diffusa in Giappone. Questi nuovi assunti entrano tipicamente nelle aziende all’inizio del nuovo anno fiscale in aprile, segnando una tappa significativa nella loro vita e carriera.
    • Sentimento generale della popolazione: aprile è spesso associato a nuovi inizi, proprio come gennaio in altre culture. L’inizio dell’anno fiscale e accademico contribuisce a questa sensazione di ripartenza, con persone che intraprendono nuovi percorsi educativi o professionali.

    Implicazioni economiche

    L’anno fiscale da aprile a marzo fornisce la struttura per la pianificazione e la rendicontazione finanziaria del governo giapponese. Il bilancio nazionale viene formulato ed eseguito in base a questo ciclo. Questo allineamento consente un monitoraggio coerente delle entrate e delle uscite, facilitando un’efficace gestione economica.

    Inoltre, molte aziende giapponesi, in particolare le grandi multinazionali, adottano questo anno fiscale per le loro operazioni commerciali. Questo allineamento con il ciclo fiscale del governo può essere vantaggioso per le aziende che operano con enti del settore pubblico o che dipendono da politiche governative. Garantisce coerenza nella rendicontazione e nella pianificazione finanziaria tra il settore pubblico e quello privato.

    Tradizione e cambiamenti globali

    Tradizionalmente, un numero significativo di aziende giapponesi ha allineato l’inizio del proprio anno commerciale con il nuovo anno fiscale. Ciò consente un confronto più agevole con le statistiche governative e facilita interazioni più fluide con gli organismi di regolamentazione.

    Tuttavia, con la crescente globalizzazione, alcune aziende giapponesi stanno spostando il loro anno fiscale al ciclo gennaio-dicembre per allinearsi agli standard internazionali e alle pratiche delle loro controparti globali. Questa tendenza è particolarmente evidente nelle aziende con significativi interessi all’estero, in quanto semplifica la rendicontazione e i confronti finanziari internazionali. Nonostante questo cambiamento, l’anno fiscale che inizia ad aprile rimane una caratteristica dominante del panorama economico giapponese.

    L’inizio dell’anno fiscale giapponese in aprile è una caratteristica unica profondamente radicata nelle riforme finanziarie dell’era Meiji. Ha plasmato non solo la struttura economica del paese, ma anche i suoi ritmi culturali, influenzando la tempistica degli anni accademici e delle pratiche di assunzione. Mentre la globalizzazione sta spingendo alcune aziende a riconsiderare questa tradizione, il “nendo” continua a rivestire una significativa rilevanza culturale ed economica in Giappone, rappresentando una combinazione di eredità storica e pratiche commerciali globali in evoluzione.

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