Sōkō (霜降), il diciassettesimo dei nijūshisekki (二十四節気), o 24 termini solari, ha fatto il suo ingresso in Giappone marcando l’inizio del periodo più freddo dell’anno. Ieri mattina il general manager dell’ azienda dove lavoro ha concluso la riunione mattutina dicendo:
霜降に入り、朝は気温がぐっと下がりましたので、ご自身野体管理には十分にお気をつけて下さい。
Siamo entrati nel sōkō e come avrete percepito, questa mattina la temperatura è scesa bruscamente. Vi prego di prestare particolarmente attenzione agli sbalzi di temperatura e di proteggervi adeguatamente
Il termine sōkō, ricco di connotazioni poetiche, evoca l’immagine della brina che scende dal cielo, avvolgendo la natura in un candido manto. Questo fenomeno, preceduto da Kanro, simboleggia il ciclo continuo di trasformazione e rinnovamento della natura.
Il preludio dell’ inverno
Sōkō, avvolge il mondo in un candido abbraccio, annunciando l’arrivo del primo gelo. Questo periodo, che solitamente si estende da metà ottobre a inizio novembre, è caratterizzato dalla delicata formazione della brina, che trasforma il paesaggio in un’opera d’arte invernale. Le date esatte di inizio e fine di questo periodo possono variare leggermente a causa dei complessi calcoli astronomici che regolano il calendario.
Il termine sōkō può riferirsi sia al giorno preciso in cui la brina fa la sua comparsa, avvolgendo il paesaggio di un candido manto, sia all’intero periodo che precede il solstizio d’inverno. Preceduto da kanro (寒露), caratterizzato da una rugiada gelida, e seguito da rittō (立冬), che sancisce l’inizio ufficiale della stagione invernale, sōkō costituisce un punto di riferimento fondamentale nella cultura giapponese, guidando da secoli le attività agricole e scandendo il ritmo della vita.
Sōkō e le sue micro-stagioni
Come tutti i 24 termini solari anche sōkō è suddiviso in tre micro-stagioni della durata si cinque giorni ciascuna.
La stagione della prima prima brina
Shimo hajimete furo (霜初降), letteralmente la “stagione della prima brina”, indica il momento in cui il delicato tocco della stagione invernale inizia ad adornare il paesaggio, particolarmente nelle regioni montuose e nelle campagne segnando un momento di cautela per agricoltori. L’immagine della “prima brina”, hatsu-shimo (初霜) è da sempre un tema amato nella poesia haiku, simboleggiando l’inizio dell’inverno.
La stagione delle pioggerelle
Kosametokidoki furu (霎時施). Un’espressione che evoca le pioggerelle, leggere e fugaci, tipiche di questo periodo dell’anno. Il termine kosame si riferisce a una precipitazione tenue e di breve durata, spesso associata alle fresche brezze autunnali. Queste piogge, cadendo con delicatezza, contribuiscono al graduale calo delle temperature, segnando il passaggio verso le stagioni più fredde.
Questo fenomeno meteorologico ha ispirato poeti e artisti nel corso dei secoli. Ricco di sfumature, evoca l’atmosfera malinconica e suggestiva tipica dell’autunno giapponese.
Il foliage autunnale
Momoji tsutaki bamu (楓蔦黄). Un periodo di transizione ricco di fascino. La natura, con la sua maestria artistica, trasforma le montagne in un tripudio di colori, invitando alla contemplazione e alla riflessione. Le montagne si trasformano in una tavolozza di colori vivaci, con le foglie dei kaede (楓, gli aceri) ed delle tsuta (蔦, le edere) che si tingono di sfumature che vanno dal giallo al rosso intenso.
Il momijigari (紅葉狩り), un’antica pratica giapponese, ci invita ad apprezzare la bellezza effimera delle stagioni, un concetto profondamente radicato nella cultura nipponica. I poeti haiku, con la loro sensibilità unica, hanno immortalato questo momento magico, utilizzando parole come usumomoji (薄紅葉) e hatsumomiji (初紅葉) per descrivere la delicata danza tra luce e ombra sulle foglie autunnali.
La sinfonia dell’autunno: l’ultimo canto dei grilli
Il clima sta cambiando e il fresco inizia a farsi sentire, ma la sinfonia degli insetti continua a riempire l’aria. Le loro melodie, dal nitido “rin rin rin” al più rotondo “coro coro coro” e all’acuto “chiririri“, variano a seconda del luogo.
Non appena mi avvicino, la loro delicata musica si interrompe, come se percepissero la mia presenza. Tuttavia, un po’ più lontano, inizia un’altra melodia, a fare eco, quasi a segnalare la mia intrusione. Anche se invisibili, la loro esistenza è palpabile, e il tranquillo atto di ascoltare diventa un momento prezioso che mi allontana dalla frenesia della vita quotidiana.
Kirigiri suto ni ari: le micro-stagioni giapponesi
Una delle settantadue micro-stagioni, kirigiri suto ni ari (蟋蟀在戸), in italiano, “quando i grilli sono vicini alle nostre porte”, si verifica intorno al 18 ottobre ed é parte del diciassettesimo nijūshisekki (二十四節気), termine solare conosciuto come kanro (寒露). Mentre il coro degli insetti si è attenuato svanendo nel silenzio delle lunghe sere autunnali, i grilli e le loro delicate melodie persistono. Queste minuscole creature, giunte ormai alla fine delle loro brevi vite, continuano a cantare nascosti tre le erbe dei campi e i loro fragili e calmanti suoni invitano alla ricerca di calma e serenità.
Mentre le attuali 72 micro-stagioni sono state adattate per adattarsi al clima del Giappone e sono state tramandate fino ai giorni nostri, “Kirigiri su ni ari” è una delle poche che è rimasta invariata sin dalla sua introduzione dalla Cina.
Le radici cinesi della tradizione
La base per questa micro-stagione si trova nello Shikyū (詩経), considerato la più antica raccolta di poesia cinese. È un verso di una poesia che descrive l’anno di un contadino che vive secondo il calendario lunare.
七月在野
Shichigatsu-zaiya
八月在宇
Hachigatsu-zaiu
九月在戸
Kugatsu-toniari
十月蟋蟀
Jūgatsu-kirigirisu
入我牀下
Nyūgashōka
Il verso suggerisce che nel settimo mese, i grilli si trovano nei campi; nell’ottavo, sotto le grondaie; nel nono, vicino alla porta; e nel decimo, entrano nelle nostre cose in cerca di calore. Questa antica saggezza riflette l’eterna osservazione umana dei grilli che cercano calore quando il tempo diventa freddo.
Un’empatia millenaria
È spesso confortante rendersi conto che la nostra empatia per queste creature è rimasta invariata per migliaia di anni. Difficile accada a chi vive nei grandi agglomerati urbani ma chi come me vive nelle campagne giapponesi, capita spesso di trovare un grillo in casa in questo periodo dell’anno. Mia moglie, che non possiede una grande passione per gli insetti, quando ne incontra uno lo saluta sempre ringraziandolo per il suo canto.
Molti poeti cinesi del passato erano soliti inserire nelle loro poesie l’immagine di grilli stanchi che cercavano rifugio sulle soglie delle case e accanto ai letti. Questo tema fu poi introdotto in Giappone, dove i poeti giapponesi, ispirandosi ai loro omologhi cinesi, creando i propri versi che esploravano il legame umano con queste minuscole creature.
L’ultimo canto dell’autunno
Spesso è il declino, piuttosto che l’ascesa, che esercita il fascino più profondo e scuote l’animo umano nel profondo. La luna, per esempio, come racconto nel mio recente articolo sul jūsanya, è più evocativa quando è calante che quando è piena. Allo stesso modo, il canto degli insetti, quando è debole e sul punto di svanire, ha più presa dentro di noi che quando è al suo apice.
Il popolo giapponese ha sempre tenuto l’autunno in grande considerazione, in particolare l’autunno inoltrato. Infatti, troviamo una moltitudine di versi dedicati all’autunno inoltrato nella poesia giapponese. I concetti, ultimamente tanto cari al mondo occidentale, di mono no aware (una profonda sensibilità dell’impermanenza delle cose), wabi-sabi (trovare bellezza nell’imperfezione e nella transitorietà), possono essere visti anche come veri e propri inni al flusso e riflusso della condizione di tutti gli esseri viventi.
È l’ultimo canto autunnale degli insetti che ha sempre colpito la sensibilità di molti giapponesi sin dal passato. Gli insetti che sentiamo ogni giorno e spesso consideriamo fastidiosi, come le cicale durante le calde estati giapponesi, non sono sempre gli stessi, i loro canti cambiano costantemente a seconda delle circostanze che stanno vivendo.
Disclaimer: le foto presenti in questo articolo non sono di mia proprietà e sono riprese dal sito dell’ente per il turismo della città di Kyōto. Durante il mio soggiorno a Kyōto nel 2004, ho scattato tantissime foto. Dopo averle sviluppate, le ho messe via in qualche scatola che ora è in Italia
Fūsō: un’ Antica Pratica Funeraria Giapponese
Il fūsō (風葬) era un’antica pratica funeraria giapponese, particolarmente diffusa a Heiankyō (平安京, Kyōto). Si sottoponevano i corpi all’azione degli elementi, e il lento processo di decomposizione, accelerato dagli avvoltoi che si nutrivano della carne dei cadaveri, dava vita a questo pratica funeraria conosciuta anche come chōsō (鳥葬). L’inizio di un viaggio ultraterreno segnato da un profondo rispetto per il ciclo della vita e della morte, un rito che oggi ci appare straniero ma che un tempo era profondamente radicato nella cultura giapponese.
Il significato spirituale del fūsō
Questo metodo di sepoltura era considerato un modo per riconsegnare il corpo e l’anima alla natura e favorirne il passaggio nell’aldilà. Un’usanza affascinante e al tempo stesso inquietante, che ci rivela un aspetto poco noto della cultura giapponese di quel periodo e che solleva speso interessanti interrogativi sulla concezione della morte e dell’oltretomba nelle società antiche.
Heiankyō
Heian-kyō (平安京) era quella che oggi definiremo una metropoli in costante crescita, con una popolazione stimata tra i 120.000 e i 130.000 abitanti. La gestione dei defunti, in una città così densamente popolata, rappresentava una sfida sanitaria e logistica di primaria importanza. Per garantire l’igiene pubblica e preservare la sacralità dei luoghi, si decise di spostare progressivamente i cimiteri al di fuori dei confini urbani. Tuttavia, la necessità di mantenerli raggiungibili costrinse autorità e abitanti a trovare un equilibrio tra la distanza dalla città e la praticità dei riti funebri.
Toribeno, il confine tra due mondi
Sulle colline di Higashiyama (東山), piu precisamente ai piedi del monte Amidagamine (阿弥陀ヶ峰) sorgeva Toribeno (鳥辺野), una delle necropoli più estese di quel periodo. Questo luogo, ricco di storia e di significati simbolici, era considerato il confine tra il mondo terreno e l’aldilà. A testimonianza di ciò, ancora oggi a Kyōto esiste il rokudō no tsuji (六度の辻, letteralmente “l’incrocio dei sei sentieri”) segnato da due monumenti di pietra. Uno di questi si erge nei pressi rokudō chinnō-ji (六道珍皇寺, un tempio buddista) mentre l’altro è posizionato a sud-est alla base della scalinata che conduceva al Toribeno. Questi due monumenti, che delimitavano simbolicamente il confine tra il mondo dei vivi e l’aldilà, sono un’eredità del passato che ci rivela molto sulla concezione della morte e dell’aldilà nella cultura giapponese.
Toribeno, luogo di eterna quiete, ha accolto nel corso dei secoli figure di spicco della storia e della letteratura giapponese. Non solo il potente reggente Fujiwara no Michinaga (藤原道長), e la consorte imperiale Fijuwara no Sadako (藤原定子), trovarono qui la loro ultima dimora, ma anche i personaggi immortali del Genji Monogatari (源氏物語) di Murasaki Shikibu, furono destinati a riposare in questo luogo.
Kūkai e l’introduzione dei riti funerari
L’antica usanza di lasciare i corpi esposti agli elementi si trasformò radicalmente quando il saggio Kūkai, recatosi nella capitale colpita da una grave epidemia, insegnò alla popolazione locale la pratica di seppellire i morti nel terreno, per contenere l’epidemia, e a pregare per loro. A tale scopo fondò anche il Gochizanrengeji (五智山如来寺). La fondazione di questo tempio fu un punto di svolta, sancendo l’abbandono progressivo di una pratica arcaica a favore di una concezione più rispettosa della morte.
Usanze funerarie nella società di periodo Heian
Nell’antica capitale giapponese le disparità sociali si riflettevano anche nelle usanze funerarie. Mentre i nobili, a partire dal rango di sanmi (三位, il terzo rango più alto all’interno della corte) godevano di elaborate cerimonie funebri e tombe, i comuni cittadini erano limitati a sepolture più semplici e spesso collettive, a causa dei costi proibitivi della cremazione (dovuto in gran parte alla grande quantità di legna da ardere necessaria), pratica quindi nota ma ristretta ad un numero ristretto di persone.
Toribeno e lo Tsurezuregusa
Un riscontro che la cremazione fosse utilizzata anche presso il Toribeno risale al periodo Kamakura (鎌倉時代, 1185-1333), quando il saggista Yoshida Kenkō (吉田兼好), con la sua proverbiale sensibilità, immortalò nell’opera intitolata Tsurezuregusa (徒然草) il seguente verso:
あだし野の露、鳥辺野の煙
adashino no tsuyu, toribeno no kemuri
La rugiada di Adashino, il fumo di Toribeno
Adashino, che si trova non distante da Arashiyama, era un’altro grande cimitero utilizzato durante il periodo Heian e dove veniva praticato il fūsō. Si racconta che Kūkai fondò il Nenbutsuji (念仏寺) e all’interno di questo tempio fece disporre 10.000 statue del Buddha per commemorare le anime di coloro che non avevano ricevuto una degna sepoltura.
Sai no Kawara
Molte di queste sono andare distrutte, sepolte e disperse nelle zone limitrofe con il passare degli anni. A metà dell’era Meiji (1868-1912), gli abitanti della zona e i funzionari del tempio iniziarono a riunire tutte le statue all’interno del perimetro del tempio in una zona conosciuta come sai no kawara (西の河原).
Il nome di quest’area deriva da sai no kawara (賽の河原) che nell’inferno buddista, è la sponda del fiume sanzu dove le anime dei bambini morti prematuramente (水の子, mizuko) sono costrette a costruire torri di pietre come punizione per aver causato gravi sofferenze ai propri genitori. Come in un limbo questo bambini costruiscono queste torri di pietra che vengono continuamente abbattute da dei demoni fino a quando Jizō Bosatsu (地蔵菩薩) non arriva in loro aiuto salvandoli da questo supplizio.
Sentō kuyō
Tutte le statue, ad oggi se contano circa 8.000, sono collocate rivolte verso il centro dove si trova una pagoda e una stato si Amida Nyorai. Le statue sono spesso paragonate a persone attente ad ascoltare un sermone del Buddha. Ogni anno passate le celebrazione del Bon migliaia di candele vengono accese in un rituale chiamato sentō kuyō (千灯供養) durante il quale le persone si raccolgono in preghiera.
Ritornando al verso dello Tsurezuregusa si può intuire come questo voglia essere una metafora, che evoca la precarietà dell’esistenza umana. L’ immagine delle statue di pietra di Adashino, costantemente bagnate dalla rugiada, l’idea di una continua presenza della morte e dell’eterno ricordo dei defunti. La rugiada, simbolo di vita e rinascita, si contrappone alla morte rappresentata dalle statue, creando un’atmosfera di profonda malinconia e riflessione sulla transitorietà della vita.
L’immagine del fumo perenne che si alza verso il cielo da Toribeno, suggerisce l’idea di una vita che continua a bruciare, di un ciclo continuo di nascita e morte. Sottolinea l’idea che la morte è una parte integrante della vita e che la memoria dei defunti rimane viva.
Toribeno: un portale verso l’aldilà
Gli storici ritengono che la scelta di Toribeno come cimitero a Heiankyō non sia stata puramente casuale o dettata solamente da necessità logistico sanitarie, ma abbia avuto anche significati più profondi. La sua posizione geografica, a est della città, era considerata propizia per il viaggio spirituale verso la saihō jōdo (西方浄土), “la terra pura occidentale”, che Amida Nyorai insegna si trovi a “dieci miliardi di terre buddhiste a ovest del mondo degli umani”. Questa credenza, radicata nel buddismo, trasformava Toribeno in un vero e proprio portale verso l’aldilà attraverso il quale le anime potessero raggiungere la terra pura a ovest.
Toribeno e il clan Taira
L’attuale Toribeno è un vasto cimitero situato vicino al Kiyomizu-dera (清水寺). Taira no Kiyomori (平 清盛), il primo leader a stabilire un governo militare in Giappone, deciso di trasferirlo in questa zona. Nelle vicinanze sorge il Rokuharamitsuji (六波羅蜜寺), tempio che oltre ad essere un importante sito storico della citta, in passato fu l’epicentro del potere del clan Taira alla fine dell’era Heian.
Il clan Taira fu una potente famiglia aristocratica che dominò il Giappone durante il periodo Heian e questo tempio fu teatro di numerosi eventi cruciali nella storia del paese, tra cui la genpei gassen (源平合戦1180-1185, “Guerra Genpei“) che vide il clan Taira opporsi a quello dei Minimoto. I giapponesi chiamano spesso questa guerra jishō juei no ran (治承寿永の乱), dalle ere Jishō (治承) e Juei (寿永) in cui si svolse.
Nonostante lo splendido paesaggio urbano della odierna Kyōto, si crede che molti luoghi con nomi che terminano con il kanji “野” in passato siano serviti come cimiteri. Questi luoghi, un tempo destinati alla sepoltura, offrono oggi uno spaccato affascinante sulla storia della città.
In Giappone siamo entrati nel periodo del kanro (寒露), uno dei nijūshisekki (二十四節気) o 24 termini solari. Questo periodo, caratterizzato dalla prima rugiada mattutina segna il pieno arrivo dell’autunno. La natura si prepara al letargo invernale offrendo uno spettacolo di colori indimenticabile: le foglie degli alberi si tingono di rosso, arancione e giallo, creando un paesaggio mozzafiato.
Kanro, il diciassettesimo termine solare
Come già scritto in altri articoli di questo blog i nijūshisekki (二十四節気) o 24 termini solari, suddividono l’anno in 24 periodi, ognuno con un nome che riflette le caratteristiche climatiche e stagionali.
Passato il lungo periodo delle piogge dello shūrin (秋霖), che accompagna l’inizio dell’autunno, l’aria si fa più fresca e i cieli più limpidi, creando uno scenario perfetto per ammirare le prime sfumature autunnali. Un periodo di transizione ricco di fascino, dove la natura si rinnova e si prepara ad affrontare il freddo invernale.
In autunno, il cielo è alto e i cavalli ingrassano.
Come recita un antico proverbio cinese:
天高く馬肥ゆる秋 Tentakaku umakoyuru aki In autunno, il cielo è alto e i cavalli ingrassano
Questo proverbio, spesso tradotto come “In autunno, il cielo è alto e i cavalli ingrassano”, sembra celebrare la bellezza e l’abbondanza dell’autunno. Tuttavia, le sue origini nascondono un significato più profondo. In realtà, questo proverbio era inizialmente un avvertimento riguardo alle tribù nomadi che, proprio in autunno, quando i loro cavalli erano più forti e ben nutriti, compivano incursioni e prendevano i villaggi.
Micro stagioni del kanro
Oltre ai 24 termini solari, esiste una divisione stagionale più dettagliata conosciuta come shichijūnikō (七十二候) che potremmo tradurre in italiano come “72 micro-stagioni”. Ciascuno dei 24 termini solari viene quindi ulteriormente diviso in tre periodi di circa cinque giorni.
Kanro si divide in tre periodi:
Kōgan-kitaru (鴻雁来): un’antica tradizione giapponese che celebra l’arrivo delle oche selvatiche. Questo evento, ricco di significato simbolico, segna l’inizio dell’autunno e l’avvicinarsi dell’inverno. Le oche, con il loro volo maestoso, sono da sempre considerate messaggere dei kami e simboli di longevità e fedeltà e sono spesso citate in poesie, canzoni e ritrarre in opere d’arte.
Kiku no Hana Hiraku (菊花開): una celebrazione dell’autunno giapponese, quando i crisantemi, simbolo di perfezione e rinascita, colorano i giardini. Questa antica espressione evoca una profonda connessione con la natura e le tradizioni nipponiche, dove i crisantemi sono protagonisti di numerose festività autunnali.
Kirigiri suto ari (蟋蟀在戸), letteralmente “i grilli cantano alla porta”, è un’espressione che evoca l’atmosfera unica dell’autunno in Giappone. Questo termine indica il periodo in cui i grilli, in particolare il suzumushi (鈴虫), o grillo campana, iniziano a cantare le loro melodiose serenate.
Il termine kirigiri-suto-ari utilizza il kanji antico “蟋蟀” (kirigirisu), che un tempo indicava genericamente i grilli. Oggi, il termine più comune è “koorogi“. L’espressione “alla porta” sottolinea l’intimità e la familiarità con cui molti giapponesi percepiscono il canto dei grilli, quasi come se fossero ospiti benvenuti nelle loro case.
Un suono inconfondibile
Il canto del grillo maschio, che si protrae per circa venti giorni durante l’autunno, è inconfondibile. Il suono prodotto dallo sfregamento delle ali ricorda quello di un dito che scorre su un pettine o, secondo la tradizione giapponese, il tintinnio di una piccola campana, da cui il nome “suzumushi“.
Una tradizione antica
L’ascolto del canto dei grilli è una tradizione profondamente radicata nella cultura giapponese. Da secoli, i giapponesi apprezzano la bellezza e la serenità del loro canto, che viene associato all’arrivo dell’autunno e alla contemplazione della natura.
Nagasaki Kunchi
Il festival dello Okunchi (おくんち) è un tesoro culturale del Giappone, che celebra la ricca storia multietnica e le tradizioni di Nagasaki. Questa antica festa, nata dalla fusione di elementi locali, cinesi, olandesi e portoghesi è un esempio straordinario di come la cultura possa evolversi e adattarsi nel corso dei secoli. Il Kunchi è molto più di una semplice festa: è un’espressione dell’identità di Nagasaki e un ponte tra passato e presente.
Nella parte settentrionale del Kyūshū, un crogiolo di culture e un’antica tradizione cinese si sono mescolati con le usanze locali, dando vita a una trilogia di spettacolari festival, noti collettivamente come i nihon sandai kunchi (日本三大くんち), ovvero i “Tre Grandi Festival Kunchi del Giappone”. Ciascuno di questi eventi, un vero e proprio capolavoro di coreografia e tradizione, offre uno spettacolo unico e indimenticabile. Il più famoso, quello di Nagasaki, è un trionfo di colori e suoni che incanta ogni anno migliaia di spettatori. Ma anche l’Hakata Kunchi di Fukuoka e il Karatsu Kunchi, con le loro sfilate e danze tradizionali, animano le città con un’energia contagiosa, trasformandole in veri e propri palcoscenici a cielo aperto.
Si dice che questo festival abbia avuto origine a Nagasaki nel 1634, quando una prostituta dedicò una rappresentazione conosciuta con il nome di komai (小舞), un’espressione artistica che rifletteva la vibrante cultura multietnica della città, al santuario di Suwa (諏訪神社, suwajinja) la dimora del kami protettore di Nagasaki. Da quel momento, il festival è cresciuto in modo esponenziale, radicandosi profondamente nel cuore dei cittadini e diventando un vero e proprio patrimonio culturale.
Durante i tre giorni di festa, i vari quartieri della città, gli odocchō (踊町), si sfidano in spettacolari rappresentazioni tradizionali, un mosaico di influenze culturali che spazia dalla Cina all’Olanda e al Portogallo. Queste esibizioni, riconosciute come Beni Culturali Folklorici Intangibili dal governo giapponese, sono un tesoro vivente che celebra la storia e l’identità culturale di Nagasaki.
Fonte: foto dell’autore. Nagasaki Kunchi 2024
L’autunno, con le sue giornate miti e le notti che si allungano lentamente, invita a godere appieno della natura. Le foglie degli alberi si tingono di mille colori, creando paesaggi mozzafiato perfetti per lunghe passeggiate o picnic all’aria aperta. Un’atmosfera magica avvolge i parchi e i giardini, rendendo questo periodo dell’anno ideale per rilassarsi e ricaricare le energie prima dell’arrivo dell’inverno.