Ieri sera, mentre guardavo la televisione, mi sono imbattuto in un programma che parlava del kanten-hoshi (寒天干し), ovvero l‘agar-agar essiccato. Nonostante sia un ingrediente che qui in Giappone ho spesso gustato in svariati dolci e pietanze, ignoravo completamente il processo di produzione e la sua storia.
Spinto dalla curiosità, ho approfondito l’argomento online, scoprendo dettagli davvero interessanti su questo ingrediente.
Ma cos’è esattamente il kanten-hoshi?
Il termine kanten-hoshi è composto da due parole chiave. La prima è kanten (寒天), il termine giapponese per “agar-agar”. La parola kanten stessa è in realtà una contrazione di “kanzarashi no tokoroten” (寒ざらしのところてん), che letteralmente significa “tokoroten esposto al freddo invernale”. La seconda parola è “hoshi” (干し), un termine giapponese molto comune che indica semplicemente “essiccato” o “secco”.
In sostanza, il kanten-hoshi è un metodo tradizionale di produzione di agar naturale, tipico della regione di Suwa, nella prefettura di Nagano. Questa lavorazione si concentra soprattutto durante il rigido inverno giapponese. Il processo, tanto semplice quanto naturale, si svolge così: da dicembre a metà febbraio, i produttori utilizzano l’agar in bastoncini, ottenuto precedentemente bollendo un tipo di alga marina chiamata tengusa (天草) fino a raggiungere una consistenza solida.
Alga Tengusa
Questi bastoncini vengono poi lasciati all’aperto per circa due settimane. Qui la natura e il clima locale giocano un ruolo fondamentale: l’alternanza di gelo e disgelo tra notte e giorno permette all’acqua contenuta nell’agar di evaporare naturalmente. Il risultato finale è un alimento purissimo, privo del tipico odore di mare delle alghe.
Kanten-hoshi
Una tradizione nata a Kyōto durante il periodo Edo
Pare che la produzione di kanten abbia avuto inizio quasi per caso durante il periodo Edo (1603-1868). Si narra che il proprietario di una locanda di Kyōto scoprì fortuitamente che del “tokoroten” (ところてん), una gelatina di agar servita come noodle, dimenticato all’esterno, si era essiccato. Provando a reidratarlo per poterlo riutilizzare, ebbe una grande sorpresa: ottenne un tokoroten trasparente e privo del caratteristico odore di alga marina.
Fu proprio da “kanzarashi no tokoroten” (寒ざらしのところてん), ovvero “tokoroten esposto al freddo invernale”, che nacque il nome “kanten“, poi diffusosi in tutta la regione del Kansai.
Il kanten di Suwa
La diffusione della produzione di kanten nella regione di Suwa viene fatta risalire al 1830 circa, grazie a un mercante ambulante locale di nome Kobayashi Kumezaemon (小林粂左衛門). Durante un viaggio nella regione di Tanba (antica provincia giapponese, oggi una zona tra le prefetture di Hyōgo e Kyōto), Kobayashi osservò il processo di produzione del kanten. Intuì immediatamente che il clima di Suwa, caratterizzato da forti escursioni termiche e giornate soleggiate, fosse ideale per questo tipo di lavorazione. Decise quindi di importare questo metodo nella sua regione.
La cartina mostra la posizone dell’antica regione di Tanba tra le odierne prefetture di Hyōgo e Kyōto
La sua intuizione si rivelò corretta: la produzione di kanten si diffuse rapidamente a Suwa, diventando in breve tempo una vera e propria specialità locale. Inoltre, l’impiego delle risaie dopo il raccolto del riso per la produzione del kanten si dimostrò un’attività secondaria perfetta per gli agricoltori, e l’acqua pura e incontaminata della regione rappresentò un ulteriore vantaggio. Così, il kanten-hoshi è diventato un simbolo autentico dell’inverno a Suwa.
Come si gusta il kanten?
Il kanten è un ingrediente estremamente versatile nella cucina giapponese. Pensando ai dolci, vengono subito in mente classici come l’anmitsu (餡蜜), un dessert tradizionale simile alla nostra macedonia, che combina cubetti di agar con frutta, anko (la deliziosa marmellata di fagioli rossi) e mochi, il tutto servito con uno sciroppo scuro e molto dolce a base di zucchero, chiamato kuro-mitsu.
Fonte foto: Wikipedia
Un altro esempio è lo yōkan, una gelatina dolce e densa a base di agar, anko e zucchero, ideale per chi predilige sapori più intensi. A questo proposito, ti lascio il link all’articolo del nostro blog che approfondisce questo dolce:
Per chi invece desidera qualcosa di più leggero e fresco, c’è il mizu yōkan, una variante perfetta per l’estate. E, naturalmente, non possiamo dimenticare le coloratissime e trasparenti gelatine di frutta.
Ma il kanten non è relegato solo al mondo dei dolci. Grazie alla sua consistenza particolare e alle sue proprietà benefiche, trova impiego anche in piatti salati. Ad esempio, il tokoroten viene servito come noodle freddi, conditi in mille modi diversi – con aceto, salsa di soia e sesamo – creando un piatto leggero e rinfrescante. Nelle insalate, il kanten aggiunge consistenza e leggerezza, mentre nelle zuppe agisce come addensante delicato, conferendo una consistenza piacevole.
Tokoroten
La prossima volta che assaggerete un dolce o una pietanza giapponese con il kanten, spero vi tornerà in mente la sua affascinante storia e il magico processo di produzione del kanten-hoshi!
La maggior parte delle persone associa indubbiamente questo giorno all’equilibrio perfetto tra luce e oscurità, un equinozio celeste che segna l’esatto momento in cui il sole attraversa l’equatore celeste. Sebbene nel 2024 shūbun no hi (秋分の日) cada il 22 settembre, la data è soggetta a minime fluttuazioni annuali, dettate da precisi calcoli celesti. Negli ultimi anni, questa festività ha acquisito un’importanza crescente per i giapponesi, diventando unpunto di riferimento culturale che spesso incide sulla durata della Golden Week autunnale, meglio conosciuta come “Silver Week“. L’autunno si conferma la stagione prediletta per i viaggi itineranti e lo svago all’aria aperta.
Una Festa Nazionale Unica
Lalegislazione nipponica, nel 1948, ha sancito loshūbun no hi, l’equinozio d’autunno, quale festività nazionale, consacrando un legame profondo tra l’uomo e i ritmi cosmici. Sebbene nel 2024 ricada il 22 settembre, la data esatta di tale ricorrenza è soggetta a minime oscillazioni annuali, determinate dai complessi movimenti celesti del sole.
Questa consuetudine di ancorare una festività a fenomeni celesti è un tratto distintivo del calendario giapponese, un vero e proprio patrimonio culturale unico nel panorama internazionale. È interessante notare come lo shūbun no hi si inserisca nel più ampio contesto dei nijūshisekki (二十四節気), un raffinato sistema di divisione dell’anno in termini solari di origine cinese, adottato e rielaborato dalla tradizione nipponica.
L’equinozio è un istante cosmico preciso in cui il sole, nel suo percorso apicale, raggiunge lo zenith sull’equatore terrestre. Questo fenomeno astronomico, frutto dell’intersezione tra l’eclittica del sole e l’equatore celeste, segna l’equilibrato connubio tra luce e oscurità, un momento di perfetta simmetria cosmica. In questi giorni, luce ed oscurità hanno la stessa durata, celebrando un’effimera armonia tra le forze celesti.
Equinozi in Giappone: un viaggio tra passato e presente
Il Giappone, da sempre terra di tradizioni millenarie e di un profondo reverenziale rispetto per la natura e gli antenati, celebra due importanti festività legate agli equinozi: lo shūbun no hi (秋分の日), l’equinozio d’autunno, e lo shunbun no hi (春分の日), l’equinozio di primavera.
Dalla corte imperiale al cuore del popolo
Prima della Seconda Guerra Mondiale, questi equinozi erano legati a cerimoniali più formali e riservati alla corte imperiale. L’equinozio d’autunno, ad esempio, era conosciuto come shūki-kōreisai(秋期皇霊祭), un solenne rito dedicato al ricordo degli spiriti ancestrali dei precedenti imperatori e della famiglia imperiale. Similmente, lo shunbun no hi era chiamato shunki-kōreisai(春季皇霊祭).
Con la fine del conflitto mondiale e l’inizio di un nuovo capitolo nella storia del Giappone, queste festività hanno subito una profonda metamorfosi. Nel 1948, sia l’equinozio d’autunno che quello di primavera sono stati ridefiniti, diventando celebrazioni più inclusive e aperte a tutti i cittadini.
Lo shūbun no hi è diventato un momento per onorare non solo gli antenati imperiali, ma tutti i defunti, in particolare coloro che hanno sacrificato la vita durante il conflitto. È un giorno dedicato alla contemplazione, alla gratitudine e al ricordo dei propri cari.
Lo shunbun no hi invece, è stato consacrato alla celebrazione della rinascita della natura e alla speranza per il futuro. È un momento per esaltare la bellezza della primavera e per ringraziare per la vita.
Shūbun no hi e higan
L’equinozio d’autunno è anche conosciuto come higan no chūnichi (彼岸の中日), “il giorno centrale dello higan“. Ma cosa significa esattamente “higan” e perché è così strettamente legato all’equinozio d’autunno?
Ohigan
L’equinozio d’autunno, insieme ai tre giorni precedenti e successivi, costituisce un periodo di sette giorni noto come aki no ohigan (秋のお彼岸), letteralmente “higan d’autunno”. Il primo giorno è chiamato higan-iri (彼岸入り), “inizio dello higan” mentre l’ultimo giorno higan-ake (彼岸明け), “fine dell’Ohigan”. Il giorno centrale, che risulta essere l’equinozio d’autunno stesso, è chiamato higan no chūnichi (彼岸の中日), “il giorno centrale dell’Ohigan”.
Higan e shigan
Questa usanza, tipicamente giapponese, ha origini antiche, risalenti addirittura al periodo Heian (794-1185). Nel buddismo, il mondo in cui si crede risiedono i nostri antenati, ovvero un luogo di illuminazione, è chiamato higan (彼岸, letteralmente l’”altra sponda”), mentre il nostro mondo, pieno di turbolenze e affanni, è chiamato shigan (此岸 , letteralmente “questa sponda”).
Poiché nell’equinozio d’autunno la durata del giorno e della notte è quasi identica, si credeva che in questo periodo la distanza tra il nostro mondo e quello dei nostri antenati fosse minima, rendendo più facile esprimere loro la nostra gratitudine. Da qui ha origine la tradizione dell’Ohigan.
Pertanto, il periodo intorno all’equinozio d’autunno è dedicato al culto degli antenati, con visite alle tombe di famiglia e offerte all’altare buddista.
Anche l’equinozio di primavera, con i suoi tre giorni precedenti e successivi, è chiamato Ohigan. Ma di questo ne parleremo in un altro articolo.
Ohagi
Durante l’equinozio d’autunno, il giorno centrale del periodo dello higan è consuetudine consumare gli ohagi (おはぎ). Esistono varie teorie legate alle origini di questa tradizione. Quella prevalente sostiene che la pratica ebbe inizio quando i fagioli rossi azuki, venerati per la loro capacità di allontanare gli spiriti maligni, furono presentati come offerte agli antenati.
Foto dell’autoreFoto dell’autore
L’ohagi è uno dei dolci tradizionali giapponesi che le persone consumano durante l’autunno. I giapponesi lo preparano cuocendo il riso glutinoso e pestandolo leggermente fino a quando la metà dei grani rimane intatta, quindi lo cospargono di pasta di fagioli, farina di soia e semi di sesamo.
L’ ohagi deve il suo nome dal fiore stagionale l’hagi (萩), o trifoglio giapponese, che fiorisce proprio in questo periodo e che nelle tradizione giapponese rappresenta la gratitudine per le benedizioni del raccolto.
Foto dell’autore
Gli ohagi sono simili ai botamochi ma i primi sono serviti esclusivamente durante l’autunno e il botamochi in primavera. E tradizione in certe famiglie giapponese onorare gli spiriti dei loro antenati preparando in casa gli ohagi, per poi offrirli sia sul butsudan sia a parenti e vicini come segno di amicizia. È una tradizione tramandata in Giappone sin dal periodo Edo (1603-1868). (Quelli della foto sono stati fatti in casa dalla zia di mia moglie)
I fagioli azuki
I fagioli azuki, un alimento di base nella dieta giapponese fin dal periodo Jomon, sono da lungo tempo profondamente radicati nel patrimonio culinario della nazione. Mentre lo zucchero, una preziosa merce in epoche passate, elevò l’ohagi allo status di dolce di lusso, in particolare modo tra la gente comune del periodo Edo.
Nel tempo questo semplice dolce si è evoluto in un’offerta per la venerazione degli antenati fungendo contemporaneamente come mezzo per invocare protezione divina contro le forze maligne e pregare per la buona salute di tutta la famiglia.
La somiglianza tra i fiori di hagi e i fagioli azuki diede origine fece si che all’inizio il nome di questo dolce fosse ohagimochi (御萩餅). Nel tempo, il suffisso “mochi” (餅) fu gradualmente omesso, risultando nella forma contemporanea, “ohagi“, scritta in hiragana おはぎ.
La misteriosa bellezza degli higan-bana
Con i suoi petali di un rosso fiammeggiante e la sua forma esoterica, il manjushage (曼珠沙華) cattura lo sguardo di chiunque si trovi in Giappone durante l’autunno. Questo fiore, noto anche come higanbana(彼岸花), cela un significato profondo, radicato nella tradizione buddista e shintoista. In sanscrito, manjushage significa letteralmente “fiore che sboccia nel paradiso”, evocando immagini di serenità e bellezza ultraterrena.
Foto dell’autore
Tipico fiore autunnale, il manjushagesboccia proprio nel periodo dello shūbun, offrendo uno spettacolo di rara bellezza che dura circa una settimana. Da qui il nome higan-bana, o “fiore dello higan“, che lo lega indissolubilmente all’equinozio d’autunno e alle celebrazioni dedicate agli antenati. Originario della Cina, in Giappone si è naturalizzato, diventando un simbolo dell’autunno e popolando i cimiteri, le risaie e i bordi delle strade.
Higanbana: un velo di mistero e fascino
Proprio perché crescono spesso in prossimità dei luoghi sacri, gli higanbana hanno guadagnato appellativi carichi di mistero come yūrei-bana (幽霊花), “fiore dei fantasmi”, o shibito-bana (死人花)”fiore dei morti”, alimentando così un’aura di inquietudine e fascino.
Un guardiano velenoso
La presenza di questi fiori in questi luoghi non è casuale: essi contengono alcaloidi letali, concentrati soprattutto nel bulbo. Ingerirli può provocare convulsioni spasmodiche, difficoltà respiratorie e persino la morte. Si narra che un tempo le persone fossero solite piantarli ai confini dei campi, nelle risaie o nei pressi delle tombe di famiglia per tenere a bada creature infestanticome talpe e topi, sfruttandone la tossicità. Questa antica usanza ha lasciato un’impronta indelebile, regalandoci oggi uno spettacolo diincomparabile bellezza in occasione dell’equinozio d’autunno.
In Giappone, ci sono numerosi luoghi che offrono la possibilità di ammirare distese di manjushage. Tra questi, il “Kinchakuda Manjushage Kōen” di Hiki, nella prefettura di Saitama, è famoso per la sua vastità e la sua bellezza mozzafiato.
Un momento di riflessione
Come avevo riportato in un precedente contributo un detto giapponese che recita.
「暑さ寒さも彼岸まで」
Atsusa samusa mo higan made
“Il caldo e il freddo finiscono con lo Higan“
Questa saggia massima popolare ci ricorda come, in corrispondenza degli equinozi di primavera e d’autunno, il clima inizi gradualmente a mitigarsi, segnando un delicato passaggio verso una nuova stagione.
L’equinozio d’autunno, in particolare, sancisce l’inizio di un periodo caratterizzato da temperature clementi e piacevoli, in netto contrasto con le torride giornate estive. Sebbene oggi possa sembrare una data come tante altre, in passato l’equinozio d’autunno rivestiva un significato sacrale, essendo dedicato al ricordo e al rispetto dei nostri antenati, e alla gratitudine per i doni della vita.
Ricordare i nostri cari che ci hanno preceduto e apprezzare le piccole gioie della quotidianità è un modo sublime per affrontare questo periodo dell’anno, intriso di malinconica bellezza.
Da oggi il Giappone entra nel periodo del risshū (立秋).
Il clima e il territorio giapponesi hanno contribuito a plasmare una cultura e delle tradizioni uniche. Per comprenderle a fondo, basta osservare le numerose cerimonie e usanze legate ai 24 periodi solari, i nijūshisekki.
In Giappone, per oltre mille anni, fino al 1873 quando venne promulgato un decreto imperiale (改暦の詔書, Kaireki no Shōsho), per adottare il calendario gregoriano, si utilizzò il calendario lunisolare, il kyūreki (旧暦), conosciuto anche come wareki (和暦). Come abbiamo già spiegato in un altro post del blog questo calendario, importato dalla Cina, univa i cicli lunari con gli apparenti movimenti del sole, offrendo un sistema di misurazione del tempo che si basa sia sulle fasi della luna che sulla posizione del sole. Tuttavia, poiché il calendario lunare causava uno sfasamento tra il calendario e le stagioni col passare dei giorni e dei mesi, risultava difficile pianificare attività come l’agricoltura.
Per correggere questo sfasamento, furono creati i 24 termini solari (二十四節気, nijūshisekki) della durante di circa quindici giorni ciascuno, divisi a loro volta in 72 micro-stagioni (季節区分, kisetsu kubun) corrispondenti a piccoli cambiamenti climatici. La Cina settentrionale, cuore culturale dell’antica Cina, ha un clima simile a quello della regione Tohoku in Giappone, con il culmine dell’estate nel mese di Luglio. Lo sfasamento tra i 24 sekki e le stagioni effettive in Giappone si crede sia dovuto alle differenze climatiche tra i due paesi.
Questi periodi erano basati sul movimento del sole. I solstizi e gli equinozi sono i punti di riferimento principali, e tra questi si trovano i periodi che segnano l’inizio delle quattro stagioni, come il risshū per l’autunno. Ciò dimostra come in passato i giapponesi fossero molto attenti alle variazioni stagionali, tanto da osservare e apprezzare lo scorrere delle stagioni nella loro vita quotidiana.
Il risshū (立秋), letteralmente “inizio dell’autunno”, è il tredicesimo dei nijūshisekki che segna l’inizio simbolico dell’autunno e cade generalmente tra il 7 e l’8 Agosto. Sebbene il caldo estivo persista, da questo momento in poi, secondo il calendario tradizionale giapponese, si entra gradualmente nella stagione autunnale, che si protrae fino al giorno del rittō (立冬), che segna l’inizio dell’inverno, intorno a Novembre. Verso il 21 o 22 di Agosto il risshū cede il passo al successivo termine solare, lo shōsho (処暑), in italiano “fine del calore”.
Il termine risshū, composto dal kanji “立”, alzare e “秋”, autunno, letteralmente significa “l’autunno si alza” e indica l’inizio simbolico di questa stagione. Nonostante il nome, in questo periodo dell’anno le temperature sono ancora tipicamente elevate. Infatti un vecchio proverbio giapponese recita:
暑さ寒さ彼岸まで Atsusa samusa mo higan made Il caldo e il freddo durano fino allo higan (equinozio d’autunno)
suggerendo che il vero fresco autunnale arriverà più avanti.
Quali sono le usanze e come trascorrono i giapponesi il risshū ?
Il periodo del risshū coincide con quello del bon, una delle festività più importanti in Giappone, durante la quale si accolgono gli spiriti degli antenati a casa per render loro omaggio. Il bon inizia generalmente una settimana dopo l’inizio del risshū, intorno al 13 Agosto. Il primo giorno di bon si accendono dei fuochi (迎え火, mukaebi) per guidare gli spiriti degli antenati verso casa, mentre l’ultimo giorno si accendono altri fuochi (送り火, okuribi) per aiutarli a tornare nell’aldilà. Famoso è il Gozan okuribi (五山送り火) di Kyōto, conosciuto anche come Daimonji (大文字), eventi che segna la fine delle celebrazioni per il bon.
Durante il periodo del bon, in tutto il paese si tengono delle danze tradizionali conosciute come bon odori (盆踊り), normalmente nei parchi, spazi aperti e nei recinti dei santuari e templi, con luoghi decorati con colorate lanterne e musica vivace. Sebbene le origini di queste danze siano dibattute, si ritiene che derivino dalle danze buddhiste, le nenbutsuodori (念仏踊り). Nate nel periodo Heian le cerimonie buddiste del periodo del bon erano accompagnate da danze durante le quali si usava battere i kane daiko (金太鼓), una sorta di tamburo mentre si recitavi i nenbutsu (invocazioni buddhiste). Originariamente considerate cerimonie prettamente religiose, acquisirono, durante il periodo Muromachi, un significato più legato all’intrattenimento quando si iniziò ad inserire brevi canzoni durante la recita dei nenbutsu.
Nel tempo diverse forme di folklore si sono fuse con i riti dedicati agli antenati, dando origine alle danze tradizionali che conosciamo oggi. In occasione del bon, tramite queste danze si accompagna lo spirito degli antenati nel loro viaggio di ritorno.
Il risshū e le sue micro stagioni
Il risshū è un periodo ricco di sfumature e come gli altri termini solari può essere ulteriormente suddiviso in tre fasi:
Suzukazeitaru (涼風至): nonostante il caldo intenso, una leggera brezza autunnale lascia intuire il cambiamento delle stagioni.
Higurashinaku (寒蝉鳴), indica il periodo che va circa dal 12 al 16 agosto, coincidente con il bon. In questo periodo, al mattino e alla sera, si sente il canto della cicala di fine estate, la higurashi, che dà il nome a questo periodo.
Fukakikirimatō (蒙霧升降), potremmo tradurlo letteralmente come “la nebbia che sale e che scende”, indica il periodo che va circa dal 17 al 22 agosto, corrispondente alla fine del risshū. In questo periodo, si inizia a sentire un’aria più fresca, specialmente al mattino e alla sera. L’origine di questo nome risiede nelle dense nebbie che si formano nei boschi e nelle zone umide, e nell’aria fresca delle montagne.
Sapori e colori del risshū
Si dice che durante il periodo del risshū il sapore dei cibi sia molto più intenso e i diversi fiori che colorano l’estate raggiungono l’apice della fioritura.
Dall’inizio del risshū in poi, le pesche raggiungono la loro massima maturazione. Anche se alcune primizie, le cosiddette gokuwase (極早生), sono disponibili già durante la stagione delle piogge, la maggior parte diventa particolarmente gustosa ad Agosto. Spesso le aziende locali offrono l’opportunità di raccogliere le pesche direttamente dagli alberi: un’esperienza da non perdere, specialmente se avete dei bambini.
Questo è anche il periodo della maturazione degli ijiku, i fichi. Perfetti da gustare freschi o da trasformare in deliziose confetture.
Durante il periodo del bon, nei ristoranti tradizionali giapponesi di cucina kaiseki o ryotei, il pesce viene servito tramite un metodo di preparazione conosciuto come arai (洗い). Il pesce bianco viene affettato finemente e poi raffreddato in acqua ghiacciata per renderlo più sodo prima di essere consumato. Tra i pesci che diventano ancora più gustosi se preparati in questo modo, c’è sicuramente il suzuki (スズキ), il branzino.
Un amico giapponese proprietario di un piccolo ristorante a Nagasaki nonché abile pescatore mi ha spiegato che il suzuki cambia nome man mano che cresce. Quando nasce è chiamato koppa (コッパ), poi, crescendo un po’, diventa seigo (セイゴ) e infine fukko (フッコ), prima di diventare suzuki. Sebbene sia un pesce molto grasso, il processo di arai rimuove l’eccesso di grasso, esaltandone il sapore (umami).
Il magochi (マゴチ) è un altro pesce che raggiunge il suo apice di sapore durante il periodo del risshū. Grazie alla sua consistenza gelatinosa, è soprannominato anche “fugu estivo”. Allo stesso modo del branzino, il magochi viene tradizionalmente consumato crudo, dopo essere stato affettato finemente e raffreddato in acqua ghiacciata.
In questo periodo dell’anno lo kyōchikutō (夾竹桃) l’oleandro, fiorisce in modo particolarmente bello. Arbusto originario delle regioni tropicali è particolarmente resistente alla siccità e all’inquinamento atmosferico adattandosi bene alle città giapponesi.
Nell’antica tradizione agricola giapponese, il risshū era un momento cruciale: segnava l’inizio dei preparativi per il raccolto e, di conseguenza, influenzava profondamente i ritmi e le usanze della vita delle comunità rurali.
Il risshū non è un semplice segno su un calendario ma è un qualcosa che ha inciso profondamente sulla vita e sulla cultura del popolo giapponese nel corso della sua lunga storia.
Rikka è uno dei nijūshi-sekki (二十四節気), i ventiquattro termini solari del calendario tradzionale giapponese. Questo termine, che letteralmente significa “inizio d’estate”, coincide con il periodo in cui i primi segnali della stagione calda iniziano a farsi sentire.
Entrando nel periodo del rikka le giornate si allungano, il sole splende più forte e le temperature aumentano sensibilmente. L’aria si riempie del fruscio delle foglie e del canto degli insetti, preannunciando l’arrivo della stagione più calda dell’anno.
Mia moglie mi ha insegnato tanti anni fa una frase che spesso viene usata in questo periodo:
立夏を迎え、暦の上では夏となりました。
Rikka wo mukae, koyomi no ue de ha natsu to narimashita
Il significato della frase è che il periodo del rikka è arrivato quindi secondo il calendario è iniziata l’estate.
Anche se il rikka segna l’inizio dell’estate dal punto di vista astronomico, in Giappone questa stagione viene generalmente suddivisa in tre ulteriori periodi:
Shoka (初夏): L’inizio dell’estate, che coincide con il rikka. In questo periodo, la natura si risveglia e si colora di verde brillante.
Chūka (仲夏): l’estate è in pieno svolgimento, il periodo più caldo e umido dell’anno.
Banshu (晩夏): conicide con la fine dell’estate, quando le prime brezze autunnali iniziano a rinfrescare l’aria.
Il rikka rappresenta quindi un momento importante per celebrare l’arrivo della bella stagione e per godersi le attività all’aperto. In molte regioni del Giappone si tengono festeggiamenti e rituali per accogliere l’estate.
Anche se il calendario Gregoriano non coincide perfettamente con quello lunare, il rikka inizia generalmente tra il 5 e il 6 Maggio.
È considerato un momento fortunato per iniziare nuovi progetti o intraprendere viaggi e in passato era un giorno in cui le persone si purificavano con il bagno e indossavano nuovi vestiti per celebrare l’arrivo dell’estate.
Quest’anno l’inizio del rikka, cade il 5 Maggio 2024 e copre un periodo di circa 15 giorni, dal 5 al 19. Sebbene ogni anno si verifichi generalmente tra il 6 e il 20 Maggio, la data non è fissa.
Questo perché il rikka, come gli altri ventiquattro termini solari che dividono l’anno in segmenti di circa 15 giorni, si basa sul movimento del sole. Di conseguenza, la data precisa può variare leggermente, anche di un giorno, a seconda dell’anno.
Inoltre, il termine rikka può riferirsi sia al giorno specifico che segna l’inizio dell’estate, sia all’intero periodo di 15 giorni che va dal primo giorno del rikka (il 9° termine solare) allo shōman (小満), il 10° termine solare.
Vale la pena notare che, all’interno dei ventiquattro termini solari, esiste anche un periodo precedente al rikka chiamato kokū (穀雨), che significa “il periodo in cui cadono le piogge che nutrono i cereali”, mentre il periodo successivo al rikka è chiamato shōman (小満), che significa “il periodo in cui tutte le cose crescono completamente”.
Ulteriori divisioni del rikka
I ventiquattro termini solari vengono ulteriormente suddivisi in settantadue kō (七十二侯, shichijūni kō), ognuno dei quali rappresenta un periodo di circa 5 giorni. Durante il rikka i kō si susseguono in questo modo:
Shokō – kawazu hajinete naku (初候 – 蛙始鳴): Il primo canto delle Rane (5 Maggio)
In questo periodo, le rane (kawazu/kaeru) iniziano a gracidare. Kawazu è un termine più formale per indicare le rane, mentre kaeru é un termine più colloquiale e informale. Secondo alcune teorie, l’etimologia del termine “kaeru” deriva dal verbo kaeru (帰る, tornare), in quanto le rane sono considerate creature che tornano sempre al loro luogo d’origine. “Kawazu“, invece, deriverebbe da “河之蛙” (kawazu gaeru), che significa “rana di fiume”. In questo periodo il canto delle rane risuona ovunque, creando un coro naturale che annuncia l’arrivo dell’estate.
In questo periodo, i lombrichi (mimizu) iniziano a emergere dal terreno. Il termine “mimizu” deriva da miezu/mamiezu (目見えず), che significa “invisibile agli occhi”. Nonostante l’assenza di occhi, i lombrichi percepiscono la luce e tendono a spostarsi verso il buio. Per questo motivo, li vediamo spesso emergere dal suolo durante la notte o in giornate piovose. I lombrichi svolgono un ruolo fondamentale nella fertilità del terreno, nutrendolo e aerandolo. La loro presenza è quindi un segno di un terreno sano e fertile.
Makkō – takenokoshōzu (末侯 – 竹笋生) – La Germogliazione del Bambù (15 Maggio)
In questo periodo, i takenoko (竹の子), i germogli di bambù, iniziano a spuntare dal terreno. “Take no ko shōzu” è un’espressione poetica ed antica che significa “il germoglio del bambù“, oggi caduta in disuso. Esistono comunque anche altri termini stagionali con lo stesso significato come takōna (筍), o takanna (たかんな).
Sebbene i prodotti a base di bambù siano ormai disponibili tutto l’anno, la vera stagione dei germogli di bambù è l’inizio dell’estate. I più teneri e gustosi sono quelli appena raccolti al mattino e consumati subito sul posto.
Kunpū – 薫風 : la stagione del vento profumato
Durante il mese di Maggio la natura riprende vita e il suo colore verde è splendido e si intensifica giorno dopo giorno. Le espressioni stagionali come kunpū (薫風) e kazekaoru (風薫る) veicolano l’idea di una fragranza percepibile nel vento che scuote le giovani foglie verdi.
In giapponese esiste un saluto stagionale che recita come segue:
風薫る季節となりました。
Kaze kaoru kisetsu to narimashita.
è un saluto comune all’inizio dell’estate.
I giapponesi sono famosi per essere un popolo indiretto e per avere una lingua che utilizza moltissime sfumature in modi interessanti, alcuni dei quali a volte poco comprensibile e ridondanti per noi stranieri, che ci chiediamo perché la conversazione che stiamo ascoltando da cinque minuti sembri priva di un vero e proprio soggetto.
La lingua scritta non fa eccezione e specialmente nelle lettere, ma anche nelle e-mail, i giapponesi, seguono un formato molto rigido. Specialmente nelle lettere prima di arrivare al focus del discorso i giapponesi inseriscono una frase conosciuta come jikō no aisatsu (時候の挨拶), il saluto stagionale, che cambia a seconda del periodo dell’anno.
In questo periodo, gli alberi entrano nella fase di crescita più rigogliosa e il loro profumo riempie l’aria. Esistono espressioni come wakaba-kaze (若葉風, “il vento che soffia la tra le giovani foglie”) oppure kusawake no kaze (草分けの風, “il vento che divide l’erba”) che evocano la freschezza e i profumi tipici di inizio dell’estate.
Otaueshinji – 御田植神事
Rikka segna anche l’avvio della stagione della semina e precede la stagione delle piogge, tsuyu, (梅雨), in giapponese. Di conseguenza, in molte regioni durante questo periodo si svolgono feste per invocare raccolti abbondanti. Tra queste, l’Otaue Shinji (御田植神事) è un esempio particolarmente famoso.
Durante l’Otaue Shinji, donne e bambini si sottopongono a riti di purificazione prima di piantare piantine di riso ed eseguire danze tradizionali per invocare un raccolto abbondante. Queste vivaci celebrazioni mettono in mostra tradizioni culturali radicate e incarnano le speranze e le aspirazioni delle comunità agricole.
Il significato dell’Otaue Shinji
L’Otaue Shinji riveste un significato profondo nella cultura giapponese, intrecciandosi profondamente con il ciclo agricolo e la venerazione della natura. Rappresenta una messa in scena simbolica del processo di piantagione, incarnando la convivenza armoniosa tra uomo e mondo naturale.
In Giappone, cultura del riso e religione sono strettamente legate. Nella maggior parte delle regioni, la stagione agricola inizia e finisce con rituali shintoisti: si svolgono cerimonie durante la semina per invocare una buona crescita delle piantine di riso e feste del raccolto per ringraziare i kami del suo buon esito. Tra i riti di piantagione del riso più famosi del Giappone si annovera l’Otaue Shinji del santuario Sumiyoshi Taisha, che viene celebrato fedelmente fin dai tempi antichi.
La leggenda narra che il rito dell’Otaue Shinji risalga addirittura al 211 d.C., quando la leggendaria imperatrice Jingū, ordinò la creazione di una nuova risaia da dedicare alle divinità del santuario. Per preparare la risaia, fece arrivare dalle zone che oggi corrispondono alla prefettura di Yamaguchi, delle “vergini piantatrici”, conosciute come ueme (植女), appositamente addestrate. Ancora oggi, per il rito viene utilizzata la stessa risaia, situata appena a sud-ovest dell’area principale del santuario.
Il rito dell’Otaue-shinji:
L’Otaue Shinji inizia con un rituale di purificazione sia per le piantine di riso che per i partecipanti. La sacra risaia viene arata da buoi che trainano un aratro di legno, per poi essere cosparsa di acqua consacrata. Mentre le ueme piantano il riso, danzatori e musicisti in sgargianti costumi si esibiscono ai bordi della risaia. Si dice che la loro energia infonda salute e vigore alle piantine.
L’Otaue Shinji si svolge ogni anno il 14 giugno. Il governo lo ha designato come bene immateriale folkloristico.
Tradizioni propizie per il Rikka
In occasione del Rikka, che coincide con la festività del kodomo no hi (子供の日), è tradizone immergersi nello shōbuyu (菖蒲湯) e gustare i buonissimi kashiwa mochi (柏餅).
菖蒲湯 – shōbuyu : un bagno propizio
Lo shōbu (菖蒲) è un tipo di iris con lunghe foglie che assomigliano alle spade brandite deai samurai. Questa tradizione non possiede solo un simbolismo di competizione e spirito marziale legato al mondo dei samurai (尚武 – shōbu), ma si credeva anche nelle sue proprietà benefiche contro le malattie. Il suo utilizzo in questa festività è considerato un’usanza propizia.
Lo shōbu è anche una pianta officinale con proprietà che includono il miglioramento della circolazione sanguigna, l’idratazione della pelle e l’alleviamento di dolori come nevralgie, mal di schiena e mal di stomaco.
柏餅 – kashiwa mochi
Il kashiwa mochi è un dolce a base di riso glutinoso ripieno di anko (pasta di fagioli rossi dolci) avvolto in foglie di kashiwa, la quercia. La scelta di questa foglia non è casuale: la sua caratteristica di non perdere le vecchie foglie fino a quando i nuovi germogli non sono cresciuti simboleggia la prosperità e la continuità della progenie.
In un’epoca come l’era Edo, quando il tasso di mortalità infantile superava il 50%, questo dolce rappresentava un augurio per la salute e la forza dei bambini. Non sorprende che questa tradizione sia diventata così radicata.
Sebbene oggi la realtà sia, fortunatemente, ben diversa, non si può non apprezzare la saggezza e la cura con cui gli antichi usavano le tradizioni e le credenze popolari per promuovere il benessere dei più piccoli.
Il rikka ci ricorda che la vita è un ciclo continuo di cambiamento e rinnovamento. Proprio come la natura si trasforma con l’arrivo dell’estate, anche noi possiamo evolverci e crescere. Abbracciando l’energia del rikka, possiamo aprirci a nuove esperienze, imparare cose nuove e vivere con maggiore pienezza ogni momento.
Lasciamo che il rikka sia un’ispirazione per vivere una vita più sana, felice e in armonia con il mondo che ci circonda.
Il festival delle lanterne [長崎ランタンフェスティバル], originariamente iniziato come una celebrazione del Capodanno cinese da parte dei commercianti cinesi che risiedevano a Nagasaki, si è trasformato nel principale evento invernale della città, diventando anche il più grande del suo genere in tutto il Giappone.
Più di 15.000 lanterne colorate e installazioni adornano l’intera città, partendo dal palco allestito presso il minato kōen [湊公園, “parco Minato] attraverso le strade di Chinatown e dell’animata kankō-doori fino a Chūō–kōen e il suggestivo meganebashi (letteralmente “ponte degli occhiali”), oltre a numerosi altri luoghi sparsi per l’intera Nagasaki.
Durante tutto il periodo dell’evento, oltre alle lanterne, numerosi oggetti artistici, detti obuje [オブジェ, dal francese “objet“] di varie forme e dimensioni adornano le strade di Nagasaki, alcuni dei quali superano i 10 metri di altezza.
Nel cuore della nuova Chinatown [長崎新地中華街, Nagasaki shinchi chūka machi], che è la principale sede del festival, un palco ospita spettacoli quotidiani legati alla cultura cinese. Gli spettatori possono godersi la ja-odori [龍踊り, “la danza del drago”], gli spettacoli acrobatici cinesi e le esibizioni dell’Erhu, lo strumento a corda tipico cinese.
Storia del festival
Nel 1994, la vivace comunità della Shinchi Chinatown di Nagasaki, una delle tre più grandi Chinatown del Paese [le altre si trovano a Kobe e Yokohama], ha trasformato la popolare celebrazione del kyūshōgatsu [旧正月], conosciuto anche come shunsetsu [春節], il Capodanno cinese, nel suggestivo Nagasaki Lantern Festival.
Questa trasformazione ha reso il festival una delle principali tradizioni invernali della città, attirando ogni anno più di un milione di persone provenienti da tutto il paese, contribuendo così a promuovere la città a livello nazionale.
Questo festival si ispira al genshōsetsu [元宵節], il festival delle lanterne cinesi che si svolge nella notte del quindicesimo giorno del primo mese del calendario lunare. Le lanterne esposte a Nagasaki, seguendo lo stile cinese, sono chiamate chūgoku-chōchin [中国提灯], in omaggio a questa tradizione.
Shunsetsu, shunsetsusai e genshōsetsu
Lo shunsetsu [春節], letteralmente “festa di primavera”, rappresenta il Capodanno cinese ed è l’evento annuale più significativo del paese. Si celebra il primo giorno del primo mese del calendario lunare (Febbraio secondo il calendario gregoriano), e la notte precedente è nota come joseki [除夕], durante la quale le famiglie si riuniscono per accogliere il nuovo anno festeggiando.
Lo shunsetsusai [春節祭, “Festival di Primavera”] rappresenta un evento originariamente dedicato alle celebrazioni del Capodanno cinese dai residenti cinesi a Nagasaki. Iniziato principalmente nella Chinatown Shinchi di Nagasaki nel 1987, è stato ampliato nel 1994, diventando l’attuale festival.
Il genshōsetsu [元宵節], la festa delle lanterne, si celebra il quindicesimo giorno del primo mese del calendario lunare, ed è considerato il momento in cui gli spiriti celesti possono essere avvistati nel cielo. Si narra che in questa notte le lanterne venissero accese e portate in processione per le strade della città, al fine di facilitare la individuazione degli spiriti anche in presenza di nuvole e nebbia.
Durante questa festa si onorano anche le anime degli antenati defunti e si festeggia la prima luna piena del nuovo anno lunare, segnando la conclusione del Capodanno cinese. Le abitazioni vengono addobbate con lanterne colorate, spesso adornate da indovinelli; chi riesce a risolverli correttamente può ricevere un piccolo omaggio in segno di buon auspicio.
Questa antica tradizione sembra risalire alla dinastia cinese degli Han, periodo in cui i monaci buddisti accendevano lanterne il quindicesimo giorno del primo mese lunare in onore del Buddha. Successivamente, il rito fu adottato dalla popolazione e si diffuse in tutta la Cina e in altre regioni dell’Asia.
Luoghi dove si svolge il festival
湊公園 – Minato Kōen – Il parco Minato
Uno dei luoghi più affascinanti da visitare è il Minato Kōen, incastonato nel cuore della vivace Chinatown. Questo parco è rinomato per la sue suggestie decorazioni con lanterne di diverse tonalità e dimensioni, che creano un’atmosfera magica e colorata.
L’attrazione principale del parco è senz’altro l’installazione artistica composta da lanterne che rappresenta il segno zodiacale dell’anno in corso. Questa installazione non solo attira l’attenzione dei visitatori, ma incanta anche per la sua bellezza e la sua simbologia.
Inoltre, all’interno del parco viene allestito un palco dove si tengono spettacoli e performance di vario genere. Qui è possibile godersi esibizioni di danza tradizionale, musica folkloristica e altre forme d’arte che celebrano la cultura cinese.
Il Minato Kōen è un luogo imperdibile per coloro che desiderano immergersi nell’atmosfera unica di questa affascinante zona della città.
[豚の生首] – Buta no nama-kubi
Durante il periodo del festival, presso il Minato Kōen, è tradizione esporre le nama-kubi [生首], teste di maiale, come offerta a Kan-u [関羽], uno dei protagonisti della saga dei Tre Regni, simbolo di coraggio e saggezza. Questa pratica rende omaggio alla profonda lealtà di Kan-u, il quale gode di grande popolarità in Giappone, dove è considerato un valoroso generale.
Conosciuto anche con il nome di kantei [関帝]. Dopo la sua morte, è stato venerato come una divinità per favorire il successo nei commerci, attirare la fortuna e scacciare gli spiriti maligni.
Significato della disposizione delle teste
La disposizione dei maiali sull’altare e le code conficcate sulla fronte hanno significati profondi: il maiale stesso simboleggia la prosperità, mentre la presenza della coda infissa sulla fronte del maiale è un gesto simbolico che accoglie i clienti, indicando che un intero maiale è stato preparato in loro onore.
新地中華街 – Shinchi-chūka-machi – La nuova Chinatown
Tutte le strade che si intersacano all’interno della nuva Chinatown sono decorate con lanterne illuminate che, al tramonto, danzano al vento, creando un’atmosfera unica e magica.
唐人屋敷 – Tōjin-shiki – La vecchia Chinatown
Oltre a Dejima [出嶋], la piccola isola artificiale a Nagasaki dove i commercianti olandesi erano confinati, è forse il simbolo più conosciuto di ciò che è conosiuto come il periodo di isolamento del Giappone noto come sakoku [鎖国, “paese chiuso”] che è stato in vigore durante il periodo Edo fino all’apertura del Giappone nel 1858.
Ciò che è molto meno conosciuto è che c’era anche un secondo complesso a Nagasaki dove erano confinati mercanti e marinai cinesi. Chiamato tōjin-yakishi, fu costruito sul pendio che sorge alle spalle dell’attuale chinatown.
浜んまち – Haman-machi
Le arcate della vivace shōtengai di Nagasaki sono abbellite con moltissime lanterne rosse. In questa zona di trova l’installazione rappresentante Lao Zi. In giapponese conosciuto come gekka-rōjiin [月下老人], protettore dei matrimoni.
中島川公園 – Nakashima-gawa-kōen
Lungo il fiume Nagashima, sede della più celebre attrazione turistica di Nagasaki, il ponte Megane, le lanterne gialle si specchiano sulla superficie del fiume, regalando uno spettacolo mozzafiato ai visitatori.
Il Meganebashi (眼鏡橋, letteralmente “ponte degli occhiali”) è il più notevole tra i vari ponti in pietra che attraversano il fiume Nakashima nel centro di Nagasaki.
l ponte, che prende il nome dalla sua somiglianza con un paio di occhiali quando è riflesso nell’acqua del fiume, è una popolare attrazione turistica ed è designato come un importante patrimonio culturale della città.
中央公園 – Chūō-kōen – Il parco Chūō
Questo parco è abbellito da splendide installazioni raffiguranti una varietà di animali ed è molto popolare tra le famiglie con bambini.
孔子廟 – Kōshibyō – Il tempio di Confucio
Il Santuario di Confucio a Nagasaki (孔子廟, Kōshi-byō) è uno dei pochi santuari dedicati al filosofo cinese Confucio in Giappone. Il santuario fu costruito nel 1893 dalla comunità cinese di Nagasaki.
All’interno del santuario si può assistere allo henmen-show [変面ショー, “show del cambio delle maschere”], una performance cinese trazionale tenuta durante eventi particolari, è molto popolare sia tra la popolazione locale che tra i turisti.
Eventi da non perdere durante il festival delle lanterne
Durante il festival, si tengono numerosi eventi che celebrano la cultura tradizionale cinese. Tra le attrazioni più spettacolari e affascinanti vi sono la parata dell’Imperatore, la processione di Mazu, le danze del drago e le esibizioni di erhu.
皇帝パレード – Kōtei Pareedo – La parata dell’imperatore
La Parata dell’Imperatore, che si tiene di solito solamente due volte durante il festival, è una magnifica processione ispirata alle celebrazioni del Capodanno della dinastia Qing.
Partendo da Chūō-kōen e terminando a Minato-kōen, la parata presenta un carro dell’Imperatore e dell’Imperatrice, accompagnati da circa 100 persone, tra cui portabandiera, indossanti sontuosi costumi cinesi per ricreare l’atmosfera festosa del nuovo anno.
媽祖行列 – Mazo Gyōretsu – La processione di Mazu
La Processione è un evento dedicato a Mazu, la divinità del mare, per invocare la sua protezione e la prosperità delle attività marittime.
龍踊り – Ja-odori – La danza del drago
La Danza del Drago, affonda le sue radici in un antico rituale celebrato per invocare un buon raccolto e la pioggia, vede impeganti abili danzatori che guidano un drago di 20 metri di lunghezza con grande maestria, eseguendo movimenti vigorosi per attirare le precipitazioni.
二胡演奏 – Niko-ensō – Performance musicale con i niko
l’erhu, conosciuto in giapponese come niko [二胡], è uno strumento a due corde, simle al violino, molto popolare nella musica tradizionale cinese.
変面ショー – Henmen Show – Il cambio delle maschere
Lo spettacolo delle maschere cinesi, presentato quotidianamente presso il Tempio di Confucio, rappresenta un’antica forma d’arte segreta proveniente dal Teatro del Fiume di Sichuan.
Questo enigmatico spettacolo, con maschere che si trasformano in un batter d’occhio di fronte agli occhi degli spettatori, offre uno spettacolo affascinante e misterioso.
Street Food
Cosa si deve assolutamente assaggiare durante il Festival delle Lanterne.
ハトシ – Hatoshi
L’hatosi è un piatto che si dice sia stato trasmesso dalla Cina, consiste nel friggere due fette di pane farcite con polpa di gamberi. Ha le dimensioni pefertte per mangiarlo passeggiando tra le vie del festival.
長崎ぶたまん – Nagasaki Butaman
Non c’è niente di meglio che mangiare un butaman caldo durante le fredde e ventose giornate del festival. I più buoni sono quelli di una bottega conosciuta come Momotaro.
じゃがちゃん – Jagachan
Le jagachan sono delle patate cotte a vapore, ricoperte di burro e poi fritte. Il risultato finale è cibo dolce e salato. Le patate, coltivate nei ricchi suoli vulcanici, sono diventate una specialità della Penisola di Shimabara.
角煮まんじゅう – Kakuni manjū
Se vi paice la pancetta di maiale, una cosa che devote assolutamente provare se venite a Nagasaki sono i kakuni manju. Spessi pezzi di pancetta di maiale vengono cotti a fuoco lento con dashi, salsa di soia, sakè, zucchero e mirin fino a diventare morbidi e scioglievoli in bocca. Questi pezzi di maiale vengono poi avvolti in un leggero e soffice panino cotto a vapore.
Il Lantern Festival di Nagasaki incanta con la sua magica atmosfera luminosa, unendo tradizione, cultura e spettacolo in una celebrazione indimenticabile per tutti i visitatori.
Niente batte una calda zuppa per riscaldarsi durante le giornate invernali.
Zenzai e Oshiruko: due nomi ma un unico ingrediente base
La zenzai [ぜんざい, 善哉], nota anche come Oshiruko [汁粉], è una deliziosa zuppa di fagioli rossi con all’interno teneri mochi [餅花] o shiratama dango [白玉だんご].
Foto di sinistra: Oshiruku / Foto di destra: zenzai
Nonostante i due nomi diversi l’elemento base in comune sono gli azuki [小豆], i fagioli rossi. Quando vengono lasciati interi o a pezzetti a creare una consistenza ad ogni morso, si chiama zenzai. Quando invece non ci sono azuki nella ciotola ma solo succo allora si chiama Oshiruko.
Disponibile tutto l’anno, viene consumata più frequentemente nei mesi invernali. Molte famiglie giapponesi la gustano in concomitanza con la cerimonia tradizionale del kagami-biraki [鏡開き, apertura dello specchio] che si tiene l’undici Gennaio. Il kagami-mochi [鏡餅], rimosso dall’altare di casa e spezzato a mano o con un piccolo martello di legno, viene mangiato per rinnovare spirito e salute per il nuovo anno. In questo contesto, la zenzai gioca un ruolo importante: spesso, invece di mangiare piccoli pezzi di mochi da soli, le persone li immergono in questa deliziosa ciotola di fagioli rossi bolliti.
Azuki – 小豆
Gli azuki (小豆), sono menzionati nel più antico documento storico giapponese, il Kojiki [古事記] e nelle cronache del Giappone, Nihon Shoki [日本書紀] come uno dei gokoku [五穀], i cinque cereali fondamentali della tradizione giapponese. Kome [米, riso], mugi [麦, frumento], awa [粟] e kibi [粟] due specie diverse di miglio, ed infine mame [豆, legumi]. In passato si pensava che gli azuki fossero stati importati dalla Cina, ma ricerche recenti hanno dimostrato che questo legume, in Giappone, si è sviluppato geneticamente in maniera separata da quello cinese.
Azuki come alimento medicale
In Giappone, gli azuki sono sempre stati consumati anche come medicina fin dall’antichità. Si credeva che il particolare colore rosso di questi legumi simboleggiasse la vita ed aiutasse le persone ad allontanare il male.
Azuki e festività giapponesi
Kagami-biraki [鏡開き, apertura dello specchio]
l kagami-biraki, celebrato l’ 11 Gennaio, prevede l’apertura del kagami-mochi, che tradizionalmente racchiude l’anima del toshigami [年神], il kami dell’anno. L’anima divina viene liberata e simbolicamente condivisa tra tutti i membri della famiglia, spezzando e consumando il mochi, spesso accompagnato con la zenzai. Questo atto esprime gratitudine verso i kami e augura buona salute per il nuovo anno.
Ohigan – お彼岸 di primavera e i bota-mochi
L’ Ohigan [お彼岸] viene celebrato due volte all’anno, durante il “giorno dell’equinozio di primavera” e il “giorno dell’equinozio d’autunno”, insieme ai tre giorni precedenti e successivi. Durante l’equinozio di primavera, quando giorni e notti hanno una durata uguale, si crede che il mondo dei vivi e dei morti si trovino nel loro punto più vicino. Questo cambio di stagione diventa un momento di riflessione personale e di commemorazione e onore per i defunti.
Per manifestare riconoscenza verso gli antenati, le persone offrono i bota-mochi [ぼた餅], mochi ricoperti di pasta di fagioli azuki.
Kodomo no hi, la festa dei bambini
Inizialmente nota come tango no sekku [端午の節句], il kodomo no hi [子供の日], la “festività dei bambini”, viene celebrata il cinque Maggio. In questa giornata, si celebra e si ringraziano i kami per la salute e la crescita dei figli. Nelle case, vengono esposti i kabuto [兜], gli elmi da samurai, e i koinobori [鯉のぼり]. Inoltre, si gustano i kashiwa-mochi [柏餅], mochi ripieni di pasta di fagioli azuki, avvolti nelle foglie di quercia (kashiwa in giapponese).
Ohigan d’autunno
Come per l’equinozio di primavera anche lo Ohigan d’autunno è un giorno di rispetto per gli antenati e di ricordo dei defunti. Per esprimere la loro gratitudine agli antenati, le persone offrono l’ohagi, (お萩), un mochi ricoperto di pasta di fagioli azuki. Si differenziano dai bota-mochi offerti durante l’ohigan di primavera per la consistenza della pasta di azuki.
Shici-go-san
Il 15 Novembre dell’anno in cui i bambini compiono tre, cinque o sette anni, si celebra la loro crescita e buona salute con il shichi-go-san [七五三, letteralmente Sette, cinque, tre]. In questa giornata, si regalano ai bambini le chitose-ame [千歳飴], caramelle lunghe e colorate, e si prega per la loro crescita e longevità. Solitamente, in questa giornata si consuma anche il sekihan [赤飯], un riso cucinato con fagioli azuki, che si crede aiuti ad allontanare malanni e disastri.
Tōji – 冬至
Il solstizio d’inverno è il giorno con meno luce dell’anno. Tradizionalmente, in questa giornata si prepara l’itokoni [いとこ煮], cuocendo la kabocha (zucca giapponese) o il taro insieme agli azuki, come auspicio per la buona salute. Si consuma anche un kayu (粥), un porridge di riso con azuki, con la speranza di evitare raffreddori.
Gli azuki sono ampiamente apprezzati per il loro elevato valore nutrizionale e il loro colore rosso, considerato un simbolo di fortuna contro gli spiriti maligni. Fin dall’antichità, i giapponesi hanno integrato gli azuki in piatti come il sekihan [赤飯, riso bollito con fagioli rossi] e l’azuki-gayu [小豆粥, porridge di riso con azuki] durante gli eventi annuali, come augurio di buona salute. Tuttavia, è solo nel periodo Edo, con la diffusione dello zucchero, che la gente ha iniziato a consumare gli azuki dolci.
Anko
L’anko [餡子] è una “confettura” ottenuta dai fagioli azuki [小豆] e rappresenta un elemento fondamentale nel wagashi [和菓子], la pasticceria tradizionale giapponese. Gli azuki sono altamente digeribili e ricchi di proteine.
Tsubu-an [粒あん]
Si tratta di un tipo di anko particolarmente denso, in cui gli azuki sono mantenuti integrali o tagliati a pezzi, inclusa la buccia.
Koshi-an [こし餡]
È una preparazione più omogenea e liscia, privata delle bucce e sottoposta a filtrazioni multiple. Solitamente impiegata nei dessert tradizionali più raffinati, ha un sapore meno dolce rispetto al tsubu-an.
Sia mochi [餅花] che i shiratama-dango (白玉団子] si accompagnano con la zenzai o la Oshiruko.
I mochi rappresentano un cibo tradizionale giapponese consumato non solo durante il Capodanno, ma anche in diverse celebrazioni annuali. Assieme al sushi e al ramen, sono tra i piatti giapponesi più apprezzati a livello internazionale.
I mochi hanno un’ampia varietà di forme, ed esistono diversi modi di prepararli a seconda della regione.
Che cosa sono i mochi?
I mochi sono un alimento giapponese caratterizzato da una forma rotonda e piatta, ottenuto tramite la lavorazione del mochigome [餅米], un particolare tipo di riso glutinoso. Solitamente, il mochigome viene cotto al vapore e successivamente pestato [mochi-tsuki 餅つき] con una mazza di legno [kine, 杵] all’interno di un mortaio [usu, 臼] per ottenere il mochi. Tuttavia, è possibile produrlo anche utilizzando altri tipi di cereali o farina di riso.
La produzioni e il consumo di mochi si sono evoluti parallelamente alla coltivazione del riso. Le prime tracce della presenza dei mochi, risalgono al periodo Nara [710-794], come dolci popolari tra l’aristocrazia. Durante l’era Heian [794-1185] e nel periodo Kamakura [1185-1333], diverse varianti di mochi diventarono ampiamente apprezzate. Fu durante il periodo Edo [1603-1868] che la popolazione cominciò a includere il mochigashi [餅菓子] tra le specialità alimentari degli eventi annuali.
Shiratama-dango
Lo shiratama-dango [白玉団子] è un wagashi giapponese realizzato mescolando lo shiratamako [白玉粉], una particolare farina di riso, con acqua, formando poi gnocchi o palline e facendoli bollire. Il termine “shiratama” [白玉] significa “palla bianca”, mentre “dango” [団子] si riferisce agli gnocchi di riso. Presentano una consistenza morbida, elastica e appiccicosa e, poiché privi di sapore, vengono spesso serviti con anko [餡子], kinako [きな粉, farina di soia tostata] o kuromitsu [黒蜜, sciroppo di zucchero di canna].
Quando si consumano dango, compresi gli shiratama, da parte di bambini o anziani, è necessario prestare molta attenzione poiché esiste il rischio di soffocamento. Di solito, vengono divisi in piccoli pezzi per garantire la sicurezza di ci li mangia.
Etimologia dei termini zenzai e shiruko
Oshiruko
Inizialmente, il termine shiruko era utilizzato per descrivere l’ingrediente di una zuppa. Nel tardo periodo Edo, la zuppa an-shiruko-mochi [餡汁子], composta da pasta dolce di azuki con shiratama e mochi, ottenne popolarità tra la gente comune. Si racconta che successivamente il nome venne abbreviato in Oshiruko.
In quel periodo, l’Oshiruko non possedeva la dolcezza di quello odierna, ma era apprezzata come uno spuntino dal sapore salato, perfetto in abbinamento a bevande alcoliche.
Zenzai
Ci sono due teorie sull’origine del termine zenzai, una associata alla città di Izumo e l’altra al buddismo.
Zenzai e l’ Izumo jinzai-mochi
Situata nella prefettura di Shimane, Izumo è celebre per ospitare l’Izumo Taisha [出雲大社, “Grande santuario di Izumo“], uno dei santuari più antichi del Giappone.
Nel decimo mese del calendario lunare, generalmente nei mesi di Novembre e Dicembre secondo il calendario gregoriano, Izumo celebra il kamiarisai [神在祭, “il mese con i kami“]. Si narra che tutti i kami si riuniscano ad Izumo per una settimana per discutere il destino dell’anno successivo. A causa di questo rituale, nel resto del Giappone il decimo mese del calendario lunare è chiamato Kannazuki [神無月], il “mese senza kami“. Poiché si crede che tutte le divinità si trovino a Izumo, le persone provenienti da ogni parte del Giappone si recano in visita in questa città. Si dice che lo zenzai sia nato proprio da questa celebrazione.
Mentre i visitatori attendevano il loro turno per accedere al santuario, veniva loro offerta una ciotola calda di zenzai. Questa tradizione continua in modo simile anche oggi, con molti locali nelle vicinanze del santuario che vendono questo dolce noto come jinzai-mochi [神在餅], il “mochi dei kami“.
Nella pronuncia del dialetto di Izumo, tuttavia, sembrava che si usasse zunzai mochi. I visitatori, al loro arrivo, spesso confondevano questa parola con “zenzai“, e così che il nome si é diffuso insieme al piatto nel resto del Giappone.
Zenzai e buddismo
La seconda teoria suggerisce che il nome di questo dolce derivi dal termine buddista “zenzai“. I kanji [善哉] che formano la parola “zenzai” possono anche essere letti come “yokikana“, che significa “splendido”. Secondo la tradizione giapponese, durante il periodo Muromachi [1336-1537], un monaco assaggiando questo wagashi rimase così impressionato dal suo sapore che esclamò: “Zenzai (molto gustoso)!”, dando così, involontariamente, il nome al wagashi.
Differenze tra zenzai e Oshiruko
Dopo aver fatto ricerche online e aver chiesto a mia moglie, che la prepara spesso, sono giunto alla conclusione che la differenza principale risiede nella presenza della zuppa. Nella preparazione dell’ Oshiruko, si utilizza il koshi-an cotto in acqua per formare la zuppa, dove vengono aggiunti i mochi come guarnizione. Nel caso del zenzai, si utilizza il tsubu-an cotto in acqua, che alla fine viene completamente rimossa, lasciando solo il composto finale al quale verranno aggiunte le guarnizioni.
In commercio si trovano già pronti all’uso sia lo tsubu-an che il koshi-an quindi nella preparazione di questo dolce non é quasi più necessario partire dagli azuki.
Varianti regionali
Esistono diverse varianti regionali di zenzai e Oshiruko
Kantō
Nella regione del Kantō, la gente usa esclusivamente il termine Oshiruko per riferirsi a questo dolce. A seconda del negozio e del tipo di pasta di azuki utilizzata, il modo di chiamare l’Oshiruko può variare. Quello preparato con il koshi-an è denominato gozen-shiruko [御膳汁粉], mentre se preparato con il tsubu-an può essere chiamato inanka-shiruku [田舎汁粉] o azuki-shiruko [小豆汁粉].
Kansai
Nella regione del Kansai, l’Oshiruko è preparata con il koshi-an, mentre la zenzai si realizza con il tsubu-an, ma entrambe sono servite con una generosa quantità di zuppa. Zenzai senza zuppa è noto con vari nomi, tra cui kameyama [亀山] o kintoki [金時].
Fonte: maff.co.jp
Il kintoki è comunemente utilizzato come topping per le kakigōri (かき氷), le granite giapponesi. Una variante famosa è l’Uji kintoki (宇治金時), una granita che combina il sapore matcha (抹茶, tè verde, con Uji tra i migliori) con la dolcezza del kintoki e la morbidezza degli shiratama dango.
Kyūshū
Qui nel Kyūshū, viene seguita la stessa distinzione del Kansai. Tuttavia, in alcune zone si sostiene che nell’Oshiruko dovrebbero essere aggiunti i mochi, mentre nello zenzai andrebbero inseriti gli shiratama, e viceversa.
Hokkaidō
Anche nell’ Hokkaidō non emerge una distinzione significativa tra Oshiruko e Zenzai. Tuttavia, come nel Kyūshū, ci sono regioni con modi peculiari di gustare questo piatto.
Kabocha-shiruko
I mochi e gli shiratama-dango vengono sostituiti con la kabocha, la zucca giapponese. L’origine di questa pratica risale alla storia di questa regione con un clima molto fresco, in cui la raccolta del riso poteva essere difficoltosa. Le comunità locali usavano la zucca come sostituto del mochi.
In conclusione, possiamo affermare che ci sono disparità tra l’Oshiruko e lo zenzai riguardo alla loro storia, modalità di produzione e varietà regionali. Comprendere le differenze, le peculiarità e le radici di entrambe contribuisce a una più apprezzata esperienza gustativa.
Il 7 gennaio, in molte zone del Giappone si mangia un tipo di porridge di riso condito con sette diversi tipi di erbe chiamato nanakusa-gayu (七草粥), (七) sette, (草) erbe. L’usanza vuole che preparare e mangiare questa zuppa calda abbia lo scopo di tenere lontano gli spiriti maligni. Introdotta dalla Cina, si diffuse in Giappone verso la metà del periodo Heian e, durante il periodo Muromachi, fu trasformata in una sorta di porridge di riso diventando quella oggi conosciamo come nanakusa-gayu.
In passato le erbe usate nel preparare questa pietanza erano molto preziose perché crescevano anche durante la stagione fredda, quando ancora era inverno inoltrato e spesso i campi erano ricoperti dalla neve. La forza vitale di queste erbe, che crescevano fresche e verdi anche in pieno inverno, ha fatto sì che fossero considerate di buon auspicio, diventando parte della cultura alimentare del Giappone. La credenza vuole che mangiando queste erbe si allontanino dal corpo gli spiriti maligni e prevenga i malanni. Il riso poi, cotto in questa maniera, serve anche a far riposare lo stomaco dalle lunghe mangiate delle festività appena concluse.
Quando questa usanza fu introdotta in Giappone nel periodo Nara (710-794), fu combinata con un’ usanza autoctona di quel periodo conosciuta come wakanatsumi (若菜摘み) durante la quale si raccoglievano e si mangiavano le giovani verdure all’inizio dell’anno per dare vitalità. Il nanakusa-gayu è il risultato della fusione delle due traduzioni. In mancanza delle sette erbe sopra indicate si possono utilizzare qualsiasi tipo di verdura di vostro gradimento. L’utilizzo di quante più verdure fresche e giovani possibile corrisponde al concetto originale di ottenere nuova forza vitale della natura.
Inoltre, in Giappone esisteva anche una tradizione che prevedeva l’organizzazione di banchetti alla corte imperiale il 7 Gennaio, chiamati nanuka no sechie (7日の節会). Il sechie era un banchetto di corte che si teneva nei giorni cruciali dell’anno. Annualmente si celebravano cinque banchetti principali: il Ganjitsu no sechie (元日節会, il banchetto di Capodanno) del 1° Gennaio, il Nanuka no sechie (7日の節会, banchetto del Settimo Giorno), Aouma no sechie (青馬の節会, banchetto del Cavallo Bianco) celebrato anche questo il 7 Gennaio, il Tōka no sechie (踏歌の節会, il banchetto della Danza Toka) del 16 Gennaio, il Tango no sechie (端午の節会, Festa della Bandiera Dolce) del 5 Maggio, conosciuto anche come Itsuka no sechie (5日の節会) e il Toyonoakarai no Sechie (豊明節会) che si celebra il mese di Novembre.
In Giappone il 7 Gennaio è conosciuto con diversi nomi come nanakusa no sekku (七草の節句, festa delle sette erbe), nanoka shōgatsu (七日正月, il Capodanno del settimo giorno) o jinjitsu (人日) letteralmente “festa dell’ uomo/umanità”, ricorrenza che si celebra in gran parte del sud est asiatico. Questa festività fa parte del gosekku (五節句), ovvero le 5 festività stagionali più importanti giapponesi distribuite nell’arco dell’anno come segue:
人日 – jinjitsu, 7 gennaio. Detto anche jinji no sekku (人日の節句).
雛祭り- hina matsuri, la festa delle bambole o delle bambine che si celebra il 3 Marzo.
子供の日- kodomo no hi, la festa dei bambini che si celebra il 5 Maggio
七夕 – tanabata, che si celebra il 7 Luglio
菊の節句 – kiku no sekku, il giorno dei crisantemi che si celebra il 9 Settembre.
Questa festa è la corrispondente di quella cinese detta “renri” (lettura cinese di jinjitsu, 人日) che si festeggia il settimo giorno dello zhengyue (il primo mese del calendario cinese). Secondo la tradizione cinese, il renri fu il giorno della creazione dell’essere umano da parte della divinità femminile della creazione cinese (in Giappone conosciuta con il nome di joka 女媧) che per non sentirsi sola decise di di creare un animale ogni giorno. Al settimo giorno, sentendosi ancora sola, creò l’uomo. Da questa leggenda nasce il jinji no sekku che si celebra il settimo giorno del nuovo anno.
La preparazione del nanakusa-gayu è piuttosto semplice. È infatti sufficiente lasciar stracuocere il riso per circa 30-40 minuti dal momento dell’ebollizione e poi vanno aggiunte le erbe tagliate, poi fine cottura si può aggiungere anche il sesamo. In Giappone queste erbe sono di solito vendute in tutti i supermercati con il nome di haru no nanakusasetto” (春の七草セット, set delle sette erbe primaverili). Si tratta di un set di erbe fresche pronte per essere utilizzate nella preparazione del nanakusa gayu.
Le sette erbe sono le seguenti (molte di questo non le avevo mai sentite nominare quindi devo ringraziare mia moglie per l’aiuto nel riconoscerle. Per il corrispettivo italiano mi sono affidato a Google):
芹 – Seri: il prezzemolo giapponese. Una pianta aromatica che si dice migliori l’appetito.
薺- Nazuna: la borsa di pastore. Era un alimento molto popolare nel periodo Edo.
御形 – Gogyō: la canapicchia. Si crede nella sua efficacia nel prevenire il raffreddore e alleviare la febbre. Questa erba ė detta anche haha-kogusa (母子草) “erba madre e figlio” scritta con i kanji madre e figlio.
繁縷 – Hakobera: la stellaria media. È ricca di vitamina A, che fa bene agli occhi, e veniva usata come medicina per i dolori di stomaco.
仏の座 – Hotoke no za: la lassana. Pianta simile al tarassaco ed è ricca di fibre. Il nome hotoke-noza deriva dalla forma delle foglie sotto i fiori, che ricordano il daiza (台座), ovvero il piedistallo sul quale siede il Buddha.
菘 – Suzuna: la brassica rapa. Ricca di vitamine.
蘿蔔 – Suzushiro: il rafano bianco. Si crede favorisca la digestione ed aiuti a prevenire il raffreddore.
Per ottenere un buon okayu, viene spesso utilizzata una donabe (土鍋), una pentola giapponese di terracotta, adatte per questo tipi di preparazioni. Mia moglie aggiunge poi le erbe e una volta pronto dispone la pentola al centro tavola.
La nonna di mia moglie mi ha raccontato che quando era bambina, mentre raccoglieva questa erbe lungo il fiume che scorre vicino casa e in seguito durante la preparazione delle stesse, sua madre era solita cantarle una filastrocca, una warabe-uta (わらべ歌) in Giapponese. Anche mia moglie la conosce ma al giorno d’oggi non si usa quasi più.
七種なずな 唐土の鳥が 日本の土地へ 渡らぬ先に 七草たたいて トントントン。
Nanakusa-nazuna.
Tōdo no tori ha Nihon no tochi he wataranu saki mi nanakusa tataite ton-ton-ton.
“Respingi gli uccelli provenienti dalla Cina prima che arrivino in Giappone, colpisci le sette erbe, ton ton ton.”
In passato, si pensava che gli storni di uccelli migratori provenienti dalla Cina portassero la peste e i parassiti che avrebbero danneggiato le coltivazioni del Giappone. Nello scacciare gli uccelli, che rappresentano gli spiriti maligni, è intrinseco un significato di buona salute. La parte finale “tataite ton ton ton” fa riferimento al rumore della preparazione delle erbe che ai credeva cacciasse gli uccelli.
Ogni regione ha sviluppato nel tempo il suo stile nella preparazione di questo piatto. Nel nord del Giappone viene spesso aggiunta l’hondawara (un tipo di alga) mentre qui a sud nel Kyūshū viene spesso preparata anche con i mochi (dolci di riso).
Che ne dite di preparare una buona pentola nanakusa-gayu per il 7 Gennaio e, mangiandola assieme ai vostri amici e familiari non gli raccontate come in quella che sembra una semplice zuppa di riso ed erbe si nasconde un’antica tradizione che è stata tramandata nel tempo.