Giorno: 14 Dicembre 2023

  • Perché gli esseri umani hanno sviluppato una conoscenza scientifica solo in questi ultimi secoli?

    Il desiderio di capire e il piacere di conoscere sono vecchi quanto il mondo. I metodi di analisi e soprattutto gli assunti taciti alla base del sapere sono però cambiati molto. Questi cambiamenti a loro volta sono all’origine della rivoluzione scientifica, una rivoluzione che ha permesso un aumento senza precedenti della conoscenza e della potenza dell’essere umano. In altri termini, prima di essere quantitativa, l’evoluzione della scienza è stata qualitativa. Ai tempi di Aristotele la personificazione e l’antropomorfizzazione della natura erano procedura normale. Ora l’eliminazione dell’osservatore è uno degli aspetti centrali della sperimentazione.

    Mi sono convinto che questa rivoluzione scientifica non sia stata né ovvia né necessaria, ma che al contrario sia una caratteristica della nostra particolare evoluzione di europei. Vivo in estremo oriente da decenni, ma solo da qualche anno mi sono accorto di alcune differenze molto profonde nei modi di pensare asiatici e europei. Dopo molte ore di conversazione con Robby Shima, ti ringrazio, mi sono accorto della grande somiglianza fra il pensiero classico greco e romano e certi aspetti del pensiero moderno asiatico.

    Prima di procedere però credo sia bene chiarire quali tipi di conoscenza esistono.

    Esistono le scienze sociali, che studiano l’essere umano e hanno metodologie proprie.

    Esistono poi le scienze naturali, che sono puramente descrittive e quantitative e mirano a spiegare sulla base di leggi il reale e quindi prevederlo. Personalmente non vedo ragioni di principio per cui alcune, ma non tutte, le prime non possano venire assorbite futuro almeno in parte nelle seconde.

    Poi poi ci sono l’ingegneria e la tecnologia. Passo l’onore e l’onere di definirle a Vito LaVecchia

    che afferma che: 

    1. L’ingegneria è la mente e lo sforzo per creare qualcosa; la tecnologia è il risultato dell’applicazione di questa mente e di questo sforzo.
    2. L’ingegneria è più specifica della tecnologia.
    3. L’ingegneria è un problema mentre la tecnologia è la soluzione.
    4. La stessa tecnologia può essere utilizzata più e più volte.
    5. La tecnologia disponibile viene utilizzata per progettare una tecnologia più avanzata.
    6. La tecnologia è più affidabile dell’ingegnerizzazione di qualcosa di nuovo.

    Molta della conoscenza accumulata in passato era in realtà ingegneria e tecnologia, ma non scienza. Non era rivolta a conoscere ma a fare. Una distinzione sottile, ma significativa. Eratostene, che pagò qualcuno perché contasse i passi fino a Siene perché aveva udito che a mezzogiorno un obelisco non vi proiettava ombra, mentre uno dove abitava lui sì, si servì poi di tale dato per calcolare il diametro della terra. Agì da ingegnere, ma anche da scienziato, perché nella circonferenza terrestre cercava conoscenza fine a se stessa. Si servì delle tecnologie di cui disponeva in modo sagace. Ma perfino lui non era un uomo moderno. Come tutti i suoi contemporanei, anche lui credeva che le cose si muovono perché esse stesse in qualche modo si vogliono muovere. Questo stato di cose e continuato fino a tempi recentissimi.

    Robert Boyle, Roger Bacon, Isaac Newton e mille altri scienziati erano anche alchimisti, e non vedevano una contraddizione fra le due attività.

    Eppure l’alchimia è incompatibile con la scienza moderna. SI serviva di metodi usati anche dalla scienza, in particolare dalla chimica, ma era più affine alle scienze umane perché vedeva lo sperimentatore come parte dell’esperimento. In altri termini, un esperimento poteva riuscire a Paracelso e non a un suo discepolo per ragioni del tutto spirituali. In questo senso, tali scienziati non fanno ancora parte della scienza moderna, ma di una sua fase tradizionale. La scienza moderna è europea nel senso che è il prodotto di fattori non presenti altrove. Non è una conseguenza necessaria del progresso. Che questo sia il caso strato dimostrato in modo che personalmente trovo convincente da un’analisi delle culture dell’estremo oriente. 

    Quasi la metà della produzione industriale proviene da solo tre nazioni, quattro includendo Taiwan. Nessuna delle quattro ha un passato simile al nostro, tutte sono animiste e politeiste. Vorrei dimostrare che questo non può non avere conseguenze negative analoghe a quelle che hanno ritardato l’evoluzione della scienza in Europa.

    Animismo e politeismo dipendono l’uno dall’altro in un modo complesso, ma sono due facce della stessa cosa.

    L’animismo attribuisce caratteristiche umane a oggetti inanimati. attribuisce anche caratteristiche esclusive degli organismi a enti che non hanno la struttura che definisce un organismo. Una roccia non ha organi.

    Il politeismo separa le forze della natura dal loro contesto, vedendole come indipendenti e non assolute, nel senso di non necessariamente sempre valide. Essendo il prodotto della volontà di una entità dentro di sé in modo simile a un essere umano, esistono nella misura in cui questi lo decide. Un corollario di questo fatto è che ogni fenomeno, ogni evento è il risultato di una volontà precisa e non di un meccanismo naturale risultato dell’interazione di enti non necessariamente coscienti di sé.

    Un altro il fatto che le creature che sono la personificazione di queste forze fanno una sola cosa. Perfino il creatore sa solo creare un universo, poi scompare.

    Il politeismo ritiene inoltre che l’esistenza sia fatta di cicli, ciascuno legato ad un luogo o evento.

    Il cristianesimo ha portato il tempo lineare. Il Dio cristiano è un Dio radicalmente diverso dai precedenti. Non è un Dio esclusivamente creatore, non appartiene a un luogo o evento preciso ma e in grado di muoversi linearmente nel tempo.

    Il monoteismo anche portato l’abitudine al pensiero astratto. L’animismo e politeismo invece è al tempo stesso estremamente concreto ed estremamente astratto. È estremamente concreto perché ritiene che solo l’esperienza individuale conti qualcosa. Crede quindi solo a ciò che si vede e si tocca. L’astratto non esiste. Perfino l’anima mangia, dorme, si ammala. Al tempo stesso, la sua stessa metodologia lo costringe a trovare soluzioni assurde, come la credenza diffusa in tutto il mondo che chi annega lo fa perché chi è annegato prima di lui gli tira le gambe. Questo fra l’altro è un esempio di come l’animismo generi spontaneamente la paura. Se non esistono eventi che non siano voluti, è evidente che qualsiasi cosa negativa appaia è opera di un nemico..

    Il cristianesimo infine ha diviso il mondo dei morti da quello dei vivi, rendendo impossibili il culto degli antenati e quindi le lotte tribali. La sua fiducia nell’esistenza di un’origine unica della realtà ha facilitato il nascere della fiducia nell’esistenza di regole universali cui la materia deve obbedire.

    Le caratteristiche del pensiero moderno sono:
    1 Abbandono dell’intuizione a favore del pensiero astratto e logico. Il politeismo cinese e l’animismo giapponese non ho mai

    2 Enfasi sul pensiero quantitativo.

    3 Il concetto di natura come una macchina, una macchina di cui l’osservatore umano è parte.

    4 Il dubbio metodico di Descartes, a mio parere il concetto più importante fra questi.

    L’illuminismo fu una delle conseguenze della rivoluzione scientifica. La scienza, che piaccia o meno, è divenuta l’argomento risolutivo, anche arbitra di morale quando possibile. Il suo valore viene ritenuto (giustamente) assoluto. Una teoria scientifica non è mai stata provata falsa, ma sempre vera come caso speciale della teoria che viene a sostituire.

    Citiamo la Britannica (si, lo so che è un’enciclopedia)

    L’improvvisa comparsa di nuove informazioni durante la rivoluzione scientifica ha messo in discussione le credenze religiose, i principi morali e lo schema tradizionale della natura. Ha anche messo a dura prova le vecchie istituzioni e pratiche, rendendo necessari nuovi modi di comunicare e diffondere le informazioni. Innovazioni di spicco includevano società scientifiche (che sono state create per discutere e convalidare nuove scoperte) e articoli scientifici (che sono stati sviluppati come strumenti per comunicare nuove informazioni in modo comprensibile e testare le scoperte e le ipotesi fatte dai loro autori).

    Io vivo in una società (quella giapponese) ed in un continente (l’Asia e, più esattamente, in Estremo Oriente) molto particolari. Il Giappone e la Cina costituiscono il 36.7% dell’output industriale mondiale, il che vuol dire che, aggiungendovi la Corea del Sud e Taiwan, quest’area quasi certamente produce il 45% almeno di tutta la tecnologia del mondo.

    La rivoluzione scientifica qui non è avvenuta. Ne ho parlato più volte, ma riassumo brevemente le caratteristiche mi sembra il pensiero abbia in Giappone.
    1) Una forte ostilità nei confronti del pensiero astratto e fine a sé stesso. Il pensiero giapponese acquista coerenza e profondità se è finalizzato.

    2 Una forte tendenza all’animismo, che si esprime nell’umanizzazione della natura e nell’uso dell’intuizione, non la logica, nel conoscere la realtà, e nella diffusa credenza che gli oggetti sono vivi. Per sincerarsi che questo effettivamente accade, leggere i libri di Marie Kondo, stampati anche in Italia.

    3 Una visione politeistica del mondo, visto come composto di forze che possono agire al di fuori di un contesto. Le leggi della natura possono avere eccezioni quando un individuo possiede le caratteristiche spirituali necessarie.

    4 Il fine di un gruppo non è la giustizia/verità, ma l’armonia.

    5 Nella natura esistono altre forze, oltre quelle a noi conosciute. La sorte è una di queste. La magia è un’altra. vedi il punto 3.

    6. Siccome l’agire delle forze della natura è affidato ad un ente antropomorfico, che le scatena con una decisione sua conscia, nessun evento è casuale, ma al contrario deciso da qualcuno e diretto a qualcun altro. La mia risposta a questa domanda sarebbe:

    La scienza moderna è un evento unico e non necessario risultato di una serie di eventi particolari della storia europea. La produzione di sapere si è moltiplicata e accelerata come conseguenza di tali eventi. L’Asia ha avuto una storia diversa. Mi aspetto quindi l’insorgere di differenze future fra Europa ed Asia nel settore scientifico in termini di metodologia e risultati. Ammetto di stare parlando di cose complesse che conosco e capisco solo in parte. Caveat emptor.

    Note a piè di pagina

  • I nomi, le bambole, gli specchi

    Una cultura differente quanto quella giapponese non può essere conosciuta se non poco a poco. Una delle cose che sto scoprendo in questi giorni, ma che ho in testa da molto tempo, è il rapporto che c’è in Giappone fra un’immagine e quello che rappresenta, un rapporto che non capisco ancora bene. In Europa le due cose sono ben distinte, salvo in alcuni casi particolari. In Giappone non è così. Un’immagine ha qualcosa dell’originale, e questo vale soprattutto per gli esseri umani. L’immagine di un essere umano ha qualcosa di sacro. Anzi, molti la trattano come se fosse parte integrante dell’originale. Vale la pena di ricordare che in certe culture è l’ombra di un essere umano ad avere qualcosa dell’originale. È proibito calpestarla. Esaminando tutti i casi di cui ho conoscenza, alla fine mi sono reso conto che che l’adorazione della figura umana viene fatta prevalentemente in tre forme.

    Gli specchi

    Perché gli specchi? Per saperlo basta ricordarsi di quello che diceva Jorge Luis Borges. Siano maledetti gli specchi e il sesso, perché moltiplicano gli esseri umani.

    Gli specchi riflettono la nostra immagine, che a sua volta è ritenuta parte integrante di chi siamo. Chi possiede una nostra immagine possiede parte di noi e può colpirci e controllarci attraverso di essa. Gli specchi sono quindi oggetti maledetti.

    Lo specchio è un oggetto affascinante che in estremo oriente era tradizionalmente tenuto di solito rivolto in giù, per proteggerne la superficie ma anche perché non ne uscissero mostri e altre abominazioni. Queste caratteristiche rendono gli specchi stessi tanto sacri che uno dei tre oggetti di potere necessari perché l’imperatore possa esercitare la sua autorità religiosa è uno specchio, lo Yata no Kagami.

    Specchio che è anche uno degli oggetti più comuni tra quelli usati per ospitare un kami in un santuario. Mi spiego. Uno spirito non ha corpo, quindi è impossibile dedicargli devozioni perché non si sa dove trovarlo. Per questo gli viene dato qualcosa in cui localizzarsi. Se qualcosa effettivamente custodisce uno spirito, questo qualcosa si chiama shintai, “il corpo di un kami”. Un oggetto che di sua natura attrae gli spiriti, e quindi adatto ad essere uno shintai, sì chiama yorishiro, o “sostituto di uno spirito”. Parole da non dimenticare, perché sono tra le più importanti per capire questo paese. Gli specchi sono yorishiro tradizionali e comunissimi nei santuari Shintō. Lavenerazione degli specchi è retaggio di tutti i paesi dell’orbita culturale cinese.

    I nomi

    I nomi delle cose hanno importanza? C’è chi dice di sì. Ormai in Europa nessuno ci fa caso, ma un tempo anche da noi c’era una lunga tradizione che legava il nome all’essenza di una persona. Sappiamo per esempio che un’antica città aveva un “nome vero” segreto ed un altro, quello di uso comune: Roma è il nome comune. Il nome vero e segreto della nostra capitale è andato perduto.

    Per tutta la storia scritta del Giappone, cioè dal 553 d.C. circa fino al 1868, una persona (Inizialmente solo nobili, più tardi il diritto al cognome fu esteso a tutti.)ha avuto un minimo di due nomi. Uno era il cosiddetto nome vero, o imina (諱), che non andava mai pronunciato per alcun motivo. la grafia originale non era questa ma 忌み名. Solitamente il primo carattere sta per contaminazione, per cui la parola si risolve“ parola contaminata, ma in questo caso il termine significa piuttosto “nascosto“, per cui la frase vuol dire nome nascosto,.Appunto.

    Per chiamare una persona se ne usava un altro la cui composizione dipendeva dall’era, dalla classe sociale e da altri elementi, ma la cui funzione era sempre di nascondere il vero nome. Nell’era Heian i guerrieri avevano un rapporto di quasi schiavitù con chi li assumeva e quindi davano una lista dei veri nomi di tutti i componenti di un gruppo di soldati al loro padrone, a riprova della loro fedeltà.

    Era di capitale importanza tenerli nascosti il più possibile per evitare appunto che malintenzionati li venissero a conoscere. Per questo ad esempio Ashikaga Takauji si faceva chiamare Gosho, Onorevole Luogo. Tokugawa Ieyasu, volendo essere qualcosa di più, si faceva chiamare Ogosho, Onorevole Onorevole luogo. La lingua parlata della famiglia imperiale in passato si chiama Goshokotoba, la lingua dell’onorevole luogo. Chiamare l’imperatore per nome in Giappone è ancora evitato. Murasaki Shikibu e Sei Shonagon, le scrittrici che ci hanno dato il Genji Monogatari e il Libro da Cuscino, essendo donne e non avendo doveri formali da espletare, riuscirono a tenere nascosto il loro a. Quelli con cui sono conosciute sono titoli nobiliari. Questo costume durò per tutta la storia scritta del paese, quindi quasi 1500 anni, finché ne venne ufficialmente abolito l’uso nel 1868. In quell’epoca esso aveva infatti un’esistenza legale riconosciuta e norme di uso sancite per legge.

    Questa importanza dei nomi affiora anche nella splendida animazione di Miyazaki Hayao, la città incantata.

    Chihiro è la bambina protagonista del film. Il suo nome si scrive con due caratteri, 千尋. Il primo vuol dire mille e si legge chi oppure (quando non fa parte di composti) sen. Il secondo, hiro, è una vecchia unità di misura equivalente a un palmo. All’inizio del film, Chihiro incontra Yubaba, proprietaria dello stabilimento balneare. Chihiro cerca lavoro, ma la vecchia strega non ha alcuna intenzione di assumere una ragazzina, men che meno una vivente in una città di spiriti. Alla fine si lascia convincere, ma le toglie il secondo carattere dal nome, che si stacca dal contratto e le vola in mano. Yubaba lo mette in tasca. Il chi di Chihiro, ora da solo sul contratto, si legge di conseguenza Sen. E infatti Yubaba annuncia alla ragazzina che ora il suo nome è Sen.

    Appropriandosi di parte del nome di Chihiro, Yubaba si impadronisce anche della sua anima, cosa che ha fatto del resto con il protagonista maschile del film, Haku. Haku le dice di non dimenticare mai la seconda parte del suo nome, perché in tal caso la sua anima sarà prigioniera di Yubaba. Lui stesso ha dimenticato il proprio e non può fuggire. Ci riuscirà alla fine del film, quando Chihiro glie lo ricorderà.

    La figura umana

    Questa è la rappresentazione più diretta dell’essere umano, quella che ha più significati ed è più usata e protetta. Basti pensare alle bambole, le fotografie, i dipinti.

    Alle bambole si fanno i funerali, altrimenti si coprono loro gli occhi prima di buttarle via. CI sono cerimonie funebri anche per fotografie, radiografie, MRI, ecc. Si fanno i funerali ai pennelli con cui si disegnano esseri umani, fumetti per esempio. A Kamakura, dove vivo, tutte queste forme di funerale per oggetti sono eseguite tutto l’anno, spesso con gran fanfara, come nel caso del funerale delle bambole a Hongakuji.

    Si usa la figura umana anche per riti di purificazione. Si fa uso per questo di una figuretta in carta detta hitogata, ma c’è anche quella di un’automobile (kurumagata). ci scrivi sopra il tuo nome (nota bene: il tuo nome), ci aliti sopra, te la passi sul collo, la bruci e i tuoi peccati sono storia.

    Le bambole vengono usate in un grande numero di cerimonie e festival. C’è persino il festival delle bambole, hina matsuri, molto importante perché le bambole rappresentano l’imperatore.

    Per concludere questo breve post, fatto per schiarirmi le idee, una menzione di Inari, senza dubbio il più popolare fra i kami antropomorfi. Ma è poi antropomorfo? Le sue rappresentazioni sono molto rare.

  • Chi è o cos’è Rin in “la città incantata” di Miyazaki Hayao

    Vorrei tentare di dare un’idea a chi non parla lingue straniere di quali siano i problemi, le ambiguità e le decisioni, arbitrarie ma inevitabili, che sono il pane quotidiano di tutti i traduttori.

    Al livello più basso stanno gli oggetti che esistono in una cultura, ma non nell’altra.

    Cos’è questo aggeggio? Potrei dirvene il nome, ma non vi direbbe nulla. A cosa serve? Serve per montare la schiuma del tè verde, una tecnica che da noi non si usa, ma che in Giappone è frequente. Supponi che in un giallo la colpevolezza di un personaggio dipenda dalla presenza o meno di questo oggetto? Faccio bene a sostituirlo con qualcos’altro di noto al lettore europeo, ad esempio uno schiaccianoci? Io direi di no, perché si tratta di eliminare informazioni significative, ma non vedo alternative. Non posso spiegare cos’è un chasen, perché è così che si chiama, mentre traduco un thriller.

    Rin

    Un altro esempio, questa volta da “La città incantata” di Miyazaki Hayao. All’inizio del film Chihiro incontra Lin, una ragazza molto carina e femminile. In giapponese però appena apre bocca diviene evidente che qualcosa non quadra. Lin parla come un uomo in una maniera ed una misura che è impossibile trasmettere in altre lingue, ma che è vitale per definire il personaggio. La vedete sulla sinistra nell’illustrazione qui sopra.

    In una scena poco dopo il loro primo incontro, Lin dà un manju (qualcosa da mangiare; come tradurre manju? Lasciarlo com’è? ) a Chihiro, aggiungendo:

    “Ore ga daidokoro de kapparatta ze”.

    Se traducessi la frase come “L’ho rubato io in cucina.” di errori non ce ne sarebbero. Mancherebbero però parecchi fatti su Lin che occorre assolutamente sapere.

    Lin, nonostante le apparenze, è un uomo o si considera un uomo. Usa infatti un termine per “io”, ore appunto, che è non solo tipicamente maschile, ma che viene usato da uomini in presenza di altri uomini, è in altri termini cameratesco. Lin poi usa un verbo, kapparau, traducibile con “sgraffignare”, che indica in modo certo che ha rubato e che non si sente per nulla in colpa di averlo fatto. Infine, Lin termina la frase con un clamoroso ze! Cos’è quel ze?

    In Giapponese le interiezioni come il ne di certi lombardi, il ve’ dei veneti sono comuni al punto che è raro che una frase termini senza che ve ne sia una alla sua fine. Yo! è affermativa, kanà dubitativa, nee esortativa.

    Il ze di Lin è usato molto poco perché è molto forte. Non solo è maschile, non solo è ruvido, ma è quasi da malavitosi. Chi lo usa ci tiene a far sapere che è un duro.

    Appena Lin apre bocca quindi uno comincia subito e chiedersi chi lei sia veramente. Probabilmente un maschio adolescente sui diciassette anni che vuole fare il duro usando linguaggio da duri. Forse una donna che vorrebbe essere un uomo. In ogni caso, quello che è certo è che c’è qualcosa di molto insolito in Rin, che questo viene messo in chiaro senza alcuno sforzo da Miyazaki in una sola frase e che quella frase NON è in grado di trasmettere le stesse informazioni in una lingua diversa dal giapponese.

  • O-shōgatsu – お正月

    O-shōgatsu – お正月

    Rimaniamo in tema di festività per accogliere l’anno nuovo parlando di due decorazioni che si possono trovare nelle case e negli esercizi commerciali giapponesi durante questo periodo dell’anno.
    di Christian Savini

    Quando inizio a vedere esposte per la vendita queste decorazioni inizio a rendermi conto che un altro anno sta volgendo al termine e che quello nuovo è ormai alle porte. Tra impegni di lavoro e famiglia anche il 2023 è stato molto impegnativo ed intenso e non vedo l’ora che inizino le vacanze per rilassarmi un po’ e ricaricare le pile o la mia tamashi, la mia anima, perché come vedremo in seguito in Giappone si crede che il kami del nuovo anno condivida la sua anima ogni anno con tutte le creature viventi per conferire loro la forza necessaria per affrontare l’anno a venire.


    Il kadomatsu – 門松

    Il kadomatsu, letteralmente “pino all’entrata”, é una decorazione tipicamente giapponese che viene esposta all’entrata delle abitazioni o all’entrata principale di aziende ed attività commerciali durante il matsu no uchi (松の内), ovvero il periodo che va dal 28 Dicembre al 15 Gennaio, quando ci si prepara ad accogliere il kami del nuovo nelle case. Non sempre si tratta di un pino, spesso le decorazioni prevedono anche bambù e sono molto diverse da regione a regione. Il loro scopo è quello di dare il benvenuto alle persone e fungono da guida per il kami del nuovo anno. Come ho già spiegato in un altro articolo, nel Giappone antico, il pino, e gli alberi in generale, erano considerati degli shintai (神体) perché considerati la manifestazione materiali del kami. Si credeva che le divinità vivessero al loro interno e per questo motivo, in passato un pino solitario veniva spesso collocato all’interno di un giardino o il legno di alberi particolarmente alti e robusti veniva usato nella costruzione dei santuari.
    Un tempo, i pini che decoravano la porta venivano raccolti dagli stessi abitanti del villaggio. I pini non potevano però provenire da un qualsiasi luogo, ma venivano raccolti dalla montagna posizionata nella direzione fortunata dell’anno (la direzione dalla quale si credeva arrivasse la divinità). Esistono quattro direzioni che cambiano di anno in anno. Questa usanza era conosciuta con il nome di matsumukae (松迎え). Durante il periodo Edo, i costruttori presenti in città preparavano diverse decorazioni e andavano di casa in casa ad esporle.
    Con il passare del tempo, il kadomatsu cambiò forma e diventò sempre più elaborato. Forse la vanità  delle persone di mostrare la propria ricchezza o semplicemente il desiderio di ricevere maggiori benedizioni portò alla nascita di composizioni sempre più elaborate che accostarono al classico pino anche altre piante che entrano a far parte della tradizione. Sino alla modernità, che con il suo processo di evoluzione del design ha trasformato il pino, da protagonista del kadomatsu, a semplice comprimario preferendo a volte l’utilizzo del bambù come pianta principale della composizione. Tuttavia, negli ultimi anni, le antiche tradizioni stanno riaffiorando nel paese e sempre più spesso si vedono in vendita kadomatsu formati da un singolo pino che è allo stesso tempo guardiano e veicoli del kami del nuovo ed ė tutto quello che serve per accoglierlo nel migliori dei modi.
    In commercio oltre alla composizione che utilizzano solamente il pino si possono trovare diverse varianti che hanno come protagonista il bambù.

    Sogi – そぎ
    Al centro della composizione ci sono dei bambù che presentano un taglio centrale obliquo. Si dice che questo disegno sia stato utilizzato da Tokugawa Ieyasu, ma la sua autenticità è incerta.

    Zundō – 寸胴

    Questa composizione ha un pezzo di bambù tagliato orizzontalmente. Si ritiene che porti fortuna perché si dice che non ha la bocca aperta (quindi non fuoriesce il denaro) ed è favorito dalle banche e dalle attività commerciali.


    Shimenawa – しめ縄  e Shimekazari – しめ飾り

     Le shimenawa (しめ縄, corde sacre) indicano che un luogo è sacro e adatto al culto delle divinità. Servono per delimitare il confine tra il regno dei kami e questo mondo, impedendo alle cose impure di entrare. Si dice che l’origine di questa tradizione si possa far risalire alla mitologia giapponese. Secondo a quando riportato nel Kojiki e nel Nihon-shoki la divinità del sole Amaterasu, stanca del comportamento molesto del fratello Susa no O, si rifugiò in una grotta conosciuta con il nome di ama no iwato (天の岩戸, Lett. Grotta del paradiso) e, rifiutandosi di uscire privo il mondo della luce. Gli altri kami, su consiglio della divinità Omoikane, allestirono un banchetto all’entrata della grotta nel tentativo di convincere Amaterasu ad uscirne senza però avere successo. Fino a quando la divinità conosciuta come Ame no Uzume no Mikoto, cimentandosi in una danza alquanto provocatoria, fece esplodere di risate il gruppo di divinità. Amaterasu interessata da tutta quell’allegria, si avvicinò all’entrata della grotta e guardo fuori dove vide la sua immagine riflessa nello specchio conosciuto con il nome di Yata no Kagami, che i kami avevano costruito appositamente per quello scopo. Nel momento in cui Amaterasu si affacciò sull’entrata della grotta Ame no Tajikarao la trascinò fuori ridando così nuovamente luce al mondo intero. L’entrata della grotta fu subito sigillata con un shimenawa per impedire ad Amaterasu di rientrarvi. Lo specchio Yata no Kagami (八咫鏡) fa parte dei sanshu no jingi (三種の神器, tre sacri tesori), ovvero insieme alla spada Kusanagi no Tsurugi (草薙劍) e alla gemma, Yasakani no Magatama (八尺瓊勾玉) è una delle tre insegne imperiali del Giappone. La spada rappresenta il valore, lo specchio la saggezza e la gemma la benevolenza. La spada è custodita presso il santuario di Atsuta a Nagoya, lo specchio presso il santuario di Ise situato nella prefettura di Mie e la gemma è custodita presso il palazzo imperiale di Tōkyō.


    Le shimekazari sono decorazioni che vengono esposte sull’uscio di casa ed hanno la stessa funzione delle shimenawa, ovvero tenere lontano gli spiriti maligni e accogliere il kami del nuovo anno indicandogli la strada (un po’ come le lanterne che, esposte durante il Bon, aiutano le anime degli antenati a ritrovare la via di casa). Allo stesso modo delle shimenawa, gli shimekazari indicano che un luogo è sacro e adatto al culto delle divinità. Servono come confine tra il regno dei kami e questo mondo, impedendo alle cose impure di invadere quell’area. Per questo motivo, quando si avvicina il Capodanno, la gente si prepara ad accogliere i kami del nuovo anno decorando le proprie case con shimenawa (corde di paglia sacre) e shimekazari (decorazioni per il nuovo anno).
    Esistono diversi tipi di shimenawa shimekazari a seconda dello scopo e della regione. In passato, il capofamiglia incaricato di organizzare gli eventi di Capodanno preparava ed esponeva queste decorazioni ma col tempo questa operazione si è gradualmente semplificata ed ora vengono collocate all’ingresso o sul kamidana.
    Come detto in precedenza, queste decorazioni vengono fondamentalmente esposte all’ingresso per dare il benvenuto al kami del nuovo anno o su un altare shintoista, ma esiste un’ampia varietà di divinità che possono essere venerate, come il kami del kamado, il kami dell’acqua e molte altre.
    Queste decorazioni sono create con listarelle di paglia intrecciata e decorate con vari ornamenti tipici come ad esempio:

    Kamishide (紙垂) ornamenti di carta shintoisti dalla caratteristica forma a zigzag che stanno a rappresentare la discesa dei kami.

    Urajiro (裏白) le foglie di felce simbolo di purezza di buon auspicio per la prosperità della famiglia.

    Daidai (橙) un tipo di arancia che augura prosperità di generazione in generazione. Giocando con i kanji il nome di questo frutto può essere scritto anche in questo maniera 代々, usando il kanji di generazione.

    Aragoste: sono ornate anche con aragoste la cui forma del corpo ricorda le sembianze di un uomo anziano. Sono quindi un simbolo di buona fortuna.

    Rami di pino: segno di longevità data la loro natura di piante sempreverdi.

    Queste decorazioni possono essere esposte a partire dal 13 Dicembre che è conosciuto anche come shōgatsu koto hajime (正月事始め, inizio delle preparazioni per lo shōgatsu). Perlopiù i giapponesi le espongono una volta passato il 25 Dicembre, dopo aver ritirato le decorazioni natalizie. La maggior parte dei giapponesi cerca di evitare di esporle il 29 Dicembre perché la lettura di 29 niju-ku (二重苦) che scritto con i kanji tra parentesi significherebbe un giorno con la sovrapposizione di due sofferenze
    Queste decorazioni una volta rimosse vengono bruciate il 15 Gennaio in occasione della cerimonia detta sagichō (左義長) ma conosciuta anche con il nome di dondon-yaki (どんどん焼き) che si tiene presso i santuari shintoisti per segnare la fine dei festeggiamenti del nuovo anno.

    Shimenawa, shimekazari e modernità.
    Oggi sono disponibili molti tipi moderni e molte persone le realizzano a mano seguendo i propri gusti e lo stile del proprio arredamento. L’importante è considerare e mantenere il significato originale, è importante usare la paglia per la creazione della propria decorazione e includere sempre dei portafortuna in quando la cultura giapponese è ancora intrisa di queste superstizioni.

JapanItalyUSAUnknown