L’equinozio d’autunno
La maggior parte delle persone associa indubbiamente questo giorno all’equilibrio perfetto tra luce e oscurità, un equinozio celeste che segna l’esatto momento in cui il sole attraversa l’equatore celeste. Sebbene nel 2024 shūbun no hi (秋分の日) cada il 22 settembre, la data è soggetta a minime fluttuazioni annuali, dettate da precisi calcoli celesti. Negli ultimi anni, questa festività ha acquisito un’importanza crescente per i giapponesi, diventando un punto di riferimento culturale che spesso incide sulla durata della Golden Week autunnale, meglio conosciuta come “Silver Week“. L’autunno si conferma la stagione prediletta per i viaggi itineranti e lo svago all’aria aperta.
Una Festa Nazionale Unica
La legislazione nipponica, nel 1948, ha sancito lo shūbun no hi, l’equinozio d’autunno, quale festività nazionale, consacrando un legame profondo tra l’uomo e i ritmi cosmici. Sebbene nel 2024 ricada il 22 settembre, la data esatta di tale ricorrenza è soggetta a minime oscillazioni annuali, determinate dai complessi movimenti celesti del sole.
Questa consuetudine di ancorare una festività a fenomeni celesti è un tratto distintivo del calendario giapponese, un vero e proprio patrimonio culturale unico nel panorama internazionale. È interessante notare come lo shūbun no hi si inserisca nel più ampio contesto dei nijūshisekki (二十四節気), un raffinato sistema di divisione dell’anno in termini solari di origine cinese, adottato e rielaborato dalla tradizione nipponica.
L’equinozio è un istante cosmico preciso in cui il sole, nel suo percorso apicale, raggiunge lo zenith sull’equatore terrestre. Questo fenomeno astronomico, frutto dell’intersezione tra l’eclittica del sole e l’equatore celeste, segna l’equilibrato connubio tra luce e oscurità, un momento di perfetta simmetria cosmica. In questi giorni, luce ed oscurità hanno la stessa durata, celebrando un’effimera armonia tra le forze celesti.
Equinozi in Giappone: un viaggio tra passato e presente
Il Giappone, da sempre terra di tradizioni millenarie e di un profondo reverenziale rispetto per la natura e gli antenati, celebra due importanti festività legate agli equinozi: lo shūbun no hi (秋分の日), l’equinozio d’autunno, e lo shunbun no hi (春分の日), l’equinozio di primavera.
Dalla corte imperiale al cuore del popolo
Prima della Seconda Guerra Mondiale, questi equinozi erano legati a cerimoniali più formali e riservati alla corte imperiale. L’equinozio d’autunno, ad esempio, era conosciuto come shūki-kōreisai (秋期皇霊祭), un solenne rito dedicato al ricordo degli spiriti ancestrali dei precedenti imperatori e della famiglia imperiale. Similmente, lo shunbun no hi era chiamato shunki-kōreisai (春季皇霊祭).
Con la fine del conflitto mondiale e l’inizio di un nuovo capitolo nella storia del Giappone, queste festività hanno subito una profonda metamorfosi. Nel 1948, sia l’equinozio d’autunno che quello di primavera sono stati ridefiniti, diventando celebrazioni più inclusive e aperte a tutti i cittadini.
Lo shūbun no hi è diventato un momento per onorare non solo gli antenati imperiali, ma tutti i defunti, in particolare coloro che hanno sacrificato la vita durante il conflitto. È un giorno dedicato alla contemplazione, alla gratitudine e al ricordo dei propri cari.
Lo shunbun no hi invece, è stato consacrato alla celebrazione della rinascita della natura e alla speranza per il futuro. È un momento per esaltare la bellezza della primavera e per ringraziare per la vita.
Shūbun no hi e higan
L’equinozio d’autunno è anche conosciuto come higan no chūnichi (彼岸の中日), “il giorno centrale dello higan“. Ma cosa significa esattamente “higan” e perché è così strettamente legato all’equinozio d’autunno?
Ohigan
L’equinozio d’autunno, insieme ai tre giorni precedenti e successivi, costituisce un periodo di sette giorni noto come aki no ohigan (秋のお彼岸), letteralmente “higan d’autunno”. Il primo giorno è chiamato higan-iri (彼岸入り), “inizio dello higan” mentre l’ultimo giorno higan-ake (彼岸明け), “fine dell’Ohigan”. Il giorno centrale, che risulta essere l’equinozio d’autunno stesso, è chiamato higan no chūnichi (彼岸の中日), “il giorno centrale dell’Ohigan”.
Higan e shigan
Questa usanza, tipicamente giapponese, ha origini antiche, risalenti addirittura al periodo Heian (794-1185). Nel buddismo, il mondo in cui si crede risiedono i nostri antenati, ovvero un luogo di illuminazione, è chiamato higan (彼岸, letteralmente l’”altra sponda”), mentre il nostro mondo, pieno di turbolenze e affanni, è chiamato shigan (此岸 , letteralmente “questa sponda”).
Poiché nell’equinozio d’autunno la durata del giorno e della notte è quasi identica, si credeva che in questo periodo la distanza tra il nostro mondo e quello dei nostri antenati fosse minima, rendendo più facile esprimere loro la nostra gratitudine. Da qui ha origine la tradizione dell’Ohigan.
Pertanto, il periodo intorno all’equinozio d’autunno è dedicato al culto degli antenati, con visite alle tombe di famiglia e offerte all’altare buddista.
Anche l’equinozio di primavera, con i suoi tre giorni precedenti e successivi, è chiamato Ohigan. Ma di questo ne parleremo in un altro articolo.
Ohagi
Durante l’equinozio d’autunno, il giorno centrale del periodo dello higan è consuetudine consumare gli ohagi (おはぎ). Esistono varie teorie legate alle origini di questa tradizione. Quella prevalente sostiene che la pratica ebbe inizio quando i fagioli rossi azuki, venerati per la loro capacità di allontanare gli spiriti maligni, furono presentati come offerte agli antenati.
L’ohagi è uno dei dolci tradizionali giapponesi che le persone consumano durante l’autunno. I giapponesi lo preparano cuocendo il riso glutinoso e pestandolo leggermente fino a quando la metà dei grani rimane intatta, quindi lo cospargono di pasta di fagioli, farina di soia e semi di sesamo.
L’ ohagi deve il suo nome dal fiore stagionale l’hagi (萩), o trifoglio giapponese, che fiorisce proprio in questo periodo e che nelle tradizione giapponese rappresenta la gratitudine per le benedizioni del raccolto.
Gli ohagi sono simili ai botamochi ma i primi sono serviti esclusivamente durante l’autunno e il botamochi in primavera. E tradizione in certe famiglie giapponese onorare gli spiriti dei loro antenati preparando in casa gli ohagi, per poi offrirli sia sul butsudan sia a parenti e vicini come segno di amicizia. È una tradizione tramandata in Giappone sin dal periodo Edo (1603-1868). (Quelli della foto sono stati fatti in casa dalla zia di mia moglie)
I fagioli azuki
I fagioli azuki, un alimento di base nella dieta giapponese fin dal periodo Jomon, sono da lungo tempo profondamente radicati nel patrimonio culinario della nazione. Mentre lo zucchero, una preziosa merce in epoche passate, elevò l’ohagi allo status di dolce di lusso, in particolare modo tra la gente comune del periodo Edo.
Nel tempo questo semplice dolce si è evoluto in un’offerta per la venerazione degli antenati fungendo contemporaneamente come mezzo per invocare protezione divina contro le forze maligne e pregare per la buona salute di tutta la famiglia.
La somiglianza tra i fiori di hagi e i fagioli azuki diede origine fece si che all’inizio il nome di questo dolce fosse ohagimochi (御萩餅). Nel tempo, il suffisso “mochi” (餅) fu gradualmente omesso, risultando nella forma contemporanea, “ohagi“, scritta in hiragana おはぎ.
La misteriosa bellezza degli higan-bana
Con i suoi petali di un rosso fiammeggiante e la sua forma esoterica, il manjushage (曼珠沙華) cattura lo sguardo di chiunque si trovi in Giappone durante l’autunno. Questo fiore, noto anche come higanbana (彼岸花), cela un significato profondo, radicato nella tradizione buddista e shintoista. In sanscrito, manjushage significa letteralmente “fiore che sboccia nel paradiso”, evocando immagini di serenità e bellezza ultraterrena.
Tipico fiore autunnale, il manjushage sboccia proprio nel periodo dello shūbun, offrendo uno spettacolo di rara bellezza che dura circa una settimana. Da qui il nome higan-bana, o “fiore dello higan“, che lo lega indissolubilmente all’equinozio d’autunno e alle celebrazioni dedicate agli antenati. Originario della Cina, in Giappone si è naturalizzato, diventando un simbolo dell’autunno e popolando i cimiteri, le risaie e i bordi delle strade.
Higanbana: un velo di mistero e fascino
Proprio perché crescono spesso in prossimità dei luoghi sacri, gli higanbana hanno guadagnato appellativi carichi di mistero come yūrei-bana (幽霊花), “fiore dei fantasmi”, o shibito-bana (死人花)”fiore dei morti”, alimentando così un’aura di inquietudine e fascino.
Un guardiano velenoso
La presenza di questi fiori in questi luoghi non è casuale: essi contengono alcaloidi letali, concentrati soprattutto nel bulbo. Ingerirli può provocare convulsioni spasmodiche, difficoltà respiratorie e persino la morte. Si narra che un tempo le persone fossero solite piantarli ai confini dei campi, nelle risaie o nei pressi delle tombe di famiglia per tenere a bada creature infestanti come talpe e topi, sfruttandone la tossicità. Questa antica usanza ha lasciato un’impronta indelebile, regalandoci oggi uno spettacolo di incomparabile bellezza in occasione dell’equinozio d’autunno.
In Giappone, ci sono numerosi luoghi che offrono la possibilità di ammirare distese di manjushage. Tra questi, il “Kinchakuda Manjushage Kōen” di Hiki, nella prefettura di Saitama, è famoso per la sua vastità e la sua bellezza mozzafiato.
Un momento di riflessione
Come avevo riportato in un precedente contributo un detto giapponese che recita.
「暑さ寒さも彼岸まで」
Atsusa samusa mo higan made
“Il caldo e il freddo finiscono con lo Higan“
Questa saggia massima popolare ci ricorda come, in corrispondenza degli equinozi di primavera e d’autunno, il clima inizi gradualmente a mitigarsi, segnando un delicato passaggio verso una nuova stagione.
L’equinozio d’autunno, in particolare, sancisce l’inizio di un periodo caratterizzato da temperature clementi e piacevoli, in netto contrasto con le torride giornate estive. Sebbene oggi possa sembrare una data come tante altre, in passato l’equinozio d’autunno rivestiva un significato sacrale, essendo dedicato al ricordo e al rispetto dei nostri antenati, e alla gratitudine per i doni della vita.
Ricordare i nostri cari che ci hanno preceduto e apprezzare le piccole gioie della quotidianità è un modo sublime per affrontare questo periodo dell’anno, intriso di malinconica bellezza.