Disclaimer: le connessioni tra il personaggio di Gojō Satoru e i concetti buddhisti presentate in questo articolo sono frutto di un’analisi personale e di una passione per entrambe le tematiche. È importante sottolineare che non esiste una conferma ufficiale da parte dell’autore, Gege Akutami, riguardo a queste influenze. Questo articolo vuole essere un invito alla riflessione e all’approfondimento, stimolando il lettore a scoprire autonomamente le molteplici sfaccettature di Jujutsukaisen.
Chi non conosce Gojō Satoru (五条悟), il potente stregone di Jujutsu Kaisen? Il suo ryōiki-tenkai (呪術回線), o “espansione del dominio”, ha lasciato tutti a bocca aperta, soprattutto durante lo scontro con Jōgo (漏瑚). Ma sapevate che dietro la forza straordinaria di Gojō si nasconde un segreto legato a una delle religioni più antiche e affascinanti del mondo? Il concetto di muryōkūsho (無量空処), o “vuoto infinito”, che caratterizza il suo potere, ha radici profonde nel buddhismo. Scopriamo insieme come la spiritualità buddista abbia ispirato la creazione di uno dei personaggi più amati dei manga e anime.
Gojō Satoru
Il nome di Gojō Satoru nasconde un profondo significato. Satori (悟り) significa “illuminazione” in giapponese, un concetto chiave nel Buddhismo che indica un risveglio spirituale, la liberazione dall’illusione e il raggiungimento della verità eterna trascendendo la nascita e la morte, il Nirvana.
È interessante notare come questo nome risuoni perfettamente con il suo personaggio: Gojō, infatti, è spesso raffigurato in pose che ricordano quelle dei Buddha, come quando, durante un combattimento cruciale, contro Fushiguro Tōji, assume la posizione del Buddha Shakyamuni, pronunciando le parole, tenjō tengen yuiga dokuson (天上天下唯我独尊), che significano “in cielo e in terra io sono l’unico ad essere onorato”. Questa posa iconica, con l’indice della mano destra alzato verso il cielo e quello della mano sinistra verso la terra, è un chiaro riferimento al momento della sua illuminazione. Un dettaglio che non può sfuggire ai lettori più attenti e che aggiunge un ulteriore livello di profondità al personaggio. Tenjō tengen yui ga dokuson, oltre al riferimento alla posa del Buddha si racconta siano state le sue prime parole pronunciate al momento della nascita.
Rikugan
Il sesto occhio, o rikugan (六眼) in giapponese, nella storia raccontata da Akutami è una capacità innata che si risveglia sporadicamente all’interno del clan Gojō attraverso occhi di un colore azzurro intenso, scintillanti di un’energia innaturale. Non si tratta solo di una caratteristica estetica, ma di una vera e propria porta verso un mondo sensoriale superiore. Grazie al rikugan, il possessore può manipolare l’energia maledetta con una precisione e una potenza inimmaginabili, sbloccando tecniche potentissime come la mukagenjujutsu (無下限呪術), o tecnica dell’infinito. Si dice che un antenato del potente Gojō, vissuto addirittura prima del periodo Edo, possedesse già questa combinazione letale. Un potere incredibile che rende Gojō Satoru uno stregone senza pari negli ultimi 400 anni.
Gogen, i cinque occhi del buddismo
Hai mai sentito parlare dei gogen (五眼), i “cinque occhi” del buddismo? Sono un po’ come dei super poteri spirituali che permettono di vedere oltre la realtà che conosciamo. Immagina di avere un occhio che ti permette di guardare nei cieli e vedere i reami celesti, o un altro che ti fa capire la vera natura delle cose, svelando i segreti dell’universo.
l’idea di base che c’è dietro il rikugan che si vede in Jujutsu Kaisen molto probabilmente derivano proprio dal concetto gogen. Nella tradizione buddista, i “cinque occhi” rappresentano cinque tipi di visione spirituale che essere vivente può ottenere durante il suo percorso verso l’illuminazione.
L’occhio fisico (肉眼 – nikugan): rappresenta la percezione sensoriale ordinaria, limitata al mondo materiale.
L’occhio celeste (天眼 – tengen): è la capacità di vedere al di là del mondo materiale, di percepire i reami celesti o altre dimensioni.
L’occhio saggio (慧眼 – egen): è la capacità di discernere la verità, di penetrare l’illusione e di comprendere la natura delle cose.
L’occhio della legge (法眼 – hōgen): è la capacità di vedere la legge universale, il dharma, e di comprendere le relazioni causali.
L’occhio del Buddha (仏眼 – butsugen): è la visione completa e perfetta della realtà, raggiunta solo da un essere illuminato.
Immagina un percorso spirituale come una lunga scalinata. Ad ogni gradino, la nostra percezione della realtà si affina, si amplia. I gogen rappresentano proprio questi gradini. Dal nikugan, l’occhio fisico che ci permette di vedere il mondo materiale, si arriva al butsugen, l’occhio del Buddha, che ci svela la vera natura delle cose. È un viaggio meditativo, che ci porta da una percezione limitata e superficiale a una comprensione profonda e completa della realtà.
Questa classificazione in cinque livelli della percezione è un modo per descrivere il percorso spirituale di un individuo, dalle prime esperienze sensoriali fino alla realizzazione finale della verità. Originariamente buddista, è stata adattata e utilizzata in vari contesti filosofici e religiosi. L’idea di base è quella di suddividere la percezione in cinque categorie sempre più raffinate, che vanno dalla percezione sensoriale più semplice (l’occhio fisico) fino alla comprensione profonda e completa della realtà (l’occhio del Buddha). Questa classificazione a cinque livelli della percezione è un modo per descrivere il percorso spirituale di un individuo, dalle prime esperienze sensoriali fino alla realizzazione finale della verità.
Gogen e rikugan
Se il gogen rappresenta una porta d’accesso a una dimensione percettiva più vasta, il rikugan ne è l’evoluzione naturale. Chi possiede il rikugan trascende i limiti del gogen, acquisendo una comprensione più profonda e raffinata della realtà. Mentre il gogen permette di percepire tutte le entità all’interno del dominio buddhista (per usare linguaggio legato all’opera), il rikugan si spinge oltre, includendo fenomeni più sfuggevoli come la forze demoniache e gli incantesimi. È come passare da una visione monocromatica a una a colori, o meglio, a una visione che comprende anche le frequenze invisibili allo spettro visibile.
Satoru, con la sua capacità di comprendere e interagire con le forze spirituali, non si limita a percepire l’essenza delle cose (gogen), ma ne penetra i meccanismi più profondi. Questa capacità innata gli permette di individuare e analizzare qualsiasi tipo di energia, permettendogli di anticipare le mosse dei suoi avversari e di manipolare l’energia spirituale a suo piacimento.
Il colore degli occhi
Hai mai pensato che i colori potessero nascondere significati profondi? Nel Buddhismo, i cinque colori, chiamati gohsiki (五色), non sono semplici sfumature, ma veri e propri portali verso una comprensione più profonda dell’universo e di noi stessi.
Il colori, nel buddhismo, non sono solo una percezione visiva, ma un ponte profondo che collega l’uomo all’universo. Ogni tinta, con la sua vibrazione unica, è legata a un elemento, una direzione e un significato simbolico, offrendo una chiave di lettura per comprendere l’armonia cosmica.
Guardando verso l’oriente, all’alba, lo sguardo si posa su un cielo che si tinge di blu. Questo colore, nell’immaginario buddhista, simboleggia l’infinito, il cielo, e il potere curativo. È associato all’elemento acqua, che nutre e purifica. Il blu, infatti, invita alla calma e alla riflessione, favorendo la connessione con il proprio io più profondo.
Ruri (瑠璃), il lapislazzulo, è una gemma di un blu intenso che, nella tradizione buddhista, è considerata una delle sette gemme piu preziose. Si narra che provenga dal Monte Sumeru, il centro dell’universo buddhista, e sia una delle sette gemme preziose. Il lapislazzulo, con la sua profondità e luminosità, rappresenta la saggezza e la compassione, due qualità fondamentali per raggiungere l’illuminazione.
Essere consapevoli di questi colori nella vita quotidiana è estremamente utile per mantenere un’armonia con la natura e perseguire la tranquillità mentale. Gli insegnamenti buddhisti sui cinque colori ci guidano verso una comprensione dell’equilibrio tra il mondo materiale e quello spirituale, arricchendo così la nostra mente.
È interessante notare come il personaggio di Gojō Satoru, con i suoi intensi occhi azzurri, possa essere visto come una rappresentazione simbolica di questa saggezza. I suoi occhi, come il lapislazzulo, potrebbero suggerire una profonda comprensione del mondo e una capacità di vedere oltre l’apparenza, portatori di una concentrazione meditativa profonda che permette di penetrare la vera natura delle cose. Nel buddhismo, il blu è spesso associato a questo stato di quiete e di illuminazione, e gli occhi di Gojō potrebbero essere una visualizzazione artistica di questa profonda connessione con l’universo.
Muryōkūsho, perché l’espansione del dominio di Gojō Satoru è così potente?
Immagina uno spazio infinito, senza limiti, dove non esiste né tempo né distanza. Questo è il muryōkūsho (無量空処). Quando Gojō attiva il suo dominio, trascina chiunque si trovi nelle vicinanze in questo spazio infinito. All’interno di questo dominio, lo stregone ha il controllo assoluto su tutto: spazio, tempo, e persino le leggi della fisica.
Pensa a un pesce in una piccola pozza d’acqua. Per quanto il pesce si sforzi di nuotare verso l’orizzonte, si ritrova sempre nello stesso punto. Questo è ciò che accade agli avversari di Gojō all’interno del suo dominio: non importa quanto cerchino di scappare, sono intrappolati in uno spazio infinito senza via d’uscita. È una combinazione di potere assoluto, controllo totale dello spazio e del tempo, e una percezione infinita. Non a caso, è considerata una delle tecniche più potenti dell’universo di Jujutsu Kaisen.
Muryōkūsho è una tecnica estremamente potente che sovraccarica il cervello dell’avversario con una quantità infinita di informazioni visive, paralizzandolo completamente. Questa abilità è così devastante che, una volta intrappolati al suo interno, è quasi impossibile sfuggire. Un comune essere umano perde i sensi dopo appena 0,2 secondi all’interno del dominio e può impiegare fino a due mesi per riprendersi. Anche una maledizione di grado speciale è stata vista rimanere immobile e incapace di agire per diversi minuti.
Il vuoto infinito e le sue radici nel buddhismo
Abbiamo già analizzato l’incredibile potenza del dominio di Gojō, il vuoto Infinito. Ma da dove trae origine questa tecnica così devastante? La risposta ci riporta al buddhismo e al concetto del kūmuhensho (空無辺処), che indica proprio uno stato di spazio infinito e vuoto. Il buddhismo quindi potrebbe essere la chiave di volta di questa abilità. Un legame profondo che collega il mondo di questo shōnen a quello della meditazione e della spiritualità.
Kūmuhensho e un termine di buddista che indica uno stato in cui non c’è nulla e non c’è fine. Uno stato di meditazione profonda in cui si comprende l’infinita vastità di uno spazio privo di qualsiasi entità materiale. Rappresenta un livello di realizzazione spirituale che trascende tutte le forme materiali presenti nel yokukai (欲界), ovvero il regno del desiderio e dello shikikai (色界), il regno della forma. In questo stato, si osserva un vuoto infinito e inconcepibile, privo di qualsiasi intenzione o scopo.
Il kūmuhensho è un concetto molto profondo nella filosofia buddista e rappresenta il culmine di un percorso meditativo volto a trascendere ogni forma di dualità e a realizzare la natura ultima della realtà. È uno stato in cui si sperimenta direttamente l’infinito e l’inconcepibile, liberandosi da ogni limitazione e attaccamento. Da qui la mia idea che entrambi kūmuhensho e muryōkūsho, pur appartenendo a contesti diversi (filosofico-religioso il primo e fantastico il secondo), condividono il concetto di un’estensione infinita e priva di limiti. Entrambi evocano un senso di vastità e di assenza di confini, uno stato che può essere sia liberatorio che opprimente a seconda del punto di vista.
Il dominio di Gojō può essere quindi paragonato ad un cosmo o a uno spazio-tempo, che inviando una grande quantità di informazioni al cervello di un avversario, che non avendo raggiunto un livello così elevato, si paralizza. Una paralisi non solamente fisica, ma anche un blocco mentale, causato dall’impossibilità di elaborare la quantità di informazioni ricevute.
Il kūmuhensho appartiene a uno dei quattro cieli del mushikikai (無色界), il livello più alto all’interno della visione del cosmo buddista. Questo regno è caratterizzato dall’assenza di forma e di materia, un concetto che si allinea perfettamente con l’idea di uno spazio infinito e vuoto come quello evocato da Gojō.
Un viaggio attraverso i reami del buddhismo
Immaginate un universo diviso in sei regni, ciascuno con le proprie regole. Nel buddhismo, si crede che ogni essere vivente rinasca in uno di questi regni in base alle azioni compiute nella vita precedente. Questi sei regni sono a loro volta divisi in tre sfere: del desiderio (欲界 yokkai), della forma (色界 – shikikai) e senza forma (無色界 – mushikikai). Salendo sempre più in alto, si raggiungono sfere sempre più pure e spirituali. Al culmine di questo percorso, troviamo i tre regni formati dalla meditazione profonda. Il più alto di questi, il mushikikai è un mondo fatto di pura coscienza. Al suo interno, il kūmuhensho è il primo regno, uno stato di meditazione dove si sperimenta l’infinita vastità dello spazio, un vuoto cosmico che ingloba tutto.
Muryōkūsho come il kūmuhensho indica quindi un particolare stato di coscienza raggiunto attraverso la meditazione. In entrambi i casi, si tratta di stati molto avanzati, caratterizzati da un’espansione infinita della consapevolezza e dalla dissoluzione dei confini tra sé e quello che ci circonda. Un discorso che l’autore del manga fa pronunciare a Gojō potrebbe essere un riferimento o un’allusione al concetto buddista del kūmuhensho. È interessante notare come questo concetto sia in qualche modo richiamato dalla tecnica di espansione del dominio di Gojō.
La posizione delle dita
Per chi sta leggendo il manga o vedendo l’anime sa che i vari personaggi, al momento dell’attivazione dell’espansione del dominio, sono soliti assumere una determinata forma con le dita della mani.
Quando Gojō attiva il suo dominio, la posa delle sue dita ricorda quella di una divinità chiamata Taishakuten (帝釈天), che nella mitologia indo-vedica, è considerato una delle divinità più potenti e nella religione buddista è uno dei suoi protettori. Conosciuto anche come dio della guerra, era un abile guerriero. Si dice che abbia sconfitto il demone Asura, un feroce guerriero, in una battaglia leggendaria.
Chi avrebbe mai pensato che un’opera come Jujutsu Kaisen potesse nascondere al suo interno riferimenti così profondi alla filosofia buddhista? Il kūmuhensho, un concetto apparentemente astratto e complesso, viene a mio parere qui trasformato in un elemento chiave della trama, legando Gojō Satoru e il suo potere a un’idea millenaria sulla natura della realtà.
Questo è solo uno dei tanti esempi di come la cultura possa attingere a fonti antiche e complesse per creare storie originali e significative. Jujutsukaisen dimostra che è possibile coniugare l’intrattenimento con la riflessione, offrendo ai lettori un’esperienza coinvolgente e stimolante. In fondo, è proprio questo il fascino dei manga e degli anime: la capacità di farci viaggiare nel tempo e nello spazio, di farci conoscere culture diverse e di farci riflettere su questioni profonde. E chi l’avrebbe mai detto che un semplice shōnen potesse nascondere riflessioni così preziose?