I jizō che vegliano sulle strade si Tōkyō
Mentre vivevo a Tōkyō per i miei studi un pomeriggio mentre passeggiavo con un collega dell’università mi imbattei in una statua di Jizō bosatsu con una targa con su scritta la seguente frase:
これは江戸の街道を守護する目的で造られた。
“Questa statua fu eretta con lo scopo di proteggere le strade di Edo“
Era il 2007 e, poiché il mio telefono cellulare giapponese non disponeva di una fotocamera di buona qualità, spinto dalla curiosità, decisi di annotare su un pezzo di carta la frase che avevo letto sulla statua di Jizō. Ero infatti molto interessato a saperne di più sia sulla statua stessa che sul significato di quella particolare iscrizione.
Tokugawa e le infrastrutture
Immaginatevi a passeggiare per le strade di Edo, la Tōkyō del XVII secolo. Un’epoca di grandi cambiamenti, dove il Giappone si stava unificando sotto il potente shogunato Tokugawa. Fu proprio in questo periodo che nacque un’ambiziosa rete stradale, frutto della visione di Tokugawa Ieyasu (徳川家康). Dopo la battaglia di Sekigahara (1600), il futuro shōgun comprese l’importanza delle infrastrutture per consolidare il suo potere. Nasce così un vasto programma di costruzione e manutenzione delle strade, volto a soddisfare le esigenze dei mercanti e a sostenere il sistema sankin kōtai, che obbligava i daimyō a recarsi periodicamente a Edo. Le direttive dello shogunato erano talmente precise che il sistema stradale di Edo divenne un modello di efficienza, tanto da impressionare gli stranieri che visitarono il Giappone in quel periodo. La statua che vidi quel giorno a Tōkyō, eretta a guardia di una di queste strade, una silenziosa testimone di quell’epoca.
Il sankin kōtai
Il sistema del sankin kōtai (参勤交代) imponeva ai daimyō la costruzione di una residenza nella città di Edo dove erano costretti a vivere a rotazione, alternando un anno nella capitale e uno nei propri domini. I familiari dei daimyō erano invece tenuti a risiedere stabilmente a Edo. Questo sistema permetteva allo shōgun il controllo di potenti signori feudali. In pratica, tenendo in osteggio le loro famiglie a Edo, si assicurava la loro lealtà.
Gokaidō – Le cinque strade di Edo
Durante il periodo Edo, il Giappone vide un notevole sviluppo infrastrutturale con la creazione delle cinque grandi strade, le Gokaidō (五街道). Confluendo tutte al ponte Nihonbashi (日本橋), queste vie costituivano l’ossatura del sistema viario del paese. In particolare, la Tōkaidō (東海道, letteralmente “strada del mare orientale”), già esistente fin dal periodo Nara, fu oggetto di una completa ristrutturazione, mentre la Nakasendō (中山道, letteralmente “strada centrale di montagna”), sfruttando il tracciato dell’antica Tōsandō (東山道), fu ampliata e migliorata. Entrambe queste strade rivestivano un’importanza cruciale per i collegamenti tra Edo, la nuova capitale dello shogunato, e Kyōto, l’antica capitale imperiale.
Per garantire un accesso sicuro e solenne al mausoleo di Tokugawa Ieyasu, presso il santuario di Nikkō, fu costruita la Nikkōkaidō (日光街道). Questa importante via di comunicazione, che ripercorreva un antico sentiero, fu ufficialmente istituita nel 1617 da Tokugawa Hidetada (徳川秀忠), figlio e successore di Ieyasu, con l’obiettivo di collegare in modo stabile Edo, la nuova capitale dello shogunato, al luogo di culto dedicato al fondatore della dinastia Tokugawa.
L’Ōshū-kaidō (奥州街道) fu originariamente concepita per collegare Edo alla provincia di Mutsu (陸奥の国, Mutsu no kuni), corrispondente all’odierna regione del Tōhoku, duramente colpita dal grande terremoto del 2011. In seguito, il suo percorso fu esteso fino all’isola di Hokkaidō.
Parallelamente, fu costruita la Kōshū-Kaidō (甲州街道) per collegare Edo alla provincia di Kai (甲斐の国, Kai no kuni), l’attuale prefettura di Yamanashi. Si narra che quest’ultima strada fosse stata ideata sua come via per muover facilmente l’esercito sia come via di fuga per lo shōgun in caso di assedio al castello di Edo.
Le cinque grandi strade del Giappone, le gokaidō, furono designate come arterie principali dallo shogunato Tokugawa, con il ponte Nihonbashi di Edo come punto di partenza comune. L’iscrizione presente sull’attuale ponte, opera di Tokugawa Yoshinobu (徳川慶喜), ultimo shōgun, testimonia l’importanza simbolica di questo luogo, considerato il cuore del Giappone durante il periodo Edo. A partire dal 1604, con la designazione ufficiale del ponte Nihonbashi, iniziò la graduale costruzione di queste importanti vie di comunicazione terrestre. Le cinque strade furono completate rispettivamente: la Tōkaidō nel 1624, la Nikkōkaidō nel 1636, l’Ōshūkaidō nel 1646, la Nakasendō nel 1694 e la Kōshūkaidō nel 1772.
La progettazione e la realizzazione di queste strade erano governate da normative precise che ne definivano gli standard costruttivi. La suddivisione in ri (里), unità di misura corrispondente a 3,927 km, e la segnalazione mediante ichiritsuka (一里塚), coppie di tumuli posti ai lati della strada ogni 4 chilometri, erano elementi fondamentali di questa pianificazione, che regolava anche aspetti come la larghezza della carreggiata e la presenza o meno di vegetazione lungo il percorso.
Le gokaidō inoltre erano dotate di un sistema di stazioni di posta, le shukuba (宿場), distanziate in media ogni 7-10 chilometri. In conformità ai regolamenti shogunali, queste strutture offrivano servizi di alloggio, ristoro e cambio cavalli, garantendo così un efficiente sistema di trasporti lungo le principali vie di comunicazione del Giappone.
Le gokaidō da sole non erano comunque sufficienti per raggiungere tutti i domini, quindi strade secondarie furono potenziate per migliorare ulteriormente i collegamenti all’interno del paese.
La nascita dei sei Jizō di Edo
Si racconta che nel 1706, un monaco buddista di nome Shōgen (正元), che viveva a Edo, fu colpito da una malattia incurabile. Affidandosi alla fede, Shōgen implorò Jizō Bosatsu di salvarlo, sigillando un patto con un’offerta devota: “Se mi guarisci, erigerò statue dei sei Jizō.
Shōgen si riprese dalla malattia, sfidando ogni previsione. Fedele alla sua promessa, con un atto di devozione, fece erigere a Edo grandi statue di bronzo, laminate d’oro di Jizō in sei luoghi considerati allora le sei entrate della città, punti di partenza anche delle gokaidō.
Jizō Bosatsu
Jizō (地蔵), correttamente chiamate anche Jizō Bosatsu (地蔵菩薩), o più affettuosamente “Ojizōsan” (お地蔵さん) o “Ojizōsama” (お地蔵様), è considerato il protettore dei bambini e dei viaggiatori. Le sue statue si trovano in tutto il Giappone: nei templi buddisti, nei cimiteri, lungo le strade di campagna e persino negli angoli più nascosti delle città. Le statue di Jizō, sono realizzate in pietra, un materiale che si crede possegga poteri protettivi ancestrali. Originario dell’India, la sua figura è oggi un simbolo familiare del paesaggio giapponese. I tipici bavaglini rossi e cappellini che adornano le statue sono un richiamo alla tradizione e alla protezione dalle energie negative.
Legati al mito del sanzu no kawa (三途の川), il fiume che separa il mondo dei vivi da quello dei morti, jizō è venerato come protettore delle anime dei bambini deceduti prima di essere venuti al mondo, conosciuti come mizu no ko (水の子). Si crede che questi piccoli spiriti, incapaci di attraversare il fiume, siano costretti a costruire torri di pietra per espiare la colpa di aver causato un grande dolore ai propri genitori. I demoni, tuttavia, distruggono queste torri, ma jizō interviene per salvare queste anime innocenti. Questa figura, spesso raffigurata con un bambino in braccio, è anche associata ai viaggiatori, ereditando il ruolo degli antichi dōsojin (道祖神), posti a guardia dei sentieri.
Perché Shōgen decise di offrire proprio sei statue
Si crede che Jizō Bosatsu non solo sostituisca coloro che pregano per liberarli dalle sofferenze dell’inferno, ma visiti anche tutti e sei i mondi in cui i defunti rinascono per salvarli. I sei jizō non sono altro che le diverse forme che il Bodhisattva assume per recarsi in questi sei mondi. Le statue dei sei jizō che spesso si trovano nei cimiteri o all’interno dei complessi dei templi vengono erette con il desiderio che i defunti rinascano in un mondo migliore.
Nella dottrina buddista i sei mondi sono chiamati rokudō (六道) o anche rikudō. Si dice che, dopo la morte, gli esseri umani vengano giudicati in base alle loro azioni compiute durante la vita e rinascano in uno di questi mondi. Sebbene con gradi di sofferenza diversi, nessuno di questi mondi permette di sfuggire alla sofferenza stessa. Originariamente, lo scopo del buddhismo era quello di raggiungere l’illuminazione e liberarsi dal ciclo infinito delle rinascite nei sei mondi, il rokudō-rinne-tenshō (六道輪廻転生). Come ho già scritto in altri post di questo blog questo concetto non e applicabile allo Jōdo Shinshū (浄土真宗), il buddhismo della terra pura che crede che tutti i defunti vengano chiamati da Amida Nyorai (阿弥陀如来) nel Paradiso Occidentale, il gokurakujōdo (極楽浄土), pertanto non rinascono nei sei mondi. La Jōdo Shinshū offre una visione della morte e dell’aldilà molto diversa da altre scuole buddhiste. Invece di preoccuparsi della rinascita in uno dei sei mondi, i seguaci si concentrano sulla devozione ad Amida Nyorai e sulla fiducia nella sua promessa di salvezza.
Rokudō, i sei mondi e le sei forme di Jizō
Tendō (天道): Il mondo degli dei, un luogo privo di preoccupazioni e sofferenze, pieno di gioie. Tuttavia, anche gli dei devono affrontare la morte, portando con sé tristezza e paura. I questo regno Jizō appare come Nikkō Jizō (日光地蔵).
Jindō (人道): Il mondo degli umani, un luogo pieno di sofferenze ma anche l’unico dove è possibile sfuggire al ciclo delle rinascite attraverso la pratica buddhista. In questo mondo Jizō appare come Jogaishō Jizō (除蓋障地蔵).
Shuradō (修羅層): Il mondo degli Asura, o semidei, caratterizzato da continue guerre e conflitti. In questo mondo Jizō appare come Jiji Jizō (持地地蔵).
Chikushōdō (畜生道): il mondo degli animali, un luogo dove regna la legge del più forte. In questo mondo Jizō appare come Hōin Jizō (宝印地蔵).
Gakidō (餓鬼道): il mondo degli esseri affamati, condannati a soffrire costantemente di fame e sete. In questo mondo Jizō appare come Hōju Jizō (宝珠地蔵).
Jigokudō (地獄道): l’inferno, il mondo più sofferente dei sei, dove le torture sono incessanti. In questo mondo Jizō appare come Danda Jizō (檀陀地蔵).
Jizō Bosatsu rappresenta una guida spirituale che aiuta le persone a uscire dai sei mondi e a raggiungere la liberazione. A seconda del mondo in cui si trova una persona, Jizō Bosatsu assume una forma diversa per offrire il suo aiuto. La sua presenza è una fonte di conforto e speranza per coloro che soffrono.
Edo rokujizō
Chiusa questa digressione sui sei mondi del buddismo e sulle sei forme di Jizō Bosatsu ritorniamo al nostro Shōgen che una volta guarito dalla malattia deve tener fede al voto fatto. Naturalmente non poteva portare a termine questa promessa da solo. Commissionò infatti, ad un noto maestro fonditore di metalli di quel periodo, la realizzazione delle sei statue. L’opera fu resa possibile anche grazie al generoso contributo di oltre 72.000 benefattori, la cui devozione si manifesta nei nomi incisi sui piedistalli ornati di petali di loto, simbolo di purezza e rinascita. Ogni statua infatti, raffigura un Jizō in posizione seduta su un piedistallo ornato di petali di loto, reca incisi i nomi di coloro che hanno reso possibile la sua creazione.
Ogni statua, alta circa 270 centimetri, è stata collocata all’aperto lungo le vie più importanti del tempo, offrendo una serena e imponente presenza a tutela dei viaggiatori e degli abitanti. I Jizō che si incontrano nei templi o nei vicoli delle città giapponesi sono generalmente di piccole dimensioni e spesso raggruppati insieme. Al contrario, queste statue, con la loro maestosità, incutono un profondo rispetto.
Esiste un ordine per visitare le sei statue che è diverso da quello di costruzione, poiché si ritiene che seguire questo percorso specifico porti benefici spirituali.
Honsenji
Partendo dalla stazione JR di Shinagawa e attraversando il ponte Yatsuyama (八ツ山橋, Yatsuyamahashi), si percorre a piedi la vecchia Tōkaidō fino allo Honsenji (品川寺). Si dice che questo tempio sia stato fondato da Kobo Daishi durante l’era Daido (806-810), ed è un tempio della setta Shingon. La statua con uno shakujo (錫杖, bastone rituale) in una mano e un manji (simbolo buddista) nell’altra, siede tranquillamente con lo sguardo rivolto verso la via Tōkaidō. Originariamente questa statua indossava un cappello, ma si dice che durante il grande terremoto del Kantō il cappello rotto sia caduto e mai più sostituito. Senza cappello, durante i giorni di pioggia sembra che tristi lacrime scendono sul suo viso.
Tozenji
La seconda statua di Jizō ad essere completata fu eretta nel 1710 presso il Tozenji (東禅寺), un tempio della setta Sōtō situato a Higashi Asakusa. Sembra che questa statua si trovasse inizialmente alla storica imboccatura della strada Ōshūkaidō, ma a causa di un piano di ristrutturazione urbana nel 1928, è stata trasferita nella sua attuale posizione. Questa statua si differenzia dalle altre per la presenza di un byakugō (白亳) dorato sulla fronte. Il byakugō è il piccolo ricciolo di capelli bianchi tra le sopracciglia considerato una delle trentadue caratteristiche fisiche del Buddha.
Taisōji
Questa statua situata sulla Kōshūkaidō fu eretta nel 1712 all’interno del Taisōji (太宗寺), tempio affiliato alla Jōdo Shinshū che si trova immerso tra i palazzi del quartiere di Shinjuku. Una caratteristica distintiva è il piccolo cappello che indossa. Si dice anche che all’interno della statua siano state rinvenute sei piccole statue di Jizō in bronzo e un elenco dei nomi dei donatori. Si racconta anche che il famose scrittore Natsume Sōseki fosse solito giocare nei paraggi di questa statua da bambino.
Shinshōji
Situato vicino alla stazione di Sugamo, all’inizio dell’antica strada di Nakasendō, si trova il Shinshōji (真性寺), tempio affiliato alla setta Shingon che ospita la quarta statua di Jizō, eretta nel 1714 e decorata con il tradizionale bavaglino rosso. Durante i bombardamenti aerei di Tōkyō nel 1945, l’edificio principale fu completamente distrutto dal fuoco, ma la statua di Jizō rimase illesa.
Reiganji
Sulla storica strada Mitokaidō sorge questa statua di Jizō, la quinta in ordine di costruzione, risalente al 1717. La Mitokaidō (水戸街道) era una delle più importanti strade secondarie, che collegava Edo, con Mito (oggi prefettura di Ibaraki). Il cappello leggermente inclinato e le dita delle mani, particolarmente lunghe e unite sono tratti unici di questa statua. La statua si trova all’interno del Reiganji (霊巌寺) tempio fondato nel 1624 da Ōyo Reigan (雄誉霊願), un monaco profondamente stimato da Ieyasu, Hidetada e Iemitsu Tokugawa. Costruito inizialmente su un terreno bonificato situato sull’isola di Reigan (l’attuale Shinkawa, quartiere Chūō), fu completamente distrutto dal grande incendio di Meireki e successivamente ricostruito nell’attuale zona di Fukagawa.
Eitaiji
Sembra che l’ultima delle sei statue di Jizō fu completata nel 1720 e fu in seguito posata presso l’Eitaiji (永代寺), un tempio della setta Shingon fondato nel 1624 e ramo del santuario di Tomioka Hachiman. Questo si trovava nel quartiere di Fukagawa, considerato come la porta d’ingresso di Edo per i viaggiatori provenienti da est sulla strada Chibakaidō (千葉街道), era il quartiere dove viveva Shōgen.
L’Eitaiji, fu chiuso durante la separazione tra buddismo e shintoismo avvenuta durante il periodo Meiji e di dice che la statua di Jizō sia stata venduta a una fonderia di Kawaguchi.
Shinbutsu Bunri
Nei primi anni del periodo Meiji (1868-1912), caratterizzati da un profondo rinnovamento politico e sociale, si assistette a una rivalutazione dello shintoismo, a lungo associato al potere imperiale. Questa scelta, volta a rafforzare il legame tra la dinastia imperiale e il popolo giapponese, portò a una netta separazione tra shintoismo e buddismo (神仏分離, shinbutsu bunri), con quest’ultimo a subire pesanti persecuzioni. Il tempio Eitaiji e il santuario di Tomioka, un tempo un complesso religioso di grande rilevanza, furono profondamente segnati da questi eventi. Oggi, i resti di questo passato glorioso sono ancora visibili, seppur in forma ridotta, e testimoniano le profonde trasformazioni che hanno interessato il Giappone moderno. Mentre la statua di Jizō donata da Shōgen è andata perduta per sempre ma, è possibile ammirare una sua copia presso il Jōmyōin, tempio affiliato alla setta Tendai che si trova in zona Ueno. Si tratta di una copia prodotta durante il periodo Meiji. Di dimensioni più piccole, senza il caratteristico cappello, e con un aspetto diverso dagli altri sei Jizō di Edo.
Le cinque statue arrivate fino ai giorni nostri, in origine rivestite di una lamina d’oro ormai consumata dal tempo, rappresentano un raro esempio di sculture in bronzo di tali dimensioni, fuse nei primi anni del Settecento. Riconosciute dal governo di Tōkyō come beni culturali tangibili, esse sono oggi oggetto di attenta tutela e conservazione.