L’ ultimo baluardo del cristianesimo in Giappone
Sulle pendici del Monte Unzen nella penisola di Shimabara, riposano silenziose le rovine del castello di Hara, testimonianza tangibile di un passato tumultuoso. Centro della ribellione di Shimabara-Amakusa (1637-1638), offre oggi ai visitatori l’opportunità di esplorare le sue rovine immergendosi nella ricca storia della regione.
Le rovine del castello di Hara
Storia e fede si intrecciano tra le rovine del castello di Hara, unico luogo della zona a far parte dei “Siti dei cristiani nascosti della regione di Nagasaki“, patrimonio mondiale dell’umanità.
Il Castello di Hara fu una roccaforte costruita tra il 1599 e il 1604 da Arima Harunobu (有馬晴信), un daimyō che aveva esteso il suo potere fino alla higashi hizen (東肥前), parte orientale di Hizen no kuni (肥前国), una delle antiche province del Giappone che corrispondeva approssimativamente alle attuali prefetture di Saga e Nagasaki. Si dice che la grandezza del feudo di Arima fosse stimata in circa 260.000 koku. Un koku (石), equivalente a circa 180 litri, è un’unità di volume utilizzata in Giappone sin dall’antichità. Il numero di koku indicava una stima del volume di riso che poteva essere prodotto dalle terre all’interno del dominio di un daimyō. Le relazioni feudali erano determinate dai gradi militari, a loro volta assegnati in base al numero di koku posseduti da un signore. Quest’ultimi poi tassavano la popolazione che risiedevano nei loro domini in base al numero di koku e generalmente le tasse erano pagate in riso.
Si ritiene che il castello di Hara sia stato costruito a sud dello Hinoejō (日野江城, castello di Hinoe) con lo scopo di supportarlo nel sorvegliare la principale via d’acqua della regione, l’ Ariakekai (有明海), il mare di Ariake. Il clan Arima aveva nel castello di Hinoe la sua residenza principale che però date le dimensioni troppo piccole era considerato inadatto alla guerra.
Con l’unificazione del Giappone sotto il dominio di potenti signori come Oda Nobunaga, Toyotomi Hideyoshi e, infine, Tokugawa Ieyasu, il paese sembrava finalmente aver trovato la pace. Il governo Tokugawa, infatti, proclamò solennemente l’inizio di un’era “senza guerre”. Tuttavia, la ribellione di Shimabara, rappresentò un evento di grande importanza nella storia del paese. Questa rivolta, che vide contrapposti samurai cristiani, contadini e altri strati impoveriti della popolazione contro il governo Tokugawa, si concluse tragicamente in un massacro. Questo episodio segnò un punto di svolta definitivo, decretando la fine di un’epoca di conflitti e aprendo le porte a un periodo di quasi 250 anni di pace.
Le ribellioni di Higo-Amakusa e Shimabara, sebbene separate da un lungo periodo di tempo, rappresentano due capitoli cruciali della storia giapponese, legati da un unico filo conduttore. La ribellione di Higo-Amakusa (1587-1590) vide protagonisti samurai cristiani e abitanti della provincia di Higo (conosciuta anche come higo no kuni, 肥後国, era un’antica provincia corrispondente all’attuale prefettura di Kumamoto), esasperati da tensioni religiose e condizioni di estrema povertà. La mancata risoluzione di queste problematiche lasciò un terreno fertile per la successiva ribellione di Shimabara (1637-1638), che coinvolse nuovamente samurai cristiani e parte della popolazione della zona contro il governo Tokugawa.
Da Harima Harunobu a Matsukura Shigemasa: la rivolta di Amakusa-Shimabara
Nel 1612, Arima Harunobu (有馬晴信) fu coinvolto nell’incidente di Okamoto Daihachi e fu esiliato e costretto a commettere seppuku. Suo figlio, Naozumi (有馬 直純), riprese il governo della terra di Arima, ma due anni dopo fu trasferito a Hyuga. Successivamente, nel 1616, Matsukura Shigemasa (松倉重政), un vassallo del dominio Yamato Gojō (大和五条, oggi corrispondente alla prefettura di Nara) fu nominato daimyō di Shimabara e prese possesso del castello di Hara.
In conformità all’editto Tokugawa conosciuto come ikkoku ichijō (一国一城), letteralmente “una provincia, un castello”, Shigemasa costruì il moridakejō (森岳城), il castello di Shimabara, abbandonando di fatto gli altri castelli della zona come quello di Hinoe e Hara (1618). Non solo Shigemasa diede inizio a una terribile persecuzione dei cristiani, ma iniziò a vessare la popolazione con continui aumenti dei tributi per ripianare gli alti costi della costruzione del castello.
Era il 1630 quando, stanchi del suo dominio dispotico, alcuni congiurati decisero di eliminare Shigemasa. Fu avvelenato mentre si trovava nel villaggio termale di Obama. L’identità dei colpevoli rimane un mistero, ma alcuni sospettano che si trattasse di esponenti dello shogunato locale di Nagasaki, preoccupati per la sua severità e per il rischio di una rivolta popolare. Alla sua morte, il potere passò nelle mani del figlio Katsuie (松倉勝家).
Katsuie si rivelò un despota tale quale il padre e durante il suo dominio si abbatté sulla popolazione locale come una tempesta di tributi inarrestabile. Non solo i cristiani erano vittime di persecuzioni feroci, ma anche i non cristiani furono costretti a subire il peso di tributi sempre più gravosi. Anni di magri raccolti avevano condotto la popolazione alla fame, mentre il fardello delle imposte li schiacciava senza pietà. Alla fine, spinta dalla disperazione, parte della popolazione non potendo più sopportare tali ingiustizie insorse. Il 25 ottobre 1637, contadini e rōnin (浪人, samurai senza padrone) del sud di Shimabara si unirono a quelli delle isole Amakusa e con un leader carismatico conosciuto come Amakusa Shirō, appena sedicenne, diedero vita a quella che passò alla storia come la rivolta di Shimabara e Amakusa (島原・天草一揆, Shimabara, Amakusa ikki). Il giorno successivo, l’incendio della rivolta raggiunse anche il castello di Shimabara, dove un assalto fallito non fece altro che alimentare la fiamma della resistenza che rischiava di diffondersi in tutto il Giappone, diventando una questione di primaria importanza per lo shogunato.
I ribelli si arroccarono all’interno del castello di Hara, ormai abbandonato. Tra le sue mura si asserragliarono circa 30.000 ribelli, provenienti quasi unicamente dalle province meridionali di Shimabara. A contrastare questo esercito improvvisato, lo shogunato inviò ben 140.000 soldati Tokugawa provenienti da tutto il Kyūshū (si racconta che prese parte all’assedio anche il famoso Miyamoto Musashi). Per quattro mesi, la fortezza resistette agli attacchi, alimentando la speranza dei ribelli. Ma la fame e l’isolamento, con navi olandesi che pattugliavano il mare di Ariake bombardando continuamente il castello, ebbero il sopravvento. Nell’aprile del 1638, l’ultimo assalto segnò la caduta del castello e la tragica fine di tutti i ribelli.
Amakusa Shirō e tutte le 30.000 persone rifugiate nel castello di Hara, uomini, donne e bambini, vennero trucidati e si racconta che i loro corpi furono gettati all’interno delle mura del castello, mescolandosi alla terra. Come se non bastasse, anche le restanti mura di pietra del castello furono smantellate, condividendo il destino dei suoi occupanti. Infine, i resti del castello vennero dati alle fiamme. La storia descrive questo evento come una testimonianza dell’odio delle forze governative verso i ribelli. Inoltre, ben 10.000 teste mozzate furono infilzate su pali e messe in mostra intorno al sito. Altre teste vennero esposte in vari punti del feudo e a Nagasaki come monito per la popolazione, mostrando cosa accadeva a chi si opponeva al governo. La testa di Amakusa Shiro fu addirittura messa in mostra di fronte a Dejima, un’isola artificiale nella baia di Nagasaki che all’epoca era l’unico avamposto straniero legale in tutto il Giappone.
Da quel momento la persecuzione anticristiana si fece molto più aspra terminando solo nel 1650. Fu a seguito di questa rivolta che in Giappone si adottò una politica di isolamento nazionale conosciuta come sakoku (鎖国, letteralmente “paese il catene”) che isolò il paese per oltre due secoli. Il cristianesimo fu dichiarato fuorilegge e i controlli sulla popolazione locale furono rafforzati. La ribellione di Shimabara segnò un punto di svolta nella storia giapponese. Le successive riforme Tokugawa decretarono il divieto totale del Cristianesimo e del commercio con i cristiani. I portoghesi furono espulsi, Dejima a Nagasaki divenne un’isola commerciale vuota. Solo gli olandesi, “premiati” per aver sostenuto i Tokugawa durante la ribellione, ottennero il diritto esclusivo al commercio. La ribellione si concluse con un vero e proprio massacro che cancellò i cristiani dal sud di Shimabara. I sopravvissuti fuggirono sulle isole diventando i cosiddetti senpuku kirishitan (潜伏キリシタン), i “cristiani nascosti”.
La ribellione domata non salvò Matsukura Katsuie. Chiamato a Edo per rispondere del malgoverno e della brutalità che avevano causato la rivolta nella sua provincia, gli fu negata la dignità del seppuku e fu condannato a morte per decapitazione.
Le rovine del castello di Hara patrimonio dell’umanità
Il 30 maggio 1938 le rovine del castello di Hara hanno ottenuto il titolo di sito storico nazionale. Il 4 luglio 2018, un ulteriore traguardo: l’iscrizione ai Siti cristiani del Giappone come Patrimonio dell’Umanità UNESCO. Un riconoscimento che ne sottolinea il valore storico e culturale.
Il sito patrimonio dell’UNESCO dei Cristiani Nascosti della regione di Nagasaki
Un percorso tra luoghi segreti dove i fedeli, tenaci nella loro fede, sfidarono la persecuzione e preservarono il cristianesimo per secoli.
I 12 siti si trovano nell’attuale prefettura di Nagasaki e nelle vicine isole Amakusa della prefettura di Kumamoto, l’area che aveva la più alta concentrazione di missioni cristiane nel Giappone dell’era moderna. Dopo il bando della religione cristiana, un numero considerevole di fedeli cattolici mantenne congregazioni segrete nell’area di Nagasaki-Amakusa, specialmente nei villaggi lungo la costa e sulle isolate isole minori dove alcuni di loro emigrarono. Attraverso oltre 200 anni di persecuzione, mantennero facciate di pratiche buddiste e shintoiste convenzionali, pur continuando a coltivare le loro tradizioni cristiane di famiglia. La loro storia di culto nascosto è ora riconosciuta come un inestimabile patrimonio.
Ho visitato le rovine si questo castello diverse volte negli ultimi 10 anni accompagnando anche amici a vederle. Lo honmaru, che è la sezione meglio conservata del castello ospita alcuni memoriali. Il basamento principale sembra essere rimasto intatto, mentre grossi massi sparsi nella zona restano come testimonianza delle antiche mura. La vista della baia di Shimabara è davvero impressionante e bellissima, e si capisce perfettamente sia la posizione strategica della fortezza sia perché sia stato chiamato “Castello del Tramonto”.
Di seguito la mappa del complesso del castello di Hara e delle sue difese.
Vista dall’alto dell’area un tempo occupata dal castello di Hara.
Di seguito le rovine dello ishigaki (石垣)i, il muro di pietra dello honmaru. In realtà era molto più alto, gran parte di esso fu distrutta dopo la ribellione.
Grazie ad un sistema di QR code distribuiti lungo tutto il percorso, è possibile immergersi in un’esperienza virtuale che ricrea l’aspetto originale del castello. L’immagine che segue rappresenta una ricostruzione dell’imponente cancello d’ingresso allo honmaru, caratterizzato dalla tipica architettura detta watari yagura (渡櫓), che prevedeva una torre di guardia sopraelevata, utilizzata per lanciare frecce contro gli eventuali assalitori.
Questa foto l’ho scattata nella zona sud-occidentale del complesso del castello. L’angolazione non permette di apprezzare appieno l’estensione dell’area che un tempo ospitava una yagura (櫓), una torre di guardia a tre piani, come riportato da diverse fonti storiche, tra cui i resoconti di alcuni gesuiti. Dalla cima di questa struttura, si aveva una visuale strategica sul mare di Ariake, le isole Amakusa e, sullo sfondo, il maestoso Monte Unzen.
Nel corso del 1618, la torre di guardia subì un processo di smantellamento, condividendo la stessa sorte di altre strutture del castello. I materiali recuperati da questa demolizione furono destinati alla costruzione del castello di Shimabara. È evidente, quindi, che la torre non era più presente al momento dello scoppio della ribellione.
Sempre all’interno della zona zona centrale del castello c’è una statua dedicata al leader della ribellione Amakusa Shirō.
Questa statua è opera dello scultore Kitamura Seibō (北村西望), originario di Shimabara, noto anche per aver creato la statua commemorativa della pace nel Parco della Pace di Nagasaki. Il suo vero nome era Tokisada Masuda (益田 時貞). Figlio di un vassallo di Yukinaga Onischi (un signore feudale cristiano giustiziato nella Battaglia di Sekigahara), era un cristiano molto carismatico. Eletto capo dai ribelli, combatté valorosamente fino alla fine, ponendo tragicamente fine alla sua giovane vita a soli 15 anni.
Ten no tsukai – 天のつかい
Il giovane capo era venerato dalla popolazione come il “ten no tsukai“, il messaggero del cielo, addirittura considerato il figlio di Dio in persona. Questa credenza si fondava su un’antica profezia, attribuita al missionario Marcos, esiliato da Shimabara. Secondo la leggenda, Marcos aveva predetto l’arrivo, dopo venticinque anni, di un messia che avrebbe liberato il popolo dalle sofferenze. E così fu: nel 1637, proprio come previsto, si racconta che Shirō iniziò a manifestare poteri soprannaturali, compiendo miracoli che ricordavano quelli di Cristo. Perseguitati e affamati, i cristiani di Amakusa e Shimabara videro in lui la realizzazione della profezia e si unirono alla sua causa, pronti a tutto pur di seguirlo.
Poco vicino sorge anche una lapide dedicata a Amakusa Shirō. Questa tomba è stata costruita attorno a una lapide scoperta casualmente in una casa privata a Nishi Arima che si trova nelle vicinanze del castello. La testa di Amakusa Shirō, ucciso durante la rivolta, fu inviata a Nagasaki dove scomparve.
Davanti alla tomba è stato eretto un monumento a forma di croce
Guardano verso il mare troviamo tre statue cristiane che ricordano un Jizō. Il loro sguardo è rivolto verso l’isola di Yushima, dove si radunarono i capi della rivolta di Shimabara.
Honekami Jizō – Il Jizō delle ossa
All’entrata delle rovine del castello si trova una statua di Jizō eretta in periodo Meiji, n memoria di oltre mille scheletri, da cui il nome honekami, ritrovati durante i lavori nei terreni circostanti le rovine del castello di Hara, che con il tempo erano diventati terreni agricoli. Il Jizō non è stato eretto direttamente sui resti del castello ma su terrapieno apposito e sulla è impressa la seguente iscrizione:
三界万霊乃至平等 南無阿弥陀仏骨塔
Sangai Banrei Naishi Byōdō Namuamidabutsu Kottō
Tutte le creature dei tre mondi sono uguali, Namuamidabutsu, pagoda delle ossa
Sangai banrei è un termine buddhista dove “sangai” che si riferisce ai tre regni esistenziali: il mondo del desiderio, il mondo della forma e il mondo senza forma. “Banrei”, invece indica tutte le creature senzienti e non senzienti che abitano questi tre regni.
Le rovine del Castello di Hara sono una delle testimonianze di ciò che scatenò la clandestinità dei cristiani giapponesi. A causa della seguente politica di isolamento e la conseguente assenza di missionari, i cristiani rimasti furono lasciati soli a mantenere la loro fede in clandestinità, e dovettero trovare nuovi luoghi per preservare le loro comunità religiose. Il ricordo della ribellione fu mantenuto vivo dalle comunità cristiane nascoste di Sotome e in altre aree della regione di Nagasaki durante tutto il periodo del divieto del cristianesimo.