Per tre motivi, credo.
Penso che quello principale sia stata la presenza della Cina. Questo paese e la minuscola Corea erano tutto quanto appariva a ovest sull’orizzonte dei giapponesi. Il problema era che la Cina già confinava con praticamente tutti ed era quindi il veicolo principale e più economico di commercio fra Giappone e chicchessia. Non avrebbe quindi avuto senso tentare di sviluppare le considerevoli doti tecniche e le tecnologie necessarie per un viaggio davvero lungo come quello richiesto per raggiungere nuovi mercati.
Dall’altra parte c’era l’abisso del Pacifico. L’immagine del grande navigatore che abbiamo noi europei nella fantasia appartiene a un momento unico della storia, vale a dire la navigazione intercontinentale transoceanica, che iniziò quando divenne tecnicamente possibile, vale a dire molto più tardi. Gli europei furono i primi a superare i grandi problemi tecnici posti dalla navigazione intercontinentale a partire dal XV secolo.
Il particolarissimo momento storico giustifica il loro comportamento anomalo. I viaggi degli esseri umani sono sempre i più brevi possibile e la colonizzazione della terra è avvenuta a piedi e a passetti i più brevi possibili.
Infine, i I giapponesi non avevano la personalità, il carattere giusto. Un popolo che migra è psicologicamente pronto per divenire stanziale. Se arriva per caso in un’isola o un arcipelago, sviluppa una mentalità insulare, che è più di una barzelletta. Per esempio, il mito della creazione maori e quello giapponese hanno in comune il fatto che gli dèi creano solo il paese dei Maori e dei giapponesi rispettivamente. Il resto non esiste. Quanto vedi è reale, ma, in assenza di prove dirette, il resto del mondo è surreale, una diceria. Esattamente questo è il modo in cui i giapponesi vedono il resto dell’umanità. Roba che si vede alla televisione. Come giustamente ha detto Dario Fabbri in uno dei suoi rari momenti di lucidità, i giapponesi sono isolazionisti, non pacifisti. Ai giapponesi il mondo non interessava.
Questo però non è razzismo, ma semplicemente il risultato di non avere contatti diretti con alcuno.